Dal testo di
Francesco Zanotto
"Adunque tolsero le sacre salme loro,
come la cosa più preziosa che possedevano, se le fecero compagne del loro
infortunio, e nel loro infortunio le guardarono come salvezza, e lenimento de'
loro dolori. Sur una barca, pensiamo,
che le abbiano accomodate in guisa che spiccassero fra le sacre cose che
sottraevano dalla mano rapace dei barbari: laonde da un lato la cattedra
episcopale, dall'altro i vessilli, e sopra le casse custodi delle sante ossa i
tappeti preziosi avranno disposto, e accompagnata fra le salmodie e le preci
quella fuga"
ANNO 640
Dopo gli
Altinati è la volta degli
abitanti di Aquileia a dover
scappare davanti all'avanzata dell'esercito longobardo. Il vescovo Paolo guida
il suo popolo verso una nuova patria, nella laguna amica, unico rifugio sicuro
al riparo dalle incursioni di nemici sanguinari e barbari
5 - LA SCHEDA STORICA
L'arrivo dei Longobardi (568), costrinse dunque ad una nuova
fuga le popolazioni indifese della Venezia-Giulia dove quello che restava
dell'esercito bizantino si scontrava, con scarso successo, con i nuovi invasori. E così, come Altino, anche
Aquileia occupata e saccheggiata dai Longobardi, si preparava ad essere
progressivamente abbandonata dai suoi abitanti.
L'importante centro commerciale romano, già al tempo
dell'invasione degli Unni di Attila (452) aveva subìto un orribile saccheggio
dopo un lunghissimo assedio. Attila, accampato da giorni ai piedi della
cittadina, stava ormai abbandonando l'impresa che si stava dimostrando più
difficile del previsto grazie alla strenua difesa della città da parte dei suoi
abitanti.
Fu a seguito di un presagio, si racconta, che il capo unno
si persuase proprio mentre stava abbandonando il campo, che la città sarebbe
invece ben presto caduta nelle sue mani. Un nido di cicogne - simbolo della
vita -, costruito sulle mura di Aquileia, cadde infatti improvvisamente a terra
mentre nelle mura si apriva un varco d'accesso alla città. Il segno gli aveva
dato la certezza che l'impresa, da lì a poco tempo, sarebbe andata a buon fine.
E così fu.
E' tuttavia da ritenere, contrariamente a quanto alcune
fonti riportano, che la cittadina non
venne completamente distrutta, ma "semplicemente" saccheggiata. Anzi,
la lettera del papa Leone I al metropolita di Aquileia e datata 21 marzo 458,
lascia intravvedere degli evidenti segni di una seppur lenta ripresa della vita
cittadina.
Lo spopolamento e l'abbandono progressivi della città,
sembrano infatti verificarsi, invece, solo a seguito dell'invasione permanente
dei Longobardi della "Venetia". Allora Aquileia, anche per cause
naturali, perderà il suo antico legame col mare, diventando un centro marginale
e periferico nel nuovo assetto politico-geografico imposto dai Longobardi alla
penisola.
Questo processo di progressivo decadimento dell'antico
centro romano, andava invece tutto a vantaggio della vicina Grado che, tra
l'altro, cosa non certo di poco conto, era rimasta nell'orbita dei possedimenti
bizantini assieme a tutta la fascia lagunare veneta.
Grado era un centro lagunare già stabilmente abitato in
epoca romana quale porto del retrostante emporio commerciale di Aquileia. Lo
stesso nome "Gradus ", ovvero scalo, lascia ben intendere questa importante
funzione. A seguito delle scorrerie dei
Goti di Alarico prima e degli Unni di Attila poi nel corso del V secolo, gli
aquilensi iniziarono a guardare al vicino porto come ad un possibile e sicuro
rifugio, costruendo infatti una cinta muraria con quattro-cinque porte
affiancate da possenti torri. Era l'inizio della fortificazione del centro che
sarebbe diventato un vero e proprio
"castrum". Già sul finire del V secolo si era dato inizio anche ad
una nuova basilica.
Il fatto che ancora non si pensasse a Grado come alla nuova
e definitiva dimora, sembra trovare conferma anche dal fatto che i lavori di
questa nuova fabbrica vennero subito interrotti e la basilica potè essere
ultimata solo dopo il 570, quando ormai invece, da transitoria, la nuova sede
si apprestava a diventare definitiva.
Nel 569, infatti, sopraggiunti i Longobardi che inglobarono
fin da subito Aquileia nelle loro conquiste, l'esodo dei suoi abitanti si fece
massiccio e continuo. Lo stesso vescovo e patriarca Paolino, guidò il primo,
consistente nucleo di profughi. Con i profughi, Paolino trasferiva con sè anche
il tesoro della sua chiesa e la sede stessa della diocesi, ugualmente a quanto
faceva il vescovo di Padova che stabilì la sua nuova sede a Malamocco, quello
di Concordia a Caorle, di Oderzo ad Eraclea-Cittanova e di Altino a Torcello.
Non è dato sapere con certezza se la fuga di Paolino e dei suoi fedeli da
Aquileia a Grado, avesse un carattere transitorio oppure meno.
Il fatto che non si possa sapere se Paolino stesso sia morto
ad Aquileia o a Grado, lascia aperto il dubbio sulla vera natura del
trasferimento. Tuttavia, il trasferimento del tesoro della chiesa aquilense e
delle stesse sacre reliquie dei martiri Ermagora e Fortunato a Grado, lasciano
ipotizzare che i fuggiaschi per lo meno temessero di non poter tornare tanto
presto nella loro città. I rapporti con la patria, in ogni caso, non si
interruppero subito e bruscamente' ma anzi continuarono. La relativa calma
seguita allo stabilizzarsi dell'equilibrio tra Longobardi e Bizantini nella
penisola, favorì certamente questa circostanza, tanto che il successore di
Paolino, Probino, ritornò probabilmente ad Aquileia dove infatti morirà.
Tuttavia, la nuova vita a Grado si era rapidamente
organizzata e radicata ed il 3 novembre del 579 veniva consacrata la nuova
cattedrale finalmente ultimata e dedicata a S.Eufemia. In quell'occasione, e
solo allora probabilmente, le reliquie dei due martiri aquilensi vennero
trasferite a Grado sancendo così il definitivo distacco della comunità
dall'antica patria.
La tradizione che voleva le reliquie trasferite a Grado dal
vescovo Paolino durante la prima ondata migratoria, pur rispondendo
difficilmente alle vicende storiche, trova tuttavia una sua valenza e un suo
significato legati alla carismatica figura dello stesso Paolino.
Questi avrebbe dunque trasportato a Grado con il tesoro
della sua chiesa, le venerate reliquie dei santi Ermagora e Fortunato,
martirizzati all'epoca della grande persecuzione neroniana. Ermagora, discepolo
dell'evangelista S.Marco che si voleva esser stato presente nelle Venezie per
diffondere il cristianesimo' era stato creato dallo stesso evangelista vescovo
di Aquileia, dove effettivamente si può credere alla presenza di una prima
comunità cristiana già nel I secolo d.C. Fortunato, invece, diacono dello stesso
Ermagora, venne successivamente da questi indicato quale suo successore alla
cattedra vescovile.
I profughi, continua la leggenda, avrebbero così affrontato
il periglioso viaggio verso Grado potendo contare sulla benevola presenza delle
sacre reliquie custodite e ben protette in una delle loro imbarcazioni che
raggiunsero infatti indenni la nuova meta dove venne subito eretta una basilica
in loro onore.
Fonte: srs di
Giuseppe Gatteri, Antonio Viviani, Francesco Zanotto, Giuseppe Grimaldo, Laura
Poloni, Giorgio Marenghi; da STORIA VENETA,
volume 1, SCRIPTA EDIZIONI
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