martedì 19 febbraio 2013

IL SUICIDIO DELL’INDUSTRIA ITALIANA HA MOLTI TIFOSI




di Gianandrea Gaiani

Chi ha interesse a uccidere l’industria italiana? I beneficiari di quello che pare in realtà più un “suicidio” di quel che resta dell’apparato industriale italiano competitivo nel mondo e ancora in grado di sconfiggere nelle gare internazionali i “big players” sono davvero tanti. Senza voler entrare nel merito delle inchieste giudiziarie che coinvolgono i vertici di Saipem/Eni e Finmeccanica accusati di corruzione o che hanno determinato la chiusura delle acciaierie Ilva a Taranto è evidente che i guai dei grandi gruppi italiani avvantaggiano i rivali stranieri e Paesi che in modo spregiudicato, tenendo sempre ben presenti gli interessi nazionali, hanno gestito in passato con molta disinvoltura scandali e mazzette.

Solo negli ultimi dieci anni le aziende francesi sono state coinvolte in affari di corruzione per vendere navi da guerra a Taiwan e sottomarini al Pakistan, quelle britanniche per piazzare aerei da guerra in Arabia Saudita e altri prodotti in alcuni Paesi africani, per non parlare dello scandalo Lockheed che coinvolse leader politici in Europa e Giappone negli anni’70 e di quello della svedese Bofors che negli anni’80 venne coinvolta in un affare di mazzette per fornire cannoni all’India. In tutti questi casi la politica intervenne a salvaguardia degli affari e delle aziende, Tony Blair bloccò addirittura le inchieste su Bae Systems adducendo il supremo interesse della nazione e i colossi del settore Difesa sono sempre sopravvissuti agli scandali.

Le difficoltà di Finmeccanica potrebbero invece rivelarsi fatali per il gruppo italiano già in difficoltà finanziarie e alle prese con la riduzione delle commesse nazionali ed europee dovute ai tagli ai bilanci della Difesa. 
Nella vicenda Finmeccanica, azienda pubblica controllata dal Ministero del Tesoro, è stata proprio l’assenza dello Stato a peggiorare la situazione venutasi a creare in seguito alle inchieste della magistratura. Perché il governo non ha sostituito Orsi al vertice del gruppo fin dall’inizio dell’inchiesta sulle tangenti indiane?

Un provvedimento da assumere per salvaguardare l’azienda e certo a titolo temporaneo, considerato che in Italia molte inchieste esplosive si sono concluse con archiviazioni e assoluzioni, ma forse necessario già alcuni mesi or sono per impedire il rischio di gravi ripercussioni sul titolo quotato in Borsa e sulla credibilità e affidabilità del gruppo. 
La “latitanza” del governo Monti, che ha lasciato Orsi in un limbo senza togliergli la poltrona ma di fatto sfiduciandolo, sta facendo il gioco dei concorrenti di Finmeccanica (e dell’Italia) che oggi possono ragionevolmente sperare di liberarsi di un importante competitor o di poterne acquisire le aziende. 
L’arresto di Orsi e la minaccia indiana di inserire Finmeccanica nella “black list” estromettendola da gare e commesse coincide per ironia della sorte con la visita del presidente francese Francois Hollande a Nuova Delhi per la firma di contratti che riguardano la vendita di reattori nucleari, cacciabombardieri Rafale ed elicotteri.

La tedesca Siemens sembra avere molte chanches di acquisir Ansaldo Energia, la francese Thales punta su Ansaldo STS e Selex mentre da almeno un anno sono “sotto attacco” anche le aziende del settore strettamente militare. 
I francesi vorrebbero rilevare Oto Melara (armamenti terrestri) e WASS (siluri) e forse la quota italiana (25 per cento) della società missilistica MBDA, ma sembrano interessati anche alle attività spaziali. I britannici, partner in Agusta Westland, soffrono i condizionamenti e i rischi sui mercati determinati dall’attuale situazione e il colosso Bae Systems potrebbe essere tentata dal riprendere il controllo dell’azienda elicotteristica britannica.

Gli statunitensi sembra invece che puntino a ricomprare DRS (elettronica), acquisita dal gruppo italiano nel 2008 con l’amministrazione Bush, ma stanno facendo di tutto per mettere in difficoltà anche Alenia Aermacchi con la cancellazione improvvisa di due ordini per aerei da trasporto C-27 e G-222 destinati alle forze aeree a stelle e strisce e a quelle afghane. Del resto il rischio che le aziende hi-tech italiane attive nei settori strategici (energia, difesa, farmaceutico, elettronica…) possano venire acquisiti a prezzi di saldo, complice anche la crisi di liquidità e il crollo dei valori azionari, era stato evidenziato l’anno scorso anche da un rapporto dell’intelligence trasmesso ai governo.

Solo la politica sembra non essersene accorta o comunque non ha fatto molto per scongiurare questo rischio. A meno che svendere le nostre aziende non rientri in quel processo di “cessione di quote di sovranità nazionale” di cui spesso parlano negli ultimi tempi i massimi vertici istituzionali.

Fonte: di Gianandrea Gaiani, da La nuova Bussolo  Quotidiana del 15 febbraio 2013


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