Dal testo di
Francesco Zanotto
"Quella sedizione
gravissima nacque da leggiera cagione, imperocchè dovendosi, per interrimento
fattosi dalle sabbie marine, escavare quel porto e ripararsi quel molo di
Candia, fu per decreto pubblico posto un balzello agli isolani per sopperire
alla spesa. I primarii Greci di Candia e molti fra i coloni Veneziani ebbero a
sdegno quella disposizione, pretendendo essi, per le concedute franchigie, di
andare immuni da quella gravezza. ( ... ) Dandolo coraggiosamente a ricontro
dice a loro: Essere sovrana dell'isola la Repubblica, e quindi poter ella
ordinare gli aggravii, e più come questo, rivolto all'utilità loro ...
"
ANNO 1363
Giuseppe Gatteri
Cosa ci racconta
il disegno di Gatteri.
Motivi economici
produssero la più
grave delle rivolte subite da Venezia nei suoi territori d'oltremare. A Candia
si giocò una partita delicatissima, e la pazienza della Repubblica fu messa a dura prova dai rivoltosi veneti che alla fine però rimasero isolati
anche dalla stessa popolazione indigena ...
LA SCHEDA STORICA - 51
E' una storia di
continue rivolte e conseguenti repressioni quella del dominio veneziano su
Creta. La grande isola era stata letteralmente acquistata da Venezia in
occasione della quarta crociata nel 1204. Donata al marchese Bonifacio di
Monferrato, uno dei fautori di quell'impresa, dall'imperatore bizantino Alessio
IV per l'aiuto ricevuto dai crociati, l'isola venne poi venduta dal marchese al
governo veneziano per 1000 marche d'argento.
Creta costituiva uno scalo nevralgico nei traffici da e per
l'Oriente, una sorta di ponte naturale di collegamento tra il Peloponneso e
l'Asia Minore nel cuore del Mediterraneo. Chiamata dai veneziani anche Candia,
dal nome arabo della loro capitale nell'isola, Khandak, presso l'antica Cnosso,
Creta divenne per i successivi quattro secoli e mezzo uno dei più importanti e
irrinunciabili capisaldi dei traffici commerciali di Venezia con il Levante.
L'occupazione dell'isola tuttavia, si rivelò lunga e
difficile, non solo inizialmente per la resistenza delle popolazioni locali,
per la sua selvaggia e montagnosa morfologia, ma anche per il confluire su
Creta anche degli interessi di Genova, da sempre in accesa e violenta
concorrenza con quelli veneziani.
Avuta tuttavia ragione del corsaro genovese Enrico Pescatore
che per alcuni anni dette del filo da torcere alla flotta ducale occupando una
parte dell'isola, Venezia poteva finalmente inviare a Creta nel 1208 il suo
primo rappresentante ufficiale nella persona di Jacopo Tiepolo col titolo di
duca di Candia.
Negli otto anni del suo governo (1208-1216), il Tiepolo
riuscì ad averla vinta sulle ultime guarnigioni genovesi, a reprimere e
sconfiggere le prime rivolte locali e ad imporre l'amministrazione veneziana
con la colonizzazione sistematica dell'isola che subì un vero e proprio processo
di "venetizzazione".
Creta venne infatti divisa in sei sestrieri ricalcando in
pieno la divisione di Venezia, sestrieri a loro volta divisi in turme o castellanie.
Un capitano, poi, era preposto ad ogni sestriere - l'esigenza e il
carattere militare dell'occupazione e della sua difesa era inevitabile -,
mentre iniziava di pari passo l'invio massiccio di coloni veneziani a popolare
l'isola. A questi nuovi arrivati veniva assegnata parte dei beni sino ad allora
appartenuti alla chiesa greca. I coloni, tuttavia, non potevano cedere i loro
beni se non ad altri veneziani, dovendo inoltre impegnarsi a difendere
personalmente l'isola o, non potendo, pagare delle tasse al comune.
L'invio di coloni veneziani nell'isola si fece massiccio
specialmente negli anni 1222-1233-1252 (in 40 anni ben 310 famiglie veneziane
erano giunte a Creta), arrivando alla fine del secolo a concedere il permesso
di contrarre matrimonio fra le due comunità nell'evidente tentativo di giocare
anche e soprattutto la carta dell'integrazione molto più conveniente al governo
veneziano rispetto a quella della repressione annata.
Ma di integrazione vera e propria, almeno per i primi
secoli, non si può certo parlare, dato che le rivolte locali, di fatto, non
vennero mai definitivamente sedate e Creta continuava a rappresentare per il
governo veneziano una vera spina nel fianco.
Nel corso del XIV secolo ben tre furono le rivolte di una
certa entità e pericolosità, l'ultima delle quali, tuttavia, nel 1363, trovò
sorprendentemente ed eccezionalmente uniti per la prima volta greci e coloni
veneziani, dai quali partì sostanzialmente il moto di rivolta contro la madre
patria.
L'occasione fu data dall'imposizione di nuove, ulteriori
tasse per l'ampliamento del porto di Candia. Queste tasse, decise
unilateralmente dal governo veneziano, andavano però ad aggiungersi ad un
carico fiscale già di per sè eccessivo tanto da provocare la reazione indignata
della comunità veneziana dell'isola.
Settanta notabili si erano così riuniti in una chiesa per
eleggere una delegazione di 20 Savi da inviare al più presto a Venezia presso
il Consiglio Maggiore per esporre e far presente le lagnanze dei
veneto-cretesi. Quando giunse al Consiglio la notizia di tanti preparativi,
questo mandò a dire che non era sicuro che nella colonia vi fossero 20 persone
degne di essere chiamate tali (Savi).
All'offesa ricevuta con questa sarcastica risposta, i
veneziani dell'isola risposero allora con la rivolta. Il gonfalone di S. Marco venne ammutinato e al
suo posto issato quello di S. Tito, patrono di Candia, mentre il governatore
veneziano Leonardo Dandolo, figlio del doge Andrea, andava incontro
coraggiosamente ai rivolto si che erano riusciti intanto a raggiungere il suo
Palazzo.
Era il 9 agosto del 1363 e fra i capi della rivolta c'erano
i nomi del fior fiore del patriziato veneziano immigrato: Marco Gradenigo, Tito
Venier, Leonardo Gradenigo detto Calogero (il monaco greco) dopo a seguito
della sua conversione alla fede ortodossa e non a caso il più filo-greco dei
rivoltosi, che avrebbe voluto portare sul trono dell'isola il cretese Giovanni
Kalergis. Il Consiglio Maggiore intanto
sembrava sottovalutare la rivolta scoppiata nell'isola e solo con il fallimento
della seconda missione diplomatica si convinse di passare alle vie di fatto.
I ribelli nel frattempo avevano imprigionato lo stesso
Leonardo Dandolo che invano aveva tentato di far rientrare pacificamente la
rivolta. Il governatore, presentatosi ai
coloni inferociti aveva tentato infatti di riportarli alla ragione cercando di
far capire la gravità di una simile iniziativa. Tutto era stato inutile e solo grazie
all'intervento di due eminenti nobili veneziani il Dandolo ebbe alla fine salva
la vita. Al suo posto venne nominato
dagli insorti Marco Gradenigo il Vecchio che per prima cosa proclamò
un'amnistia generale mentre alle ragioni dei veneziani andavano sempre più
affiancandosi quelle delle popolazioni locali alle quali era stata promessa
l'uguaglianza religiosa e civile.
Per il governo veneziano si era a questo punto superato ogni
limite. La situazione nell'isola era diventata insostenibile e doveva essere
risolta al più presto. Come spesso accadeva la via più celere anche in quel
caso, fu quella delle armi. Intanto, di fronte alla prospettiva di uno scontro
armato con la madre patria, molti feudatari veneziani incominciavano a
ritirarsi dall'impresa alla quale mancò lo stesso aiuto - richiesto - dei
genovesi. Le premesse per un tragico fallimento erano già chiaramente
delineate.
Fonte: srs di Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco
Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA
VENETA, volume 2, SCRIPTA EDIZIONI
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