giovedì 19 dicembre 2013

S. ZENONE «PADRE DELLA CHIESA»

Urna del corpo di San Zeno;  Chiesa di San Zeno, Verona   


Capo VI


SOMMARIO. - Controversie dottrinali nella seconda metà del secolo IV - Quali si dicono «padri della chiesa» - Scritti di S. Zeno in materia speculativa - Scritti in materia speculativo pratica - Scritti in materia pratica - Locuzioni Oscure sulla generazione del Verbo - Spiegazioni ortodosse - Spiegazioni inaccettabili - Opinione di S. Zeno sul peccato originale - Codici dei sermoni zenoniani - Edizioni -  Sermoni genuini.

L'episcopato veronese di S. Zenone cadeva in un'epoca delle più importanti nel secolo IV. Il politeismo gentile, non tanto per le leggi repressive degli imperatori cristiani, quanto per la sua intrinseca debolezza, per la sua decrepitezza, andava ogni giorno perdendo terreno e si avviava alla sua finale disfatta. Invano tentò prorogarne la fine  l'imperatore Giuliano (361-363): oramai era una religione senza fede, e quindi non potea più a lungo sussistere; i suoi cultori si sforzavano a sostenerlo come sistema politico, ufficiale, reso ornai necessario per le lunghe abitudini; era la lotta suprema e disperata per l'esistenza. D'altra parte l'arianesimo trionfava nell'Italia superiore;  dove le due sedi più importanti, di Milano e di Aquileja, avevano vescovi due Ariani, Aussenzio e Fortunaziano: il concilio di Rimini, nel quale parea avesse prevaricato tutto il mondo,  erasi tenuto nel  359,  pochi anni prima dell'episcopato di S. Zeno. In un'epoca tanto fortunosa Dio non mancò di dare alla chiesa sua uomini insigni per scienza e santità, i quali con la forza della parola evangelica combattendo da una parte il gentilesimo e l'arianesimo dall'altra,  preparassero la via al trionfo definitivo della chiesa di Gesù Cristo.

Che anche il nostro S. Zeno meriti un posto tra questi intrepidi propugnatori della fede, si fa chiaro dall'esame dei suoi sermoni. « Quello Spirito Paraclito (così l'e.mo card. Bacilieri. allora vescovo coadiutore, ai veronesi nella basilica di S. Zeno il dì 16 agosto 1889), che fu promesso agli apostoli nella chiesa docente  dal suo divino Fondatore,….  suscita  in essa secondo i molteplici bisogni dei tempi e dei luoghi i fedeli e prudenti custodi e dottori della sua fede; e Zenone fu illustre dottore di Verona, con quella sua predicazione romana di lingua, africana di stile,  evangelica nella sostanza, classica e dialettica nella forma, di cui restano monumenti i suoi trattati, grandiosa sintesi di sapienza cristiana; in cui, se colpisce, è Tertulliano;  se dipinge, Lattanzio; unisce la logica di Agostino alla concitata veemenza di Cipriano ed alla magniloquenza di Fulgenzio. Svolge magistralmente le verità del Simbolo e robustamente le sostiene e difende, opponendo alle irrisioni dei giudei le scritture dell' antico patto, alle calunnie dei gentili il più serrato raziocinio,  alle falsificazioni degli eretici il senso dello evangelo ed il suffragio della tradizione.  Così abbatte i macedoniani...;  conquide i priscillianisti...; e massimamente forbisce ed aguzza lo stile contro gli ariani;  glorioso campione della fede nicena, vanto ed onore della invitta falange degli Atanasi, dei Basilii, dei Cirilli, dei Nazianzeni, dei Nisseni,  degli Ilarii e degli Eusebii di Vercelli... Gloria a Zenone; inni e corone di gloria al difensore della fede, al debellatore delle eresie! ,, (1).

A quanto insegnano gli autori di patrologia, perchè uno scrittore sia da annoverare tra i «padri della chiesa"  è necessario anzitutto che egli sia stato illustre per santità ed abbia appartenuto ai primi secoli della chiesa; e sarà padre in senso ancora più vero, se avrà goduto nella chiesa d'una paternità spirituale, cioè della autorità episcopale.  Si richiede inoltre che abbia lasciato degli scritti di qualche mole e di somma importanza per dottrina ortodossa, proposta e difesa con erudizione.  Siccome poi l'unanime consenso dei padri, non già la dottrina isolata di ciascuno, è testimonio autentico della fede della chiesa, così uno scrittore ha diritto di essere annoverato tra i padri anche se su qualche punto particolare di dottrina non fosse immune da errore.

Non potendosi dubitare che S. Zeno abbia le qualità personali richieste per essere padre della chiesa, un breve sguardo ai suoi sermoni dimostrerà che questo titolo gli competa adeguatamente. Per maggiore chiarezza, nei sermoni di S. Zenone distinguiamo la parte speculativa, dalla parte pratica (2).

Nella parte speculativa S. Zeno propone e difende la verità rivelata contro il gentilesimo, il giudaismo e l'arianismo.  
Contro il politeismo gentile, insegna esservi un Dio solo, principio assoluto, eterno, immutabile di tutte le cose. Dio per sua libera volontà creò tutte le cose: ultimo creò l'uomo, composto di corpo mortale,  ma destinato alla risurrezione, e di anima spirituale ed immortale.  Questo Dio ha pure parlato all'uomo; e la sua divina parola si trova nei libri santi; ha parlato per mezzo dei profeti, ed in ultimo per mezzo del Figlio suo.
Contro il giudaismo, insegna che Gesù Cristo è il Salvatore del mondo promesso nell'antica legge; che Dio omai ha riprovato i sacrifici, la circoncisione, e tutto il culto giudaico.
Ma soprattutto ha in mira gli errori dell'arianesimo: sostiene la eterna generazione del Verbo, la sua consostanzialità col Padre; così pure la consostanzialità dello Spirito Santo col Padre e col Figliuolo: di Gesù Cristo insegna espressamente che è lo stesso Figlio di Dio fatto uomo; generato Dio dal Padre, nato uomo da Maria.
 Del resto combatte pure gli altri errori del secolo IV. Così egli difende la perpetua verginità di Maria contro Elvidio o forse contro qualche antecessore di lui: dall'insistenza, con cui proclama che chi è nato da Maria Vergine è Dio e il Figlio stesso e proprio di Dio, sembra che abbia inteso confutare Fotino; forse in qualche luogo ha anche in vista l'antropomorfismo degli audiani.

Nella parte, diremo così, speculativo-pratica i sermoni di S. Zeno ci danno chiare testimonianze circa i sacramenti.  Del Battesimo vi troviamo espressamente insegnata la necessità e l'efficacia. Questo fonte sacro «vero sacramento homines suscipit mortuos, et inspiratos aqua coeIesti mox efficit vivos».  CosÌ ce ne indica pure la  initerabiIità: «hanc aquam  nec  effundere  licet,  nec  rursus  haurire» (3). Riguardo all'Eucarestia, è vero che nei sermoni di S. Zeno non ne ricorre mai il nome,  come con altri protestanti ha osservato il pastore Schiitz;(4) ma ne ricorre più volte la realtà,  sia quanto al sacramento, sia quanto al sacrificio.
 S. Zeno parla più volte del convivium e del prandium coeleste, nel quale il Padre di famiglia «panem  vinumque pretiosum sua de mensa largitur»;  egli spesso ricorda ai suoi fedeli il gran dono, nel quale « omnibus unus panis cum signo datur, acqua cum vino» (5).
In queste forme di dire S. Zeno custodisce gelosamente la disciplina dell'arcano; ma in altro sermone, dice più chiaramente: « calix Sanguinem, mensa Corpus significat »(6). Al sacramento ed al sacrificio spetta quel grave ammonimento: «Videat  unusquisque  quemadmodum sacrificium aut sumat aut offerat;  sicut enim indigne offerre  sacrilegum est,  indigne  manducare mortiferum» (7); è chiaro che le voci sumere, manducare, non si possono riferire alla mortificazione delle proprie passioni. E' pure abbastanza chiara l'allusione al sacrificio per i defunti in queste parole: «Solemnia  ipsa  divina  quibus  a  sacerdotibus  Deo (al. Dei)  quiescentes  commendari  consueverunt» (8).

Per il sacramento della Penitenza ci basti riferire quella magnifica sentenza, in cui S. Zeno ne espone l'efficacia: «Novum judicii genus; in quo reus, si excusaverit crimen,  damnatur; absolvitur,  si  fatetur!... Pretiosa indulgentia, quae et veniam praestat et medicinam» (9).   Anche le dottrine della necessità di appartenere alla chiesa, della comunione dei santi, della universale risurrezione, del finale giudizio, della eterna felicità riservata ai giusti e delle pene eterne per i peccatori, ed altre trovano un'autorevole testimonianza nei sermoni di S. Zeno.

Nella parte puramente pratica, S. Zeno inculca la necessità della fede nelle verità da Dio rivelate; ma non meno insiste sulla necessità delle opere buone per conseguire l'eterna salvezza.  Tra le virtù necessarie ad ogni uomo, raccomanda ed inculca la carità verso Dio ed i prossimi; poichè nella carità, più che nella fede e nella speranza, consiste «omne  christianitatis depositum»; cosic;

chè la stessa fede e la speranza, qualora «a dilectionis fundamento velluntur», ad altro non servono che a seminare scismi ed eresie.  Raccomanda pure ed inculca l'umiltà, la pazienza, la liberalità, la pudicizia propria dei vari stati: particolarmente elogia la  continenza perfetta, come quella che, consigliata e non comandata, avvicina ed unisce l'uomo a Dio e lo rende felice anche qui in terra.

Da questo breve riassunto apparisce quanto estesa fosse l'erudizione dottrinale di S. Zeno nelle verità cristiane; della quale erudizione ci lasciò monumento imperituro i suoi sermoni(10).

Tuttavia non dobbiamo dissimulare che nei sermoni di S. Zeno occorrono alcune espressioni, che, almeno a primo aspetto, non sono conformi alle dottrine della chiesa.  Lasciamo pur da parte le forme di dire, che sembrerebbero infette di errori a lui posteriori: come quella, dove del Figlio di Dio dice « inter Deum hominemque quem sumpsit»; e l'altra, dove della carità dice « Deum in hominem demutare valuisti». Di queste e di simili espressioni è facile provare che possono e devono intendersi in senso ortodosso, sia per il loro contesto e confronto con luoghi parallelli, sia tenuto conto dell'epoca in cui furono scritte,  prima cioè, che le controversie monofisite e nestoriane introducessero nell'uso degli scrittori ecclesiastici una terminologia definita ed esatta.

La difficoltà sta in altre espressioni, che sembrano avere senso ariano, benchè  furono scritte dopo le controversie ariane.   In riguardo di queste il Petavio, forse un po'  troppo acre contro gli stessi padri  anteniceni, muove i suoi lamenti particolarmente  contro S. Zeno posteriore all'arianesimo: « De antiquioribus quidem (Patribus antenicaenis) minus est mirandum:... Zenonem Veronensem Episcopum satis mirari nequeo, qui eadem cum priscis illis existimasse  videtur»(11).  
Diamo i luoghi più difficili: « De Deo nascitur  Deus... totum  Patris habens: ... procedit  in nativitatem qui erat, ante quam nasceretur, in Patre; aequalis in omnibus, quia Pater in ipsum alium se genuit ex se».   «Cuius (Patris) ex ore,  ut rerum natura quae non erat fingeretur, prodivit unigenitus Filius,  cordis  ejus  nobilis inquilinus,  exinde visibilis necessario effectus».   «Principium  Dominus  noster est  Christus, qui ante omnia saecula Pater uterque  in  semet  ipso Deus... amplectebatur:  sed  excogitatarum ut ordinem instrueret  rerum, ineffabilis illa virtus... e regione cordis  eructat Verbum: De Deo nascitur Deus» (12).

Queste forme di dire e tra esse la più dura «procedit  in nativitatem qui erat,  antequam nasceretur, in Padre»  sembrano affermare che il Verbo, sia bensì esistito ab aeterno  nel Padre, ma non sia generato ab aeterno; e così sembrano negare la immutabilità di Dio e insieme l'eternità, e quindi anche la divintà, del Figlio.

I teologi, veronesi e non veronesi, si studiarono di dare a queste espressioni una interpretazione, che fosse abbastanza conforme al sentimento del nostro santo ed insieme rispondesse alla dottrina cattolica.  Tra le molteplici interpretazioni date alle espressioni più difficili, sia di alcuni padri  anteniceni,  sia del nostro S. Zeno, a noi sembra più accettabile quella data dal card.  Franzelin; tanto più che essa fu accettata da quasi tutti i teologi recenti(13):  «Se il Verbo si consideri in relazione al Padre, si dice che egli è in sinu  Patris,  in corde Patris; benchè sia veramente Figlio e veramente generato ab  aeterno: se all'incontro si consideri in relazione ad extra, in quanto nel Verbo si considera il divisamento e l'idea della creazione, comunicata ab aeterno dal Padre nel Figlio, oppure la stessa manifestazione ed operazione ad extra e la missione di lui dal Padre che è libera, allora si dice nato, cioè manifestato ad extra ante saecula, ma non ab aetern »(14). A questa interpretazione si avvicina nella sostanza quella data già da Giorgio Bullo, dai Ballerini, da Gilardoni e da altri.

Il  Bonacchi tentò di interpretare per natività del Verbo quella, per cui egli nacque dal seno di Maria; la quale senza dubbio è posteriore all'esistenza del Verbo nel seno del Padre (15).  Ma è un'interpretazione evidentemente aliena e contraria all'intendimento di S. Zeno, il quale parla sempre di natività  ex corde,  ex sinu Patris,  ex ore Patris, ecc.

Contro l'interpretazione dei Ballerini, un'altra ne escogitò  Bartolomeo Perazzini, che fu arciprete di Soave nella seconda metà del secolo XVIII; e questa, con nostra meraviglia, troviamo adottata dal can. Giuliari  nella recente edizione dei sermoni di S. Zeno. Secondo costoro, la natività del Figlio si deve distinguere dalla sua  origine ed esistenza nel seno del Padre;  cosicchè si deva dire che il Verbo esistette bensì ab aeterno nel seno del Padre, ma non è nato né  fu generato dal Padre ab aeterno e per conseguenza non è propriamente Figlio ab aeterno.   A conferma recano quanto avviene nelle cose create;  nelle quali l'esistenza precede la nascita.   Perciò asseriscono che il Verbo, esistito ab aeterno  nel seno del Padre fu generato allorchè  doveansi creare le cose.  
Conclude il Perazzini:  «Paucis verbis tota sanctissimi et doctissimi Episcopi nostri, de Filii  Dei origine et nativitate,  purissima et tutissima  doctrina comprehenditur: Origo aeterna,  Nativitas  divina ante tempus,  Nativitas humana temporalis »(16). Dicono che questa interpretazione, oltrecchè rispondere alla mente di S. Zeno, è conforme alla verità cattolica.

Qui sarebbero a farsi due questioni.

La prima è critica: se tale esposizione risponda al testo e contesto dei luoghi allegati dai sermoni di S. Zeno. Questione difficilissima, e d'utilità forse secondaria per la maggior parte dei lettori: perciò crediamo opportuno ometterla.

Ma non possiamo omettere la seconda teologica: se la data esposizione sia conforme alla verità cattolica.  A questa rispondiamo negativamente per le seguenti ragioni:
a) essa è troppo nuova e singolare: è contraria alle sentenze dei padri, almeno di quanti scrissero dopo il concilio di Nicea, contraria alla dottrina dei catechismi e delle scuole cattoliche.
b) In questa esposizione è impossibile salvare l'immutabilità di Dio e la verità del mistero della SS. Trinità: antecedentemente alla natività del Verbo non si può concepire la Trinità delle Persone, la quale consiste unicamente nelle relazioni.
c) L'argomento desunto dalle creature è troppo inetto; l'esistenza anteriore alla nascita non è essenziale al concetto di generazione, ma proviene dall'imperfezione delle cose create. Perciò stimiamo che si devano, quanto è possibile, addurre interpretazioni conformi all'insegnamento cattolico;  che se tali interpretazioni non fossero possibili, noi lasceremmo a parte in questo punto l'autorità del nostro santo dottore: «amicus Plato, sed magis amica veritas ».

Altrettanto ci  è d'uopo avvertire su altra opinione del nostro santo. Trattando egli del peccato originale, troppo chiaramente afferma che il peccato di Adamo fu un peccato carnale; opinione,  che egli conferma dal precetto della circoncisione (17). Sembra che tale opinione egli abbia ereditato da Clemente Alessandrino: ma essa è troppo aliena dalle parole della sacra scrittura; è troppo singolare; inoltre ripugna all'insegnamento comune dei padri e particolarmente di sant'Agostino, secondo i quali Adamo nel paradiso terrestre era immune dal fomite della concupiscenza (18).

I Sermones di S: Zeno, quali ora li abbiamo, alcuni abbastanza lunghi e completi, altri appena abbozzati, certamente non furono scritti da lui, specialmente i secondi. Probabilmente furono raccolti da qualche sacerdote o chierico, mentre egli li teneva ai fedeli: quindi nessuna meraviglia che alcuni non riferiscano letteralmente ciò che il santo vescovo intendeva e diceva. Essi per molti secoli rimasero in qualche ripostiglio dell'episcopio di Verona, senza che alcuno ne avesse conoscenza.  Il primo, che li conobbe e li fece conoscere, fu il nostro vescovo Nottingo (840-844), il quale ebbe alla mano un apografo del secolo IX e nel suo viaggio in Germania ne diede una copia ad Incmaro vescovo di Reims. Questi lo ripose nell'archivio di S. Remigio (19).  Di altro esemplare rimasto nell'episcopio di Verona usò pure il nostro vescovo Raterio; il quale spesso nelle sue opere cita e riporta alcuni tratti dei sermoni di S. Zeno. Non crediamo opportuno seguire le ulteriori peripezie dei codici zenoniani.

I dottissimi fratelli Pietro e Girolamo Ballerini nell'anno 1739 diedero un'edizione di questi sermoni che si riteneva omnibus numeris absoluta, e l'adornarono con eruditissimi prolegomeni e dissertazioni: ma essa ben tosto trovò avversari gravissimi massime nel clero veronese; tra questi specialmente Antonio M. Cenci, Bartolomeo Campagnola, e Bartolomeo Perazzini, il quale francamente pose la tesi: «Nova et vera S. Zenonis editio curanda est» (20).

Recentemente diede una nuova edizione il can. G.B. Giuliari: oltre che dell'edizione Balleriniana si giovò di altri codici inesplorati ai Ballerini e degli studi di Perazzini, Da Prato, Sparavieri, ecc.(21).

Secondo il parere di Giuliari, i sermoni di S. Zeno genuini nel senso sovraesposto sarebbero novantatre.  Il Commentarium intorno alla vita, al culto ed ai sermoni è della massima importanza, sia per la copia di notizie, sia per la critica erudizione, con cui sono sceverate le notizie storicamente certe dalle incerte e dalle leggendarie.

Non dobbiamo dissimulare che intorno alla genuinità obbiettiva dei sermoni furono mosse in passato e recentemente risuscitate gravi difficoltà (22).  Lasciando ora a parte le controversie antiche, un recente scrittore alemanno asserisce e con argomenti di critica interna si studia dimostrare che i sermoni novantatre attribuiti a S. Zeno dalla tradizione sono tutti genuini (23); mentre altro recente scrittore francese, celebre cultore delle cose ecclesiastiche africane, sembra tuttora dubitarne (24).

Non ci pare opportuno entrare in questione tanto intricata e di poca utilità pratica. Ci basti accennare che tra i diversi sermoni attribuiti a S. Zeno si trovano grandi varietà nei termini e nelle frasi e nello stile;  talchè in alcuni la forma è chiarissima e piana, in altri enigmatica e talvolta incomprensibile: ragioni, che se non volgono a negare l'unicità dell'autore, ci autorizzano a dubitarne (a).



NOTE


1- Nella raccolta: S. Zenone - Panegirici, Omelie, ecc.. pag. 168, 3.

2 - Noi citeremo sempre l'Edizione GIULlARI, anche in riguardo alle Note; benché sovente queste siano letteralmente identiche a quelle dei Ballerini.

3 - S. ZENO, Sermones, Lib. II,  Tract.  XXVII, 3,  XXXVI,  XXXVII.

4 - SCHÜTZ, S. Zenonis  Doctrina Christiana, pag. 18 (Lipsiae 1854).

5 - S. ZENO, Lib. I, Tract. XIV 4, II. 38. - Cf. GIULlARI,  Op. cit., pagg. 106.  242.

6 - S. ZENO, Lib. II, Tract.  XIV 4.

7 - S. ZENO, Lib. I, Tract.   XV 5.

8 - ZENO,  Lib. I, Tract.  XVI  6.

9 - S. ZENO, Lib. II, Tract.  XXXIX,  XL,  XLI.

10 -  Vedi GIULIARI,  S. Zenonis...  Comment.,  Cap. V.,  Catechismus  Zenon.

11 - PETAVIUS,  De Trinitate,  Lib. I,  Cap. V,  Num. 7.

12 - S. ZENO,   Serm.,  Lib. Il,  Tract.  III,  IV,  V,  1;  etc.

13 - Vedi JUNGMANN,  Dissert. in Ristor.  eccles.  Dissert. V,  Num. 59-74.

14 - FRANZELIN, De Deo trino,  Thesis  XI.  III, 2.

15 - BONACCHI,  Dissert. crit. de S. Zenonis  Ep.  Veron.  epoca, Cap. I, § 22.

16 - Presso GIULlARI, S. Zenonis  Serm. Monitum, pago 138 segg.

17 - S. ZENO,  Sermones, Lib. I, Tract. II, 8, Tract. XIII, 5. - Del resto, in altro luogo di Adamo avea detto «sacrae arboris pomum male dulce delibasse »,  Tract. XI, 3.

18 - Vedi BALLERINI  Dissert. II,  Cap. IV.

19 - Ricuperato dal nostro Maffei, perì nell'incendio della Biblioteca Zenoniana  l'anno 1775.         
20 - PERAZZINI, Correctiones et explicationes..., pag. 48  (Veronae 1774).

21 - Che questa Edizione dei Sermones del nostro S. Zenone prostet  libella una cum dimidio, certo non torna a decoro del Clero Veronese.

22 - Trattato FESSLER.  Inst. t. patrol. Tom. I, Cap. IV 130 (Innsbruck 1890);  BARDENHEWER, Patrol.  Epoca § II 87 n. 10 (Roma 1903); SCHÜTZ,  S. Zenonis  doctrina  christiana (Lipsiae 1854);  JAZDZEWSCHI,  Zeno Veron. Ep. Commento patrol.. pag. 40-42  (Ratisb. 1862).

23 -  BIGELMAIR.  Zeno von Verona (Miinster 1904).

24 - MONCEAUX, Hist. lettèr.  De  l'Afrique chretienne,  Tom. III.  Le IV siecle d'Arnobe a Victorine (Paris 1906).



ANNOTAZIONI AL CAP. VI (a cura di A. Orlandi)

(a) pag. 5O. - Da una decina di anni è a disposizione la moderna edizione critica dei sermoni di S. Zeno: ZENONIS VERONENSIS, Tractatus - Edidit B.  Löfstedt. Turnhout 1971.



Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I






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