di Gianandrea Gaiani
Chi ha interesse a
uccidere l’industria italiana? I beneficiari di quello che pare in realtà
più un “suicidio” di quel che resta dell’apparato industriale italiano
competitivo nel mondo e ancora in grado di sconfiggere nelle gare
internazionali i “big players” sono davvero tanti. Senza voler entrare nel
merito delle inchieste giudiziarie che coinvolgono i vertici di Saipem/Eni e
Finmeccanica accusati di corruzione o che hanno determinato la chiusura delle
acciaierie Ilva a Taranto è evidente che i guai dei grandi gruppi italiani
avvantaggiano i rivali stranieri e Paesi che in modo spregiudicato, tenendo
sempre ben presenti gli interessi nazionali, hanno gestito in passato con molta
disinvoltura scandali e mazzette.
Solo negli ultimi dieci anni le aziende francesi sono
state coinvolte in affari di corruzione per vendere navi da guerra a Taiwan
e sottomarini al Pakistan, quelle britanniche per piazzare aerei da guerra in
Arabia Saudita e altri prodotti in alcuni Paesi africani, per non parlare dello
scandalo Lockheed che coinvolse leader politici in Europa e Giappone negli
anni’70 e di quello della svedese Bofors che negli anni’80 venne coinvolta in
un affare di mazzette per fornire cannoni all’India. In tutti questi casi la
politica intervenne a salvaguardia degli affari e delle aziende, Tony Blair
bloccò addirittura le inchieste su Bae Systems adducendo il supremo interesse
della nazione e i colossi del settore Difesa sono sempre sopravvissuti agli
scandali.
Le difficoltà di Finmeccanica potrebbero invece rivelarsi
fatali per il gruppo italiano già in difficoltà finanziarie e alle prese
con la riduzione delle commesse nazionali ed europee dovute ai tagli ai bilanci
della Difesa.
Nella vicenda Finmeccanica, azienda pubblica controllata dal
Ministero del Tesoro, è stata proprio l’assenza dello Stato a peggiorare la
situazione venutasi a creare in seguito alle inchieste della magistratura.
Perché il governo non ha sostituito Orsi al vertice del gruppo fin dall’inizio
dell’inchiesta sulle tangenti indiane?
Un provvedimento da assumere per salvaguardare l’azienda
e certo a titolo temporaneo, considerato che in Italia molte inchieste
esplosive si sono concluse con archiviazioni e assoluzioni, ma forse necessario
già alcuni mesi or sono per impedire il rischio di gravi ripercussioni sul
titolo quotato in Borsa e sulla credibilità e affidabilità del gruppo.
La
“latitanza” del governo Monti, che ha lasciato Orsi in un limbo senza
togliergli la poltrona ma di fatto sfiduciandolo, sta facendo il gioco dei
concorrenti di Finmeccanica (e dell’Italia) che oggi possono ragionevolmente
sperare di liberarsi di un importante competitor o di poterne acquisire le
aziende.
L’arresto di Orsi e la minaccia indiana di inserire Finmeccanica
nella “black list” estromettendola da gare e commesse coincide per ironia della
sorte con la visita del presidente francese Francois Hollande a Nuova Delhi per
la firma di contratti che riguardano la vendita di reattori nucleari,
cacciabombardieri Rafale ed elicotteri.
La tedesca Siemens sembra avere molte chanches di
acquisir Ansaldo Energia, la francese Thales punta su Ansaldo STS e Selex
mentre da almeno un anno sono “sotto attacco” anche le aziende del settore
strettamente militare.
I francesi vorrebbero rilevare Oto Melara (armamenti
terrestri) e WASS (siluri) e forse la quota italiana (25 per cento) della
società missilistica MBDA, ma sembrano interessati anche alle attività
spaziali. I britannici, partner in Agusta Westland, soffrono i condizionamenti
e i rischi sui mercati determinati dall’attuale situazione e il colosso Bae
Systems potrebbe essere tentata dal riprendere il controllo dell’azienda
elicotteristica britannica.
Gli statunitensi sembra invece che puntino a ricomprare
DRS (elettronica), acquisita dal gruppo italiano nel 2008 con
l’amministrazione Bush, ma stanno facendo di tutto per mettere in difficoltà
anche Alenia Aermacchi con la cancellazione improvvisa di due ordini per aerei
da trasporto C-27 e G-222 destinati alle forze aeree a stelle e strisce e a
quelle afghane. Del resto il rischio che le aziende hi-tech italiane attive nei
settori strategici (energia, difesa, farmaceutico, elettronica…) possano venire
acquisiti a prezzi di saldo, complice anche la crisi di liquidità e il crollo
dei valori azionari, era stato evidenziato l’anno scorso anche da un rapporto
dell’intelligence trasmesso ai governo.
Solo la politica sembra non essersene accorta o
comunque non ha fatto molto per scongiurare questo rischio. A meno che svendere
le nostre aziende non rientri in quel processo di “cessione di quote di
sovranità nazionale” di cui spesso parlano negli ultimi tempi i massimi vertici
istituzionali.
Fonte: di Gianandrea
Gaiani, da La nuova Bussolo Quotidiana del 15 febbraio 2013
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