giovedì 23 dicembre 2010

Benito Berto: Barbone ma non accattone

Benito Berto nel gelo: 70 anni di Polegge, panettiere, diventato barbone

LA STORIA - Vicenza.  Ha 70 anni ed è originario di Polegge: una vita tribolata.  Panettiere per tutta la vita, poi un groviglio da telenovela. Vive tra il Centro di via dei Mille e le mense per i poveri della città

Un'enorme barba, le dita ingiallite dalla nicotina, un cappellino con il frontino, scarpe leggere, blu jeans, un giaccone celeste e lo sguardo di chi si smarrisce facilmente. Un ombrello bianco e verde, un cartone di vino che spunta da un sacchetto di carta: sono le poche cose che lo accompagnano mentre è seduto sulla pietra davanti alla cancellata dei Giardini Salvi.

Alle sue spalle la Loggia del Longhena, davanti una giornata cruda, fredda, con qualche fiocco di neve che comincia e scendere. La gente passa, lo guarda ma prosegue diritta. Gira lo sguardo davanti alla miseria, alla povertà.

«Ho un gran brutto nome, forse è stato proprio quello a portarmi sfortuna». All'anagrafe Benito Berto, 70 anni originario di Polegge, panettiere per otto lustri. Poi il nulla. Vicino ai frati di Santa Lucia, poi alla struttura di ascolto di San Faustino, frequenta le mense per i poveri che ci sono in città e per la notte va il centro diurno di via dei Mille, gestito dal Comune.
«Ogni tanto passo anche al supermercato a prendermi qualcosa da mangiare, magari sul tardi quando i clienti se ne sono andati e qualche avanzo c'è sempre». Sembra un groviglio da telenovela la sua storia: «Ho sempre lavorato, facevo il pane e mi piaceva. Certo, alzarsi tutte le mattine all'alba non era il massimo, ma andava bene lo stesso».

Che cosa poi sia accaduto è difficile da intuire: i fili del racconto si ingarbugliano, la memoria lascia il posto solo all'oggi, al freddo, alle sigarette da comprare, alla notte da trascorrere. La famiglia forse c'è, forse no, o meglio lui non la vede, non la sente. “Do not disturb” sembra il cartello che Benito indossa sopra la sua giacca a vento celeste. Un monito segreto che cela chissà quali guai, quali ingiustizie. «La solitudine? Tocca. Se non ci sono persone disponibili diventa una piega inevitabile dell'esistenza . Senza offesa per nessuno. Se mi sento sconfitto? Non lo so, credo di avere dato molto e ricevuto poco. Forse ho perso la partita tanti anni fa. O forse non sono nemmeno entrato in campo giocandomi tutto prima».

La voce è bassa e roca, guai ad avere confidenze. «L'altro giorno una signora voleva offrirmi un caffè, me l'ha portato qui dove sono seduto ora, solo che dopo si è bevuta anche il mio. Non l'ha fatto volontariamente, aveva freddo e uno non le bastava. L'ho guardata e ho capito molte cose di come funziona questo mondo». Se il mondo c'è, Benito lo vive decisamente dal basso di una città luccicante, sfavillante.

Vivere è sicuramente un privilegio, ma in che condizioni? «Non mi pongo questi problemi, la mia giornata comincia la mattina e finisce alla sera quando vado a letto, nel mezzo ci sono panchine, sigarette, qualche panino. Ecco, cerco di camminare anche se le gambe non mi sostengono come dovrebbero. Al Mezzanino vado solo qualche volta: troppa gente e parecchi stranieri che litigano. No, non fa per me, meglio gli avanzi di un supermercato». Della miseria non si parla. Nessun spreco, nessuna offesa.

«C'è chi sta peggio, chi non ha un tetto, un pensione seppur minima. Io vivo così. Perchè non lo so, è accaduto e basta. Il limite è sempre stretto in questa vita, passare dalla parte del torto è semplice. Ritornare dall'altra no».

Il freddo si fa sentire, il termometro segna meno 5 gradi, Benito guarda i passanti, osserva i piedi. «Quelli dicono molto: i passi, le scarpe, i ritmi, la velocità. Sembrano formiche. Ma a volte qualcuno si ferma, chiede. Ma io non dico nulla, cerco sempre di riparami: dal freddo, dalle parole, dalle domande e anche dal futuro che non conosco. Natale? Era uno dei giorni in cui non si lavorava. Ora sembra un'occupazione per tutti».

Riprende il suo ombrello, il suo sacchetto, beve un goccio e s'incammina sotto porta Castello. Benito, 70 anni di Polegge. Ora lavora contro le intemperie e la solitudine. Ma alla sera torna. In via Dei Mille. Speranza che fugge, speranza che arriva.


Fonte: srs di Chiara Roverotto, da Il Giornale di Vicenza, di Martedì 21 Dicembre 2010,  CRONACA, pagina 23

Nessun commento: