«Il corpo ai corvi, l’anima a Satana»
Velo Veronese.
I briganti nell’immaginario collettivo del passato, anche
sui monti Lessini, venivano quasi sempre concepiti come personaggi leggendari,
avvolti da un alone di mistero e spesso ritenuti dotati di poteri magici
conseguiti dal Diavolo stesso, per aver venduto l’anima, in cambio di favori e
ricchezze; si mischiava cioè la verità, con la superstizione e la leggenda. E’
nell’ambito di questa credenza popolare che nacque la leggendaria figura del “brigante Tomasìn”, al secolo Tommaso Comerlati.
Per tradizione popolare della Lessinia e di Velo Veronese in
particolare si ricorda ancora la sanguinaria figura del “brigante Tomasìn”.
Nacque in contrada Comerlati di Velo
Veronese e gli furono attribuiti molteplici efferati delitti; spadroneggiò
in Lessinia per decenni agli inizi del XIX° secolo, al tempo di Napoleone
Bonaparte e con la scusa di contrastare il dominio francese iniziò a depredare
e briganteggiare sui territori lessinici che a quel tempo erano appunto
infestati da questa terribile piaga. Non v’era infatti strada o vallata della
Lessinia che non fosse oggetto dei saccheggi e delle incursioni dei briganti.
Velo Veronese - contrada Comerlati - la casa-fortezza dove
nacque e visse il temibile "brigante Tomasìn" (al secolo Tommaso
Comerlati). Come si può notare la casa è dotata di un alto muro di cinta e di
svariate finestrelle ("bocaròi") dalle quali era possibile sparare
dall'alto con "el s'ciopo" in caso di assedio.
In merito a questa piaga sociale che affliggeva i nostri
monti di quell’epoca ne fa menzione anche Daniele
Bonomi, che fu Sindaco di Velo Veronese nella seconda metà del XIX° secolo,
nel suo famoso Diario di memorie; il Bonomi al riguardo scrisse testualmente:
”Vennero in Italia
capitanati da Napoleone primo. Qui in Italia era dominata da quattro barbari,
come per esempio a Cuzzano nella
Valpantena vi era un così nominato Allegro
in quale dominava tutti questi monti ma senza giustizia, operando iniquità
sevizie e barbarie d’ogni sorta, aveva i suoi così detti bulli i quali sotto il
suo ordine, li ammazzavano, ne invitava al suo castello, e là aveva il pozzo
dei rasoi che inavvedutamente ci cadevano, e con altri modi li rendevano
cadavere, però certo Comerlati Tammaso
di qui che io conobbi ed anche ne ho parlato assieme fu invitato al castello.
Allegri di Cuzzano perché tentava di ucciderlo, però il Comerlati sapendo di
che si trattava ci andò ma sempre con l’arma alle mani, e vedendo che al
sicario Allegri andò fallito il suo divisamento, lo dovette accompagnare fuori
del recinto rimanendo avvilito e con paura della propria vita. Il Comerlati poi
era un uomo bellicoso e feroce e sanguinario perché alla Bettola nell’osteria
con un colpo di fucile rese cadavere un suo fratello, uno ne uccise a Badia un
certo Filipozzi Tulio al suo pari
che colà fu invitato per essere lui ucciso, ma avvertito del fatto rimase morto
il Filipozzi al ponte di Badia infatti mi disse più volte che ne ha ucciso
dieci e quando mi raccontava queste cose aveva l’età di ottant’anni. Il sicario
Allegri teneva due fratelli nominati Ferrazzetti
di Giazza che di questi aveva gran timore e paura quindi come là pensò onde
poterli fare ammazzare, questi con astuzia furono condotti da un loro compare a
Chiesanuova da certo Michele del Rost,
che io lo conobbi a pieno e colà che furono mediante un pranzo furono
addormentati e allora i bravi ed ignoranti dell’Allegro li inchiodarono e li
sconfissero i pugnali nella gola e furono vittime sulla tavola da pranzo, e
questo è fatto vero, perché in quella osteria io feci l’oste tre anni, ed
ancora si conserva la tavola coi due buchi del pugnale che resero vittime i
Ferrazzetti.
Però anche i fratelli
Ferrazzetti erano barbari, che solo vi dirò un fatto. A Rivolto presero un
passante, e nel cappello presero il sangue e poi lo diedero da mangiare ai cani
dopo averlo scannato, come un maiale. Venuto Napoleone I detronizzò ed ammazzò
tutti questi mostri di umanità. Tutte le giovani che prendevano marito venivano
imprudentemente violate; mio avo Bonomi
Daniele mi raccontava che quando Napoleone era per dare la disfatta el
castello, Allegro invitò tutti i montanari alla difesa che vi fu anche lui, ma
a gambe dovettero prendere il Rosaro accompagnati dalle balle e dai proiettili”.
La figura del “brigante Tomasìn” era avvolta dal più fitto
alone di mistero e satanismo e la tradizione popolare narra appunto che avesse
venduto l’anima al Diavolo per entrare in possesso del famoso “libro della
fisica” di Pietro D’Abano (o “libro
del Diaolo”) stipulando un presunto patto con il Diavolo per giustificare non
solo la sua efferata crudeltà, ma anche le ricchezze e l’imprevedibilità.
Grezzana - villa Arvedi - secondo quanto viene riportato nel Diario di Daniele Bonomi, il conte Allegri agli inizi del XIX° secolo invitò il famoso "brigante Tamosìn” nella sua villa per farlo cadere nel “pozzo dei cortèi”
Tommaso Comerlati, descritto come un uomo di grossa
corporatura e dotato di una forza eccezionale era pure estremamente astuto e
scaltro, ma soprattutto dotato di una crudeltà ed una spietatezza senza pari.
Nella sua casa nativa della contrada Comerlati, si era creato il suo covo e
l’abitazione era dotata di robuste ed alte mura in pietra, munita di un
invalicabile muro di cinta e le finestre dell’abitazione, molto strette ed in
posizione strategica, consentivano di poter sparare in ogni direzione e
fronteggiare eventuali tentativi di assedio. Il Comerlati vestiva come un
brigante del passato, girava sempre armato di archibugio, di pistole e pugnali;
si era anche creato una propria banda di “bravacci” della sua risma tra cui
emergeva la figura di un certo “Varalta”,
astuto, scaltro e sanguinario malvivente. Il “brigante Tomasìn” per decenni
taglieggiò gli abitanti della Lessinia e se quei poveracci non potevano
soddisfare le sue pretese li ammazzava senza pietà.
Grezzana - villa Arvedi - secondo quanto viene riportato nel
Diario di Daniele Bonomi, il conte Allegri agli inizi del XIX° secolo invitò il
famoso "brigante Tamosìn” nella sua villa per farlo cadere nel “pozzo dei
cortèi”
La storia gli attribuisce ben dieci omicidi e la sua crudeltà non risparmiò neppure un suo congiunto. Si racconta infatti che una sera, accompagnato dalla sua banda di briganti, mentre stava rincasando presso la contrada Comerlati giunse all’osteria della Bèttola, udendo che all’interno vi erano delle persone scese da cavallo, si avvicinò alla finestra e spiando vide un suo fratello intento a giocare a carte con alcuni amici. Senza tanti convenevoli prese il fucile, lo puntò verso il fratello e gli sparò in pieno volto uccidendolo all’istante e ferendo due dei presenti. Sul movente di questo efferato gesto non esistono certezze, ma secondo quanto narra la tradizione popolare locale è presumibile che l’omicidio sia maturato in seno ad una banale lite che scoppiò alcuni giorni prima tra il “brigante Tomasìn” e suo fratello circa il gioco delle carte e una vincita non pagata da quest'ultimo.
Località Bettola - l'antica osteria dove
"el brigante Tomasìn" (al secolo Tommaso Comerlati) con una fucilata
"freddò" il fratello a seguito di una banale lite per un debito di
gioco.
L’efferatezza e la crudeltà di questo sanguinario brigante
divennero ben presto leggendarie, tanto è vero che si narrava che si prendesse
beffa delle sue vittime in un modo veramente atroce; infatti faceva salire la
vittima designata su un albero, obbligandola con lo schioppo puntato e intimava
al malcapitato di imitare a voce alta il verso del cuculo, poi con una fucilata
lo abbatteva spietatamente.
La leggenda su questo crudele personaggio del passato narra
anche che avesse venduto l’anima al Diavolo che gli avrebbe accordato la sua
protezione in cambio e questa credenza fece del Tomasìn un brigante veramente
temuto; si narrava anche che a guardia della sua persona v’erano sempre due
giganteschi cani neri, intesi come due demoni al suo servizio, e che cavalcasse
un cavallo bianco durante il giorno ed uno completamente nero la notte.
Questo personaggio, realmente esistito, ma circondato da un
mistero infernale divenne anche il soggetto di leggende raccontate nei filò
delle lunghe serate invernali nelle stalle delle contrade dei nostri monti; al
riguardo la tradizione popolare lessinica narra che il “brigante Tomasìn” una
sera, al calar del sole, mentre stava rincasando nel suo covo, quando giunse in
località “Spìn del poièro” di S.
Mauro di Saline dopo essere sceso dal cavallo bianco ed essere salito su quello
nero, l’animale improvvisamente si imbizzarrì ed il brigante adirato dal suo
comportamento proferì una pesante bestemmia. Improvvisamente comparve un enorme
cane nero che con un balzo saltò sul cavallo ed afferrò con i denti i capelli
del brigante in modo tale che costui non potesse girare il capo; a questo gesto
il Comerlati , intuendo che si trattasse del Demonio venuto a riscuotere la sua
anima dannata, gli pronunciò la frase: “Salta
so dal cavàl parchè no l’è ancora ora de torte l’anima! ”. Il grosso cane
nero, udendo questa frase scese immediatamente dal cavallo è sparì
improvvisamente.
Pagina iniziale dell'originale del "Diario" di
Daniele Bonomi fu Francesco. Le memorie del Diario vennero scritte
olograficamente dal Bonomi su un registro postale. In questo
"memoriale" Daniele Bonomi narrò anche del terribile "brigante
Tomasìn" (al secolo Tommaso Comerlati) da lui personalmente conosciuto
quando era in tarda età.
Ma la crudeltà del “brigante Tomasìn” divenne persino
proverbiale; era infatti solito macchiarsi di gesti veramente spietati . Si
narra ad esempio che giorno girando per i suoi poderi, notò "on
pitòco" (un poveraccio) intento a raccogliere da terra alcune pere cadute
a terra e su un fondo di proprietà del Tomasìn, con l’unica finalità di potersi
finalmente sfamare; il brigante gli puntò contro il fucile, chiamò un suo servo
e gli ordinò di portare un grosso cesto pieno di pere. Costrinse il povero
malcapitato ad ingozzare velocemente ad una ad una le pere. L'uomo ormai
esausto fu costretto ad ingoiarle tutte e nonostante le suppliche di avere
salva la vita il brigante lo costrinse a salire su un albero delle pere e
quando giunse in cima con una fucilata lo abbatte senza pietà, ammazzandolo
all’istante.
Altrettanto leggendaria ed avvolta nel mistero è pure la
fine di questo spietato brigante lessinico del passato.
La tradizione popolare narra che un giorno durante il
percorso di ritorno da Verona, dove si era recato per giocare d’azzardo con
alcuni amici della sua risma, quando giunse nelle vicinanze della sua contrada
venne nuovamente assalito dal grosso cane nero che gli ringhiò furiosamente. Il
sanguinario brigante aumentò allora l’andatura del cavallo per liberarsene, ma
il cane lo seguì passo dopo passo fino alla sua casa in contrada Comerlati.
Giunto nel covo il cane lo aggredì e gli strappò dal capo la parrucca che era
solito portare. Il Comerlati capì che si trattava nuovamente del Diavolo in
persona che era venuto a riscuotere il suo tributo, cioè l’anima che gli aveva
venduto. Ma anche questa volta riuscì a rimandare il momento finale.
Il brigante però che si era macchiato di atroci delitti era
continuamente braccato dalle guardie e riuscì sempre a sottrarsi alla cattura;
sennonchè un giorno vistosi inseguito da un gruppo di guardie che lo tallonava
da tempo per sottrarsi alla cattura riuscì a nascondersi sul monte Purga di
Velo, in mezzo ai boschi; ma fu scoperto e, vistosi senza scampo, dopo aver
gridato la frase “Il corpo ai corvi,
l’anima a Satana”, si lanciò giù dall’albero su cui era salito e scomparve
nel nulla. Dopo di allora, di lui, non se ne seppe più nulla.
Fonte: da Fecebook “Velo
Veronse”
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