La Germania nazionalsocialista considerava pregiudizialmente
gli ebrei come un elemento estraneo alla nazione. Durante la sfortunata
Repubblica di Weimar (1919-33), quando la popolazione tedesca subì la più
grande crisi economica e sociale della sua storia (a causa soprattutto degli
enormi debiti di guerra imposti dalle potenze vincitrici del primo conflitto
mondiale), molti ebrei, nonostante rappresentassero meno dell’1% della
popolazione, raggiunsero nel settore economico-finanziario posizioni di alto livello
e di considerevole benessere tali da essere additati, a causa della loro
presunta cupidigia, come responsabili della stato di crisi in cui versava la
Germania. A ciò si aggiungeva l’atavico antiebraismo cristiano, il nazionalismo
esasperato e il mito della purezza ariana dell’ideologia hitleriana.
L’origine ebraica di Karl Marx, il teorico del comunismo, e
di parte della dirigenza socialista tedesca, contribuì a rafforzare tale
convincimento su cui basò la sua azione Adolf Hitler che fin da subito adottò
nei confronti degli ebrei una politica di restrizione dei diritti civili per
spingerli a lasciare la Germania (judenfrei), anche attraverso il sostegno
all’emigrazione. Quest’ultimo aspetto rispecchiava l’ideale della patria
ebraica preconizzata da Theodor Herzl, fondatore del movimento sionista il
quale, per quanto possa sembrare paradossale, concordava con i nazisti sul
fatto che ebrei e tedeschi erano nazionalità distinte e tali dovevano restare.
Come risultato, il Governo di Hitler sostenne con vigore il
Sionismo e l’emigrazione ebraica in Palestina dal 1933 fino al 1940-41 (1).
L’incoraggiamento all’emigrazione degli ebrei trovò però
forti resistenze da parte della comunità internazionale e sfociò nel fallimento
della conferenza di Evian del 1938, convocata da Roosevelt, dove i trentadue
stati partecipanti avrebbero dovuto ognuno farsi carico di un numero di ebrei
provenienti da Germania e Austria proporzionale alle loro dimensioni. L’unica
nazione che si propose di accogliere rifugiati fu la Repubblica Dominicana che
ne accettò circa 700, tutte le altre, con motivazioni più o meno plausibili,
rifiutarono ogni forma di accoglienza (L’Italia fascista, invece, pur non
avendo partecipato alla conferenza, da anni attuava una politica di ospitalità
nei confronti degli ebrei).
L’atteggiamento ipocrita delle nazioni democratiche riguardo
l’accoglienza degli ebrei è stato condensato in una frase di Goebbels che nel
marzo 1943 poteva rilevare sarcasticamente:
« Quale sarà la soluzione del problema ebraico? Si creerà
un giorno uno stato ebraico in qualche parte del mondo? Lo si saprà a suo
tempo. Ma è interessante notare che i paesi la cui opinione pubblica si agita
in favore degli Ebrei, rifiutano costantemente di accoglierli. Dicono che sono
i pionieri della civiltà, che sono i geni della filosofia e della creazione
artistica, ma quando si chiede loro di accettare questi geni, chiudono loro le
frontiere e dicono che non sanno che farsene. E’ un caso unico nella storia
questo rifiuto di accogliere in casa propria dei geni »(2).
Un episodio che testimonia il rifiuto dell’America ad
accogliere gli ebrei riguarda la vicenda della nave St.Louis. Partita da Amburgo il 13 maggio 1939 con 937
profughi Ebrei, la nave era diretta a Cuba dove i migranti erano convinti di
ottenere il visto per gli Stati Uniti. Sia
Cuba sia gli Stati Uniti rifiuteranno però il permesso d’accesso ai rifugiati,
obbligando così la nave a tornare in Europa.
Anche l’ipotesi di creare, prima nell’Isola di Madagascar e
poi in Palestina, uno stato ebraico fallì per la forte opposizione di Francia,
Inghilterra e Stati Uniti. Fallirono
anche le trattative condotte Ministro degli Affari Esteri germanico Helmut
Wohltat nell’aprile 1939 con il governo inglese per un insediamento ebraico in
Rhodesia e nella Guinea britannica (3).
Nonostante la sostanziale indisponibilità, che rasentava il
boicottaggio, delle nazioni democratiche la politica emigratoria del governo
nazista proseguì con l’istituzione dell’ ”Ufficio per l’Emigrazione Ebraica”
con sedi a Berlino, Vienna e Praga che aveva il compito di agevolare il
trasferimento degli ebrei e dei loro beni in Palestina. Furono anche
organizzati dei campi di addestramento in Germania dove i giovani ebrei
potevano essere iniziati ai lavori agricoli prima di essere introdotti più o
meno clandestinamente in Palestina (all’epoca la Palestina era un protettorato
inglese che si opponeva con forza alla colonizzazione ebraica, nonostante nel
1917 si impegnò formalmente, con la dichiarazione di Balfour del 2 novembre, a
costituire il focolare ebraico in Palestina).
Fatto singolare e che nei circa 40 campi e centri agricoli
della Germania hitleriana gestiti direttamente dal Mossad in cui i futuri
coloni venivano addestrati alla vita nei kibbutz, sventolava per la prima volta
quella bandiera blu e bianca che un giorno diventerà il vessillo ufficiale
dello Stato di Israele (4).
Per liberarsi della presenza ebraica favorendo l’emigrazione
in Palestina, il governo tedesco stipulò con le organizzazioni sioniste il
cosiddetto “Accordo di Trasferimento”
noto anche come Haavara, in virtù del quale gli ebrei emigranti depositavano il
denaro ricavato dalla vendita dei loro beni in un conto speciale destinato
all’acquisto di attrezzi per l’agricoltura prodotti in Germania ed esportati in
Palestina dalla compagnia ebraica Haavara di Tel Aviv.
L’accordo di Trasferimento è stato sottoscritto il 10 agosto
1933 dal Ministro dell’economia del Reich Kurt Schmitt e dal rappresentante del
Movimento Sionista in Palestina Haim Arlosoroff che agiva per conto del
Mapaï, il partito Sionista antenato del partito Laburista israeliano. A questa
iniziativa politico-commerciale parteciparono personaggi divenuti in seguito
molto noti come i futuri Primi Ministri David Ben-Gurion e Golda Meir (che
collaborava da New York)(5).
Alla vigilia della Seconda Guerra Mondiale, grazie all’
Haavara e ad altri accordi tedesco-sionisti, dei circa 522 mila ebrei presenti
in Germania più della metà, 304 mila, poterono lasciare il paese con i loro
beni superando il rigido embargo inglese. Alcuni di loro trasferirono in Palestina
considerevoli fortune personali.
L’importo complessivo di danaro trasferito per mezzo
dell’Haavara fra l’agosto del 1933 e la fine del 1939, fu di circa 139 milioni
di marchi (equivalenti a oltre 40 milioni di dollari). A cui si aggiungono ulteriori 70 milioni di
dollari attraverso accordi commerciali collaterali. Grazie a questi
trasferimenti e ai prelievi obbligatori imposti dal Movimento Sionista sulle
transazion, furono costruite le infrastrutture del futuro stato ebraico in
Palestina.
Lo storico ebreo Edwin Black sottolinea che i fondi ebraici
provenienti dalla Germania ebbero un significativo impatto in un paese
sottosviluppato com’era la Palestina degli anni ’30. Con i capitali provenienti dalla Germania
furono costruite varie importanti imprese industriali, compresi l’acquedotto
Mekoroth e l’industria tessile Lodzia. «attraverso questo patto, il Terzo
Reich di Hitler fece più di ogni altro governo negli anni ’30 per sostenere lo
sviluppo ebraico in Palestina» conclude Edwin Black(6).
Questa intesa portò successivamente ad un accordo
commerciale tra Governo tedesco ed organizzazioni ebraiche con il quale arance
e altri prodotti coltivati in Palestina venivano scambiati con macchinario
agricolo tedesco(7).
Una immagine singolare che sintetizza meglio di altre la
collaborazione tra nazisti tedeschi ed ebrei sionisti è la medaglia
commemorativa coniata allo scopo dal Governo tedesco che reca su una faccia la
svastica e sull’altra la stella di David.
Medaglia commemorativa della collaborazione tra autorità
tedesche e associazioni ebraiche sioniste durante gli anni trenta
Altra vicenda poco nota riguarda la nave passeggeri partita
nel 1935 dal porto tedesco di Bremerhaven con un carico di ebrei diretti
ad Haifa, in Palestina. Questa nave, recava sul fianco il suo nome, Tel
Aviv, scritto in caratteri ebraici, e sull’albero sventolava la bandiera
nazista con la croce uncinata. La nave di proprietà ebraica era comandata da un
membro del Partito Nazionalsocialista(8).
Altro esempio della stretta collaborazione tra regime
hitleriano e sionismo tedesco riguarda i gruppi giovanili ebraici come il
“Bétar“ ed ai boy scouts sionisti cui fu permesso di indossare uniformi
proprie e di sventolare bandiere con simbolo dello Stato Sionista (cosa
negata ad esempio ai gruppi giovanili cattolici, nonostante il Concordato).
Intanto il governo britannico, da sempre ostile agli
insediamenti ebraici in Palestina, impose delle restrizioni ancora più
drastiche. In risposta a ciò, il
servizio segreto delle SS concluse una alleanza con il gruppo sionista
clandestino Mossad le-Aliya Bet per portare illegalmente gli ebrei in
Palestina. Come risultato di questa intensa collaborazione, vari convogli
marittimi riuscirono a raggiungere la Palestina superando le navi da guerra
britanniche pronte a colpire le imbarcazioni ebraiche. Nell’ottobre del 1939
era programmata la partenza di altri 10.000 ebrei, ma lo scoppio della guerra a
settembre fece fallire il tentativo. Le
autorità tedesche continuarono lo stesso a promuovere indirettamente
l’emigrazione ebraica in Palestina negli anni successivi fino al 1941.
Una stima, seppur approssimativa, fissa in circa 800 mila
gli ebrei che lasciarono i territori sotto il controllo germanico fino al 1941.
Con l’avvicinarsi della guerra ci fu la svolta e la
posizione degli Ebrei cambiò in modo radicale. Il 5 settembre 1939, Chaim
Weitzmann, futuro primo presidente dello stato di Israele, a nome dell’ebraismo
mondiale si dichiarò parte belligerante contro i tedeschi e a fianco di Gran
Bretagna e Francia (Jewish Chronicle, 8 settembre 1939). Questa vera e propria
dichiarazione di guerra, che precedette l’identico atto del marzo ’33,
causò un inasprimento delle misure repressive contro gli ebrei e conferì ai
nazisti una motivazione legale per la loro reclusione.
Il diritto internazionale, infatti, prevede la
possibilità di internare i cittadini di origine straniera per evitare possibili
azioni di spionaggio a favore dei paesi di origine (art. 5 della convenzione di
Ginevra), cosa che fece l’America con i
cittadini di origine giapponese: dopo averli spogliati di tutti i beni
confiscandogli casa, attività e conti bancari, furono rinchiusi in campi di
concentramento in condizioni disumane.
Verso la fine della guerra nel campo di prigionia di
Hereford, nella ricca America, i soldati italiani che rifiutarono di
collaborare con gli alleati venivano volutamente sottoalimentati e lasciati
morire di tubercolosi, senza cure, sotto l’acqua o il sole cocente, in mezzo
agli abusi dei carcerieri che non esitavano ad uccidere al primo cenno di
insofferenza. Prima di loro gli inglesi
avevano internato, durante la guerra contro i Boeri, oltre 100 mila donne
e bambini nei campi di concentramento in sud Africa, di questi 27
mila morirono di stenti, malattie e malnutrizione (crimini passati sotto
silenzio).
Lo scoppio del conflitto pose fine alla politica tedesca di
incoraggiamento al trasferimento degli ebrei verso la Palestina (nel 1942
restava in attività nella Germania un solo Kibbutz a Neuend(9).
Tuttavia, nei primi anni di guerra, i rapporti tra nazisti e
organizzazioni ebraiche non furono del tutto interrotti, ma si spostarono sul
piano prettamente militare in funzione anti inglese, anche se l’influenza
che ebbero sugli avvenimenti bellici fu praticamente nulla.
Agli inizi di gennaio del 1941 una piccola, ma importante organizzazione sionista, Lehi o
Banda Stern (il cui leader Avraham Stern fu assassinato dalla polizia
britannica l’anno successivo), fece ai
diplomatici nazisti a Beirut una proposta formale di alleanza per lottare
contro gli inglesi: la cosa che più colpisce è che uno di essi era Yitzhak
Shamir, futuro primo ministro di Israele(10).
Con il proseguimento della guerra che richiedeva sempre più
soldati al fronte e operai nelle fabbriche il governo tedesco abbozzò l’idea di
utilizzare massicciamente gli ebrei nell’industria bellica. Dopo l’attacco alla Russia l’idea del lavoro
forzato prese corpo e fu perfezionata nel corso della conferenza di Wannsee
del 20 gennaio del 1942 con il definitivo abbandono della politica di
emigrazione e l’adozione della cosiddetta “soluzione finale territoriale” (eine
territoriale Endlösung) che sostituiva la politica del trasferimento con quella
della deportazione di tutti gli ebrei nei campi di lavoro dell’est.
«Adesso, nell’ambito della soluzione finale, gli ebrei dovrebbero
essere utilizzati in impieghi lavorativi a est, nei modi più opportuni e con
una direzione adeguata. In grandi
squadre di lavoro, con separazione dei sessi, gli ebrei in grado di lavorare
verranno portati in questi territori per la costruzione di strade, e non vi è
dubbio che una gran parte verrà a mancare per decremento naturale. Quanto
all’eventuale residuo che alla fine dovesse ancora rimanere, bisognerà
provvedere in maniera adeguata, dal momento che esso, costituendo una selezione
naturale, è da considerare, in caso di rilascio, come la cellula germinale di
una rinascita ebraica» (Dal protocollo di Wannsee del 20 gennaio 1942).
Gli studiosi dell’Olocausto hanno sempre sostenuto che il
piano generale dell’ebreicidio nazista venne ideato nella riunione di Wannsee, ma Norbert Kampe direttore del Centro
Commemorativo della Conferenza di Berlino, contesta questa tesi. Egli afferma che la conferenza riguardò
solo “questioni operative” e non fu in alcun modo una piattaforma di “processi decisionali”, confermato dal fatto che alla conferenza di
Wannsee Hitler e i suoi ministri non erano presenti.
Dove erano situati grandi insediamenti industriali furono
istituiti campi di lavoro, come per esempio la fabbrica di caucciù sintetico a
Bergen-Belsen, la I.G. Farben ad Auschwitz, la Siemens a Ravensbrück, la
fabbrica sotterranea delle V-2 di Mittelbau-Dora collegata al campo di
Buchenwald.
Il compito di utilizzare al meglio i campi di concentramento
come centri di produzione industriale fu affidato all’Ufficio Centrale di
Amministrazione Economica delle S.S. diretto da Oswald Pohl.
Il lavoro coatto fu utilizzato anche dalla società di
costruzioni Todt per il ripristino delle linee di comunicazione (strade, ponti
ferrovie,) che venivano costantemente distrutte dai bombardamenti alleati. Questi
lavori, che richiedevano un’enorme massa di operai (più di 1.500.000 nel 1944),
furono svolti in buona parte ebrei e prigionieri di guerra(11).
Un aspetto inquietante e poco dibattuto riguarda le linee
ferroviarie da cui transitavano i convogli carichi di ebrei. Gli alleati
sapevano fin dagli inizi del 1942 dell’esistenza dei campi di concentramento
eppure, nonostante i massicci bombardamenti alleati che ridussero in macerie la
Germania, le linee ferroviarie utilizzate dai tedeschi per trasferire gli ebrei
nei campi di lavoro non furono mai attaccate, se non come effetto collaterale
(come avvenne il 24 agosto del 1944 con il bombardamento della fabbrica di
armamenti di Mittelbau-Dora che coinvolse il vicino campo di Buchenwald dove
morì, per effetto delle bombe alleate, Mafalda di Savoia).
Come mai, mi domando, questi fatti sono sottaciuti se non
del tutto ignorati anche dagli storici più autorevoli? Forse per non mettere in
imbarazzo i cosidetti “paladini della
libertà”?
Nel “Giorno della Memoria” esprimiamo la nostra piena
solidarietà al popolo ebraico per la persecuzione subita e la ferma condanna ad
ogni forma di discriminazione razziale. Questo però non deve indurci a
sorvolare sulle pesanti responsabilità, condite di cinismo e ipocrisia, delle
democrazie occidentali che vedevano, sapevano e volgevano lo sguardo altrove,
rendendosi, perlomeno sotto il profilo politico e morale, complici dei
carnefici.
Gianfredo Ruggiero
NOTE
1) Il giornale ufficiale della SS, “Das
Schwarze Korps”, dichiarò il proprio sostegno al Sionismo in un editoriale di
prima pagina del maggio del 1935:
« Può non essere troppo lontano il momento in cui
la Palestina sarà di nuovo in grado di ricevere i propri figli che ha perduto
per più di mille anni. A loro vanno i nostri migliori auguri ».
Gli ebrei sionisti a loro volta, nel settembre del 1935 dopo
la promulgazione della legislazione razziale tedesca (leggi di Norimberga) che
sancivano la netta separazione della comunità ebraica dal resto della nazione
tedesca ponendo il divieto di matrimoni misti e altre pesanti limitazioni che
andavano in tale direzione, dichiararono, attraverso un editoriale del più
diffuso settimanale sionista tedesco, il “Die Judische Rundschau”:
« la Germania viene incontro alle richieste del Congresso
Mondiale Sionista quando dichiara gli ebrei che oggi vivono in Germania una
minoranza nazionale… Le nuove leggi danno alla minoranza ebraica in Germania la
propria vita culturale, la propria vita nazionale. In breve, essa può creare il
proprio futuro ».
2) Bernd Nellessen: “Der Prozesi von
Jerusalem”, Düsseldorf/Wien, 1964, p. 201.
3) Theodor Herzl, nella sua prima opera
“Der Judische Staat” (Lo stato ebraico) aveva individuato,
nell’isola di Madagascar il luogo ideale dove fondare lo stato di Israele.
Questa ipotesi fu presa in seria considerazione dai nazionalsocialisti in
quanto l’insediamento in Palestina, la patria ideale degli ebrei, avrebbe
inevitabilmente portato ad un scontro con gli arabo-palestinesi (cosa che
effettivamente avvenne a partire dal 1948). Tuttavia anche questa ipotesi fu in
seguito accantonata a causa del netto rifiuto delle democrazie occidentali. La
patata bollente ritornò, di conseguenza, nelle mani dei tedeschi che riprese
l’opzione Palestina.
4) Manvell e Fankl: “SS und Gestapo”.
5) L’accordo di Trasferimento autorizzava
i Sionisti a creare due camere di compensazione, la prima sotto la supervisione
della Federazione Sionista Tedesca di Berlino, l’altra sotto la supervisione
dell’Anglo Palestine Trust in Palestina. L’ufficio di Tel Aviv è stato chiamato
Haavara Transfert Office Ltd. Si trattò di un vero e proprio accordo
commerciale che, fra l’altro, contribuì a rompere il boicottaggio mondiale
anti-nazista organizzato contro la Germania. Le compagnie erano due: la
Haavara, ebraica a Tel Aviv, e la Paltreu, tedesca a Berlino. Il deposito
minimo era di 1.000 sterline inglesi presso la Banca Wasserman di Berlino
oppure presso la Banca Warburg di Amburgo. Tom Segev in “Le septieme million”,
ed. Liana Levi, 1993.
6) Edwin Black: “The Transfert Agreement”,
1984; F. Nicosia: “Third Reich”; W. Feilchenfeld: “Haavara-Transfer”;
Encyclopaedia Judaica: “Haavara”, Vol. 7.
7) Questa sorta di baratto esteso a tutte
le esportazioni/importazioni, cardine della politica economica nazista che
contribuì alla ripresa della Germania dopo i disastri della Repubblica di
Weimar, fu fortemente osteggiato dalle organizzazioni ebraiche non sioniste
che, al contrario, sostenevano l’embargo dei prodotti Made in Germany.
8) W. Martini: “Hebräisch unterm
Hakenkreuz”, Die Welt , 10 gennaio 1975.
9) Y. Arad: “Documents On the Holocaust”,
1981, p. 155.
11) Creata da Fritz Todt, l’organizzazione operò in stretta
sinergia con gli alti comandi militari durante tutta la Seconda guerra
mondiale. Il principale ruolo dell’impresa era la costruzione di strade, ponti
e altre opere di comunicazione, vitali per le armate tedesche e per le linee di
approvvigionamento, così come della costruzione di opere difensive: la Linea
Sigfrido, il Vallo Atlantico e – in Italia – la Linea Gustav e la Linea Gotica.
Link
Falsificazioni fotografiche http://ita.vho.org/valendy/ugo.htm
campo di concentramento di Buchenwald: http://www.fncampoli.altervista.org/bw.htm
Fonte: da srs di Gianfredo Ruggiero, da Excalibur del 13 gennaio 2013
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