Dal testo di Francesco Zanotto
"Con tutti questi mezzi di offesa il dì
sedici maggio 1346 si mise il Civrano a combattere la città così ostinatamente
e con tanto vigore, che la battaglia durò un intero giorno; e se le ombre
sorvegnenti della notte non avessero dato fine al furore e all'incalzar sempre
più aspro delle armi, cadute sarebbero a forza quelle mura. Ristettero però i nostri il dì appresso dalle opere di
guerra, un poco perchè era voce fossero per sorvenire nuove armi ungariche in
aiuto degli assediati e un poco perchè volevano i capitani avere decisa
deliberazione dal Senato del modo in da contenersi in quello assedio ... "
ANNO 1346
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta il disegno di Gatteri.
La città dalmata,
importantissima per Venezia, viene conquistata a fatica dopo un aspro conflitto che vide
affrontarsi due numerosi eserciti, l'ungherese ed il veneziano. Alla fine, la
Repubblica riprende il controllo
dell'abitato ed impone la tregua, ma
non sarà per molto ...
LA SCHEDA STORICA - 49
Alla morte di Andrea III
d'Ungheria figlio della nobildonna veneziana Tommasina Morosini e di
Stefano d'Ungheria, si aprirono nel 1301 in quel regno aspre lotte di
successione. La dinastia reale ungherese
degli Aspard cui Andrea apparteneva, si era estinta nel ramo maschile con la
sua morte lasciando quale erede più diretto un angioino, Carlo Martello.
Questi infatti era il figlio di Maria d'Ungheria, a sua
volta figlia di un cugino di Andrea III
e di Carlo II d'Angiò re di Napoli. Carlo Martello, detto anche Cariberto, riuscì
alla fine ad affermarsi quale nuovo sovrano d'Ungheria nel 1308 portando alla
sua già potente casata l'importante regno magiaro. Ma ancora non bastava.
Carlo infatti, ed ancor più suo figlio Luigi che gli
successe sul trono nel 1342, intraprese una politica di espansione territoriale
verso la Serbia, il litorale e le isole della Dalmazia. Quella di procurarsi
uno sbocco sul Mare Adriatico era da secoli un'esigenza fortemente sentita dai
sovrani ungheresi che dovettero ripetutamente scontrarsi infatti, con gli
interessi che un'altra potenza aveva in quella medesima area: Venezia. In
particolare si rivelava strategicamente importante il possesso della città di
Zara.
Situata lungo la costa dalmata settentrionale, l'importante
centro croato era già stato oggetto non a caso, di un'aspra contesa tra
bizantini e veneziani sin dal X° secolo quando la città sotto la minaccia
dell'avanzata slava, si consegnò praticamente alla repubblica veneta
riconoscendone la giurisdizione. Già
nell'XI secolo, tuttavia, Zara che solo per circostanze contingenti aveva accettato di entrare nell'orbita
veneziana, lottava per riconquistare la sua autonomia appoggiandosi per questo
a Bisanzio, ma ancor più ai sovrani ungheresi.
Nel 1202 in occasione della quarta crociata, la città però
cadde definitivamente in mano ai veneziani che, con alterne fortune, ne
detennero il potere fino al tramonto della Serenissima alla fine del
Settecento.
Attorno alla metà del XIV secolo dunque, la cittadina
dalmata, sostanzialmente e di fatto, rientrava nella giurisdizione di Venezia
che più volte si era già scontrata con le mire espansionistiche dei re
ungheresi dovendo nel contempo fronteggiare ed arginare le continue ribellioni
della cittadina. E una di queste, l'ennesima, scoppiò violenta proprio durante
il dogato di Andrea Dandolo il 22 luglio del 1245.
Come spesso accadeva, dietro ogni rivolta di Zara si
celavano gli interessi e le manovre dei sovrani magiari e della nobiltà croata
che mal sopportava l'autorità del governo veneziano. Questa volta l'istigatore
dei disordini era niente meno che Luigi d'Angiò in persona che aveva tutte le
intenzioni di procedere nella politica espansionistica iniziata dal padre.
Ambizioso e nemico giurato dei veneziani, Luigi accusava il governo ducale di tenere in modo del tutto arbitrario
quella che secondo lui era invece la capitale storica del regno di Croazia a
sua volta parte integrante della corona d’Ungheria. Date queste premesse, la
guerra si rivelò inevitabile da parte del doge Dandolo. L'angioino infatti, non
si era limitato alle sole parole. Accogliendo l'invito dei rivoltosi si
precipitò infatti prontamente nella città ottenendo fra l'altro numerosi
castelli lungo i confini dalmati. Marco Cornaro, conte della città e con lui
molti cittadini veneziani furono costretti a fuggire.
Nell'agosto di quell'anno, così, iniziò lo stato d'allarme
per l'esercito e la flotta veneziani che al comando di Pier Canale riuscirono a catturare un certo
numero di nobili rivolto si momentaneamente abbandonati dal re Luigi d'Angiò
richiamato altrove da più urgenti faccende legate al regno di Napoli.
ll comando delle truppe veneziane terrestri venne invece
affidato al procuratore Marco Giustiniani che si portò velocemente a pochi
chilometri da Zara, verso la quale mosse successivamente ponendovi un durissimo
assedio. Ugualmente, intanto, faceva la flotta per il lato verso il mare. Qui
tuttavia, la zona del porto era stata tempestivamente chiusa e rinforzata dai
cittadini zaresi che fortificarono ulteriormente anche le mura mandando nel
contempo a chiedere aiuto al re ungherese che inviò infatti ben 10.000 militi.
I rinforzi arrivarono anche da Venezia con l'invio di altri
due provveditori, Andrea Morosini e Simeone Dandolo, per assistere il
comandante delle truppe terrestri. Intanto la flotta veneta riusciva finalmente
a rompere la catena che chiudeva il porto assicurandosi la principale via
d'accesso alla città.
Dopo un vano tentativo diplomatico di Alberto d'Austria per
cercare di portar pace fra le parti, il Senato veneziano decretò invece che la
guerra doveva continuare affidando l'incarico di capitano delle milizie
terrestri a Marino Falier, riconfermando invece al comando della flotta Pier
Canale.
Il 16 maggio del 1346 iniziò così un duro assedio della
cittadina da parte della flotta veneziana che per un giorno ne bersagliò le
difese senza tuttavia alcun esito positivo. All'arrivo di ben 80.000 uomini
quale rinforzo agli assediati, la battaglia si fece più aspra e violenta anche
sul versante terrestre dove si fronteggiavano i due eserciti a suon di
proiettili lanciati da potenti macchine belliche. Arrivò così ben presto il
giorno dello scontro decisivo dopo che la situazione si era mantenuta per
giorni in sostanziale equilibrio. Nello scontro, durissimo fra i due eserciti a
colpi di bombarde, frecce, sassi e lance, i veneziani ebbero infine la meglio.
Decimato l'esercito nemico le truppe ducali dilagarono nella
città e nel suo contado facendo strage ulteriore del nemico in fuga. Bruciarono
poi le macchine lignee nemiche e con loro le migliaia di cadaveri rimasti sul
campo, circa 7.000, forse più.
Tre giorni dopo la dura e cruenta battaglia, ripristinato
l'ordine e l'autorità ducali, l'esercito veneziano poteva finalmente far
ritorno in laguna mentre a Zara in qualità di conte della città veniva spedito
Marco Giustiniani.
Col sangue e la spada Venezia aveva riaffermato ancora una
volta la sua giurisdizione sull'importante città dalmata, ma la partita con i
sovrani ungheresi non doveva tuttavia, ritenersi definitivamente chiusa. Anzi,
per molti aspetti, era appena incominciata.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
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