martedì 12 gennaio 2010

Il bluff della class action all' italiana




Una notizia del genere dovrebbe essere annunciata da squilli di trombe, tappeti rossi e cose simili. Perché dal 1° Gennaio 2010 il nostro paese si è dotato di uno strumento degno di un paese civile, e che forse ci permetterà di fare un passettino in più verso la società evoluta. Sto parlando della Class Action, strumento di tortura per le grandi multinazionali del tabacco (o comunque le grandi multinazionali in genere), Philip Morris insegna.
Qualcuno potrà obiettare che in Italia non abbiamo “multinazionali” come quella appena citata. Questo deve essere stato fatto notare anche al legislatore, che infatti ha ben pensato di non introdurre la Class Action in Italia.

«Ci piacerebbe essere smentiti dai fatti» dice Liliana Ciccarelli, responsabile settore conciliazione di Cittadinanzattiva «ma temiamo che così come è stata ideata la class action sia sostanzialmente inutile».
Innanzitutto, per chi non lo sapesse, la class action è quello strumento – che ad esempio i cittadini statunitensi conoscono molto bene – che permette, qualora una grande multinazionale commetta un illecito – si pensi alle tante class action contro i danni del tabacco – ai cittadini colpiti da tale illecito (o danno fisico-materiale) di agire in giudizio tramite l'aggregazione con tutti coloro che sono stati colpiti dallo stesso illecito, e che diventano di fatto un “cliente” solo per gli avvocati che seguono questi casi. È un'aspetto logico, naturalmente: un conto è un avvocato che si ritrova a difendere un soggetto verso la lobby – o la Pubblica Amministrazione – ed un conto è quell'avvocato che, contro quella stessa lobby – o quella stessa Pubblica Amministrazione – si trova a difendere centinaia, a volte migliaia di persone. Il “peso” delle due situazioni capite bene essere nettamente differente.

Ed a proposito della sorella maggiore dell'”azione collettiva per la pubblica amministrazione” (com'è stata ufficialmente chiamata la class action all'italiana), la legge americana consente agli avvocati di essere pagati in percentuale all'indennizzo che riescono ad ottenere se riescono a vincere la causa (considerata come vittoria anche il raggiungimento del patteggiamento), così che i cittadini – in America – sono seguiti dai principali studi legali, allettati dai grandi compensi che tali azioni possono portare. Sempre nella sua versione a stelle e strisce – introdotta nel 1938 e revisionata nel 1964 – la class action introduce il concetto di indennità punitiva: il giudice può scegliere un risarcimento più alto di quello effettivo, ed allargare gli effetti della sentenza non solo a chi ha partecipato attivamente – e fisicamente – all'azione, ma anche a tutti i membri della comunità che si trovano nella situazione medesima.

Tutto questo succede con la class action in versione americana. Perché con la versione italiana – come si suol dire – è un altro paio di maniche.
Innanzitutto quest'ultimo concetto dell'indennità punitiva non è previsto. Ma se il problema principale fosse questo si potrebbe anche parlare di una legge che arrivi almeno a guadagnarsi l'appellativo di legge decente. Invece no. Perché, visto che siamo in Italia e abbiamo i legislatori che ci ritroviamo, non solo non esiste alcuna maggiorazione dell'indennizzo decisa a discrezione del giudice, ma – almeno per la Pubblica Amministrazione – non esiste proprio un risarcimento! Il testo della legge, infatti, parla chiaramente di «nessun onere a carico dello Stato», e non c'è bisogno di spiegare cosa si intenda con questa locuzione. Aggiungendo danno alla beffa, poi, le spese per l'avvio delle pratiche procedurali saranno proprio a carico della parte più debole, cioè di chi ha richiesto l'azione. Dalle mie parti si usa dire curnuti e mazziati. Ma non finisce certo qui. Perché si sa che in questo paese le uniche leggi “decenti” o sono quelle ad personam oppure sono quelle che salvaguardano lobby e potentati vari.

La class action de noantri, infatti, non si applica – tra le tante cose – a tutto ciò che riguarderebbe indennizzi per inquinamento ambientale. Per cui dimentichiamoci class action contro l'Ilva di Taranto, contro l'amianto, il petrolchimico di Gela o quello di Porto Marghera, perché nessuno potrà iniziare un'azione legale “di massa” contro i veri cancri del paese. Il legislatore, a cui evidentemente è stato fatto presente che si sarebbe potuto iniziare ad utilizzare la class action a partire dai primi giorni del 2010, ha ben pensato di concludere il tutto con una sorpresina, la classica ciliegina sulla torta: la class action all'italiana, infatti, non ha funzione retroattiva. Cosa vuol dire questo? Che – come nel caso dell'inquinamento ambientale – non si potrà adire con questo nuovo strumento legale per le grandi truffe che abbiamo conosciuto in questi ultimi anni (dalla Parmalat alla Cirio, passando per Alitalia, Lehman Brothers e i bond argentini).

Insomma: più che di class action, secondo me, bisognerebbe parlare di bluff action...!


Fonte: srs di Andrea Intonti;  da Report on line.it    del 05 gennaio 2010

Link: http://www.reportonline.it/2010010539903/economia/il-bluff-della-class-action-all-italiana.html

(VR  12 gennaio 2010)

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