Paul Stephanus Johannes Krüger,
più noto col nomignolo olandese di Oom.
Tutto il senso della realtà sudafricana
sembra essere oggi, forse troppo semplicisticamente, ridotto a un’unica parola,
evocatrice di lugubri risonanze: “apartheid”. Ma quanti di noi conoscono
davvero le vicende, le lotte, le speranze e le delusioni, le fatiche e i dolori
su cui è stato costruito, nel corso di quattro secoli, questo Paese così
contraddittorio e complesso? A cominciare da quando, verso il 1650, arrivarono
dall’Olanda i Boeri, contadini ignari dell’esistenza di oro e di diamanti, alla
ricerca solo di terre da arare e da rendere fertili… fino al decisivo scontro
con la potenza coloniale inglese che mise fine, fra la costernazione di tutta
l’Europa, ai liberi Stati dell’Orange e del Transvaal.
Trekking è camminare a piedi là dove non esistono strade ma
solo sentieri, portando sulle spalle il proprio bagaglio; è il modo più antico
e più vero di viaggiare, che noi abbiamo riscoperto da poco. La parola la
abbiamo importata dal Nepal, imparando a percorrere i sentieri himalaiani; gli Sherpa nepalesi
l’hanno presa dall’inglese, adattandone il significato. In Inghilterra, a sua
volta, la parola è arrivata dall’Olanda – o meglio dal Sudafrica – anche se
esiste in inglese la stessa parola con diversa grafia e diverso significato.
Track in inglese è
la pista, la traccia, il sentiero; e il verbo “to track” vuol dire inseguire, cacciare, seguire la pista di un
animale. L’olandese trek
invece è il viaggio con il carro a buoi, la migrazione dei contadini con tutte
le loro masserizie e il loro bestiame.
La parola olandese venne di moda in Inghilterra dopo il 1835, quando
il pubblico britannico conobbe – dai resoconti dei giornalisti e degli
scrittori-viaggiatori del tempo – l’epopea dei Boeri olandesi costretti a
migrare dalle loro terre in cerca di nuovi insediamenti. Erano stati gli
Inglesi stessi ad occupare le terre dei Boeri, ma questo non impedì alle
gentili fanciulle britanniche di appassionarsi romanticamente alle peripezie di
quel popolo lontano.
The great Trek, la
grande migrazione dei Boeri, come la conquista americana del West, fu uno dei
temi preferiti delle riviste illustrate del tempo, ravvivate da belle incisioni
a piena pagina e da vignette nel testo.
Stemma ufficiale della Repubblica Sudafricana
Mezzo secolo più tardi i Boeri
dovevano tornare d’attualità in tutt’altro modo per il pubblico britannico,
quando le piccole colonie sudafricane nate dal Great Trek osarono sfidare la potenza dell’impero inglese e la
tennero impegnata per anni in una guerriglia dura, sanguinosa, impopolare agli
occhi del mondo e in parte degli Inglesi stessi.
Boero è parola olandese: boer, lo stesso che il tedesco bauer, dalla radice bau-, costruire,
coltivare. Usato in senso dispregiativo, distingueva a Città del Capo i coloni
dai funzionari della Compagnia; ma senza i Boeri, la Compagnia Olandese per le
Indie Orientali avrebbe potuto servirsi ben poco della sua sede a Città del Capo. Questa, infatti, era stata stabilita
esclusivamente come base per il rifornimento di viveri alle navi sulla via
delle Indie, in viaggio lungo la rotta aperta nel 1497 da Vasco de Gama; e
niente altro. Risorse locali da sfruttare non se ne immaginavano; l’oro del
Transvaal e i diamanti di Kimberley erano una pagina destinata ad essere aperta
molto più tardi. Solo le spezie, le sete, gli avori delle Indie contavano come
merci di pregio nell’anno 1652, quando Jan
Van Riebeeck, funzionario della Compagnia, sbarcò a Table Bay, al Capo di Buona Speranza, per “aprire la filiale”. Il
punto prescelto era già ben noto ai navigatori: è qui che le navi approdavano,
a metà del loro lungo viaggio, per riempire i barili di acqua fresca e, se
possibile, comprare dagli indigeni carne, verdura, e altro cibo fresco, pagando
in specchietti e perline. Ma gli approvvigionamenti erano malsicuri, l’umore
degli indigeni imprevedibile, la loro presenza incerta.
Compito di Van Riebeeck:
organizzare i rifornimenti su base stabile, tenere bestiame a disposizione. Van
Riebeeck, per inciso, compare oggi in effigie sulle monete della Repubblica del
Sudafrica, che lo annovera tra i suoi Padri della Patria. Rimanendo precari gli scambi con gli indigeni,
furono benvenute le iniziative di quanti si misero in proprio ad organizzare
colture e allevamenti: dapprima qualche soldato in congedo, qualche
ex-dipendente della Compagnia, poi coloni venuti appositamente dall’Olanda. Benemeriti, ma tenuti a distanza da funzionari
e impiegati della Ditta; chiamati
appunto Boeri, come dire villani.
Ma il nome finì per essere bene accetto
ai Boeri stessi, e portato con fierezza.
Veduta del Capo di Buona Speranza (1574). In basso: Carovana di pionieri a guado di un fiume
nel Transvaal (1878)
Nel 1688, trentasei anni dopo la fondazione, ai coloni olandesi si
aggiunse un nucleo di 150 francesi, profughi
ugonotti, che contribuirono allo sviluppo agricolo della colonia importando
la vite ed altre colture mediterranee. Fu così che le navi, oltre all’acqua,
poterono rifornirsi anche di vino.
Carta geografica del Trasvaal
Carta geografica del Trasvaal
Nel 1795, quando arrivarono gli Inglesi, la colonia si era assai
evoluta dai tempi di Van Riebeeck. I
Boeri avevano occupato molti territori verso l’interno; ai primi del Settecento
era nato Stellenbosch, il primo
centro abitato dopo Città del Capo, ed altri se ne erano aggiunti in seguito.
Il dialetto vecchio-olandese dei primi coloni, arricchito di termini di gergo e
di vocaboli indigeni, era diventato l’afrikaans,
una lingua praticamente autonoma.
E Afrikaner si
definiva il tipo umano del colono, caratterizzato da un vivo rigorismo
protestante, da una certa asciuttezza di modi, da un grande orgoglio di razza.
A sostenere questo orgoglio stava la coscienza dei pericoli corsi, delle
difficoltà superate, e del benessere duramente conquistato: il benessere inteso
in senso calvinista di riconoscimento divino, di conferma che la via percorsa è
quella retta e giusta.
Una disputa con il governatore Adriaan
Van der Stei, per ragioni di clientelismi e gelosie commerciali, aveva
portato nel 1707 ad un inasprimento dei rapporti tra i Boeri e la Compagnia
Olandese delle Indie, ed alla chiusura delle immigrazioni organizzate. Per
questo, i Boeri rimasero numericamente pochi. Alla fine del Settecento la
popolazione bianca non superava le 15.000 anime, e le coltivazioni agricole si
sostenevano in larga misura sul lavoro di schiavi importati dall’Africa
centrale e dall’Asia.
Quanto ai rapporti con gli indigeni, si erano fatti difficili dal
momento, del primo incontro con le tribù
bantu, provenienti dall’Africa orientale. I Bantu migravano verso sud, alla
ricerca di terre migliori, e invadevano quelle dei Boeri; si tracciavano
faticose delimitazioni territoriali, cui seguivano tregue precarie, nuovi
sconfinamenti, scontri sanguinosi, vere e proprie campagne di guerra.
In lato: Un
villaggio di pionieri nel Tranvaal (1878). Sotto: Una stazione di posta nel Transvaal
intorno al 1895
Fu la Rivoluzione Francese in Europa che fornì agli Inglesi il
pretesto per impadronirsi della colonia; e non se ne andarono più.
La presa di possesso avvenne nel 1795, nominalmente per conto dei
legittimi sovrani d’Olanda spodestati dai Giacobini e rifugiati in Inghilterra;
ma divenne definitiva nel 1814 nel riassetto generale della carta politica del
mondo dopo la tempesta napoleonica. La sovranità britannica sconvolse
l’impostazione che i Boeri avevano dato alla loro vita ed alla loro economia;
soprattutto con la chiusura della tratta degli schiavi, nel 1807, e con la
definitiva abolizione della schiavitù, proclamata nel 1833.
La difficile convivenza tra Inglesi e Boeri spingeva questi ultimi
alla emigrazione, ma non era facile per i singoli abbandonare le terre già
colonizzate e avventurarsi verso l’ignoto. Le tribù indigene ostili e le asperità della
natura avevano ben presto ragione dei pochi isolati che tentavano l’impresa.
L’emigrazione e la conquista di nuove terre erano possibili solo a forze più
consistenti, raggruppate e organizzate; ed è quello che i Boeri fecero a
partire dal 1835, due anni dopo il proclama di abolizione della schiavitù. Come
negli Stati americani del Sud dopo la guerra di Secessione, l’abolizione della
schiavitù aveva distrutto tutto un vecchio mondo feudale. I Boeri ripartirono
da zero per costruirne un altro.
Sotto: Una diligenza
in viaggio verso la regione diamantifera di Kimberley( 1878). In basso: impianto
di estrazione di sabbie diamantifere in una miniera di Kimberley (1880).
Fu questo il “Great Trek”
di cui si diceva, il biblico Esodo dei Boeri verso nord e nord-est. Attrezzi,
famiglie, e masserizie vennero caricati sui pesanti carri di legno, i bullock-cart, trainati da molte
paia di buoi, che si misero in cammino in lunghe file, verso l’interno. Armi e
munizioni abbondanti erano stivate sui carri assieme ai viveri ed alle scorte
d’acqua, ed erano altrettanto indispensabili alla sopravvivenza: servivano per
difendersi dalle tribù indigene non meno che per cacciar selvaggina.
Il ricordo di questo Esodo è ancora vivo nella tradizione
sudafricana, momento epico nella storia della nazione boera.
L’immagine dei voortrekkers è
considerata come quella dei Padri Pellegrini del Mayflower in America; ed il carro a buoi è divenuto un simbolo
araldico, uno dei quattro che compaiono nell’attuale stemma della Repubblica Sudafricana.
Le difficoltà furono molte, le carovane
furono decimate dagli scontri con i Bantu,
dalle malattie, dalla sete; ma le nuove terre furono raggiunte. Si costruirono nuove fattorie, nuovi villaggi,
si impiantarono nuove colture. Dalla
epopea del Great Trek nacquero così nuovi Stati boeri indipendenti che intorno
alla metà del secolo scorso comparvero sulla carta politica dell’Africa
meridionale con confini e colori distinti, a fianco della britannica Cape Colony.
Il primo fu lo Stato del
Natal, fondato come indipendente nel 1839 ma annesso dagli Inglesi quattro
anni dopo, e anglicizzato con immigrazioni massicce.
Poi, nel 1852, fu fondata la Repubblica
del Transvaal nel territorio a nord del fiume Vaal, affluente dell’Orange.
La sua capitale si chiamò Pretoria
in ricordo di Andries Pretorius,
mitico eroe, il più famoso e valoroso tra i condottieri dei “voortrekkers”. Due anni dopo, nel 1854, nacque il libero Stato dell’Orange con capitale a Bloemfontain.
In quegli anni prevalevano a Londra teorie libero-scambiste,
contrarie a nuove annessioni o ingrandimenti territoriali; venne quindi
concesso senza troppe difficoltà il riconoscimento britannico alla indipendenza
dei due Stati. Ma la situazione mutò radicalmente meno di vent’anni dopo,
quando si conobbero le favolose ricchezze minerarie delle nuove terre
colonizzate dai Boeri.
Nel 1867-71 furono scoperti i giacimenti
diamantiferi del Griqaland occidentale, appartenente allo Stato libero
dell’Orange; nel 1886, le miniere d’oro
del Transvaal.
Londra mutò politica di colpo, e intervenne con atti d’arbitrio
rapidi e decisi: il Griqaland venne
dichiarato possedimento della corona britannica nel 1871, e il Transvaal venne annesso come colonia
nel 1877.
I generali boeri Erasmus,
Louis Botha e Lucas Meyer
Per quanto tenui fossero gli argomenti giuridici, l’impero
britannico aveva dalla sua l’argomento della forza, e il fatto compiuto rimase.
Tra i “voortrekkers” fondatori dello Stato del Transvaal nel 1852, a fianco di Andries Pretorius, si trovava il
giovane Paul Stephanus Johannes
Krüger , più noto col nomignolo olandese di Oom.
Il “Lungo Tom”, cannone dei Boeri
Dopo l’annessione inglese del Transvaal
nel 1877,
Krüger fu uno degli
animatori del movimento per l’indipendenza, e uno dei capi della rivolta
scoppiata nel 1880. L’anno seguente i ribelli boeri sconfissero duramente gli
Inglesi a Majuba Hills, e forti
della vittoria poterono negoziare buone condizioni di pace: dapprima uno stato
di autonomia sotto la sovranità britannica, poi un ritorno alla indipendenza
vera e propria.
Krüger fu eletto alla presidenza della risorta Repubblica del
Transvaal nel 1883, e sotto la sua guida lo Stato boero resistette
energicamente ai rinnovati tentativi britannici di annessione e di
penetrazione.
Dall’altra parte della barricata, il più fiero avversario di Kruger
fu Cecil Rhodes, audace uomo
d’affari e proprietario di miniere diamantifere, divenuto nel 1890 Primo
Ministro della Colonia del Capo. Rhodes
(da cui doveva poi prendere il nome la Rhodesia)
mirava alla fusione di tutti i territori dell’Africa meridionale in un’unica
federazione sotto la sovranità inglese, primo gradino di un ben più ambizioso
progetto panafricano. L’ostinata indipendenza del Transvaal era uno degli
ostacoli più duri ai suoi progetti.
Cecil Rhodes
Rhodes tentò di risolvere sbrigativamente il problema, con il tacito
assenso di Londra. Nel 1895 organizzò all’interno del Transvaal una ribellione
sostenuta dagli uitlanders,
gli immigrati più recenti, quasi tutti di origine inglese; poi mosse al loro
soccorso con una spedizione armata “privata”.
La componevano uomini di una compagnia coloniale inglese con sede a Città del Capo; la comandava il dottor Leander Jameson, medico e alto funzionario della compagnia. L’impresa – che la storia ricorda come il “Jameson raid”- andò a vuoto: fallita l’insurrezione a causa di discordie interne fra i congiurati, fu prontamente respinta la spedizione armata. Lo stesso Jameson fu catturato e proposto per la condanna a morte; poi, Krüge lo restituì agli Inglesi.
Manifesto affisso
dalla Polizia inglese a Pretoria e a Johannesburg subito dopo l’occupazione.
La componevano uomini di una compagnia coloniale inglese con sede a Città del Capo; la comandava il dottor Leander Jameson, medico e alto funzionario della compagnia. L’impresa – che la storia ricorda come il “Jameson raid”- andò a vuoto: fallita l’insurrezione a causa di discordie interne fra i congiurati, fu prontamente respinta la spedizione armata. Lo stesso Jameson fu catturato e proposto per la condanna a morte; poi, Krüge lo restituì agli Inglesi.
A destra l’Imperatore Guglielmo
II con lo zio Re Edoardo VII d’Inghilterra
A trasformare il “Jameson
raid” in una questione internazionale fu un telegramma del Kaiser al presidente
Krüger: “…Vi esprimo le mie sincere congratulazioni che Vi sia riuscito col
Vostro popolo, con la Vostra energia, a ristabilire la pace… conservando
l’indipendenza del Vostro paese…”
Il tono era quello di un telegramma di circostanza, di quelli in uso
tra Capi di Stato e di governo, che la stampa riporta solo per dovere e che i
lettori scorrono con occhi annoiati. Ma questo, datato 3 gennaio 1896 e firmato
dall’imperatore tedesco, il Kaiser
Guglielmo II, passò tutt’altro che inosservato. Era stata una decisione forse estemporanea che
il Kaiser aveva preso per puntiglio personale, a dispetto dei suoi ministri.
Intendeva essere uno schiaffo morale all’Inghilterra (che peraltro era
ufficialmente estranea all’affare, iniziativa personale del dottor Jameson), e
ci riuscì. Fin troppo, segnando un
deterioramento vistoso, e mai più superato, nei rapporti anglo-tedeschi.
La sua eco fu clamorosa in tutta Europa; in Inghilterra scatenò una
autentica ondata di fobia anti-germanica: licenziamenti di Tedeschi dipendenti
da banche e uffici, aggressioni e bastonature a marinai tedeschi nei porti,
chiusura di club tedeschi. L’ambasciatore di Germania a Londra, Hatzfeld, colto di sorpresa dal gesto
inconsulto del suo sovrano, fu sul punto di rassegnare le dimissioni.
Non meno risentita fu la reazione della corte, della Regina
Vittoria, del governo britannico. Lord
Chamberlain protestò minacciosamente contro la intromissione illecita di
uno Stato straniero negli affari britannici; una squadra navale inglese compì
una crociera ammonitrice nel Mare del Nord.
Mai nella storia del telegrafo vi era stato un dispaccio suscitatore
di tanta risonanza; mai le relazioni anglo-tedesche erano state tanto tese.
L’affare boero innescava una ostilità ormai irreversibile, destinata
a sfociare vent’anni più tardi nella prima guerra mondiale. L’opinione pubblica tedesca, già molto ostile
all’Inghilterra, applaudì al gesto clamoroso del suo Imperatore, gioì dello
schiaffo alla perfida Albione. Il nome di Krüger divenne assai popolare in
Germania, scritto Krüger alla tedesca, con la umlaut sulla u, dato che il
presidente boero veniva da una famiglia di immigrati berlinesi.
E l’Europa intera sentì
parlare, per la prima volta forse, dei Boeri.
“Potenza amica”: così il Kaiser definiva la Germania nel suo
telegramma a Krüger amicizia tanto più gradita ai Boeri in quanto la Germania
sin dal 1884 era presente alle frontiere di casa con la sua colonia dell’Africa
Sudoccidentale (la attuale Namibia) e
poteva quindi intervenire direttamente in un eventuale conflitto anglo-boero.
Il telegramma imperiale non era una vera e propria offerta di alleanza, ma era
pur sempre un sostegno morale proveniente dalla maggior potenza antagonista
della Gran Bretagna.
Il problema boero, piccolo affare coloniale, era stato portato alla ribalta mondiale. Questo non mancò di incoraggiare Krüger o soprattutto sul problema degli immigrati inglesi nel Transvaal, gli “uitlanders”) si avviò ad un vero e proprio stato di ostilità.
Nell’ottobre 1899, a quattro anni di distanza dall’affare Jameson, ebbe inizio la guerra fra la Gran Bretagna e la Repubblica Sudafricana del Transvaal e il suo fedele alleato, lo Stato libero dell’Orange.
La storia della guerra è nota. I Boeri aprirono brillantemente le operazioni, combatterono strenuamente, e conseguirono notevoli successi iniziali. Poi le sorti piegarono a favore della Gran Bretagna, che dovette far ricorso a forze soverchianti. Vista spezzata la resistenza del loro esercito, i Boeri ripiegarono sulla guerriglia, sul logorio del nemico con azioni di sorpresa, a piccoli gruppi. È così che la parola “commando” (portoghese d’origine, boera d’adozione) entrò per la prima volta nell’uso: e gli Inglesi conobbero in Africa il loro Viet Nam.
Paul Krüger in Europa in cerca di aiuti per la causa dei Boeri: udienza ad Amsterdam dalla regina Guglielmina d’Olanda.
Per due anni la guerra venne seguita dalla opinione pubblica
mondiale con molta simpatia verso i Boeri, mentre una forte corrente di
opinione si manifestava in loro favore nella stessa Inghilterra.
Per catalizzare questa simpatia, per trasformarla in aiuti concreti, Krüger alla fine del 1900 si imbarcò in Mozambico e compì un viaggio in Europa.
Sua prima tappa fu ovviamente la “potenza amica” di quattro anni prima; ma gli
umori del Kaiser di fronte alla prospettiva concreta di una guerra si erano
rapidamente mutati. L’accoglienza entusiasta tributata a Krüger dai cittadini
di Colonia venne disapprovata; la polizia ricevette l’ordine di impedire il
ripetersi di manifestazioni analoghe. E quando Krüger chiese udienza a Berlino,
il Kaiser si rifiutò di riceverlo. Krüger non tornò più in Africa, dove ormai
la partita era perduta. Si trasferì in Olanda, poi in Francia, e infine in
Svizzera dove morì nel 1904, esule amareggiato e sconfitto.
La guerra anglo-boera si concluse nel 1902 con la annessione dei due
Stati boeri come colonie britanniche, ma la politica inglese nei riguardi dei
Boeri fu prudente. Si evitarono
discriminazioni, si cercò di smussare i rancori. Alla fine, l’effetto della
annessione fu quello di amalgamare fra loro tutti gli Afrikaners, i coloni bianchi – boeri e inglesi – del Transvaal, del Natal, dell’Orange, della Colonia del Capo.
Nacque un nuovo nazionalismo che non si chiamò più boero ma
sudafricano, e che portò otto anni dopo alla costituzione della Unione del
Sudafrica con lo statuto di “Dominion”
e con un proprio governo autonomo.
Nel 1961, rompendo i legami residui con la Gran Bretagna, l’Unione
divenne la Repubblica del Sudafrica.
La storiografia ci ha tramandato un ’immagine della guerra da
epopea vittoriana fatta di sacrifici ed eroismi contro ribelli sfrontati e
semibarbari, palestra per esercizi di futuri condottieri dell’Union Jack. Al
contrario, invece, da ogni parte dell’Europa, dalle pianure neerlandesi, dalla lontana
San Pietroburgo, dai campi della Pomerania, dalla pianura del Rodano, uomini di
ogni rango ed età, mossi da ideali di giustizia ed umanità, partirono per terre
ancora quasi favolose a donare il loro cosciente, disperato contributo alla
difesa della libertà e dell’indipendenza, contro la violenza della politica
coloniale di Londra. Solo l’inadeguatezza dei mezzi, come ben risalta da queste
foto, tratte da un volume di memorie contemporaneo alle vicende, fu loro
fatale.
Font: da Etnie n° 13, anno VIII, 1987
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