lunedì 18 dicembre 2017

CAVORRA - di ANTONIO CIANO





Antonio Ciano è una delle persone più limpide, tenaci e generose che abbia mai conosciuto. Ha trascorso la vita a cercare testimonianze, documenti sullo stupro patito dalla sua città, Gaeta, per unificare l'Italia con le stragi, il saccheggio e gli insulti ai terroni. E a divulgare quanto appreso, con il suo stile irruente, il linguaggio ruspante, immediato ed efficace, come è suo carattere.

Antonio non ha mai cercato di infiocchettare letterariamente il racconto delle verità conquistate; il suo obiettivo è far sapere, farsi comprendere. E accidenti se ci riesce! 

È un uomo profondo, saggio e con l'innocenza di un bimbo; strana mistura la cui qualità a nessuno sfugge, tanto che i suoi stessi avversari gli danno atto della sua onestà, lo ammirano.

Ma è tosto, tosto, tosto: per i suoi libri ha affrontato processi, solitudine, disagi (e anche difficoltà economiche), senza mai nemmeno porsi la domanda se non sarebbe stato meglio, a un certo punto, divenire “più prudente".

È chiaro che voglio un gran bene ad Antonio e sono orgoglioso della sua amicizia, ma non gli sto regalando niente. E se parlo di lui e meno del suo libro (che ha già esaurito le prime edizioni), è perché voglio preparare il lettore a quello che troverà in “Cavorra”, un Cavour da camorra. 

Con la penna caricata a palle incatenate, Ciano svela i vizi e i viziacci, gli interessi, gli arricchimenti (“grazie al posto”) del genio politico piemontese, che riuscì a fottere francesi e inglesi e a fare terra bruciata di una terra e un Regno, quello delle Due Sicilie, che non era un paradiso, ma comunque un posto da dove, sino a quando non fu sottoposto alle “patriottiche” cure del conte e dei suoi bersaglieri e finanzieri, nessuno era mai emigrato, nella storia dell'umanità.

Cavour speculò pure sulle disgrazie e le carestie della sua gente, cumulando una fortuna impressionante (40 milioni di lire dell'epoca, una enormità). Era un'epoca di caimani, quella e il conte fu sicuramente uno dei più intelligenti, spregiudicati, avidi, e feroci. Il Paese che nacque con quei sentimenti e quei metodi ne porta ancora i segni.



Pino Aprile


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