Il volto di San Zeno come appare di profilo e di fronte dopo
la ricostruzione effettuata dagli esperti
SCOPERTE. Presentati i risultati dell´analisi eseguita dal
laboratorio di medicina legale dell´ateneo scaligero sui resti del patrono.
Ricostruita al computer la fisionomia
Il «Vescovo moro» aveva davvero la pelle scura. Le
caratteristiche somatiche sono quelle della popolazione nordafricana, e
avallano la provenienza dal Maghreb
IL PATRONO DI VERONA
Il «Vescovo moro» era «moro» per davvero. La scienza
conferma la verità della fede, in un incontro emozionante e coraggioso che ha
consentito non soltanto di procedere alla ricostruzione storica, ma di scoprire
dettagli inediti e perfino, avvalendosi delle più sofisticate tecnologie, di
dare un volto al patrono di Verona. Sono stati infatti presentati ieri mattina (31 gennaio 2013) in Vescovado gli
esiti scientifici della ricognizione del corpo di San Zeno, decisa ancora nei
mesi estivi per la ricorrenza dei 1.650 anni dall´elevazione a vescovo della
nostra città. E tutte le analisi realizzate coincidono nel confermare che quei
resti appartengono ad un uomo dalla pelle scura (risolvendo secoli di
controversie), vissuto nel IV secolo, cioè all´epoca di San Zeno, offrendo
molte indicazioni sulle sue caratteristiche fisiche.
«Quando abbiamo deciso di procedere a questo lavoro non
sapevamo quali risultati avremmo raggiunto», ha spiegato il vescovo Giuseppe
Zenti, intervenuto alla presentazione dei risultati con l´abate di San Zeno
monsignor Gianni Ballarini. A spiegare il lavoro compiuto Franco Alberton,
medico legale, il professor Fiorenzo Facchini, professore emerito alla scuola
di specializzazione in Archeologia dell´Università di Bologna, il professor
Franco Tagliaro, direttore di Medicina legale dell´Università di Verona, con i
colleghi Domenico di Leo e Stefania Turrina. «Erano possibili anche esiti non
previsti», ha aggiunto monsignor Zenti. «Ma sono convinto che sia giusto
approdare alla verità della realtà grazie ai progressi della scienza. Anche se
lo scheletro analizzato non fosse stato identificabile con San Zeno, il culto
sarebbe rimasto inalterato, potevamo anche imbatterci in un falso storico».
Ma tutto lascia intendere, per lo meno fino all´esito
attuale delle analisi, che potranno essere ulteriormente approfondite, che
quello è davvero lo scheletro di San Zeno. Lo confermano le analisi medico legali
e tossicologico forensi eseguite a Verona: come ha spiegato Tagliaro, «nelle
ossa di San Zeno si rileva una presenza molto più alta del normale di piombo e
mercurio, dato presente anche nell´analisi dei resti di Cangrande. Il piombo si
spiega con il fatto che di tale elementi erano fatti gli utensili da cucina, il
mercurio era usato come antibatterico, forse assunto come curativo».
Ma il momento più affascinante è stato sicuramente quello
della ricostruzione facciale. «Attraverso un programma particolare, abbiamo
ricostruito al computer il volto del santo», ha spiegato ancora Tagliaro. «Si
tratta di eseguire una tac del cranio, quindi, mediante modelli informatici,
viene realizzato un manufatto che corrisponde alla struttura del cranio e su
questo il programma disegna la tipologia facciale che meglio si adatta».
Una tecnica investigativa tipicamente forense, di quelle che
in genere si impiagano per una complessa scena del crimine, questa volta usata
per scoprire verità lontane.
Altro dato essenziale ricavato, la provenienza geografica.
«Il dna estratto dal frammento femorale di San Zeno», ha detto De Leo, «ha
fornito un profilo che conferma che si tratta di spoglie di un soggetto di
sesso maschile e ne colloca l´origine di provenienza nell´area mediterranea-nord
africana, ipotesi che risulta dunque del tutto compatibile con l´origine
mauritana di San Zeno, la zona attualmente costituita da Tunisia e Algeria».
«Da rilevare anche che la reliquia mostra uno stato di
conservazione davvero eccezionale», ha concluso Alberton. «Questo potrebbe
significare una speciale attenzione devozionale nei secoli, che avrebbe
permesso questa straordinaria qualità dei resti: dunque, una conferma in più
che si trattava di una personalità importante, oggetto di venerazione».
IL METODO DEL RADIOCARBONIO CONFERMA: VISSE NEL IV SECOLO
Gli esperti che hanno lavorato al progetto
LO STUDIO COMPARATO. L´indagine dell´Università di Bologna
coincide con quella scaligera
L´archeologo Facchini: «I resti ci dicono che era alto
165-167 centimetri e morì tra i 50 e i 60 anni»
Oltre all´Istituto di Medicina legale del nostro ateneo,
anche il laboratorio di Bioarcheologia e Osteologia forense dell´Università di
Bologna ha realizzato una serie di analisi, avvalendosi pure della
collaborazione di altri istituti, che coincidono nei risultati.
«Per quanto
riguarda la datazione», ha spiegato il professor Facchini, «i reperti sono
stati datati dal centro di datazione e diagnostica dell´Univesità del Salento
mediante la determinazione del radiocarbonio con il metodo dell´acceleratore:
ne è risultato che i reperti sono compatibili con i dati storici relativi a San
Zeno, vissuto nel IV secolo e morto dopo il 372».
In merito all´identificazione antropologica, ha proseguito
Facchini, «i reperti risultano in ottimo stato di conservazione: si riferiscono
ad uno stesso individuo di sesso maschile. La stima dell´età della morte,
determinata dal grado di sinostosi delle suture craniche, da alcuni caratteri
del bacino, da numerosi segni di artrosi, suggerisce un´età superiore ai 50
anni: diciamo tra 50 e 60 anni. La forma del cranio è ovoide corto, la faccia,
le orbite e il naso sono alti. Assai marcate le arcate sopraorbitarie, il che
conferma un´origine dall´Africa settentrionale. La statura, stimata dalla
lunghezza degli arti con diversi metodi, doveva essere di 165-167 centimetri,
che può considerarsi una statura media. Dal punto di vista antropologico, il
soggetto può considerarsi di tipo mediterraneo europoide, largamente diffuso in
epoca romana nelle regioni che si affacciavano sul Mediterraneo, compresa
l´Africa settentrionale».
Altri dati arrivano dall´esame del dna eseguito nel
laboratorio di antropologia molecolare di Firenze. «Questi hanno messo in
evidenza», spiega ancora Facchini, «l´alleale G ancestrale responsabile della
pigmentazione scura della pelle: la presenza di questo alleale in un soggetto
che non ha però caratteristiche morfologiche negroidi, ma è riconducibile al
tipo mediterraneo, indice a supporre qualche mescolanza nei suoi antenati con
il ceppo melanodermo, caratteristico delle popolazioni subsahariane. Questa
caratteristica si accorderebbe proprio con quanto la tradizione riferisce circa
il colore scuro della pelle di San Zeno». A.G.
PROTETTORE DEI PESCATORI,
DOMÒ LE ACQUE DELL´ADIGE
LA VITA. È stato l´ottavo presule. Molti sono i miracoli a
lui attribuiti.
Zeno, o Zenone fu l´ottavo vescovo di Verona. La maggior
parte della sua vita è avvolta nella leggenda, ma pare fosse originario della
Mauretania, e per questo vi si fa riferimento come a «il Vescovo Moro». Fu vescovo
di Verona dal 362 al 371 o 372 o 380, anno della sua morte.
Secondo le fonti agiografiche visse in austerità e
semplicità, tanto che pescava egli stesso nell´Adige il pesce per il proprio
pasto. Per questo è considerato protettore dei pescatori d´acqua dolce. Era
comunque persona colta ed erudita, formatosi alla scuola di retorica africana,
i cui maggiori esponenti furono Apuleio di Madaura, Tertulliano, Cipriano e
Lattanzio. Sono giunti fino a noi numerosi suoi sermoni, di cui 16 lunghi e 77
brevi, che testimoniano come, nella sua opera di evangelizzazione, si confrontò
con il paganesimo ancora diffuso e si applicò per confutare l´arianesimo.
I miracoli che le leggende devozionali raccontano sono
parecchi. La leggenda più straordinaria è però riferita da papa Gregorio I
(Gregorio Magno) e narra di un improvviso straripamento delle acque dell´Adige
che sommerse tutta la città fino ai tetti delle chiese, al tempo del re
Longobardo Autari. Le acque arrivarono alla cattedrale dove il re aveva appena
sposata la bella principessa Teodolinda, precisa il monaco Coronato, ma si
sarebbe arrestata improvvisamente, in sospensione, sulla porta, tanto da poter
essere bevuta, ma senza invadere l´interno. Ciò avrebbe determinato la salvezza
dei veronesi, che, pur non potendo uscire, poterono resistere finché la piena
non calò.
La sua festa è fissata nel martirologio al 12 aprile, ma la
diocesi di Verona lo celebra il 21 maggio, giorno della traslazione del corpo
fatta dai santi Benigno e Caro dalla temporanea sepoltura nella Cattedrale alla
zona dell´attuale Basilica, il 21 maggio 807.
Fonte: srs di Alessandra
Galetto, da L’Arena di Verona, di venerdì 01 febbraio 2013 CRONACA,
pagina 13
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FOTO MARCHIORI
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