Una lingua è un dialetto con alle spalle un esercito e una flotta
Dr. Roberto Bolognesi – Università di Groningen (Paesi
Bassi) Matteo Incerti – Giornalista pubblicista
INTRODUZIONE:
Nelle proposte che qui presentiamo, ci siamo prefissi
l'obiettivo di indicare, in base a criteri il più possibile tecnici, le lingue
minoritarie presenti nel territorio dello Stato italiano.
Comunque, rispetto al problema della distinzione fra lingue
e dialetti, è importante precisare da subito che una simile distinzione è,
oltre certi limiti, tecnicamente impossibile, oltreché politicamente
pretestuosa. Citiamo in proposito le parole di Guido Barbina: “Tralasciamo, perchè puramente accademico e
a volte fuorviante il pretestuoso problema della differenziazione fra lingua e
dialetto: una simile distinzione, peraltro impossibile, non ci porterebbe
certamente a chiarire il problema di una corretta classificazione dei casi di
difformità linguistica italiani”.
Al contrario del convincimento diffuso fra i profani, quando
un linguista parla del "dialetto X della lingua Y", non sta
descrivendo un rapporto fra due entità linguistiche collegate gerarchicamente,
ma sta solo cercando di risparmiare le molte parole che gli occorrerebbero per
ripetere che si sta riferendo ad un certo sistema linguistico X, il quale per
comodità si può indicare come varietà socialmente e/o geograficamente
delimitata di una famiglia di idiomi sufficientemente omogenea da poter essere
indicata, sempre per comodità, come lingua Y.
Da un punto di vista strettamente tecnico, in effetti, il
dialetto X si può altrettanto giustificatamente definire come lingua in quanto
sufficientemente definito e circoscritto, mentre la lingua Y andrebbe più
giustamente definita come famiglia di dialetti Y.
Queste definizioni, però, non tengono conto del fatto che
nessuna lingua, neppure la parlata di in un piccolo villaggio di montagna,
costituisce un sistema interamente omogeneo: i giovani parlano in un modo
almeno leggermente diverso dagli anziani, e così le donne rispetto agli
uomini, e così pure le diverse classi sociali tendono a differenziarsi
linguisticamente. Questa situazione già molto fluida anche a livello
strettamente locale si complica enormemente quando si prendono in
considerazione i diversi dialetti, cioè quelle varietà della lingua che
vengono usate in territori distinti. Tenendo conto di questa realtà, quindi,
anche la somma di tutti queste parlate locali e sociali si può altrettanto
giustificatamente definire come lingua: una famiglia di dialetti che
condividono una serie di caratteristiche, escludendone invece altre. La
decisione di quali siano le caratteristiche che distinguono una lingua
dall'altra è comunque sempre almeno in parte arbitraria, perchè le lingue
appartengono a loro volta a famiglie linguistiche formate da lingue simili,
spesso confinanti e aventi un'origine comune. Nella pratica succede spesso che
per comodità si usino definizioni geografiche di lingue e dialetti, anziché
strettamente linguistiche. Tecnicamente, perciò, i termini lingua e dialetto
sono, se non perfettamente equivalenti, certamente interscambiabili e il loro
uso non implica nessuna precisa distinzione genetica e/o gerarchica. Meno che
mai viene sottinteso un giudizio di valore.
Quando usa il termine dialetto, perciò, un linguista non fa
altro che avvertire il lettore o l'ascoltatore che sta restringendo la sua
attenzione ad una serie limitata di fenomeni linguistici che sono presenti in
una data varietà (poco o punto conosciuta), e assenti dalle varietà
strettamente collegate della stessa lingua (invece già nota). Per esempio,
definendo il sestese come dialetto campidanese meridionale del sardo, si
fornisce immediatamente una serie di informazioni sull'altrimenti indefinita
lingua parlata nel villaggio di Sestu (prov. di Cagliari)..
L'uso dei termini lingua e dialetto che invece si fa in
politica implica un rapporto gerarchico fra le due entità e un giudizio di
valore: la lingua sarebbe qualcosa di superiore al dialetto; il dialetto una
forma degenerata, o comunque inferiore, della lingua. Quest'uso
linguisticamente infondato dei due termini è il risultato di una scelta
politica molto comune che restringe l'uso del termine (titolo onorifico,
verrebbe da dire) lingua alla lingua ufficiale dello stato, applicando agli
altri idiomi la qualifica di dialetti. Il linguista norvegese Einar Haugen ha
provocatoriamente illustrato questa distinzione pseudo-linguistica con le
seguenti parole: "Una lingua è un
dialetto con alle spalle un esercito e una flotta".
In termini leggermente più neutri possiamo dire che in
politica solitamente si concede la dignità di lingua agli idiomi di chi
dispone di mezzi di pressione sufficienti a farsi riconoscere come comunità
etnico-linguistica distinta da quella maggioritaria.
Una volta ottenuto lo status di lingua (e i relativi
finanziamenti), anche gli idiomi minoritari possono venire dotati di tutti
quegli strumenti, esterni ai sistemi linguistici stessi, che caratterizzano le
lingue ufficiali degli stati: una norma standard, grammatiche e dizionari
redatti in modo professionale, l'insegnamento nelle scuole, lo sviluppo di
testi prestigiosi, l'uso in occasioni e documenti ufficiali.
Contrariamente a quanto si pensa normalmente, questi
strumenti sono la conseguenza, e non la causa, dello status ufficiale di una
lingua. I dialetti ne sono privi unicamente a causa della debolezza politica
e/o economica delle comunità linguistiche in cui vengono parlati.
Nel preparare questo documento sulle diverse lingue
minoritarie parlate oggi nel territorio dello Stato italiano, abbiamo rifiutato
la distinzione pseudo-linguistica fra lingue e dialetti. Abbiamo invece
suddiviso i diversi idiomi in due gruppi, in base alla loro posizione politica:
da un lato, quelli la cui diversità e specificità rispetto all'italiano
vengono già riconosciute a livello internazionale e sono in via di
riconoscimento da parte dello Stato italiano, e dall'altro quelli che ancora
oggi vengono totalmente negati e discriminati da parte dello Stato, ma che a
livello regionale e anche da parte di studi internazionali vengono riconosciuti
come lingue, cioè come sistemi linguistici ben distinti dall'italiano.
In pratica, dalla nostra analisi risulta che tutti i
cosiddetti dialetti italiani sono lingue distinte, e non dialetti
dell'italiano. Fatta eccezione per il toscano e il romanesco, i cosiddetti
dialetti italiani sono tutti lingue che si sono sviluppate in modo autonomo e
diverso rispetto al fiorentino che ha costituito la base per l'italiano
standard: il piemontese e il napoletano, per esempio, non meno che il sardo e
il friulano
1. LE LINGUE IN VIA
DI RICONOSCIMENTO DA PARTE DELLO STATO ITALIANO
Nella realtà politica italiana l'uso spregiudicato delle
arbitrarie definizioni di lingua e dialetto è servito finora ad aggirare
l'articolo XX della Costituzione che prevede la tutela delle minoranze
linguistiche. I diritti linguistici
delle minoranze sono finora stati elusi etichettando come dialetti, anziché
come lingue, tutti gli idiomi minoritari che non godono della tutela di uno
stato confinante dell'Italia: in pratica, tutte le lingue minoritarie meno il
francese, il tedesco e lo sloveno, la cui tutela è stata garantita da trattati
internazionali.
Oggi, per fortuna, l'atteggiamento verso le minoranze etnico
linguistiche sta cambiando anche in Italia. La Camera dei Deputati ha approvato
un provvedimento (legge n. 196), che aspetta ora l’approvazione del Senato
(legge n. 3336), riguardo alla valorizzazione di un primo gruppo di lingue
regionali e minoranze etnico-linguistiche.
Questa legge costituisce un passo importante per le lingue
riconosciute e prevede l'introduzione del bilinguismo nelle istituzioni e nel
sistema educativo, ma discrimina ancora altre lingue regionali, arbitrariamente
escluse dal provvedimento. Nel testo originale del provvedimento esisteva un
articolo della legge, il n. 169, che prevedeva un futuro allargamento delle
lingue riconosciute dando di fatto potestà legislativa in materia alle Regioni
e non più allo Stato. Ma l’azione politica dei Deputati di Alleanza Nazionale,
che ha trovato su questo punto la convergenza di Deputati dell’opposizione di
Centrodestra ed anche di ampi settori della maggioranza di Centrosinistra, ha
fatto sì che questo articolo della legge fosse eliminato dal testo definitivo.
Rispetto a questo punto, riteniamo molto grave la decisione
negare alle Regioni il diritto ad autodefinirsi come rappresentanti legittime
delle minoranze etnico-linguistiche del proprio territorio. È stato adottato
invece ancora una volta il principio della Ragion di Stato, per cui è la
maggioranza a disporre a proprio piacimento dei diritti delle minoranze. Per negare i diritti delle minoranze, pur
riconosciuti dalla Costituzione, è ancora sufficiente per la maggioranza
negare l'esistenza di queste: in pratica basta continuare a definire le lingue
minoritarie come dialetti.
Come esempio dell'arbitrarietà di questa situazione valga
il caso del sardo: fino al 1995 il governo italiano parlava di dialetti sardi,
negandone la dignità linguistica, due anni dopo veniva approvata dal governo
la legge regionale n. 26/97 sulla lingua sarda. Linguisticamente in Sardegna
non era cambiato nulla, ma in Italia era cambiata la maggioranza di governo.
LE COMUNITÀ
ETNICO-LINGUISTICHE RICONOSCIUTE DALLA LEGGE N. 169
Albanesi – 98.
000 persone che vivono nelle regioni meridionali e precisamente in Calabria,
Sicilia, Puglia e Abruzzo.
Sud Tirolesi –
290. 000 persone che vivono nella Provincia Autonoma di Bozen- Bolzano (65,43%
della popolazione residente in Sud Tirolo). Queste persone parlano il tedesco.
Carinziani – 2.
000 persone che vivono nella Provincia di Udine in Friuli (0,38% della popolazione
locale della Provincia di Udine)
Carnici – 1. 400
persone che vivono in Provincia di Belluno nel Veneto (0,66% della popolazione
locale della Provincia di Belluno)
Catalani – 18.
000 persone che vivono nella città di Alghero in Sardegna, che hanno origini
catalane e parlano il catalano.
Croati – 2. 600
persone che vivono nella Regione del Molise (0,79% della popolazione residente
in quella Regione)
Franco-Provenzali-Valle
d’Aosta – Circa 90. 000 persone che vivono nella Regione Autonoma della
Valle d’Aosta ed in Piemonte. Le comunità più numerose vivono nella città di
Aosta (60% della popolazione residente) e a Torino (0,89% della popo lazione
cittadina).
Francofoni della
Valle d’Aosta – 20. 000 persone in Valle d’Aosta (17,33% della popolazione
residente nella Regione Autonoma della Valle d’Aosta).
Friulani – 526.
000 persone che vivono nella Regione Autonoma del Friuli. Questo gruppo etnico
rappresenta il 56,32% della popolazione residente in Friuli. La Regione Friuli
ha una propria legge per la valorizzazione della Lingua Friulana e diverse
amministrazioni locali, tra le quali quella di Udine, hanno approvato con la
sola contrarietà o astensione dei gruppi dei CCD del Friuli (democristiani
conservatori) e di Alleanza Nazionale, iniziative che attuano il bilinguismo.
Greci – 20. 000
persone che vivono nella Provincia di Reggio Calabria (0,89% della popolazione
residente) e nella Provincia di Lecce, Puglia (1,88% della popolazi- one della
provincia di Lecce).
Ladini – 55. 000
persone che vivono tra il Trentino, il Sud Tirolo e la Provincia di Belluno,
nel Veneto. I Ladini rappresentano in provincia di Bolzano il 4,19% della
popolazione locale, in Provincia di Trento l’1,69% e in Provincia di Belluno il
10%. Per le elezioni che si svolgono nel Trentino-Sud Tirolo esiste una
speciale normativa approvata nel 1998 che assegna al gruppo Etnico Ladino una
propria rappresentanza politica elettiva.
Occitani – 178.
000 persone, delle quali 50. 000 circa parlano regolarmente la lingua occitana.
Gli Occitani sono residenti nella Provincia di Cuneo, nella Regione Piemonte
(4,19% della popolazione residente), nella provincia di Torino e in quella di
Imperia, Liguria. A livello culturale, il mondo occitano negli ultimi anni sta
vivendo una “nuova primavera” con iniziative, concerti, pubblicazioni. Questi
progetti vengono realizzati anche con l’aiuto di fondi comunitari.
Sardi – 1.269.
000 persone che vivono e risiedono nella Regione Autonoma della Sardegna e
rappresentano il 77,48% della popolazione dell’Isola. La Regione Sardegna sta
attuando, negli ultimi anni, diversi piani per sviluppo di una forma standard
scritta, tutelando al tempo stesso tutte le varianti locali della Lingua Sarda.
Progetti per l’insegnamento del Sardo sono avviati dalle Province e da diversi
Comuni.
Sloveni – Circa
70. 000 persone che vivono nella città di Trieste (9,6% della popolazione)
nella provincia di Gorizia (8% della popolazione) e di Udine (3% della
popolazione)
Walser, Cimbri,
Mocheni – La valorizzazione di questi gruppi etnolinguistici germanici
avviene tramite la protezione del gruppo etnico Germanico residente nel Sud
Tirolo, nonostante queste Comunità non siano residenti su quel territorio. I
Walser risiedono in Valle d’Aosta e Piemonte nelle Provincie di Vercelli e
Novara, i Cimbri in Veneto (Verona e Vicenza) e Trentino (Trento) e i Mocheni
nella Provincia autonoma di Trento.
*Valorizzazione
linguistica e culturale delle Comunità Zingare di Sinti e Rom
In un primo tempo diverse proposte di legge, prevedevano la
valorizzazione anche dei 130.000 cittadini di etnia Rom e Sinti. Ma successivamente la legge è stata cambiata,
in quanto la maggioranza dei deputati del Parlamento italiano non ha ritenuto
che sussistessero le condizioni per il riconoscimento, in quanto mancava un
riferimento di questa cultura ad un territorio specifico. Le Comunità Zingare
infatti seguendo le proprie tradizioni non sono stanziali ma in maggioranza
nomadi.
2. LE LINGUE DISCRIMINATE
DALLO STATO ITALIANO
Veneto
La Lingua Veneta, parlata nella Regione del Veneto è tra
quelle discriminate e "tagliate" da parte dallo Stato italiano, che
la classifica erroneamente come un dialetto dell’italiano.
Secondo una ricerca del 1998 dell’Istat (l’Istituto
Statistico italiano) in Veneto il 52% degli abitanti del Veneto parla questa
lingua, che per mille anni fu la lingua della Serenissima Repubblica di
Venezia. (il 52% parla principalmente veneto, anziché italiano? Anche a me
risulta, ma cosa vuoi dire?)
Nel marzo 1995 la Giunta Regionale del Veneto su iniziativa
dell’allora assessore Ettore Beggiato (oggi consigliere regioanale di Veneti
d’Europa) pubblicò un "Manuale della Grafia Veneta Unitaria".
Diverse amministrazioni comunali del Veneto poi adottano il
bilinguismo veneto-italiano nei propri atti. Nelle ultime legislature della
Regione Veneto, sono state presentate da più gruppi, svariate iniziative a
sostegno della lingua veneta ed una mozione per il riconoscimento è stata
presentata il 20. 5. 1998 con primo firmatario Ettore Beggiato.
Una variante della Lingua Veneta, il Talian, parlato da centinaia di migliaia di discendenti veneti in
Brasile, è stata decretata, per una settimana, lingua ufficiale in Serafina Correa, Stato del Rio Grande
do Sol, Brasile.
La lingua Veneta, di natura italo-romanza viene classificata
lingua propria nettamente distinta dall’italiano standard (toscano) in diversi
studi internazionali come l’Unesco Red Book of Endangered Languages (1993-1996)
del professor Tapani Salminen Università
di Helsinky e l’Ethnlogue, Languages of the World, 13° Edizione, pubblicato
negli Stati Uniti d’America dal Summer Institute of Linguistics.
La lingua madre di
diverse importanti personalità del passato, come l’esploratore Marco Polo o lo
scrittore Carlo Goldoni, non era certo l’italiano-standard ma il Veneto. (per quanto
riguarda tutte le lingue-dialetti: il tuo discorso è ancora ambiguo, nel senso
che tu parli come se esistesse una differenza "tecnica" fra le due
cose. Non è cosí quindi le cose vanno dette diversamente. Quindi non mettermi
fretta!)
Ti cito Guido Barbina,
friulano abbastanza ambiguo e integrato (preside di facoltà): "Tralasciamo, perchè puramente accademico e
a volte fuorviante il pretestuoso problema della differenziazione fra lingua e
dialetto: una simile distinzione, peraltro impossibile, non ci porterebbe
certamente a chiarire il problema di una corretta classificazione dei casi di
difformità linguistica italiani".
Piemontese
Questa lingua parlata in Piemonte è di natura
gallo-romanza. Lo Stato italiano invece la discrimina al rango di
"dialetto" della lingua toscana (italiano standard).
Questo nonostante esista un documento del Consiglio d’Europa
(doc. 4745/12. 10. 81) che riconosce il Piemontese come lingua propria ed una
legge del Consiglio Regionale del Piemonte (n. 37/97 primo firmatario Roberto
Rosso) che riconosce questo idioma a livello regionale, prevedendo anche
l’istruzione facoltative nelle scuole, lo Stato italiano non ha ritenuto
valorizzare e riconoscere il Piemontese tra le lingue Regionali e Minoritarie
legalmente riconosciute. Contro questa decisione, sia il Presidente del Governo
Regionale del Piemonte Enzo Ghigo (lettera del 26. 5. 1998) che il Consiglio
Regionale del Piemonte praticamente all’unanimità con 35 consiglieri su 36,
astenuta Rifondazione Comunista (risoluzione del 12. 10. 99) hanno protestato
ufficialmen te con il Governo italiano.
A livello Regionale esiste ora una Consulta per la Lingua
Piemontese, che riunisce oltre venti associazioni culturali che si occupano del
recupero e della formazione dei quadri scolastici per il futuro insegnamento
nelle scuole. Il mancato riconoscimento da parte dello Stato italiano, però
impedisce una maggiore azione da parte dei Comuni e delle Comunità anche in
campo internazionale.
Il primo documento storico ritrovato in lingua piemontese
risale al XII Secolo ed è il Sermon
Subalpengh, un documento di carattere religioso che si scaglia contro
episodi di corruzione nelle gerarchie della Chiesa Cattolica.
Studi come l’Unesco Red Book of Endangered Languages del
professor Salminen, The Etnlogue e l’Istituto Linguistico Scozzese dell’Isola
di Sky Sabhal Mor Outaig, classificano il Piemontese come una lingua vera e
propria separata dall’italiano. Sul piano culturale, il Piemonte e la sua
lingua e cultura da anni partecipano regolarmente attraverso associazioni
culturali, al Festival Interceltico di Loriant.
Emiliano e Romagnolo
La Lingua Emiliana nelle sue varianti ed quella Romagnola,
parlate nella Regione Emilia e Romagna, sono anche esse classificate dallo
Stato italiano semplici dialetti dell’italiano-toscano, quindi non in grado di
essere riconosciuti come lingue proprie.
Anche questo è un falso di Stato. Lo dimostra il fatto che
l’Unesco Red Book for Endangered Languages del professor Tapani Salminen (che
è anche membro della Commissione dell’Unesco che si dedica di Lingue Regionali
e Minoritarie) riconosce l’Emiliano come Lingua Gallo-Romanza e non
italo-romanza, parlata pure nello Stato di San Marino!
Lo stesso riconoscimento viene dall’Ethnologue che parla
dell’Emiliano e del Romagnolo come " structurally separate language from
Italian", "Lingua
strutturalmente separata dall’italiano". Per il Romagnolo, lingua a
cavallo tra quelle gallo-romanze e quelle italo-romanze un’altro importante
riconoscimento viene da: Meic Stevens che lo indica come facente parte della
sottofamiglia emiliano-romagnola.
A livello amministrativo Regionale, la Regione Emilia e
Romagna nel 1994 ha emanato una legge regionale che pur denominando queste
lingue "dialetti" (legge n. 45 del 7. 11. 1994 Tutela e
valorizzazione dei dialetti dell’Emilia e Romagna) prevede anche la
possibilità di finanziare iniziative scolastiche. A parte un primo
finanziamento nel 1995, in questi ultimi anni la legge non è stata utilizzata
e promossa a dovere da chi governa la Regione Emilia e Romagna. La dizione
"dialetti" impedisce però un ulteriore passo avanti verso un
riconoscimento ufficiale.
Una delle obiezioni che vengono mosse contro il
riconoscimento dell’Emiliano è che esistono diverse varianti (dialetti) e non
una lingua standard scritta. Questo è vero come è vero per tutte le lingue.
Perchè in fondo "ogni dialetto è
lingua". Ad esempio il Sardo, già riconosciuto da anni a livello
europeo ed in via di riconoscimento a livello ufficiale italiano, non ha ancora
una forma standardizzata scritta comune valida per tutti, ma esistono invece
molte varianti locali (Campidanese, Gallurese, Logudorese, Sassarese a loro
volta suddivise in altre varianti cittadine).
È la stessa identica situazione dell’Emiliano o di altre
Lingue Regionali ancora non riconosciute ufficialmente e rinchiuse dal punto di
vista legislativo e psicologico nel ghetto di Stato dei "dialetti".
Ma anche se non esiste una lingua standard comunque gli emiliani quando parlando
nella loro variante locale possono capirsi a vicenda senza grandi problemi.
Nella Regione Emilia e Romagna in questi anni si è notato un rifiorire di
iniziative musicali ed anche culturali che hanno come tema le parlate di questa
Regione. Esistono anche gruppi musicali di giovani. Riguardo l’insegnamento
scolastico, purtroppo non ancora diffuso, è da segnalare un positivo
esperimento che fu fatto nel 1979-80 dal direttore didattico Gastone Tamagnini presso la Scuola
Media Statale "M. Buonarotti" di Fabbrico in provincia di Reggio
Emilia, dove agli alunni fu insegnato per due mesi la cultura e lingua del
posto. Esperimenti altrettanto positivi dell’utilizzo della Lingua Romagnola
nelle Scuole sono stati avviati nella Scuola Elementare "Martiri Fantini" di Cervia
(Ravenna) dalle professoresse Claudia
Benedetti e Fabiana Giunchi. A
livello televisivo, trasmissioni quotidiane in lingua emiliana nella variante
reggiana e bolognese vengono trasmesse da due emittenti locali private
Teletricolore (L’Almanacco di Auro Franzoni) e da Sesta Rete (Notiziari
Bulgnais). Il dizionario tascabile di Lingua Bolognese/Emiliana di Luigi Lepri
e Daniele Vitali, pubblicato nel 1999 a dalla famosa casa editrice Vallardi ha
venduto in poche settimana diverse migliaia di copie ed ora è pronta una
seconda ristampa. Un successo che la dice lunga sull’interesse dei
cittadini/pubblico sulla riscoperta e la valorizzazione proiettata nel futuro
delle proprie radici.
Lombardo
L' Unesco Red Book of Endangerd Languages riconosce anche al
Lombardo lo status di lingua, appartenente al ceppo gallo-romanzo. Ed è il
Lombardo, e non l'italiano-toscano, che viene parlato da oltre 300. 000 persone
in Canton Ticino (Svizzera)
Ed anche in alcune vallate del Trentino confinanti con la
Lombardia, secondo lo studio dell'Unesco ed l'Etnologue. Una variante del
Lombardo viene curiosamente parlata anche in alcuni paesi della lontana
Sicilia. Questo è avvenuto in quanto nei secoli passati alcune comunità
longobarde migrarono su questa Isola.
Secondo l' Ethnologue le diverse varianti del Lombardo,
possono essere considerate "in
alcuni casi dialetti, in altre vere e proprie lingue separate dall'italiano".
In generale tutte le parlate Lombarde "sono
molto differenti dall'italiano standard" e secondo lo studio di
Ethnologue "I parlanti possono
essere senza problemi bilingui".
Nel Canton Ticino, le amministrazioni locali del Cantone da
tempo attuano una politica di valorizzazione della parlata lombardofona che
purtroppo manca nella Regione della Lombardia sotto lo Stato italiano.
Quest'anno, il 26-27 marzo presso l'Università degli Studi
di Pavia si è svolto un Importante convegno su "Archivi culturali, oralità e scrittura" dove Franco Lurà Del
Centro per il Vocabolario dei dialetti della Svizzera italiana -VSI) e Giovanni
Bonfandini dell'Università di Milano che hanno proposto nel loro intervento
("Problemi con- cernenti la
costituzione di un archivio integrato scritto e orale dei dialetti lombardi")
la creazione di un Archivio delle parlate lombardofone.
Su Internet sono presenti diverse iniziative di privati ed
associazioni in favore del Lombardo nelle sue varianti linguistiche.
Ligure
La Lingua e cultura Ligure è una delle più antiche
d'Europa e risale al Popolo Ligure, che viveva in queste aree già prima
dell'arrivo dei Celti. Per oltre 1.000
anni la Liguria è stata governata dalla Repubblica di Genova, che ha cessato
di esistere solo nel 1814.
Il Ligure, lingua gallo-romanza secondo l'Unesco Red Book
for Endangered Lan- guages,The Ethnologue e l'università Sabhal Mor Outaig è
parlato in una sua variante (il Monegasco) anche nel Principato di Monaco e nei
territori Occitani confinati con la Liguria. A livello privato con associazioni
culturali e gruppi musicali sono presenti diverse iniziative per il recupero di
questa Lingua, a cui manca oggi una forma standard scritta. A livello amministrativo il Comune di Alassio
tre anni fa ha rinominato la toponomastica nella lingua ligure attuando una
politica bilinguistica.
Questo è stato fatto sfidando i divieti legislativi dello
Stato italiano che risalgono a norme emanate durante il regime fascista. Anche
il Ligure è considerato dallo Stato Italiano un "dialetto" e non una
Lingua Regionale e per questo viene discriminato.
Siciliano
La Sicilia, che dal 1946 gode di un proprio Statuto di
Autonomia, mai applicato fino in fondo dai politici Siciliani che l'hanno
governata sino ad oggi, è l'unica Regione a Statuto Speciale che non si vede
riconosciuta la propria lingua. Sia l'Unesco Red Book che Ethnologue e molti altri
studiosi affermano che il Siciliano esiste eccome!
Secondo lo Studio del Centro Ethnologue di Dallas, "il
Siciliano è differente dall'Italiano standard in modo sufficiente per essere
considerato una lingua separata", "è
poi una lingua molto utilizzata e si può parlare di parlanti bilingui" in
siciliano e italiano standard-toscano.
Se a livello culturale esiste ancora oggi una fiorente
attività, a livello politico Mancano ancora forti attività di rilancio della
battaglia per la valorizzazione della Lingua Siciliana. La rinascita in questi
ultimi anni di movimenti politici Sicilianisti come Noi Siciliani o il Partito
Siciliano d'Azione potrebbe però riportare in auge questa tematica.
Napoletano e Lingue
italiane meridionali
Anche il Napoletano e le lingue italo-meridionali, secondo
l'Unesco sono da considerarsi lingue separate dall'italiano standard (Toscano)
e non dialetti di queste.
L' attività di valorizzazione è portata avanti
principalmente da associazioni culturali e gruppi musicali. Sono presenti anche
siti Internet in lingua napoletana.
Anche la Lingua Napoletana e le altre parlate meridionali,
soffrono il fatto di essere State confinate dalla cultura ufficale italiana nel
"ghetto" dei dialetti.
LO STUDIO DELL'UNESCO
RED BOOK OF ENDANGERED LANGUAGES
In questo documento è stato citato più volte lo studio
"Unesco Red Book of Endan- gered
Languages: Europe" stilato per conto dell'Unesco dal linguista
finlandese Tapani Salminen
(Università di Helsinky) tra il 1993 ed il 1996. Salminen fa parte della Commissione
dell'Unesco che si occupa delle Lingue Regionali e Minoritarie.
Questa la classificazione del patrimonio linguistico dello
Stato italiano secondo questo studio internazionale.
Lingue Gallo-Romanze:
Franco Provenzale, Piemontese, Ligure, Lombardo, Emiliano, Veneto (altri linguisti classificano il Veneto come lingua
italo-romanza).
(A quanto mi risulta il veneto non ha un sub-strato né
celtico ne italico, ma venetico)
Lingue Reto-Romanze:
Ladino e Friulano
Lingue Sarde: Sardo Gallurese, Sardo Logudurese, Sardo Campidanese, Sardo Sassarese. (ma davvero questo zio ha fatto queste distinzioni?)
Lingue Italo-Romanze:
Corso (parlato nell'Isola della Maddalena in Sardegna????), Toscano e Centrale
(Italiano Standard), Siciliano, italiano
meridionale incluso il Napoletano, Italkian (la lingua delle comunità ebraiche
oramai parlata da poche centinaia di persone). A riguardo delle parlate delle comunità
ebraiche interessante notare come in passato queste parlassero non l'Italkian
ma il giudeo-modenese, il giudeo-veneto, il giudeo-mantovano a seconda degli
Stati e delle città preunitari dove risiedessero.
Lingue
Occitano-Romanze: Occitano e Catalano.
PROPOSTE OPERATIVE
PER UNA POLITICA BASATA SUL PLURALISMO LINGUISTICO
Questo il quadro generale delle principali Lingue regionali
parlate oggi all'interno del territorio dello Stato italiano. Come si può ben
vedere, è più ampio di quelle che lo Stato italiano si appresta a riconoscere
con una legge che è un importantissimo passo avanti ma certamente non è un
punto di arrivo per chi crede fino in fondo nel valore del rispetto di tutte le
identità, culture e lingue.
Come ovviare quindi a quelle discriminazioni di Stato ed
evitare che siano le "maggioranze" centraliste e prettamente
politiche di Stato a decidere quali sono le lingue da valorizzare e quali
invece quelle da relegare nel ghetto del "dialetto" ?
Come evitare che forme standard di lingue anche regionali,
vengano imposte sulle Varianti locali (quelle che in modo dispregiativo gli
Stati-Nazione chiamano "dialetti")
Ecco alcune proposte
che possono essere applicate non solo nello Stato italiano.
a) La politica di
riconoscimento e valorizzazione linguistica non deve essere decisa e gestita
dai Governi centrali e dagli Stati centrali, ma dalle Regioni e da altri Enti
Locali che si rifacciano a Comunità Locali. È così che le cosidette
"minoranze" usciranno dal ghetto dell'essere considerate
"minoranze", per diventare realmente Popoli e Comunità attive e riconosciute con
gli stessi diritti delle "maggioranze" di Stato. Le istituzioni
internazionali quindi devono prendere atto dei riconoscimenti a livello
Regionale e non quelli a livello Statale.
b) Avviare ed
educare ad una politica plurilinguistica e multiculturale. Si parla tanto di
società multicurale. Questa è
realizzabile solo la valorizzazione delle varie culture autoctone e delle
comunità alloctone è integrale e reciproca. E questo può accadere solo se si
parte dalla valorizzazione delle culture
e lingue locali e regionali per arrivare via via anche a quelle delle comunità
alloctone residenti sul territorio e all'insegnamento di lingue straniere per
comunicare con il mondo esterno.
In pratica una forma di tutela ed educazione che potremmo
chiamare "a cipolla" che parte dalla cultura del luogo per espandersi
via via verso il mondo. La xenofobia ed il razzismo si possono combattere con
successo tutelando ogni forma di cultura. In questo modo nessuna comunità si
sente esclusa o "non a casa propria" e viene levato l'alibi a forze
xenofobe di reclamare la difesa delle identità.
A tale riguardo, è interessante studiare ed approfondire i
metodi integrativi, basati su un approccio multiculturale che si stanno
sperimentando con successo nei Paesi Bassi e che vengono portati avanti anche
in Frisia di pari passo con la tutela della Lingua Frisona.
c) La politica di
valorizzazione e riconoscimento delle lingue regionali a livello europeo deve
essere attuata in modo estensivo in modo da poter permettere anche a quelle
Lingue oggi relegate dagli Stati nel ghetto dei "dialetti" di poter
arrivare alla loro piena tutela.
d) È necessario
far capire a chi si occupa della salvaguardia di culture lingue e tradizioni
locali, che "ogni dialetto è
lingua" e che la distinzione
tra lingua e dialetto, per ogni linguista non legato al potere è una pura
invenzione.
Spesso, molti gruppi culturali nello Stato italiano,
tutelano le proprie lingue regionali (accade in Emilia, Romagna, Lombardia, Liguria
) tramite lodevolissime iniziative che hanno un grande successo di pubblico.
Però 160 anni di propaganda di stampo centralista giacobino
al motto di "Uno stato, una
nazione, una lingua" (lo stesso utilizzato in Francia), hanno fatto
perdere loro una piena coscienza di appartenenza culturale a molte di queste
Comunità Regionali che, mentre fanno una politica chiaramente
multilinguistica, chiamano le loro lingue "dialetti",
autoconfinandosi così da sole in un ghetto-museo ed impedendo ulteriori
sviluppi. Per i linguisti e gli studiosi non c'è molta differenza tra lingua e
dialetto, ma per gli Stati sì!
Autonominando "dialetti" le loro Lingue, coloro
che si occupano di associazionismo, gruppi musicali, educazione su base locale
e regionale, si confinano da soli nel Ghetto invece di uscirvi e costruire
così nuovi orizzonti.
Le parole scritte dal friulano Pier Paolo Pasolini durante il periodo della Resistenza, ci sono da
esempio: "Il "dialetto"
diventa lingua, quando viene scritto ed adoperato per esprimere i sentimenti
più alti del cuore...per esprimere le proprie idee, il proprio sentire, i
propri desideri".
e) È poi
necessario che quando vengono riconosciute lingue senza ancora una forma
standard scritta, si individui sì una forma minima intellegibile da tutti i
parlanti per i documenti ufficiali, ma al tempo stesso si continuino a
valorizzare tutte le varianti locali di quella lingua. Non esistono le lingue
"pure" da imporre su altre esistono lingue che nelle diverse varianti
sono intellegibili tra di loro. Questa situazione si può vedere benissimo
analizzando la situazione del Sardo (già riconosciuto ma ancora senza una
forma standard) o di altre lingue come l' Emiliano.
f) Da parte loro
poi le diverse associazioni culturali, i gruppi musicali e che si occupano
dell' educazione, i linguisti che si occupano di lingue regionali dovrebbero
costituire grazie ai bassi costi delle tecnologie informatiche moderne
(Internet e posta elettronica) un "network" per poter sviluppare
iniziative comuni a livello internazionale e scambiarsi esperienze ed
informazioni utili.
Fonte: da romaniaminor.net/
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