venerdì 15 gennaio 2010

Quando nell’ Italia del nord vi fu la dittatura del… proletariato



Lenin

Dopo la prima guerra mondiale nelle province del nord, le “camere del lavoro socialiste” avevano praticamente preso il potere sulla popolazione e, in una condizione di generale assenza dello stato, si stabilì una vera e propria dittatura del proletariato.

Questa dittatura interessava la vita sociale ed economica del paese.  Chi non si sottometteva alla logica dei socialisti incorreva in multe, taglie e nel  BOICOTTAGGIO.

Dopo la guerra infatti le leghe socialiste avevano preso totale controllo degli uffici di collocamento che divennero uffici di collocamento di classe: questi, abbandonato l’antico sistema contrattuale, imponevano ai datori di lavoro l’assunzione di operai avventizi indipendentemente dalla effettiva richiesta di manodopera, mentre i lavoratori potevano ottenere lavoro solo iscrivendosi alla lega stessa. Così cominciarono le imposizioni delle multe o taglie ossia costrizioni a pagare somme di denaro nelle mani dei capi-lega, il cui mancato pagamento portava al boicottaggio.

Chi infatti non si piegava alle imposizioni dei massimalisti veniva isolato dalla vita sociale del paese: non poteva acquistare più niente perché il partito vietava ai bottegai di vendere al boicottato, non solo quello che eventualmente serviva per poter lavorare, ma anche per mangiare. In questo modo si manteneva alta la tensione sociale.

Scriveva Tasca all’epoca dei fatti: «Il “giallo” (cioè chi si rifiutava di iscriversi alla lega socialista) è boicottato: il fornaio gli deve rifiutare il pane;  egli è trattato come un lebbroso, come pure sua moglie e i suoi bambini. Intorno a lui si fa il vuoto, sicché deve piegarsi o abbandonare il paese».

I motivi del boicottaggio erano dei più assurdi: se un agricoltore trasportava i prodotti del suo terreno con i suoi carri, la lega gli imponeva una taglia perché il trasporto doveva essere fatto con i carri dei propri organizzati. Se uno falciava l’erba con la falciatrice meccanica, pioveva la multa perché quell’erba doveva essere tagliata a mano dagli operai voluti dalla lega.
Le lega inoltre decideva quali lavori dovevano essere fatti, vietava ad esempio la raccolta di prodotti già maturi se erano di scarso rendimento, vietava il carico e lo scarico dei prodotti all’operaio che aveva curato il raccolto, perché tali mansioni dovevano essere svolte dai facchini organizzati dalla lega.
Questo tipo di gestione totalmente disordinata e violenta portò oltre ad un generalizzato stato di tensione, di violenze pubbliche e private, di atti di furto e di esproprio coatto, ad una riduzione della produzione agricola che, fra il 1919 ed il 1920, si ridusse di un terzo.

Fonte: NR-DI

(VR 15 gennaio 2010)

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