L’UNICO MODO PER RESTARE IN ITALIA È ANDARSENE.
L’unico modo per restare in Italia è andarsene. Perché non
c’è salvezza.
Il nostro è un Paese intrinsecamente e ormai anche
antropologicamente mafioso.
Quando si afferma, con toni trionfalistici o di grande
sollievo, che la corruzione recentemente scoperchiata a Roma e chiamata ‘mafia
capitale’ non è un fenomeno mafioso perché la magistratura non ha accertato
infiltrazioni della Mafia propriamente detta, non ci si rende conto che, così,
la cosa è ancora più grave. Perché la mafia, la camorra, la ’ndrangheta, la
Santa Corona Unita (in questa specializzazione deteniamo il record del mondo)
sono delle organizzazioni strutturate e quindi, almeno teoricamente, individuabili,
mentre la corruzione capillare e diffusa è irriconoscibile e non percepibile.
Dopo l’articolo di martedì di Marco Travaglio pubblicato dal
Fatto (“La strage dei capaci”) che si può dire di più? Nulla. Nondimeno
l’articolo di Travaglio non servirà a nulla. Come a nulla sono serviti gli
elzeviri di Indro Montanelli o le inchieste di Giorgio Bocca. Nonostante
qualche lodevole sforzo l’Italia è andata irrimediabilmente peggiorando, da
ogni punto di vista: etico, culturale, umano. E nulla sembra poter fermare
questa deriva.
Mani Pulite poteva essere l’ultima occasione della nostra
classe dirigente per emendarsi. Invece nel giro di pochissimi anni, con i
testimoni del tempo ancora in vita, la situazione è stata capovolta: i giudici
sono diventati i veri colpevoli e i ladri le vittime e spesso giudici dei loro
giudici.
Come si poteva pensare che la nostra classe dirigente,
politica, imprenditoriale, finanziaria, non ne ricavasse un senso di impunità
per corrompersi e corrompere ancora di più? Impunità che è confermata dai
fatti: solo lo 0,25% della popolazione carceraria è composta da ‘colletti
bianchi’, mentre in Germania, dove la corruzione è infinitamente minore, la
percentuale è del 15%.
Come si poteva pensare che con un simile esempio la corruzione
non discendesse giù per li rami arrivando a tutti i cittadini, di basso e alto
ceto, per cui oggi non puoi andare nemmeno in una piscina frequentata da gente
benestante senza che dagli armadietti non ti rubino anche le mutande sporche?
In Italia qualsiasi tentativo per migliorare le cose non fa
che peggiorarle. In Università si è cercato di tagliare le unghie al sistema
delle ‘baronie’. Cosa succedeva prima?
Il ‘Barone’ cooptava pressoché automaticamente l’assistente
che aveva lavorato per lui alcuni anni, sostituendolo nelle lezioni, nei
colloqui con gli studenti, inventandosi format utili al Dipartimento ed
escludendo così altri pretendenti che avevano eventualmente più titoli per
occupare quel posto.
Come ha reagito la mafia dei prof? Elementare Watson:
aggirando l’ostacolo.
Ora il professore Caio non coopta più direttamente il suo
protetto ma quello del professor Sempronio che al primo giro utile gli
restituirà il favore. Ciò comporta la complicità degli altri professori che
compongono la Commissione d’esame (la composizione della Commissione è il vero
momento decisionale che prescinde da ogni valutazione di merito) e degli stessi
studenti che devono partecipare al raggiro, o fingere di non vederlo,
altrimenti sono tagliati fuori. Così se prima il posto di assegnista, di
ricercatore, di associato lo occupava un soggetto che comunque una qualche
competenza ce l’aveva, ora può esservi catapultato qualcuno che, in quella
materia specifica, non ha competenza alcuna.
Non è escluso, naturalmente, che da questo sistema di
raggiri esca un candidato scientificamente all’altezza, nelle nostre università
ce ne sono, ma è più facile il contrario e che molti candidati, che non si sono
adeguati al sistema, rinuncino e dopo anni spesi inutilmente si cerchino un altro
lavoro.
E comunque che insegnamento etico potranno dare questi nuovi
prof, selezionati in tal modo, che si sono adeguati al sistema, ai loro
discepoli? Un insegnamento, che di adeguamento in adeguamento, crea una classe
di professori anche peggiori, dal punto di vista morale, di coloro che li hanno
preceduti e scelti, in un avvitamento vizioso che non ha fine.
Il sistema è talmente collaudato e la mafia dei professori,
come quella dei politici, così sicura della propria impunità che nessuno ha mai
osato reagire. Per la verità uno c’è stato, recentemente. Il ricercatore di 49
anni, Philip Laroma Jezzi, non a caso di origine inglese, stufo di essere preso
in giro da anni e minacciato dalla congrega dei prof di essere definitivamente
estromesso se si fosse permesso di presentarsi a un concorso che aveva i titoli
per vincere (“smetti di fare l’inglese e fai l’italiano”) ha denunciato questo
sistema mafioso in voga, nel caso, all’Università di Firenze ma in pratica in
tutti gli Atenei italiani. Sette professori sono finiti abbottegati, 22 sono
stati interdetti dall’insegnamento per un anno. Che fine faranno l’inchiesta e
Laroma Jezzi lo vedremo, forse.
Il Laroma Jezzi mi ricorda un altro italoinglese, il
Pubblico ministero Henry John Woodcock, uno dei nostri magistrati più
irreprensibili, che sta passando l’anima dei guai proprio perché è uno che non
si adegua.
Quel che è certo è che comunque vada a finire l’inchiesta,
fra qualche migliaio d’anni dati i tempi della nostra giustizia, il sistema
resterà ‘tel quel’. L’Università dovrebbe essere “rivoltata come un calzino”
per usare un’espressione di Davigo. Invece cosa propone quel nuovo fulmine di
guerra di Pietro Grasso, leader di “Liberi e uguali”, che non ha avuto nemmeno
la decenza di dimettersi da presidente del Senato dopo aver lasciato il partito
che lì ce lo aveva messo? Propone, demagogicamente, a soli fini elettorali, non
diversamente da quanto stanno facendo Berlusconi, Renzi, Salvini e tutti gli
altri, l’abolizione delle tasse universitarie come se questo servisse a
qualcosa.
La Rai è l’emblema di questa “mafiosità che non osa dire il
suo nome”. Anche in Rai ci sono ovviamente alcuni ottimi professionisti. Lucia
Annunziata è una di questi. In una bella intervista concessa al Fatto anche
l’Annunziata è però costretta ad ammettere di essersi dovuta adeguare al
macrosistema mafioso vigente in Rai come in ogni altro settore pubblico e anche
privato. Se non l’avesse fatto sarebbe finita fuori come Milena Gabanelli.
In Italia c’è una dittatura mascherata da democrazia. Che è
ancora più insidiosa di una dittatura propriamente detta. Perché soft,
impalpabile, in un certo senso collettiva, perché coinvolge quasi tutti e non
sai nemmeno a chi sparare col tuo fuciletto a tappo.
E allora che cosa si può fare per rimanere italiani senza
vergognarsi di esserlo? Guardare l’ex Bel Paese da lontano. Da molto lontano.
Massimo Fini
Fonte: fa Il Fatto Quotidiano, 13 gennaio 2017
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