LA CELEBRAZIONE
“VERSUS POPULO” È STATA UNA INVERSIONE DI MARCIA NON SOLO IN SENSO METAFORICO.
A questo atteggiamento del celebrante è da connettere sia il
prevalere dell’essenza della Messa come CENA, sia l’eclisse del Sacerdozio
ministeriale. Ciò non è nemmeno tanto adombrato poiché esiste reticenza a
chiamare altare ciò che in realtà nella maggior parte dei casi è una semplice
tavola.
D’improvviso, vanga e piccone hanno demolito gli altari, si,
quegli altari spesso monumentali che erano al centro del tempio, sui quali
troneggiava il tabernacolo entro cui si sapeva esservi il Signore Gesù; quegli
altari fatti di pietra riccamente decorati che in una piccola teca incastrata
al centro del piano, contenevano le reliquie dei martiri per i cui meriti si
invocava il perdono dei nostri peccati (Aufer
a nobis), e sulle quali si celebravano i riti cristiani come al tempo delle
catacombe (è straordinario questo legame con i primi cristiani: noi ancora come
loro!); quegli altari consacrati così solennemente dal Vescovo, per renderli
idonei a celebrarvi il sacrificio. Sono stati rimossi, trasformati o sostituiti
con una “tavola”. L’accesso all’altare
era soltanto frontale, ma ora si doveva poter girarvi attorno proprio come
nelle nostre case ci si siede tutt’intorno alla tavola per il pranzo.
“E’ bene che l’altare maggiore sia staccato dalla parete
per potervi facilmente girarvi intorno e celebrare rivolti verso il popolo.
Nell’edificio sacro sia posto in luogo tale da risultare come il centro ideale
a cui spontaneamente converga l’attenzione di tutta l’assemblea”.
(Concilio Vaticano II
– Sacrosanctum Concilium, 91).
LA RIVOLUZIONE STA
PROPRIO QUI: DALL’ALTARE DEL
SACRIFICIO, ALLA TAVOLA PER LA
CENA.
Pio XII lo aveva previsto e ci aveva allertati: “…è fuori
strada chi vuole restituire all’altare l’antica forma di mensa”.
(Mediator Dei, parte prima,V).
L’altare richiede la vittima ed il sacerdote che la offre;
per la mensa e la cena basta un presidente con la funzione di guida.
Che significa presiedere? La Messa non è un’assemblea degli
azionisti di un’azienda in cui il presidente ha il compito di guidare il
dibattito e di trarne le conclusioni. Di tutto ciò non si era mai sentito
parlare. Si diceva che il sacerdote è il celebrante che offre il sacrificio a
Dio. E solo a lui era consentito di fare questo, in virtù della consacrazione
sacerdotale. Non si era mai sentito parlare di presidente quando la Messa era
considerata Sacrificio di Cristo. Abele, Abramo, Melchisedech, ecc. quando
offrivano a Dio il loro sacrificio, non erano presidenti di niente! La parola
giusta è SACERDOTE CELEBRANTE.
Questa storia del presidente non fa che laicizzare un ruolo che spetta solo a
chi possiede il sacerdozio ministeriale. Così è sempre stato.
Ma oggi si cerca di
far credere che sono tutti i fedeli insieme, a concelebrare col presidente, in
forza del sacerdozio comune che possiedono tutti i battezzati. Così siamo al
travisamento della Messa e del sacerdozio. Ciò che fa il presidente lo può fare
chiunque. Quando la consacrazione già contiene degli elementi che talvolta ne
rendono dubbia la validità, la può fare chiunque, e non importa essere
sacerdote.
Un personaggio non sospetto di conservatorismo, Yves Congar, lo ha capito e dice: “La
nozione cattolica del sacerdote, che risale a Cristo e agli Apostoli,
viene cancellata per dare spazio alla nozione luterana di ‘Presidente
dell’assemblea’.
Il Concilio di Trento ha posto Cristo nel tabernacolo, al
centro della chiesa, sull’altare maggiore perché sia da tutti adorato, nel
posto che gli compete come Dio e come Re. L’altare doveva essere il suo trono
ornato riccamente (da qui è nato lo stile barocco).
Ora Cristo è stato detronizzato e relegato in cappelle
talvolta difficili da individuare, in posti desolati, in tabernacoli senza il
conopeo e con un lumino talvolta bianco che si può confondere con un cero
votivo. Il vecchio altare se non è stato demolito è ancora là a testimoniare una
grandezza passata; e se Gesù è ancora nel vecchio tabernacolo di quell’altare,
si capisce quanto è d’impiccio stando il fatto che con il nuovo tavolo posto
davanti ad esso, il sacerdote è costretto a voltargli le spalle.
Si è tanto parlato della sconvenienza che il sacerdote volti
le spalle alla gente (come succede nella celebrazione della Messa
tradizionale), ma oggi nessuno parla di sconvenienza che volti le spalle a
Cristo Gesù. Ma tant’è, la cena è cena, non spettacolo cinematografico; la
gente deve vedere in faccia il prete, e il prete deve veder la gente; Lo ha
detto anche Papa Paolo VI che il prete ora “Parla con e per il popolo”.
Infatti il prete parla, parla, parla…quando non s’incanta a guardare la gente…-
E Gesù è là dietro le sue spalle che tace e sopporta.
La MESSA è
composta essenzialmente dall’offertorio, dalla consacrazione e dalla comunione.
La parte che precede l’offertorio, detta dei catecumeni, consiste nelle
letture bibliche.
Ora, la nuova Messa pur mantenendo lo stesso ordito, concede
più visibilità alla parte didattica scompensando vistosamente l’equilibrio
originario ove l’attenzione era prevalentemente orientata alla consacrazione,
che è il cuore della Messa.
Questa operazione è palesemente volta a condurre la nostra
Messa sul terreno protestante. Nel mentre il peso e il numero delle letture
viene aumentato, tutte le altre parti della Messa subiscono decapitazioni,
sostituzioni o traduzioni vaghe. Inoltre, quasi tutte le preghiere sono seguite
da una “opzione” che dà la possibilità al presidente di fare una scelta a sua
discrezione. Succede però che in virtù della concessione conciliare di una
certa creatività, il presidente si crea personalmente la preghiera, quando
addirittura non la tralascia. Si assiste molto spesso a Messe ‘personali’ e
caotiche. Tutto questo favorisce l’affievolimento nei riguardi del mistero,
togliendo l’attenzione all’essenza del rito cui tutto dovrebbe convergere.
Quando le preghiere, ridotte all’osso vengono banalizzate,
vi rimane solo la lettura dei brani biblici e la conseguente omelia.
Esattamente ciò che desideravano i protestanti: cioè mettere in risalto le
letture e porre il silenziatore sul ‘sacrificio’ e sulla ‘presenza reale di
Cristo’, a cui loro non credono. Questa è la ‘CENA’ protestante. La Messa è
ancora valida grazie alla consacrazione, ma ha perso molto della Messa
cattolica che rimane quella del Concilio di Trento, quella di ieri e quella di
sempre.
Il SACRIFICIO si
compie sull’altare, compito che viene svolto esclusivamente da un sacerdote
consacrato. Nel caso della Santa Messa, siccome l’offerta e l’offerente
coincidono nella stessa Persona (Gesù Cristo), il sacerdote celebrante agisce
‘in persona Christi’ cioè si presta come ‘alter Christus’.
La CENA si
consuma su una tavola imbandita, seduti tutti intorno, tutti uguali, e il
presidente è deputato dal popolo a gestire e guidare la cerimonia. Così la
comunità parla con se stessa, festeggia se stessa, al che Cristo sembra avere
una parte secondaria. A differenza del passato dove il sacerdote e il popolo
insieme erano rivolti al tabernacolo, al Santo dei Santi.
“Essi (il popolo) non si chiudono in cerchio, non si
guardano reciprocamente, ma, come popolo di Dio in cammino, sono in partenza
verso l’oriente, verso il Cristo che avanza e ci viene incontro”; “Qui non si
tratta di qualcosa di casuale, ma dell’essenziale. Non è importante lo
sguardo rivolto al sacerdote, ma l’adorazione comune”. (Joseph Ratzinger:
‘Introduzione allo spirito della liturgia’, ed. S.Paolo-2001, cap.III,p.76-77).
La nuova teologia postconciliare tende a svuotare la Messa
del suo valore intrinseco, riducendola, come ebbe a dire Pio XII, ad una
semplice commemorazione a ricordo dell’ultima cena e della passione e morte di
Cristo. Con questa intenzionalità viene rimossa la presenza reale del Signore
nelle specie del pane e del vino.
Jean Guitton, accademico di Francia e amico di Paolo VI,
scrittore cattolico che tutti conoscono, non esitò, qualche anno fa, a dichiarare
apertamente: “L’intenzione di Paolo VI a riguardo della liturgia, a
riguardo della cosiddetta volgarizzazione della Messa, era di riformare la
liturgia cattolica così che coincidesse pressoché alla liturgia protestante,
con la cena protestante (…) La Messa di Paolo
VI si presenta anzitutto come un banchetto, non è vero? E insiste molto
sull’aspetto di partecipazione ad un banchetto e molto meno sulla nozione di
sacrificio, di sacrificio rituale, in faccia a Dio, mentre il sacerdote mostra
le spalle. Allora non credo di sbagliarmi dicendo che l’intenzione di Paolo VI
e della nuova liturgia che porta il suo nome, è di chiedere ai fedeli una più
grande partecipazione alla Messa, è di dare un posto più grande alla Scrittura
ed un posto meno grande a tutto ciò che in essa vi è, alcuni dicono, di magico
(v. nota a fine capitolo), altri di consacrazione transustanziale, e che è la
fede cattolica. In altre parole, c’è in Paolo VI un’intenzione ecumenica di
cancellare, o almeno di correggere o attenuare, ciò che vi è di troppo
cattolico, in senso tradizionale, nella Messa, e di avvicinare la Messa
cattolica, lo ripeto, alla cena calvinista” (Intervista a
Radio Courtoisie del 19 dicembre 1993).
Vorrei qui notare che secondo don Antonio Contri, della
facoltà teologica del triveneto, il ritorno alla Messa tridentina equivarrebbe
a “mettere in soffitta la Scrittura, privando i fedeli della ricchezza
dell’AnticoTestamento”, e commenta: ”non ne esce una Messa magica, più vicina
ai misteri pagani che all’assemblea del popolo di Dio. ? Non siamo più vicini
al misterico che al mistero Paolino?” (“Verona Fedele” 5 agosto
2007).
Con tutto ciò, mi pare che l’analisi di Guitton sia molto
chiara e…tragica. La Messa cattolica
sfrondata dei suoi peculiari elementi per renderla accettabile ai protestanti e
accelerare l’unità ecumenica.
“La Messa è il raduno della comunità che si ritrova per
ricordare l’ultima cena di Cristo con gli Apostoli. E’ pasto, è convivialità:
NO! La Messa è Sacrificio, come lo è sempre stato. Cambiata la prospettiva è
cambiata la messa”.
Non sono parole mie, ma di un sacerdote col cuore spezzato
dal dolore. A Bolsena dall’Ostia è uscito Sangue! A Lanciano, dopo 1300 anni
c’è ancora l’Ostia di carne vera e il Sangue vero in una teca: Carne e Sangue
che Gesù ha voluto lasciarci miracolosamente affinché noi credessimo che la
Messa è il Suo Sacrificio rinnovato.
Ma era necessario
togliere alla Messa la sua peculiarità di sacrificio propiziatorio: lo
esigeva la ragione ecumenica. Per questo hanno affiancato al ricordo della
Passione e Morte e alla cena, pure la risurrezione. Non meraviglia, poiché la
Messa viene chiamata anche “Il Mistero pasquale” in quanto viene inclusa con la
Passione e Morte, anche la Risurrezione di Gesù Cristo, ma evidenziando che la
cosa principale è celebrare il trionfo di Gesù, la Risurrezione. Perciò la
Santa Messa è una festa di giubilo. Ma la Santa Messa non è né può essere una
festa di giubilo perché è la “quotidiana rappresentazione e rinnovazione del sacrificio
del Calvario” (Pio XII: Mediator Dei) e non della risurrezione; ciò perché “I
Suoi (del Cristo) acerbi dolori costituiscono il mistero principale da cui
proviene la nostra salvezza” (ivi) mentre con la Risurrezione Gesù Nostro
Signore non ha meritato nulla né per sé né per noi. E’ con la Passione che Egli
ha meritato la Sua Resurrezione e la nostra resurrezione spirituale e
corporale, e perciò la Santa Messa, istituita per applicarci i meriti della
redenzione, non può che celebrare il sacrificio della Croce (cfr
Si si no no, del 28 febbraio 2007, p. 8).
La salvezza essendo venuta per tutti già dall’incarnazione,
la croce deve scomparire all’interno della dinamica del mistero
pasquale, che, in modo logico e conseguente alle premesse di questa teologia
corrotta, nella Messa privilegia nettamente il memoriale di lode e di
ringraziamento per la risurrezione, cioè per la salvezza già passata in
giudicato per tutti! Si capisce quindi perché nella nuova Messa è scomparso
l’Offertorio, nel quale si precisava minutamente che il sacrificio era offerto
per il perdono e l’espiazione dei nostri peccati, sostituito da una semplice
presentazione di doni che diventeranno pane di vita e bevanda di salvezza.
Deve essere quindi ben saldo il concetto essenziale della
Santa Messa, pur non trascurando gli altri aspetti, ma tutti in sott’ordine per
cui viene chiamata anche Eucaristia, Cena del Signore, Frazione del pane,
celebrazione eucaristica, Memoriale della Passione della Morte e della
Risurrezione del Signore, Santa e divina liturgia, Santi misteri, ecc. (cfr.
Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, 275).
Mons. Bugnini,
artefice della nuova Messa ha dichiarato che sarebbe “una nuova creazione”.
Non c’è dubbio: è così. Son partiti da zero demolendo tutto e ricostruendo
dalle fondamenta. In una Messa siffatta non è raro che vi siano infiltrazioni
spurie e abusivismi di ogni genere, che vanno dalla gestione da showman del
prete, ai canti ritmici moderni accompagnati dalle ormai immancabili chitarre e
ogni altro genere di strumento musicale, ai battimani, al tenersi per mano e a
infinite altre variazioni carnevalesche a seconda della creatività e della
fantasia del ‘presidente’ e dei suoi ausiliari. In molti casi la preoccupazione
sembra solo quella di fare più festa possibile, credendo in questo modo di
attirare la simpatia della gente, ma la gente se vuole divertirsi sa dove
andare, senza recarsi in chiesa..
La liturgia è fatta di segni e simboli tramite i quali è
possibile percepire il giusto significato di ciò che intende fare la Chiesa.
Ogni segno ha la sua valenza e un senso preciso. Nulla è (dovrebbe essere)
lasciato al caso o all’inventiva estemporanea, anche perché ciò che viene
trattato è materia troppo delicata per lasciarla in balìa dell’improvvisazione.
Pio XII avverte: “Non è possibile lasciare e all’arbitrio dei
privati, siano pure essi membri del clero, le cose sante venerande che
riguardano la vita religiosa della comunità cristiana, l’esercizio del
sacerdozio di Gesù Cristo e il culto divino, l’amore che si deve alla SS.
Trinità, al Verbo incarnato, alla Sua Augusta Madre e agli altri santi, e alla
salvezza degli uomini” (Mediator Dei, V).
Oggi tuttavia ogni
prete si costruisce la Messa a sua misura, cosicché il fedele è
disorientato e capisce solo che questa nuova Messa non è una cosa seria, e si
domanda: “Ma come è stata possibile una tale metamorfosi? Come si fa a pensare
che lo Spirito Santo abbia guidato la Chiesa in quella che già Paolo VI
indicava come opera di autodistruzione? Queste sono le domande che ogni
cattolico deve porsi urgentemente. Se chiedersi il perché delle cose è segno di
intelligenza e di saggezza, a maggior ragione per un cristiano quando
l’argomento tocca le verità di fede in cui crede per grazia di Dio; fede che
deve difendere da ogni attacco da qualsiasi parte provenga. Il comune fedele
tuttavia non ha i mezzi per questa difesa, anche perché gli attacchi sono
condotti in modo subdolo, strisciante. Quasi sempre per esempio, e non solo per
la Messa, ci hanno posti davanti al fatto compiuto, senza nemmeno spiegarci le
ragioni del cambiamento. La Messa è stata cambiata con successivi colpi di
scena, e spesso i fedeli non avevano il tempo di metabolizzare una riforma che
già incalzava quella successiva.
La rivoluzione
liturgica, è stata uno stordimento generale, e, benché si avverta qualche
debole segnale di frenata, non si vede ancora la via d’uscita, e per una
semplice ragione: la nuova Messa è stata concepita con un intento ecumenico,
quello cioè di avvicinare i tempi della riunificazione con i protestanti, ma
poiché questa è ancora lontana, qualcuno pensa di abbattere ciò che vi è
rimasto d’inciampo. Ad esempio, in qualche ambiente cattolico serpeggia la
teoria che Cristo sarebbe presente solo durante la celebrazione della Messa,
sempre che a questa presieda pure il popolo, ma non lo sarebbe, posto nel
tabernacolo nelle Specie conservate per l’adorazione. Tra noi e i protestanti
c’è un diaframma: quello della fede nella presenza reale di Cristo
nell’Eucaristia.
La sacra Ostia ormai è circondata, assalita e profanata in
ogni maniera. Ormai tutti i segni di attenzione e riverenza le sono stati
rimossi. E’ l’eclissi della fede! Se prendiamo sotto gamba l’Eucaristia
significa che non c’è più fede. Di questo fanno testo le statistiche che vedono
un tracollo di presenze alla Messa festiva, ma pure l’ignoranza sui più
elementari principi della nostra religione anche fra molti frequentatori della
Chiesa. Purtroppo ancora, sono state introdotte, e ormai consolidate, abitudini
che scivolano verso l’indifferenza nei riguardi del grande mistero e, se
continua così ci troveremo fatalmente e senza avvedersene alle porte del
protestantesimo.
Per accelerare il trapasso, hanno imposto, cosa inaudita, ai
sacerdoti e ai vescovi di presentare le dimissioni dai loro incarichi, al
compimento dei 75 anni. Ciò si configura come un controvalore dal punto di
vista cristiano, e un adeguamento al mondo, quasi che il ministero del
sacerdote fosse da equiparare ad una professione qualsiasi. Ciò avviene oggi,
in piena crisi di vocazioni. In questo modo però si sono sbarazzati della
vecchia generazione che poteva infastidire e opporre resistenza. Oggi, ormai,
sono pochi i preti che hanno dimestichezza con il rito antico, e ai giovani non
è data la possibilità di conoscerlo; su di esso è calato il silenzio, e sarebbe
già tutto dimenticato se non fosse per l’accortezza, la preveggenza e il
coraggio del vescovo francese Mons. Marcel Lefebvre e pochi altri a lui uniti,
i quali hanno opposto resistenza con il preciso intento di salvare il
sacerdozio e la Messa tradizionale cattolica.
Ma perché quella
Messa sarebbe da salvare? Perché quella è la sola Messa veramente e totalmente
cattolica, e fa parte della tradizione che, con la Bibbia attiene alla
Rivelazione.
Non è un segreto che nella Commissione voluta da Paolo VI
per rivedere tutto il rito della Messa e adeguarlo alle esigenze attuali, come
era stato auspicato dal Concilio Vaticano II, facessero parte ben sei teologi protestanti. Non avevano funzioni
decisionali, ma è facile capire che furono invitati intenzionalmente con lo
scopo di dare alla Messa che si accingevano a riscrivere, un taglio che
favorisse l’avvicinamento delle confessioni cristiane non cattoliche: in altre
parole, un contenuto meno cattolico. Poteva essere diversamente? Tutto trae
origine non dalla bizzarria di un qualche monsignore, no, bensì da un piano
preciso messo in atto con lucidità. In ordine, ancora prima della Messa, c’è la
nuova visione dell’ecumenismo in funzione del quale è stata modellata. In
questo senso la Messa tradizionale cattolica ostacolava le nuove aperture
ecumeniche che ormai il Concilio aveva spinto al largo. Non lo sappiamo, ma è
evidente, che i desideri dei sei protestanti sono stati bene accolti.
Provate a dire che la Messa di Paolo VI è una Messa
protestantizzante; minimo vi prendete del matto. Invece son proprio loro, i
protestanti a dire che quella potrebbe essere la loro Messa: “D’ora in poi
delle comunità non cattoliche potranno celebrare la Santa Cena con le
stesse preghiere del ‘Novus ordo Missae’ della Chiesa Cattolica”
(Courrier de Rome – n°49, Paris, 1969 – Riportato da ‘Chiesa viva’ n°254 p.9).
Ha dell’incredibile
che la Messa cattolica sia stata sottoposta all’assenso di un gruppo di
eretici! Pertanto, se la Messa di San Pio V è stata promulgata in modo
speciale per creare una barriera contro le eresie di Lutero e dei suoi
accoliti, la nuova Messa di Paolo VI abbatte queste barriere favorendo il più
possibile la teologia luterana, o comunque protestante.
Nel suo intervento del 22. ottobre 1962, durante la prima
sessione del Vaticano II, il cardinale Ottaviani protestò vivacemente contro le
modifiche radicali che si volevano introdurre nella Santa Messa: “Cerchiamo
noi, forse, di suscitare la sorpresa o piuttosto lo scandalo del popolo
cristiano, introducendo modifiche in un rito venerabile, approvato durante
tanti secoli e che è divenuto famigliare? Non conviene di trattare il rito
della Messa quasi si trattasse di un pezzo di stoffa che si taglia per
adattarlo alla moda, secondo la fantasia di ogni generazione”. (da ‘Chiesa
viva n°90 p.8).
Mi sento correre un brivido nelle ossa quando leggo quella
frase del suddetto card. Ottaviani, titolare del Dicastero del Sant’Uffizio,
che introduce il ‘Breve esame
critico’ sulla nuova Messa, la quale rappresenterebbe nel suo insieme, come
nei particolari “Un impressionante allontanamento dalla teologia
cattolica”. Questa espressione è di una gravità estrema, perché
afferma la nuova Messa contenere elementi spuri o dissimulare verità sostanziali.
Come può essere?
Nel capitolo I (del Breve esame critico) c’è una
affermazione che non può passare inosservata, ove è ripreso il giudizio sulla
nuova Messa scritto su un periodico ‘destinato ai vescovi’, nel quale si dice
che “Si vuol fare tabula rasa di tutta la teologia della Messa. In sostanza
ci si avvicina alla teologia protestante che ha distrutto la teologia
della Messa”.
Il card. Ottaviani dunque non è il solo a porre delle
riserve, ma molti altri, compreso il Sinodo episcopale dell’ottobre 1967 (Nuova
Messa ancora in fase sperimentale) che vide 109 vescovi su 187 opporsi o
astenersi dal giudizio.
Nonostante queste resistenze il 26 novembre 1969 Paolo VI
diede validità ufficiale al Novus Ordo Missae, rimuovendo, com’egli
disse, quell’opaco diaframma che la Messa tradizionale “aveva disteso
tra l’uomo e Dio” per poi esclamare: “Finalmente ci si prende
gusto; finalmente il sacerdote parla ai fedeli e si vede che agisce con
loro e per loro”.
Il card. Ottaviani non è stato ascoltato ma il suo documento
resta a denunciare una svolta che ha dell’incredibile e testimonia la
subalternità dell’episcopato a quel manipolo di vescovi e teologi progressisti
tedeschi, belgi, francesi svizzeri e olandesi che hanno imposto le loro scelte
al Concilio e dopo il Concilio.
Intanto proliferano gli abusi, la liturgia è nel caos.
Qualche alto prelato si accorge della malaparata e arriva l’indulto (3 ottobre
1984) cioè la possibilità di celebrare l’antico rito previo consenso del
vescovo titolare della diocesi, a sua insindacabile discrezione. A consolazione
di quei pochi rimasti fedeli alla Messa Tridentina che praticamente era stata
vietata ma contestualmente non decaduta. Nonostante questa concessione, la
quasi totalità dei vescovi hanno reiteratamente negato a chi lo richiedeva, il
permesso, eludendo persino gli appelli del Papa ad essere magnanimi verso chi
era rimasto legato alla tradizione.
Col passare degli anni risulta sempre più evidente il
deteriorarsi della liturgia. Interviene il Papa che parlando ai vescovi
elvetici il 9 luglio 1982 deplora “Gli arbitrari esperimenti liturgici a cui
i fedeli sono talora costretti ad assistere” (Jota Unum p. 602).
Se la esteriorità liturgica (musica, canto, paramenti,
gesti, ecc.) è scesa a livelli di incuria finora mai registrati (Il
Papa stesso assistette a cerimonie trasgressive, indecenti e oltraggiose) ciò
che più preoccupa è la sostanza che struttura il rito.
a) - Il Motu Proprio
“Summorum Pontificum” Papa Benedetto XVI, con il Motu Proprio “Summorum Pontificum” in data 7 luglio
2007, concede la libertà a tutti i sacerdoti di celebrare la Santa Messa usando
il messale romano di Pio V (edizione aggiornata del 1962) utilizzato sino al
1970 anno in cui venne sostituito da quello di Paolo VI oggi in uso in tutta la
Chiesa. Il significato di tale atto è esplicitato in una lettera
accompagnatoria indirizzata ai vescovi.
Non credo di sbagliarmi se giudico questa presa di posizione
del Papa come un colpo di freno nella corsa ormai quasi cinquantennale della
liturgia verso lo sfascio. Una frenata brusca che gli allegri preti cresciuti
nella nuova era postconciliare, assistiti da un esercito di liturgisti
specializzati, sempre in cerca di novità da sperimentare, da proporre e
imporre, hanno accolto con stupore e forse con stizza e contrarietà. Mentre il
clero più sobrio e riflessivo si è rallegrato constatando che finalmente
qualcosa si muove per salvare ciò che di più sacro la Chiesa ha posseduto fin
dai primi tempi e che dal generale naufragio postconciliare era miracolosamente
scampato.
L’uscita del documento ha scatenato una valanga di
apprezzamenti pro e contro, ma più contro che pro, perché, diciamo la verità,
la Messa Tridentina dalla stragrande maggioranza del clero era considerata
morta e sepolta e più nessuno pensava che potesse venire riesumata, tolti quei
pochi esemplari di fauna paleolitica che viveva forzatamente nelle riserve
confinatavi da vescovi che ostinatamente si rifiutavano di concedere ciò di cui
questi meschini avevano diritto. Ma è venuta finalmente l’ora della verità.
Nessuno si illude, però, vista la fredda accoglienza, che
sia facile l’attuazione della nuova norma. Se in pochi decenni erano riusciti a
far dimenticare la S. Messa cattolica, ce ne vorranno almeno altrettanti per
farla riemergere.
Mi astengo dai commenti del testo: l’hanno già fatto in
troppi, dagli angoli più disparati e pure da persone lontane dalla Chiesa e non
in grado di capire ciò che oggi propone. Vorrei solo accennare a due aspetti
fondanti: uno viene dal Papa che nella lettera ai vescovi di cui sopra afferma
che “Non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione
del ‘Missale Romanum’. Nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma
nessuna rottura”. Così è sempre stato, ma non è detto che lo sia anche
in questo caso; bisogna dimostrare che nella liturgia, dal Concilio in poi c’è
stata crescita vera. O fa comodo dirlo, per giustificare una situazione di
fatto? Nella Messa Tridentina nessuno ha trovato alcunché che non fosse in
perfetta conformità alla dottrina cattolica. Per le ragioni già dette, hanno
imposto un nuovo indirizzo portando la Chiesa veramente fuori dal solco della
dottrina tradizionale. Del resto, il vero senso di un ripristino non può essere
altro che, anche se mascherata, una ammissione di aver ritrovato la strada
giusta.
Se certuni vedono il Papa come colui che ha riportato
indietro l’orologio del Concilio, per il cardinale Castrillon Hoyos,
Prefetto della Congregazione per il clero e presidente della commissione
Ecclesia Dei, “Non si tratta di un passo all’indietro, ma di una offerta
generosa del Vicario di Cristo”.
Non lo si vuole ammettere, ma è stato veramente un
provvidenziale passo indietro, un piccolo passo doveroso! Ma non è nemmeno una “concessione
generosa del Papa”; è invece il riconoscimento di un diritto sacrosanto dei
fedeli cattolici, perché è stato un tragico abuso aver accantonato la Messa
tradizionale. Questo spero sia pure il pensiero del Papa.
Se infatti la Messa conciliare fosse un “progresso” non vi
sarebbe motivo di affiancarle la vecchia Messa, posto che questa fosse rimasta
un passo indietro. La realtà è diversa, e lo scadimento dal punto di vista
teologico, pastorale e liturgico della nuova Messa è fin troppo evidente.
L’altro aspetto, viene da chi teme che “Il ritorno alla Messa
in latino si potrebbe configurare come un ‘cavallo di Troia’ per
proclamare il rifiuto del Vaticano II e dei Papi successivi a Pio XII”.
(Mons. A. Contri in ‘Verona Fedele”, 5 agosto 2007).
In questa insinuazione si avverte un processo alle intenzioni
del Papa, ma comunque non si può escludere a priori che qualcosa di vero ci
sia. Ma io mi chiedo: cosa c’è dietro questo timore? Il ritorno nel solco della
tradizione? Significherebbe che il Concilio ha rappresentato un cambiamento di
rotta e si è allontanato dalla tradizione, in barba a ciò che era il desiderio
dell’ideatore del Concilio, e ciò che non vuol sentir dire Benedetto XVI che
parla sempre di continuità nell’insegnamento della Chiesa.
La questione che si pone ora e che viene portata in evidenza
dal Papa nella lettera ai vescovi che accompagna il Motu Proprio, è quella di
un unico rito che si esprimerebbe in due modi. In sostanza l’antico e il nuovo
rito della Messa avrebbero uguale dignità e uguale valore, sarebbe l’unico rito
della Chiesa Cattolica Romana, in virtù del fatto che nella Chiesa non c’è
soluzione di continuità, ma crescita nella tradizione.
Ora, il Papa fa questa enunciazione in modo solenne, per cui
sembra che nell’uno e nell’altro modo di celebrare la Messa, tutto coincida perfettamente.
Se così fosse, nulla vi sarebbe da eccepire e sarebbe del tutto logico lasciare
ai preti e ai fedeli la massima libertà di scelta creando pari opportunità.
Del resto, che motivo c’era di dichiarare che il rito
ufficiale rimane quello postconciliare, mentre l’antico sarebbe
extra-ordinario? Se hanno lo stesso valore e la stessa dignità perché non
parificarli anche nella pratica attuazione? Perché sottoporsi al vaglio dei
parroci riluttanti con il rischio concreto di sentirsi respinta ogni lecita
richiesta? Infatti sembra che addirittura l’80% dei vescovi si siano dichiarati
contrari al Motu Proprio perché convinti che l’unica Messa consentita dovrebbe
essere quella conciliare mentre sarebbe decaduta la validità dell’antico rito;
per loro c’è una sola Messa: quella del Messale di Paolo VI. Se così tanti
vescovi si ribellano al Papa, figuriamoci quanti preti saranno inorriditi da
tanta sconsideratezza di Benedetto XVI, convinti come non mai che le due Messe
siano fra loro inconciliabili, così come scrive un missionario:
“ I modi di celebrare previsti dai due messali
(quello di Paolo VI e quello di Pio V) sono assai diversi. Si
potrebbero confrontare parola per parola, gesto per gesto. Tra l’uno e
l’altro c’è stato un Concilio Ecumenico che è approdato ad una riforma
liturgica soppesata e sofferta, dopo molte riflessioni e dibattiti.
Parificare l’uso dei due messali corrisponde a dichiarare, nonostante le
affermazioni contrarie, praticamente le riforme del Vaticano II “un
optional”. (Paolo Bagattini, sulla rivista dei Padri Stimmatini di
Verona “Il Missionario” – in un editoriale).
“Come ha annotato nel suo diario il card.
Antonelli, un membro molto importante del CONSILIUM che intraprese la revisione
della liturgia dopo il Concilio, alcuni cambiamenti liturgici sono stati
introdotti senza tanta riflessione, a casaccio, e fatti diventare
successivamente una pratica accettata. Per esempio, la Comunione sulla mano non
è stata studiata prima correttamente e non si è riflettuto prima che la Santa
Sede l’accettasse. Essa è stata introdotta a casaccio in alcuni paesi del nord
Europa e solo più tardi è diventata una pratica accettata, poi diffusasi in
molti altri posti. Si tratta di una cosa che avrebbe dovuto essere evitata. Il
Concilio Vaticano II non ha mai sostenuto un simile metodo per la riforma
liturgica.”. Parole di mons. Ranjit (Segretario della Congregazione per il
culto divino e la disciplina dei Sacramenti) in una intervista rilasciata ad
Antony Valle, vaticanista del periodico ‘INSIDE THE VATICAN’.
Riflettiamo:
1) Lo Stimmatino
di cui sopra, afferma che la riforma liturgica postconciliare è stata soppesata
e sofferta dopo molte riflessioni e dibattiti? Il monsignore della
Congregazione per il culto divino dice invece che si è agito con leggerezza,
senza riflessione, a casaccio. Dove sta dunque la verità? Non è sfuggito a
nessuno che i riformisti hanno avuto una gran fretta di “riformare”!
2) Sembra che tra
un messale e l’altro vi sia un abisso (il Concilio). La Messa dunque non è più
quella di prima, ci tengono a dire i progressisti. Ed è vero, nonostante gli
sforzi del Papa per dimostrare il contrario.
3) Se è veramente
così, i riformisti postconciliari non sono stati alle direttive del Concilio,
che non chiedeva di rompere con la tradizione ma di appoggiare le riforme su di
essa.
4) La riforma
della Messa scaturita dal Vaticano II è un optional? Ebbene, si; è così!
“Non si comprende perché il messale di Pio
V, che avrebbe sfigurato una non meglio specificata, nel tempo e nella
struttura, visione della celebrazione eucaristica, sia stato rappresentativo
fino al 1970 – data precisa – mentre non possa più essere rappresentativo della
Chiesa odierna, anzi sia da essa ed in essa inaccettabile. Se vale ancora, e
per noi vale, il principio lex orandi – lex credendi, dovremmo trarne
che nel 1970 la Chiesa è cambiata, non è più quella di prima. Anche la Santa
Messa, allora, sarebbe cambiata nella sua essenza. Dovremmo, quindi,
ammettere che nel 1970 c’è stata una frattura: la nascita di quella Chiesa
conciliare di cui il Cardinal Benelli scriveva a mons. Lefebvre, non in
continuazione ma in opposizione alla Chiesa di sempre”. ( Dante Pastorelli, su
“Una voce” gennaio-aprile.2007).
Dunque: c’è stata una rottura con la
tradizione? Per il passato non si era mai verificato, ma con il Concilio
Vaticano II sembra che ciò sia avvenuto; lo sostengono per ragioni diverse sia
i conciliaristi sia i tradizionalisti, gli uni perché non ne vogliono sapere di
tradizione e vedono il futuro della Chiesa solo nel nuovo e nel moderno, gli
altri perché vedono che effettivamente per molti versi, specie nella liturgia,
la Chiesa è già cambiata, la frattura esiste ed è agevolmente constatabile.
Il summenzionato Dante Pastorelli nel suo
ragionare non molla: “Qualcuno crede che col Vaticano II sia nata una nuova
Chiesa, noi no: sfrondati di molte parole che li rendono in qualche punto
ambigui, i documenti del Vaticano II possono e devono essere interpretati alla
luce della tradizione per collocarsi nel solco della verità bimillenaria.
Insomma (…) noi crediamo e professiamo che la Chiesa Cattolica continua ad
essere quella fondata da Cristo e che la s.Messa continua ad essere il Sacrificio
di Gesù, Sacrificio di lode, soddisfazione, propiziazione, che in modo
incruento, sacramentale, si rinnova, si ripresenta, si ripete sull’altare”.
La gran parte dei cattolici, oggi, posto che
abbiano sentito parlare della cosiddetta ‘Messa in latino’ nemmeno ha l’idea di
cosa si tratta e molti penseranno che si tratti di un vecchio rottame da non
prendere in considerazione; saranno rimasti sorpresi di fronte all’iniziativa
del Papa che ha voluto il Motu Proprio riportando a galla l’antica Messa. Molti,
soprattutto preti, vedono questa Messa come un corpo estraneo, e il documento
papale un provvedimento inopportuno che viene a gravare sul già troppo lavoro
dei parroci, ai quali è affidato il compito di accordare il consenso di
celebrare in ottemperanza a quanto stabilito dal Motu Proprio. Io so, quanto
molti parroci siano repulsivi verso le richieste di gruppi e movimenti;
diranno: ‘Ora ci si mette anche il Papa con questa novità che ci fa temere
altre pretese, perciò altri fastidi e altre divisioni’. Molti preti che hanno
sempre ostacolato questa Messa, vedranno il Motu Proprio come una imposizione e
se acconsentiranno lo faranno per obbedienza, non per convinzione, perciò senza
entusiasmo e in loro stessi aumenterà la ripugnanza a celebrare ‘in latino’ la
Messa Tridentina; e mentre si commuovono fino alle lacrime nell’assistere alle
fastose e interminabili liturgie degli ortodossi, rimangono freddi e
impassibili di fronte alla liturgia cattolica.
Ora sono stati ripristinati i diritti della
Messa Cattolica, tuttavia non sono cancellate le ombre sulla Messa conciliare.
Perciò è da augurarsi che la prima riacquisti il suo posto di preminenza
assoluta nella liturgia, come lo è sempre stato.
Comunque diamo atto al Papa di aver affrontato
con coraggio la questione, ma obiettivamente siamo ancora lontani dalla
possibilità di attuazione concreta e libera; altri nodi vanno risolti: dal
ritorno alla teologia classica e allo studio del latino obbligatorio per tutti,
nei seminari, e quindi alla preparazione dei presbiteri a celebrare anche con
il messale di s.Pio V, alla concessione non condizionata e alla sottomissione
dei vescovi al Papa, ecc.
Mons. Contri, già citato, sostiene che le
preghiere eucaristiche del canone del nuovo messale, dicono “di più – e non
qualcosa di diverso – del canone romano”; e chiede ai conservatori: “Quali
elementi non accettabili trovate nelle modifiche apportate dal collegio
dei vescovi col Papa nella Lex orandi? (Verona Fedele 5.agosto. 2007).
A tal proposito propongo di seguito uno specchio da cui il
monsignore potrà facilmente desumere quanto la Messa postconciliare di Paolo VI
sia lontana dalla Messa tradizionale di s.Pio V. Unito a queste testimonianze,
in appendice, propongo il famoso “Breve esame critico”, dei cardinali
Ottaviani e Bacci. “Il nuovo rito secondo il meditato giudizio
del dotto studioso (Michael Davies), non è uno sviluppo
dell’antico nel senso descritto dal cardinale Newman, ma un tentativo per
adattare la Messa Cattolica secondo un concertato programma che si propone di
formulare una liturgia ecumenica che sia accettabile ai cattolici e ai
protestanti”.
A questo scopo sono state offerte molte
opzioni; il vernacolo ha soppiantato il bimillenario latino; la mensa ha sostituito
l’altare (si ricorda che Ridley vescovo di Rochester e i riformatori inglesi
infierirono contro gli altari, distruggendoli, per cancellare ogni traccia di
sacrificio); l’accento è stato posto sulla commemorazione dell’ultima cena
anzichè sulla rinnovazione incruenta del sacrificio della croce; e molte altre
preghiere che nel rito tradizionale mettevano in rilievo il carattere
sacrificale della Messa e la presenza reale, sono state soppresse. Se non vi
fosse stato lo scopo di adattare, in qualche modo, il rito della S.Messa nel
senso d’un equivoco ecumenismo, perché hanno invitato sei liturgisti
protestanti a partecipare come osservatori nel ‘Consilium ad exsequendam
constitutionem de sacra liturgia’?
Michael Davies non contesta la validità del
Novus Ordo Missae, ma dimostra, in maniera inconfutabile, che è ambiguo,
soprattutto perché la natura sacrificale della Messa e la dottrina della
presenza reale sono state così attenuate e ridotte al minimo da riuscire
accettabile ad alcuni protestanti, ed è usato di fatto, da certi vescovi e
ministri anglicani, senza che si ritengano obbligati a ripudiare le loro
eretiche persuasioni religiose.
Infatti, “mentre i protestanti di tutte le
sette e sfumature respingono il rito tradizionale o tridentino, perché
chiaramente esprime e afferma i dogmi dell’incruenta rinnovazione del
Sacrificio del Calvario e della Presenza reale di Cristo nell’Eucaristia, non
pochi pastori e teologi protestanti accolgono e usano il Novus Ordo Missae,
perché queste dottrine fondamentali, attraverso le molte opzioni e l’omissione
di alcune preghiere, sono state minimizzate”. (Da uno scritto di don
Giuseppe Mizzi, su ‘Chiesa viva’ n°123 del 1982).
Max Thurian, della
Comunità calvinista di Taizè, ha dichiarato che egli poteva, ora, celebrare la
nuova Messa cattolica, mentre, prima, gli era impossibile di celebrarla.
(da : “ la nuova Chiesa di Paolo VI” p.292 di Luigi Villa).
“La riforma liturgica ha fatto un passo notevole
in avanti: essa s’è avvicinata alle forme liturgiche della Chiesa Luterana”.
(L’Osservatore Romano del 13 ottobre 1969. L. Villa: c.s. pag.293).
Il Papa dice, nella lettera che accompagna il Motu Proprio,
che “non c’è nessuna contraddizione tra l’una e l’altra edizione del Messale
Romano: nella storia della liturgia c’è crescita e progresso, ma nessuna
rottura”. Allora :
1)
Se nel nuovo Ordo Missae c’è crescita e progresso rispetto a quello antico,
perché promuovere quest’ultimo alla stessa dignità di quello nuovo? Il buon
senso direbbe che se il vecchio è superato, si usa il nuovo e si lascia il
vecchio proibendone l’uso. Parificarlo è un’operazione contraddittoria.
2)
Se è vero, come è vero, che il Novus Ordo ha protestantizzato la Messa
Cattolica, l’unica cosa da fare era quella di ritornare sui propri passi, cioè
non parificare i due riti, ma ritornare all’unico rito interamente e
perfettamente cattolico, cioè quello di San Pio V.
3)
Non c’è ragione che da un Concilio orientato all’unità dei Cristiani siano
scaturiti due riti che hanno suscitato divisione nella Chiesa.
Fonte: da Radio Spada
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