Raymond McGovern
Giornalisti, ma
perché ve le bevete proprio tutte, le bufale che vi propina il potere?
La notizia è che a domandarlo non è un reporter d’inchiesta,
ma un ex dirigente della Cia, Raymond
McGovern, per anni a capo del “National
Intelligence Estimates”, uno dei massimi organismi dell’agenzia di Langley.
Marcello Foa lo ha incontrato in un recente dibattito pubblico a Firenze. Oggi,
McGovern «è uno dei più arcigni difensori delle libertà civili e implacabile
critico delle politiche della Casa Bianca, sia di George W. Bush sia di Barack
Obama».
Foa condivide al 100% la sua analisi: «Oggi la stampa non svolge il proprio ruolo di cane da guardia della democrazia, semmai è
vero il contrario: troppo compiacente, troppo schierata, troppo pavida nei
momenti in cui bisognerebbe essere coraggiosi. Si beve tutte le bufale degli
spin doctor».
Ovvio che l’opinione pubblica sia sempre più indifesa: non
viene solo disinformata, viene anche puntualmente depistata non appena il
Palazzo teme che qualche verità scomoda possa venire a galla.
Viviamo immersi in un
mare di notizie false, di mezze notizie manipolate, di notizie taciute.
Nel suo blog sul “Giornale”,
Foa ricorda come la Troika abbia appena «piegato
la Grecia anche grazie alle sottili pressioni di Sarkozy». L’ex presidente francese,
avendo avuto accesso alla lista dei clienti “Hsbc” trafugata a Ginevra da Hervé
Falciani, sapeva che la madre dell’allora premier Papandreu, socialista,
possedeva un conto non dichiarato da 500 milioni di euro. «Diciamola tutta: fu un complotto, di cui naturalmente nessuno era a
conoscenza».
L’ex ministro del Tesoro americano, Tim Geithner, ha ammesso che nel 2011 Berlusconi fu
disarcionato in seguito a una cospirazione.
In Ucraina, continua Foa, un anno fa la verità sulla
cosiddetta rivolta di Piazza Maidan
«è stata ampiamente
aggiustata a fini mediatici, oltre che ovviamente politici, presentando quello
che di fatto era un golpe sotto le sembianze molto più confortevoli della
commovente e pacifica rivoluzione di piazza e tacendo sul pesante, decisivo
coinvolgimento di forze paramilitari neonaziste».
Scandalosa, poi, la vicenda di “Charlie Hebdo”, che «presenta
ancora oggi numerosi aspetti non chiariti», alcuni dei quali molto
imbarazzanti per la stampa internazionale.
«Uno su tutti: quando
i leader mondiali si sono ritrovati per capeggiare l’immensa marcia popolare in
difesa della libertà di stampa».
Peccato, però, che i leader «non abbiano mai guidato il corteo, ma si siano fatti filmare in una
strada chiusa al pubblico».
Attenzione: «Dietro di
loro non marciava nessuno, ma naturalmente né i tg né i giornali lo hanno detto
al pubblico, preferendo enfatizzare la verità formale».
Persino le rivelazioni sulla “Lista Falciani” «non possono
essere certo considerate giornalismo di inchiesta, sebbene siano state
presentate come tali».
Qualcuno «ha
semplicemente recapitato a un pool di testate internazionali gli elenchi, di
cui peraltro non si sa nemmeno se autentici. E i giornali hanno sparato i nomi
in prima pagina, senza nemmeno chiedersi se loro fossero strumentalizzati e a
chi convenisse la pubblica gogna».
Illuminante, secondo Foa, il duro giudizio che Raymond
McGovern riserva alla stampa americana, «che
noi continuiamo a torto a mitizzare, come se fosse ancora quella dei tempi del
Watergate». Stampa che, peraltro, «è
estendibile a quella europea».
McGovern non è certo un complottista, premette Foa: «Tutt’altro: adotta un approccio pragmatico e
saggio. Non insegue le proprie fantasie e i propri sospetti, per quanto
suggestivi, ma si basa sull’analisi dei fatti, sull’individuazione delle
incongruenze, sulla formulazione insistita e pertinente di domande sugli
aspetti poco chiari di una vicenda, sulla capacità di individuare connessioni
non evidenti a prima vista e di costruire il proprio giudizio su prove o comunque
su riscontri oggettivi. Insomma, ricostruisce con il dovuto scetticismo. Ed è
paradossale che debba essere un ex analista della Cia animato da un’ardente
passione civica a ricordare ai giornalisti quella che dovrebbe essere una
caratteristica innata di chi fa il mio mestiere», conclude Foa, che cita anche l’ex consulente politica Naomi Wolf,
divenuta una scrittrice famosa grazie al romanzo “The end of America” in cui
denuncia i rischi di un’involuzione totalitaria negli Stati Uniti.
Oggi, dice la Wolf, «siamo
entrati in un’era in cui non è assurdo per un giornalista chiedersi
sistematicamente se gli eventi a cui assiste sono veri o falsi. E più un evento
è spettacolare, più alto è il rischio che sia stato inventato ad arte ovvero
che si tratti di notizie false, create da governi e da servizi segreti».
Fonte: da LIBRE del 25 febbraio 2015
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