Gli iconoclasti riconoscevano la completa e piena figura
religiosa del simbolo, ma non quella dell’immagine, in quanto si rifiutavano di
identificare nell’immagine stessa la rappresentazione e, nello stesso tempo, il
rappresentato, ovvero identificavano come illecita la rappresentazione di Dio
sotto forma visibile.
Nel 726 dopo Cristo, su pressione dei vescovi iconoclasti
dell'Asia Minore e in seguito a un terremoto, interpretato come punizione
divina, l’Imperatore d’Oriente Leone III
Isaurico iniziò a battersi contro le immagini religiose.
Con l'editto del 730 Leone ordinò la distruzione di tutte le
icone religiose. Contemporaneamente convocò un'assemblea a cui impose la
promulgazione dell'editto.
Di fronte all'insubordinazione del patriarca Germano, contrario
all'iconoclastia, Leone III lo destituì
e pose al suo posto un patriarca a lui fedele, tal Anastasio.
Il decreto venne respinto dalla Chiesa di Roma e il nuovo
Papa Gregorio III nel novembre 731 riunì un sinodo apposito per condannarne il
comportamento. Il Concilio stabilì la scomunica per chi avesse osato
distruggere le icone.
Per quanto riguarda
invece l'iconoclastia islamica, essa fu originariamente indirizzata a
combattere l’idolatria piuttosto che la fabbricazione o il possesso di statue o
dipinti, ma poi fu resa più rigida nei due secoli dopo la morte di Maometto.
Un punto fermo della religione islamica è la non
rappresentabilità di Dio: l’uomo, infatti, conosce novantanove nomi di Dio (il
sapiente, il misericordioso…) ma arrivato al centesimo lo chiama Allah, il dio,
il che ribadisce un’ineffabilità che significa un’assoluta irrappresentabilità
iconica.
E’ Dio che detiene il potere di creare, di forgiare e tale
potere è suo in esclusiva.
Ciò rende impossibile ogni arte figurativa nei luoghi di
culto, che invece era originariamente tollerata nel privato: a partire
dall’Ottavo secolo, tuttavia, forse come necessità di differenziarsi dall’arte
e architettura cristiana, tutte le immagini religiose vengono distrutte, come
in Egitto nel 723, quando vennero distrutte o sfregiate non solo immagini
cristiane, ma anche appartenenti all’epoca preromana dell’Egitto classico.
Facendo un lungo passo ben all'indietro, giungendo ad un
argomento che più ci interessa, attraverso gli scritti del Gardiner apprendiamo
che la comunicazione visiva nella terra d'Egitto, già rappresentata in periodo
Predinastico da decorazioni dei vasi e di altri oggetti d'uso comune, risultò
ancora più evidente quando furono introdotte figure umane, animali, navi e così
via.
Questa innovazione si osserva nel periodo di poco precedente
l'avvento di Menes, contrassegnata dall'introduzione di figurine isolate che si
distinguono chiaramente dalle rappresentazioni puramente pittoriche del
contesto.
Le immagini sono le stesse, in ambo i casi e riproducono
ogni sorta di oggetti materiali, armi, piante, esseri umani e anche divinità.
Importante divenne con il tempo, la raffigurazione di Faraoni, nell'atto di
compiere gesta coraggiose, od opere mirabili, tali da poter essere perpetuati nell'immortalità,
a fianco e con l'aiuto degli dei egizi.
Arrivando alla morte di Amenophs I (1528 a.C. circa) il
Nuovo regno o l'Impero, come viene detto talvolta, era ormai saldamente
instaurato ed avrebbe proseguito per più di 150 anni d'ininterrotta prosperità,
nell'architettura e nei costumi.
E' opinione condivisa che con la XVIII dinastia si toccò il
culmine dello splendore.
Occorre ricordare che la religione egizia, quale si
tramandava da oltre 1500 anni, era il risultato della fusione di un gran numero
di culti tribali, in origine indipendenti.
Ogni città aveva la sua divinità particolare, a volte
impersonata da un feticcio materiale, più spesso rappresentata in forma
antropomorfa.
A mano a mano che il Pantheon egizio acquistava coerenza,
queste divinità animali prendevano corpo e membra umane.
La doppia natura che ne risultava, aprì la strada a due
tendenze opposte, da un lato l'innato conservatorismo degli egizi, unito ad un
forte spirito di campanile, militava contro la soppressione delle
caratteristiche individuali.
Dall'altro lato esisteva una forte spinta verso il
monoteismo.
Il dio locale non solo era dichiarato l'unico e onnipotente,
ma in vari modi veniva asserita la sua identità con gli dei di altre città.
Fu Amenophis IV a voler unificare il culto religioso
nell'adorazione della “luce solare che è Aten”.
Era prassi comune a cui si adeguavano molti faraoni, di usurpare
le opere dei loro predecessori, facendole proprie con i loro cartigli.
Innumerevoli sono i monumenti ed templi che portano il nome
di Ramses II, anche grazie alla sua longevità, ma non mi risulta che le figure
umane (e degli Dei) scolpiti sulle colonne e sui muri, siano stati cancellati
durante l'esercizio di questa pratica usurpatoria. Invece, nel mio breve ed
intenso viaggio in Egitto, più di una volta, anzi, “spesso”, ho notato
l'asportazione di numerosi volti raffigurati nelle opere ed anche di tante
figure; chiesi spiegazioni alla nostra guida, la quale asserì genericamente che
i danneggiamenti erano stati provocati dagli “iconoclasti.
Riporto il racconto di Gardiner
riguardante l'introduzione del culto di Aten da parte di Amenophis IV, ora
Akhenaten.
“la vera fede non poteva diffondersi senza sopprimere
le innumerevoli divinità maschili e femminili fino ad allora adorate.
Di conseguenza egli inviò in tutto il paese operai
incaricati di scalpellarne o raschiarne i nomi incisi o scritti dovunque si
trovassero.
Inutile dire che la prima vittima di questo furore
iconoclasta fu l'odiato Amon Ra, ma anche la semplice parola Madre, essendo
omonima di quella che indicava la dea tebana Mut, perse il geroglifico dell'avvoltoio
e fu scritta coi segni alfabetici m+t. La stessa parola “dei” era tabu.
Ora mi dispiace di non riuscire a ricordare, tra le immagini
memorizzate durante il mio viaggio, quali di quelle figure danneggiate (tra le
innumerevoli) rappresentavano esseri divini, così da poter attribuire l'azione
di cancellamento agli operai del faraone, oppure all'intervento vendicativo di
appartenenti ad altre religioni, quali i Copti o i Musulmani, oppure alla
semplice e devastante opera di vandali intervenuti nei secoli successivi alla
definitiva caduta dell'Impero Egiziano.
Chiunque abbia effettuato anche solo un breve viaggio nella
Terra dei Faroni ha potuto constatare che molte figure umane risultano
gravemente danneggiate.
In molti casi è difficile capire se i danni siano stati
inferti dalle intemperie e dall'escursione termica (che da quelle parti è
notevole) o dall'uomo.
Credo, tuttavia, che i danni maggiori siano stati inferti
già in epoca faraonica, perchè il cristianesimo è sempre stato abbastanza
tollerante nei confronti dell'arte pagana.
L'Islam è una
religione rigorosamente aniconica, ma credo che certe forme di iconoclastia (chi non ricorda la demolizione degli
enormi Buddha in Afghanistan?) siano un fenomeno relativamente recente.
Nei primi secoli della loro espansione, gli Arabi hanno
favorito anziché ostacolato la diffusione delle arti e della cultura.
Fonte: srs di Emilio Raffaele e Manuela Aloisi, da Egittophilìa
- Dove Passione e Storia si incontrano, del 11 maggio 2011
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