Ticinum–Pavia
Occidente: Nel 452 Attila scende in Italia e distrugge Aquileia, Concordia, Oderzo e Altino, oltre a Padova, Vicenza, Verona, Brescia e Bergamo. Treviso viene risparmiata grazie all’intervento del vescovo Elviando il quale anticipa l’invasore offrendogli le chiavi della città.
Sempre nel 452 gli Unni di Attila saccheggiarono anche la città di Ticinum, insieme con Mediolanum. Fu qui che 24 anni dopo Oreste si rifugiò e fu vinto da Odoacre. Quest’evento segnò la caduta dell’impero romano d’occidente (476). La piccola città subì il saccheggio e l’incendio da parte degli Eruli, che avevano deposto l’ultimo imperatore romano.
Negli ultimi decenni dell’impero Ticinum conobbe altri saccheggi, ma non vere e proprie devastazioni. Si sviluppava intanto la sua Chiesa. Morto il santo vescovo Crispino, nel 467 salì alla cattedra di Siro Epifanio, uomo dalla forte personalità, uno dei protagonisti di quegli anni. Egli assunse il vescovato in un ambiente ancora largamente paganeggiante, in cui era vivo il culto delle antiche declamationes, il ricordo della mitologia più sensuale, con orge bacchiche e riti cibeliaci. Scrive il vescovo Ennodio, suo successore e biografo:
«Innanzitutto Epifanio stabilì di non lavarsi, affinché l’acqua dei bagni non gli guastasse il candore dell’anima e la virtù dello spirito. Indi stabilì di non pranzare mai... perché l’attività gli offriva tempo per prender cibo una sola volta al giorno. Volle che non gli portassero che cibi frugali e che le vivande non avessero a suscitare particolari sensazioni all’olfatto ed al gusto suo, eccetto il condimento degli aromi... Aveva inoltre stabilito che, non appena fosse giunto alle soglie dell’altare, nessuna eventuale necessità lo potesse distogliere se non a funzioni terminate».
Epifanio istituì in Ticinum le scuole di tachigrafia (una sorta di scrittura rapida, come la stenografia). La sua fama si diffuse rapidamente in tutta la Liguria. Milano sperava di tornare capitale d’occidente e ospitava Antemio, genero dell’imperatore d’oriente. Contro Antemio si levò in armi da Roma il patrizio Ricimero. A nome di tutta la Liguria, nel 471 Epifanio fu delegato a proporre un compromesso di pace. Non fu che una tregua. L’anno dopo i due rivali si scontrarono in battaglia e Antemio fu ucciso. Nel 473 morì Ricimero e, subito dopo, Ticinum fu teatro di una manifestazione ostile al nuovo imperatore, il milanese Glicerio, la cui madre fu male accolta al passaggio in città. Toccò ancora ad Epifanio intervenire per evitare rappresaglie.
Il santo vescovo non poté impedire, però, che tre anni dopo Ticinum fosse assediata, messa a sacco e distrutta durante la lotta aspra e senza quartiere che Oreste, padre di Romolo Augusto, detto Augustolo, ultimo, quasi caricaturale, imperatore romano d’Occidente, combatté contro il ribelle Odoacre.
Non è noto quando Odoacre iniziasse il suo servizio nell’esercito romano. Nel 472, all’epoca della lotta finale fra l’imperatore Antemio e Ricimero, era già membro della guardia pretoriana; più tardi (473/474) divenne comes domesticorum di Glicerio, l’imperatore eletto dal patricius burgundo Gundobaldo. Nel 474 la corte dell’impero romano d’oriente, al cui soglio era intanto asceso Zenone, scelse come imperatore d’occidente il magister militum della Dalmazia, Giulio Nepote. A questa nomina si ribellò il generale romano Flavio Oreste, il quale riuscì a prevalere su Giulio Nepote soprattutto grazie all’appoggio militare di Odoacre, capo di una milizia di mercenari eruli, sciri, rugi e turcilingi [2] [3] [1]. Flavio Oreste non assunse tuttavia il potere imperiale, preferendo che il titolo di imperatore romano d’Occidente andasse al figlio tredicenne Romolo Augusto (ottobre 475) e riservando a sé, col titolo di "Patrizio", il potere effettivo.
Come capo delle tribù barbare che costituivano le truppe imperiali, Odoacre aveva chiesto a Oreste, quale compenso del servizio, un terzo delle terre in Italia a titolo di hospitalitas [4]. Il rifiuto di Oreste scatenò la reazione delle truppe mercenarie.
Nell’estate del 476 Oreste si asserragliò in Ticinum fortificata, mentre intorno alle mura si stringeva l’assedio di Odoacre. Conquistata dopo un breve assedio Ticinum (Pavia), città in cui si era asserragliato Oreste, ucciso il magister militum Oreste e saccheggiata la città (agosto 476), Odoacre depose l’imperatore Romolo Augusto. Odoacre venne nominato "rex gentium" dalle sue truppe; ma, invece di nominare a sua volta un imperatore fantoccio, come avevano fatto prima di lui i generali barbari Ricimero e Gundobaldo, decise d’inviare le insegne imperiali (cioè diadema, scettro, toga ricamata in oro, spada e paludamentum di porpora [5]) all’imperatore di Costantinopoli Zenone, chiedendo per sé il solo titolo di patrizio. L’impero romano cadde quindi per un colpo di stato militare di mercenari germanici [6]; questa caduta, che per i moderni costituisce lo spartiacque fra la storia antica e quella medievale, non sembra abbia suscitato eccessivo interesse negli storici contemporanei, probabilmente perché, essendo ancora in vita nel 476 Giulio Nepote, ufficialmente il legittimo imperatore d’occidente (morirà nel 480), la portata dell’evento venne sottostimata [7].La resistenza fu dura e ostinata ma alfine, narra lo Spelta:
«havendo quegli di dentro consumate tutte le armi da lanciare con le quale tenevano pur discosti i nemici dalle mura, Odoacre fece appigliare fuoco alle porte, et salire i pedoni con le scale su le mura, et si combattette sino alla notte, sforzandosi quegli di fuori di entrare, e quegli di dentro ostinatamente di vietar l’entrata. Finalmente non potendo più quelli di dentro resistere, la città fu presa per la forza... ponendo quei crudeli barbari ogni cosa a ferro e a fuoco, saccheggiando le case, spogliando le chiese, uccidendo et imprigionando gli uomini, violando le vergini et maritate, rompendo le sepolture per levarne le ricche spoglie. La maggior paite dei cittadini insieme co’ soldati restarono morti, et Oreste fu fatto prigione. Qui non si udiva che pianti, ululati, et gemiti, et le voci de’ tormentati ch’andavano al cielo...».
La città di Ticinum fu sconvolta; saccheggiata crudelmente. Furono date alle fiamme le due chiese allora esistenti, quella di San Siro (oggi consacrata ai SS. Gervasio e Protasio) e quella di Sant’Invenzio. Nel dramma, Epifanio rivelò la sua possente personalità. Narra ancora Ennodio:
«Rimane imperterrito, non si muove... i barbari corrono alla casa della chiesa, bollenti di tutto l’ardore del saccheggio, sospettando che dovesse tenere nascoste ben molte ricchezze colui che scorgevano con tanta profusione largheggiare. Oh vergogna! Barbari efferati cercavano in terra quei tesori che egli aveva spedito al celeste scrigno!».
Epifanio percorse le strade devastate della città, s’interpose tra i prigionieri e i barbari, salvò numerose vite, si sforzò di rendere meno atroce il saccheggio:
«Dal momento in cui poteva vedere i prigionieri essi non erano più tali. Liberò anche la venerabile sua sorella... con la sua preghiera liberò molti cittadini, prima che sentissero le dolorose strette della schiavitù... Infine, la condizione della cittadinanza si rialzava sostenuta da quell’unica fortissirna colonna. né tanto era forte l’esercito a distruggere, quanto la persona del vescovo a restaurare».
Il saccheggio ebbe termine solo quando i soldati di Odoacre appresero la notizia della morte di Oreste, decapitato in Piacenza il 28 agosto.
Duello tra Teodorico e Odoacre
Odoacre raggiunse Ravenna, depose Romolo Augustolo e inviò le insegne imperiali a Bisanzio, per governare l’Italia come patrizio. L’impero romano d’occidente era finito e un regno romano-barbarico prendeva il suo posto. La difesa dei Romani, molti dei quali guardavano a Bisanzio, erede e continuatore di Roma, era affidata alla Chiesa. Odoacre, un re duro, spietato ma non feroce, si appoggiò su un gruppo di funzionari romani (Simmaco, Liberio, Pelagio), ma non seppe conquistarsi la simpatia della popolazione romanica. Ciò apparve chiaramente quando, nel 493, questi si unirono ai Goti in una spietata ed atroce caccia agli Eruli, agli Sciri, insomma agli uomini di Odoacre.
La Liguria fu affidata a Pelagio, un amministratore duro e rapace. Un terzo delle terre fu confiscato e affidato ai foederati, i barbari che s’erano alleati con Odoacre. Subito dopo la vittoria essi si erano stabiliti nelle campagne e rappresentavano un peso insopportabile per i proprietari, già duramente tassati. La situazione dei cittadini non era migliore, poiché sulle città gravavano altre tasse e le spese del mantenimento delle guarnigioni.
Ticinum aveva maggiormente sofferto dalla guerra, fra tutte le città della Liguria. Il vescovo Epifanio si recò a Ravenna. La prima volta (472) ottenne l’esenzione quinquennale dei tributi e la seconda, parlando non solo a nome di Ticinum, ma dell’intera Liguria, protestò contro la rapacità del prefetto Pelagio. Ottenuta l’esenzione dai tributi, il vescovo mise mano alla ricostruzione di Ticinum.
La posizione istituzionale di Odoacre non era ben chiara. Il suo potere (rex gentium) era fondato sulla forza dei soldati, il cui appoggio, secondo Procopio, era stato ottenuto con la promessa dell’hospitalitas negata da Oreste [8]. Il comportamento della corte orientale nei confronti di Odoacre fu ambiguo: alla richiesta del titolo di "patrizio" fatta da Odoacre, Zenone rispose che la concessione era competenza di Giulio Nepote, ma in una lettera privata a Odoacre lo stesso Zenone gli si rivolgeva chiamandolo "patrizio" [2]. Lo status regale, l’appoggio dell’esercito, il rispetto mostrato da Odoacre per le istituzioni (l’impero di Costantinopoli, il Senato di Roma e la Chiesa cattolica) e viceversa l’apparente mancanza di ostilità da parte di queste istituzioni, aumentarono il prestigio di Odoacre e gli permisero la collaborazione della classe dirigente latina [2].
I principali atti di Odoacre sono stati registrati anche nei Consularia Italica [9]. Odoacre represse ribellioni interne giustiziandone i capi, per es. Brachila nel 477 [3] e Adarico, nell’anno successivo. [10]
Odoacre ottenne importanti risultati anche in politica estera:
* acquisizione della Sicilia, dietro pagamento di un tributo, dai Vandali di Genserico (476-477); accettazione del confine naturale delle Alpi verso i Visigoti della Gallia meridionale;
* annessione della Dalmazia (nel 481/482, dopo aver sconfitto e ucciso Ovida, l’assassino di Giulio Nepote [11]);
* la guerra contro i Rugi con cattura del loro re nell’anno 487 [16] [17] [18].
NOTE
1. Ludovico Antonio Muratori, Annali d’Italia dal principio dell’era volgare sino all’anno 1750, Monaco: Stamperia di Agostino Olzati, 1762, Tomo Terzo (Dall’anno 401 dell’era volgare fino all’anno 600), pp. 123-4 (on-line)
2. Maria Cesa, "Odoacre nelle fonti letterarie dei secoli V e VI". In: Paolo Delogu (a cura di), Le invasioni barbariche nel meridione dell’impero: Visigoti, Vandali, Ostrogoti, atti del convegno svoltosi alla Casa delle culture di Cosenza dal 24 al 26 luglio 1998. Soveria Mannelli: Rubbettino Editore srl, 2001, ISBN 88-498-0064-9, ISBN 978-88-498-0064-7, pp. 41-59 (on-line)
3. Giordane, De origine actibusque Getarum, XLVI, 242
4. Arnaldo Marcone, "I regni romano-barbarici: dall’insediamento all’organizzazione statale". In: Cinzia Bearzot, Franca Landucci Gattinoni, Franca Landucci, Giuseppe Zecchini (a cura di), Gli stati territoriali nel mondo antico, Milano: Vita e Pensiero, 2003, pp. 135-155 (on-line)
5. Aurelio Bernardi, "La fine dell’impero d’occidente". In: Aurelio Bernardi et al. (a cura di), La Storia: 4. Dall’impero romano a Carlo Magno. Milano: Mondadori, 2004
6. "Origini germaniche del medioevo". In: Annamaria Ambrosioni e Pietro Zerbi (a cura di), Problemi di storia medioevale. Milano: Vita e Pensiero, 1988, ISBN 88-343-7593-9, ISBN 978-88-343-7593-8, p. 29
7. Giuseppe Zecchini, "Il 476 nella storiografia tardoantica". In: Giuseppe Zecchini, Ricerche di storiografia latina tardoantica. Roma: L’Erma di Bretschneider, 1993, ISBN 88-7062-822-1, ISBN 978-88-7062-822-7, p. 65
9. I Consularia Italica sono la cronaca ufficiale della redatta dalla cancelleria imperiale di Ravenna, il cui contenuto è ricostruibile soprattutto in base a compilazioni più tarde, come i Fasti Vindobonenses priores e l’Auctarium Havniense
10. Auctarium Havniense ordo prior, 478
11.Auctarium Havniense ordo prior, 482
Estratto dal libro: A. ARECCHI, Attila e Teodorico – L’impero finisce a Pavia (ed. Liutprand).
Fonte: da liutprand.it
Link: http://www.liutprand.it/
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