2. ORIGINE DELLA CRISI
E’ da tutti ormai percepito che la situazione in cui si
trova oggi la Chiesa Cattolica abbia origine dal Concilio ‘Vaticano II.’ Tutti
lo pensano, ma pochi lo dicono. Chi ha il coraggio di dirlo, è subito accusato
con una parola fino a ieri sconosciuta e che ora ha assunto un valore di
spregio: preconciliare. Che poi vuol
dire tutto e nulla, perché in questo contenitore vi entra chiunque fa
resistenza alla insensata modernizzazione della Chiesa.
Ci si domanda come e dove il Concilio abbia potuto recare
danno, concepito com’è stato, per rilanciare la Chiesa stessa. Chi non ha
dimestichezza con il linguaggio ecclesiastico, leggendo i documenti conciliari,
non trova apparentemente alcunché di strano. I messaggi martellanti del mondo
ci hanno obnubilato la mente a tal punto che ci sfugge la pericolosità di certi
concetti. Siccome la Chiesa, come si dice, ha aperto al mondo (frase sibillina,
ad avallo della leggenda nera della Chiesa oppressiva dei secoli bui
medioevali), l’operazione strana è stata quella di aver assunto dal mondo non
tanto il linguaggio quanto piuttosto l’essenza di certi temi.
Ormai i documenti del Concilio sono stati letti e riletti,
commentati, vagliati e interpretati più dei Vangeli, spesso non soltanto per
cogliere ciò che lo Spirito Santo ha ispirato ai Padri, quanto per scoprire
qualche crepa ove infilarci non del mastice ma della dinamite. Non basta
che il Concilio abbia illustrato la dottrina della Chiesa esprimendosi nella
maniera comprensibile all’uomo moderno; (ma l’uomo moderno che si ritiene così
intelligente e scaltro, non è in grado di capire ciò che capivano i vecchi
contadini analfabeti di un tempo?) ma sembra che i documenti vadano
ulteriormente interpretati, come se fossero dei messaggi cifrati: non
tutti sono d’accordo su quanto hanno voluto dire i Padri conciliari. Ma le
interpretazioni del Concilio, andranno ulteriormente interpretate?
Siamo di fronte ad una esegesi senza fine?
Ricordo di aver acquistato una delle prime pubblicazioni dei
documenti conciliari; li lessi tutti d’un fiato e ne fui entusiasta. C’erano
delle novità, ma poiché io ero graniticamente attaccato alla Chiesa, non feci
fatica ad assorbirle, un po’ per fideismo ed un po’ perché coinvolto nel
linguaggio del mondo per il quale certe logiche non si discutevano; pensavo che
la Chiesa avesse fatto bene ad impossessarsene. Ero ignorante, nel senso che
non avevo nessun mezzo idoneo per giudicare, e la mia cultura religiosa era di
tipo artigianale. Ciononostante non tardai molto a capire che nella Chiesa
stava avvenendo qualcosa di grave, ed in breve mi trovai a dover ridimensionare
l’idea che avevo sulla portata del Concilio da poco terminato.
Il mio postconcilio si tramutò negli anni in un doloroso
calvario, sempre in bilico tra l’ossequio alle scelte ufficiali e la
contestazione di alcuni pronunciamenti, soprattutto riguardo la liturgia e
alcuni aspetti della dottrina. Fui accusato pubblicamente di aver rifiutato il
Concilio Vaticano II . Questa accusa partiva dall’assunto (sbagliato) che la
mia fosse resistenza allo Spirito Santo. In verità io ricusavo e ricuso ciò che
il Concilio Vaticano II afferma di contrario a quanto avevano stabilito in
materia di dottrina, i precedenti Concili e il Magistero ufficiale della Chiesa
nel corso di 20 secoli. Diversamente, per quanto riguarda i fondamenti della
dottrina cattolica ribaditi anche in modo assai consono e brillante in certi
atti, il Concilio lo accolgo con tutto il rispetto dovuto. Questo mio dualismo
è confortato dal fatto che il Concilio Vaticano II non è stato un Concilio “de
fide”, e che nei casi in cui si è manifestata una dottrina differente da
quella tradizionale, questa, non è possibile abbia ottenuto l’imprimatur dello
Spirito Santo. Il quale, se fu presente nel passato, non può aver avallato
nuovi e contrari pronunciamenti dottrinali. Gli esegeti postconciliari si
pronuncino: lo Spirito Santo può suggerire una cosa e poi ad altri suggerirne
un’altra contraria? Non si viola il sigillo dello Spirito Santo!
Quale sarebbe dunque l’origine della crisi? C’è chi rileva
l’influenza di un mondo corrotto che avrebbe condizionato e intaccato il
tessuto cristiano della società: la Chiesa dunque sarebbe vittima di un attacco
dall’esterno. Chi, al contrario vede l’allontanamento dalla fede genuina,
originata da cause interne alla Chiesa. Non c’è dubbio che l’attacco viene da
ambedue i fronti; se quello esterno è pienamente scontato, quello proveniente
dall’interno, giunto inaspettatamente, costringe la Chiesa a giocare in difesa
pur con i piedi legati al Concilio Vaticano II.
Il fatto di trovarsi con dei grossi problemi interni
rappresenta un freno nel confronto con il mondo, ma non tale da dover eludere
l’input conciliare che invece è divenuto ben presto il leit motiv che ha
trascinato la Chiesa molto spesso a dei compromessi talvolta discutibili.
Lo spirito con cui la Chiesa guarda il mondo non è più
quello del passato. Già Papa Giovanni XXIII nel discorso di apertura del
Concilio parlava di “Profeti di sventura” ai quali contrapporre la
visione positiva di un mondo disposto a recepire le istanze cristiane, non un
mondo pervaso dal maligno, irsuto e ostinato nel respingere il sacro. E’ a quel
mondo fantastico cui il Papa ‘buono’ e il Concilio hanno teso la mano nella
fiducia di poterlo conquistare. Ciò ha significato gettarsi nelle braccia di
chi da sempre ti è nemico e non è disposto a concederti nulla; tu invece
che hai fatto il primo passo devi dimostrarti benevolo, tollerante, comprensivo
e concedergli tutto ciò che gli si può concedere. Non puoi redarguirlo,
ammonirlo, per non irritarlo. Abbraccio mortale! Qui si parla di quel
mondo che a priori è contro Dio e che osteggia in tutti i modi la Chiesa,
per distruggerla. In questo mondo c’è un Satana, chiamato ‘Principe
del mondo’ che a volte si veste di perbenismo, ma è viscido come il serpente
dell’Eden. Non vogliamo fare del catastrofismo, ovviamente, ma data la
proverbiale ingenuità dei cristiani, qui più che mai necessita ‘discernere’.
La religione è cosa seria; non è merce da acquistare a buon
mercato. Gesù è il Redentore del mondo, e solo a Lui dobbiamo la nostra
salvezza. Egli si dona a tutti e da ciascuno esige una libera risposta; ma
viene ‘guarito’ solo chi dimostra fede, pentimento e buona volontà
nell’accogliere la Verità. Il mondo rifiuta la Chiesa perché rifiuta Cristo e
la Verità, perciò da sempre questo mondo è nemico, ma oggi la Chiesa ha
cambiato idea al riguardo e ha pensato bene che il mondo si lasci facilmente
inculturare dal Vangelo. Temo però (ma non è solo una sensazione) che sia il
mondo a inculturare i cattolici. Infatti si parla sempre più insistentemente di
scristianizzazione, soprattutto in Europa.
In tanto sforzo, la Chiesa cattolica in pochi decenni ha
perso i due terzi del suo seguito, e intere nazioni (vedi l’Olanda) ormai hanno
dato forfait. Sembrerebbe un discorso autolesivo, ma tutti (non solo quelli
attenti e interessati, ma pure le buone donne della Messa feriale) sanno che
purtroppo corrisponde alla realtà. I tipi ostinatamente ottimisti non si
scandalizzano, loro continuano a pensare che tutto è bello, e va bene, perché
non si va avanti senza un po’ di ottimismo; ma il nostro ottimismo tutt’al più
non viene da ciò che vediamo, ma dalle promesse di Cristo, il quale ci ha
assicurato la Sua definitiva vittoria sul maligno. Questa promessa ci sorregge,
unitamente a quella della Madonna che a Fatima ci ha assicurato che alla fine
il suo Cuore Immacolato trionferà.
Questa è la situazione: lanciati verso un mondo
recalcitrante che rifiuta il Vangelo di Cristo, e nel contempo mano libera ai
demolitori interni. Così la barca di Pietro è flagellata dalle onde mentre i
marinai si danno da fare per imbarcare più acqua possibile.
Frattanto Gesù, sulla barca, dorme, mentre noi siamo colti
dal panico nella paura di perire investiti dalla tempesta. Abbiamo paura perché
siamo carenti di fede; infatti Gesù ci dirà: “Perché temete, uomini
di poca fede?” Si, se qualcuno è ottimista non esiti a ricordarci che in
ogni chiesa c’è un tabernacolo, magari in un angolo semibuio, rischiarato da un
piccolo lume rosso, e che là c’è la salvezza, là c’è la forza che nessuno al
mondo potrà sconfiggere.
Gesù dorme e noi siamo in crisi. Con la scusa di andare
incontro al mondo (non di portare il mondo a Cristo) ci siamo anche noi qua e
là mondanizzati, e questa melma paludosa ci ha investiti e resi quasi
irriconoscibili.
La crisi è questa paura di affogare, è questa penuria di fede
che ci fa accreditare più al mondo che a Cristo. Molti voltano le spalle a Gesù
ed Egli si rivolge agli Apostoli: “Volete andarvene anche voi?”.
Questa è la crisi, questo è il dramma. Tanti, troppi voltano le spalle a Gesù,
e tra questi, tanti che Gli avevano giurato fedeltà e servizio: si sono tirati
in disparte, magari furtivamente, con imbarazzo, portandosi appresso dubbi e
turbamenti. La crisi è la rivolta, la disobbedienza, ma è anche la debolezza,
la rinuncia alla paternità, alla guida; è vigliaccheria.
Perché se è Dio che ha tutto in mano, sono gli uomini nella
loro tremenda libertà che facendosi docilmente guidare dallo Spirito Santo devono
condurre la barca – la Chiesa – in acque più tranquille. Devono, come si usa e
si abusa dire, interpretare i ‘segni dei tempi’, segni che dovrebbero servire a
scuotere le coscienze dei credenti e indurli a comprendere la gravità del
momento, a vivere più uniti a Dio, a serrare le fila pronti a tutto per la
difesa dei principi cristiani. Segni male interpretati che alcuni avvertono ad
ogni stormir di fronda purché servano ai loro riprovevoli scopi che raggiungono
ineluttabilmente, riparati sotto l’ombrello del Concilio.
Per costoro il segno dei tempi è una comoda
autocertificazione del loro pensiero, delle loro proposte, della loro verità; è
il via libera all’osare di più, in equilibrio sulla lama del lecito e forse un
tantino più in là, per fare il botto e sentirsi dire: “Che bravo! Che coraggio!
Ha abbattuto un muro! E’ un pioniere! E’ un profeta! sicuro che sarà seguito da
altri e poi da altri ancora finché chi non lo segue sarà deriso, tacciato da
integralista, ed emarginato; perché sono le idee nuove che vincono!
A giudicare col senno di poi si capisce che la Chiesa
cattolica non aveva poi tanta necessità di idee nuove, se il suo progresso si
può oggi paragonare a quello dei gamberi. Non è ecclesialmente corretto parlare
di crisi e si preferisce tacere; solo qualche esaltato che vede strabico
ostenta discorsi trionfalistici. Ma i fatti parlano chiaro, anche se non dicono
tutto sulla profondità dell’azione di Dio nelle anime.
Sono passati pochi decenni e tutto è cambiato, perciò
bisogna ammettere che dal Concilio è uscito qualcosa che ha scatenato la
rivoluzione.
Perché di rivoluzione
si è trattato se un Cardinale di Santa Romana Chiesa (Card. Suenens) ha
detto che il Vaticano II è stato l’89 della Chiesa Cattolica, riferendosi
ovviamente al 1789 l’anno della rivoluzione francese.
Oggi il Papa stesso propone una rilettura dei pronunciamenti
del Concilio alla luce della tradizione. Ma come sarà possibile se il Concilio
ha rotto vistosamente con la tradizione? Se così non fosse, la Chiesa non
sarebbe così mal ridotta.
La barca di Pietro ha sempre navigato in un mare infestato
di squali affamati, tuttavia non ha mai temuto gli assalti del nemico,
provenissero da qualsiasi parte. Fin dai tempi antichi ha dovuto correggere
anche deviazioni dottrinali, per un’assoluta fedeltà all’insegnamento di Cristo
e degli Apostoli, e lo ha sempre fatto con chiarezza e determinazione emettendo
sentenze e comminando sanzioni severe. Qualora insorgevano gravi problemi di
fede a cui non si riusciva dare una composizione a livello interlocutorio,
veniva convocato un concilio. Così è avvenuto per il Concilio di Nicea (anno
325) con la condanna dell’arianesimo, e via via fino ad uno più vicino a noi,
quello di Trento con la condanna di Lutero e delle sue eresie.
Tutti i 20 concili
sono stati convocati o per correggere deviazioni eretiche o per ricomporre lo
scisma orientale, o per definire dogmi di fede. E ogni concilio ha prodotto
un’esplosione di fede e di opere nella cristianità.
Solo l’ultimo ha
causato dispersione e recessione. Forse se ci fosse stato un grave pericolo
di eresie o di scismi, gli occhi sarebbero stati puntati su quel pericolo da
fugare e non avrebbero avuto il tempo di pensare a temi alternativi come quello
che si riduce a escogitare ad ogni costo qualcosa di nuovo.
E’ ovvio che la convocazione di un concilio che riunisce i
vescovi di tutto il mondo, è un avvenimento di straordinaria importanza per la
Chiesa e non solo per essa. Ha come scopo di togliere gli ostacoli di mezzo al
sentiero e di porvi uno steccato ai lati in modo che il fedele cristiano abbia
facilitata la via per raggiungere la salvezza eterna.
Non è risaputo invece, che
il Concilio Vaticano II per certi aspetti è stato un concilio anomalo. Non
c’era nessuna eresia a scompaginare la Chiesa, non vi erano gravi lacune o
difficili contese da ricucire. In sostanza non vi era nulla che facesse
presagire l’apertura di un Concilio ecumenico, e ancor oggi ci si chiede se vi
fossero delle vere ragioni a giustificare una tale imponente assemblea. L’unico
pericolo, eventualmente, sarebbe provenuto dal movimento modernista che da
molto tempo aveva dovuto curvare la schiena e lavorare nell’incognito.
L’occasione del Concilio era ghiotta per uscire dall’ombra, salire sul palco e
condizionare la grande assise ecclesiale.
Il Papa trasmetteva
ottimismo, e tutti erano convinti che sarebbe stata una marcia trionfale.
Il Card. Traglia, vicario di Roma, il 9 ottobre 1962 disse: “Mai
la Chiesa Cattolica è stata così unita, stretta intorno al suo Capo, mai
ha avuto un clero così esemplare, moralmente e intellettualmente, come
adesso, né corre alcun rischio di rottura del suo organismo. Non
è già a una crisi della Chiesa che il Concilio dovrà ovviare”.
“Se si scandaglia la storia della Chiesa negli ultimi
decenni vi si scoprono tali elementi di una vitalità eccezionale da star sicuri
in un sano ottimismo anche per l’avvenire. Eroismo di martiri, un clero sempre
più all’altezza della sua missione, un sorprendente fiorire di vita religiosa,
un estendersi in profondità e superficie del Regno di Dio, un laicato sempre
più consapevole delle sue responsabilità: questi ed altri fattori sono alla
base dell’ottimismo cristiano. Ma l’ambiente mondiale in cui opera la Chiesa
appare in profonde e rapide trasformazioni”.
Questo scrive don Angelo Gambasin nel numero speciale
dedicato al Concilio, della rivista “L’Assistente ecclesiastico” edito
dall’Azione Cattolica datato aprile 1962.
Il quadro ottimistico di una Chiesa in piena forza, secondo
don Gambasin, è premessa di certezza del successo del Concilio che stava per
aver inizio. In altre parole: l’esercito è già efficiente, diamogli una spinta
e la raccolta sarà ancor maggiore. Tutto va bene, ma deve andare ancora meglio.
Purtroppo don Gambasin ha sbagliato i calcoli e immagino come sarà rimasto male
nel vedere come si è svolto il postconcilio.
Dunque non vi erano errori da ricomporre e se vi fossero
stati si sarebbero potuti risolvere con interventi d’autorità (tipo
encicliche). La Chiesa era sana, benché secondo alcuni, già dalla scomparsa di
Pio XII iniziavano sospetti e pericolose infiltrazioni neo-moderniste (cfr.
Roberto De Mattei: “Il Concilio Vaticano II, una storia mai scritta”,
cap.II,6).
Perché dunque un Concilio se non c’erano da trattare gravi
questioni dottrinali e teologiche? Il mondo, che si temeva corresse troppo, e
la Chiesa rimanesse indietro (quasi fosse una gara a chi arriva prima). Si
trattava pertanto di rinforzare l’apparato pastorale e missionario per renderlo
più idoneo a gettare il seme del Vangelo in una società che stava sempre più
accelerando.
Concilio pastorale dunque, non dogmatico. Nel decreto
conciliare “Presbyterorum ordinis” al n°12 si legge: “Perciò questo
sacrosanto sinodo, per il raggiungimento dei suoi fini pastorali di
rinnovamento interno della Chiesa, di diffusione del Vangelo in tutto il
mondo e di dialogo con il mondo moderno…”. Lo stesso Giovanni XXIII
nel discorso di apertura, così definì lo scopo del Concilio: “Magistero
a carattere prevalentemente pastorale”.
L’attuale Papa Benedetto XVI così si
esprime: “Il Concilio Vaticano II si è imposto di non definire nessun
dogma, ma ha scelto deliberatamente di restare ad un livello modesto,
come semplice Concilio puramente pastorale” (Dal discorso
alla Conferenza Episcopale Cilena, Santiago del Cile, 13 luglio 1988, in ‘Il
Sabato’ n°31, 30 luglio-5 agosto 1988. Citato da “Si si no no” del 15
novembre 2012 p.5).
Dunque “essendo
stato dichiarato ‘Concilio pastorale’ se ne deduce che non è da ritenersi
‘infallibile’ se non in ciò che esso espone come già definito in precedenza
dalla Chiesa come tale in altri Concili ‘De fide’ nei modi dovuti. E’
chiaro, perciò, che tutto il resto può essere discusso, o rimesso in
discussione, dai teologi, dagli storici e dai giuristi, ciascuno sul proprio
campo d’azione (…). Il Concilio Vaticano II vale solo in quello che è collegato
e può essere interpretato alla luce della tradizione e del Magistero
infallibile; mentre, al contrario, se isolato o non legato alla tradizione e
al Magistero infallibile, non può essere imposto, nè si può pretendere di
dargli un valore dogmatico. E la ragione teologica è evidente: perché solo le
definizioni dogmatiche di un Concilio ecumenico godono dell’infallibilità, per
cui diventano irreformabili, mentre i provvedimenti disciplinari e pastorali
possono essere o cancellati o modificati dal Papa”. (Mons.Luigi Villa nel
proemio a ‘Concilio Vaticano II, donde viene e dove ci porta?” di Carlo Alberto
Agnoli. Ed. Civiltà, Brescia.1987).
Queste parole molto chiare sono dunque la necessaria
premessa al nostro esame poiché le radici più profonde stanno proprio qui.
L’orientamento ufficiale della Chiesa e del Papa
nell’imminenza della celebrazione del Concilio Vaticano II, sembrava chiaro:
nessuno doveva metter mano sulla tradizione, comunque questa la si intenda, ma
semmai rinforzarla, né sulla disciplina ecclesiale; non si doveva toccare la
teologia e l’impianto liturgico tridentino, ma semmai confermarlo; non si
doveva scalfire la dottrina cattolica, ma piuttosto approfondirne le radici;
tutto ciò che riguardava la tradizione non poteva e non doveva essere violato.
Cosa doveva offrire allora la Chiesa ai cristiani e al
mondo? Il mondo, almeno quello occidentale stava scivolando verso
l’indifferentismo, (sembra però che nessuno se ne sia accorto) perciò la
strada che si doveva prendere era quella del maggior rigore, di una maggior
chiarezza in tutto, di un rinnovato impegno apostolico, per una più
efficace penetrazione nel mondo.
Invece si è scelta una strada diversa: quella della
nebulosità con cui sono stati espressi tanti concetti importanti che hanno
portato al lassismo generale; quella della avventatezza verso illusori
traguardi nei confronti dei fratelli separati e dei non cristiani, e quella
della novità ad ogni costo.
Lo stesso Paolo VI fu l’alfiere di questa nuova strada della
Chiesa conciliare; ma si dimenticava dell’avvertimento del santo Papa Pio X ai
vescovi: “Con non minore vigilanza e severità dovete esaminare e
scegliere chi deve essere ammesso al sacerdozio. Lungi, dal clero
l’amore di novità. Dio non vede di buon occhio gli animi superbi e contumaci”.
(Pascendi X,6).
Fonte: da Radio Spada del
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