di GILBERTO ONETO
Fra i frequentatori di questo giornale ce ne sono alcuni
che mostrano una particolare idiosincrasia per il termine Padania e per
quel che significa. Spesso si tratta di un’avversione che non trova altra
giustificazione se non nel cattivo uso che certa dirigenza leghista ne ha
fatto. È il frutto di una sorta di transfer di inimicizie: chi mi ha
fregato è milanista e perciò odio il Milan. Bossi e i suoi ci hanno illusi
tutti con la promessa della Padania, l’hanno poi trasformata in un concorso di
bellezza e in un giro ciclistico, l’hanno caricaturizzata con il ridicolo
saluto di “Buona Padania” (roba da teatro del non senso), ne hanno fatto una
pancera elastica da estendere a piacimento sulla carta geografica: l’hanno
insomma sputtanata. E in tanti trasferiscono il loro rancore dal soggetto al
prodotto dell’inganno. É una repulsione psicanalitica più che culturale o
politica. Lo dimostra il fatto che sono in buona compagnia. I peggiori figuri
dell’italianità attaccano, denigrano, sviliscono l’idea di Padania non per
delusione ma per paura, ma il risultato non cambia.
Fini non perde occasione per ripetere con fare saputello
che la Padania non esiste e l’altro giorno ci si è messo anche Mario Monti, che
– con l’abituale energia da pesce lesso – è andato a Palermo a dire due
cose: di sentirsi siciliano e che la Padania non esiste. Ovazioni dal pubblico.
Ha detto più o meno: «La Padania non ha confini naturali, etnici,
linguistici e geografici (forse prendendo a riferimento la Svizzera), non
credo proprio che esista. So invece cosa è la Sicilia, e quando vengo qui sono
colpito dalla bellezza e dalla potenziale ricchezza». Una osservazione che
dovrebbe mettere molto in allarme i siciliani.
Perché questi signori dedicano tanta dotta attenzione a
un’idea che la stessa Lega ha derubricato, preferendo un asettico e ambiguo
Nord? Non c’è nessuno che in questa campagna elettorale sventoli bandiere
padane: perché allora perdere tanto tempo prezioso a occuparsene?
Perché la Padania è la cosa più pericolosa per lo Stato
italiano ladro e maneggione, perché in tutta la sua storia non c’è mai stato
nessun altro progetto con la stessa potenzialità devastante e che sia andato
più vicino a liberare il mondo da un gigantesco foruncolo vecchio di 150 anni.
Il sistema non ha mai vacillato neppure davanti alle più
devastanti e sanguinarie ideologie, si è fatto un baffo di rivoluzioni
rosse o nere, di brigatisti, di “uomini qualunque” e oggi di grillini: nessuno
di loro ha mai neppure lontanamente tentato di terminare lo Stato unitario. La
sola cosa che gli fa davvero paura è il progetto di Padania. Gli ha fatto paura
quando è stato gestito da una banda di goliardici sciamannati presto
ammansiti con stipendi e cadreghe, figuriamoci se fosse maneggiato da qualcuno
più serio. È vero che lo hanno in passato disturbato separatismi periferici
e bombaroli, come oggi lo impensieriscono talune pulsioni regionaliste ma
sono tutte cose che lo Stato italiano può fronteggiare senza troppi
pericoli. Cosa non riuscirebbe a contenere è proprio la Padania, per dimensioni
e per consistenza culturale, e perché la Padania è il suo Bankomat, il
suo vitalizio, l’inesauribile e indispensabile miniera cui attingere per
il pane e per il companatico.
Per questo – oggi che nessun partito politico parla
espressamente di Padania ma che il problema di fondo della questione settentrionale
continua a emergere sotto l’incalzare della crisi economica – i sacrestani
dell’unità e i guardiani dello Stato manolesta sparano bordate contro la
Padania. Se ne hanno paura significa che è lo strumento giusto.
Fonte: srs di
Gilberto Oneto, da L’Indipendenza, del 21 febbraio 2013
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