L'uomo delle caverne sicuramente dovette alimentarsi con
cereali che usava macinare grossolanamente tra due pietre e cuocere in acqua
bollente. Così fecero i babilonesi, gli assiri e gli egiziani. Dei grani di
mais sono stati rinvenuti a Tebe, in una tomba egizia a testimonianza di ciò.
Nell'epoca romana
la polenta era chiamata con un nome molto simile al nostro,
"pultem". Essa era fatta con un cereale simile al grano,
più duro: il farro , che macinato e cotto, dava una polentina molle, che veniva
servita con formaggi e carni varie.
Solo con la scoperta
delle Americhe e quindi del mais il binomio polenta e mais divenne
indissolubile fino ai giorni nostri. Infatti sino ad allora, ripetiamo, la
materia-base della polenta non era il mais, ma il farro, il grano saraceno, il
miglio, il sorgo o il panico.
Solo dopo che Cristoforo Colombo, sbarcato a Hispaniola
(l'attuale isola caraibica occupata dalla Repubblica Dominicana e Haiti) ebbe
trovato quei grani d'oro, che egli chiama, come aveva udito gli indigeni Tainos
chiamarli, MAHIZ ("una specie di fava" scriverà nelle sue lettere
indirizzate ai reali di Spagna, "una specie di grano chiamato mahis"
5 novembre 1492), solo allora si comincerà a parlare di "mais".
Il mais fu introdotto così in Europa e attorno al 1525 già
veniva coltivato in Spagna ed in Portogallo. In America e precisamente nelle
zone centrali del continente (Messico, Guatemala, Honduras), i Maya, gli
antichi abitanti, coltivavano il mais già tremila anni fa. Da allora, per oltre
due millenni, il ritmo della vita di quelle popolazioni fu basato sul ciclo del
mais. Al mais essi dedicarono il culto del dio Xilotl, una delle loro
principali divinità. Ma torniamo alla storia della polenta in Europa. Si hanno
notizie di polenta di farina gialla nel Friuli già verso il 1550-55. Forse i
friulani già abituati alle antiche pultes julianae, precedettero le altre
popolazioni nell'uso del cereale. Appena giunto dall'America.
IL MAIS ALLORA VENIVA
CHIAMATO GRANOTURCO. MA PERCHÉ "TURCO"?
Nel primo '500, il linguaggio comune chiamava
"turco" tutto ciò che era straniero. Non c'è da stupirsi, se così
veniva definito il mais, anche se arrivava dalla parte del mondo.
Un'altra ipotesi invece è propensa a ritenere che il mais
fosse già arrivato in Europa da Oriente col nome di granoturco per la semplice
ragione che i persiani, che lo coltivavano e lo consumavano, vivevano sotto il
dominio dei turcomanni.
Ma allora era americano o persiano il mais o granoturco
usato la prima volta per la polenta friulana o veneziana?
Sappiamo che a
Venezia all'ora forse nel suo massimo splendore, venivano confezionati i
famosi zaleti, dolcetti molto rustici, popolari, di farina gialla di mais, ben
prima della scoperta dell'America: e indubbiamente la cucina friulana era influenzata
dai rapporti con Venezia.
Sappiamo di
viaggiatori tedeschi che descrissero le pianure dell'Eufrate coltivate a mais.
In epoche antichissime potrebbero esserci stati contatti e scambi tra il
continente asiatico e quello americano. E chi può dirci se l'uomo non sia
giunto in America la prima volta proprio da quella parte? Certo è che fu dal
XVII secolo che avvenne la grande diffusione del mais in Europa.
In Italia il
"frumento a granelle grosse e gialle" (così lo chiamavano) ebbe
la sua maggiore fortuna nel Veneto e nel vicino Friuli.
Fu Venezia a
introdurlo nelle paludi del Polesine e nel Friuli.
Secondo uno studioso,
Giovanni Beggio, la prima
seminagione è datata 1554, "Made
in Veneto".
Nei secoli seguenti
l'intera Padania - sia nelle fasce pianeggianti e fertili. Come nelle fasce
collinari e montane - non mangiò altro che polenta di mais. La polenta risolse
enormi problemi alimentari di molte popolazioni povere tanto che l'eccessivo ed
esclusivo consumo di questo cibo portò in Europa la malattia della pellagra. Si
disse allora che la polenta non poteva dare all'organismo tutto ciò che esso
richiedeva. Ma tutto ciò non era vero.
La polenta non era
colpevole, ma la miseria che obbligava a mangiare esclusivamente polenta
senza integrarla con altri elementi. Infatti a pensarci bene, qual è il cibo
che può essere di per sé, unico, sufficiente, universale, se non integrato con
altri elementi e alimenti? Una semplice verità che maya e aztechi conoscevano
bene.
Oggi in epoca di conoscenze
nutrizionali questa limitazione nata dalla convinzione che la polenta sia
povera dal punto di vista nutritivo, va corretta, perché oggi e accertato che
il mais come tutti i cereali, può fornire un buon apporto di proteine. Si
tratta,invero, di proteine minori che hanno bisogno di essere integrate per
assicurare il giusto contributo nutritivo.
Quindi la più povera
delle polente diventa un cibo straordinario e completo quando ad essa
vengono aggiunti i soliti semplici condimenti (salsicce, fagioli, formaggio
grattugiato etc. etc.), proprio quei condimenti che la vecchia saggezza
contadina usava ed usa ancora, realizzando piatti che accontentando i
buongustai, contengono proteine, carboidrati, grassi, sali minerali e qualche
vitamina.
Fonte: da Molino
Cereser
STORIA DELLA POLENTA
Il rigore dell'inverno con il suo gelo ci costringe spesso a
passare molte ore rintanati in casa e per quei pochi coraggiosi che pur di non
poltrire tra le mura domestiche si riversano per le strade, con l'intento di
fare una passeggiata, il clima invernale ha per loro in serbo la tortura degli
spifferi d'aria fredda.
Per mitigare le rigide temperature imposte dal “generale”
inverno cosa c'è di più gustoso e caldo di un bel piatto di polenta fatta in
casa (o anche comprata)?
Quest'antica prelibatezza, diffusa soprattutto nell'Italia
settentrionale, in diverse zone geografiche è conosciuta anche come “pulenda” o
“polenda”; tale pietanza è prevalentemente costituita dalla farina di cereali.
La sua fama culinaria si è distribuita a macchia d'olio su
tutta la penisola italiana anche se per lunghi periodi è stata utilizzata come
elemento fondamentale per la dieta di località lombarde e venete.
Questo piatto culinario non è circoscritto sono al suolo
italiano ma si è fatto conoscere anche fuori dalla nostra penisola; infatti la
polenta è molto conosciuta ed apprezzata nel dipartimento francese della
Savoia, in Ungheria con il termine “puliszka”, in Croazia come “palenta”,
“žganci” o pura, in Austria, Slovenia come “polenta” o “žganci”, in Austria,
Serbia con il termine “palenta”, in Svizzera, in Romania come “mamaliga”, in
Albania con il termine “harapash”, in Bulgaria, in Brasile come “polenta”,
Venezuela e Messico, in Corsica come “pulenta”, in Uruguay, in Argentina, in
Ucraina e nel Caucaso con il termine “culesha”.
Michele Amari nel libro “Storia dei Vespri Siciliani”
riporta la notizia storica dell'utilizzo di polenta ed acqua, da parte delle
donne di Messina, per sfamare i soldati intenti a difendere le mura cittadine
dal feroce assedio delle truppe francesi.
Gli ingredienti base per realizzare la polenta sono sale,
acqua e farina di cereali; quella di granoturco è attualmente la più utilizzata
in ambito europeo e da essa si ottiene la polenta gialla.
I precedenti elementi saranno depositati in un paiolo di
rame (secondo tradizione) e cotti all'interno di esso per circa un'ora; la
polenta “bramata” è ottenuta macinando a pietra la farina in modo fine o grosso
e la modalità di macinatura dipende dalla regione di origine e dalla tradizione
del luogo.
Tipicamente la polenta viene servita coperta da uno straccio
e posizionata su una tavola circolare e a seconda dello stato con cui è stata
cucinata viene offerta ai propri invitati o a fette o con un cucchiaio; la
suddivisione della polenta a fette una volta veniva effettuata dal basso verso
l'alto per mezzo di un filo di cotone.
Il termine polenta proviene da “puls”, una parola latina che
stava ad indicare la polenta di farro dove la stessa parola farro deriva dal
latino “far” ovvero farina; tale ingrediente era l'elemento base della dieta
utilizzata dalle popolazioni trapiantate sul suolo italico.
Le antiche popolazioni elleniche utilizzavano invece l'orzo.
La scoperta dell'America diffuse come elemento base per la
polenta il mais; precedentemente al posto di tale ingrediente venivano utilizzati
altre tipologie di cereali come la segale, il miglio, il grano saraceno e il
frumento oltre al farro e all'orzo.
Odiernamente la polenta ottenuta con i cereali testé
elencati è una pietanza molto difficile da trovare sulle tavole delle famiglie europee.
Oggi giorno si possono trovare in commercio specifiche
farine di granoturco precotte che riducono il tempo di cottura portandolo a
pochi minuti; ovviamente sussiste una qualità proporzionale al risparmio di
tempo di preparazione che va ad incidere sulla compattezza e sul gusto della
polenta classica.
A pennello calzerebbe il detto, modificato per l'occorrenza,
“regione che vai, polenta che trovi”; infatti a seconda delle zone in cui ci si
sposta all'interno della nostra penisola si possono gustare diverse e prelibate
varianti di polente.
Una tipologia di questo squisito piatto culinario è
sicuramente la polenta taragna, conosciuta in molte zone semplicemente come
taragna.
La taragna è un piatto tipico della cucina delle zone delle
valli bergamasche e bresciane, della Valtellina e della Camuna.
Il nome di tale pietanza deriva dal “tarai” (“tarel”) che
era un lungo bastone utilizzato per girare la polenta quando si trovava nel
paiolo di rame, pronta per essere preparata.
L'elemento con cui viene cucinata è lo stesso presente nelle
altre molteplici polente dei rilievi lombardi; tale ingrediente è un composto
formato da farina di grano saraceno che tende a scurire la polenta.
Ovviamente il colore giallo di tutte le altre polente è
dovuto all'impiego di un solo tipo di farina e nella taragna durante il
processo di cottura viene fatto assorbire il formaggio.
Sulle rive del lago di Como proviene la “pulenta uncia”; per
prima cosa bisogna preparare un soffritto costituito da aglio, burro (una dose
molto sostanziosa), formaggio semüda e salvia e
successivamente unirlo alla polenta ottenuta con farina di
mais e farina di grano saraceno nel paiolo.
In questo modo si ottiene un composto omogeneo.
Più molle si presenta la “pult” una polenta di piccole dimensioni
realizzata sempre sul lago di Como che si ricava dal miscuglio di frumento e
farina di mais; tale variante di polenta viene preparata specialmente d'estate
e la si può gustare intingendola nel latte, preferibilmente freddo.
Le zone biellesi e valdostane possono vantare la
tradizionale “polenta concia”, conosciuta come “polenta grassa” e tipicamente
adatta in giornate invernali e fredde.
Tale polenta è preparata con ingredienti classici dell'arte
culinaria delle zone montane della nostra penisola quali mais, formaggio e
farina; inoltre non ha una vera e propria ricetta ma è caratterizzata dalla
principale procedura di squagliamento di pezzetti di formaggio come burro fuso,
toma o fontina (a seconda del proprio palato).
La cultura culinaria valdostana prevede la predisposizione
anticipata sul piatto di formaggio grattugiato (come il Grana Padano), pepe e
burro allo stato fuso.
Dopodiché il piatto viene infornato per qualche minuto in
modo da permettere al formaggio stagionato di squagliarsi e costituire una
prelibata e croccante crosta.
A volte, a seconda della zona, si condisce con una deliziosa
fetta di lardo d'Arnad la polenta calda appena sfornata.
Nelle zone del biellese il paiolo viene riempito con il
maccagno (o la toma) e il burro; nel piatto la polenta concia viene depositata
per mezzo di un mestolo e condita infine con una dose sostanziosa di burro.
Nelle zone del Piacentino invece la pulëinta consa viene
realizzata tramite la polenta tagliata finemente a strati, e impreziosita a sua
volta con sugo e una copiosa spruzzata di Grana Padano.
Un'altra variante di questo cibo è la polenta saracena,
tradizione culinaria della zona della Val Tanaro; il grano saraceno da il nome
a questa pietanza.
L'Italia settentrionale è la zona in cui è molto diffusa la
polenta con i ciccioli che a seconda dei settori in cui è cucinata acquista
diverse denominazioni.
Le modalità di preparazione della polenta con i ciccioli
sono principalmente due; nel primo caso più utilizzato in generale avviene la
farcitura di una fetta di polenta ben abbrustolita con dei ciccioli (stessa
procedura prevista per la pulenta e grepule diffusa nella provincia mantovana)
mentre nel secondo modo alla polenta i ciccioli vengono aggiunti nelle diverse
fasi di cottura come nella tradizione locale della pulëinta e graséi promulgata
nel Piacentino.
La polenta di patate è invece molto conosciuta nelle zone
meridionali del Trentino; la preparazione di tale polenta avviene cuocendo in
acqua salata un po' di patate tagliate a tocchetti che al giusto stato di
cottura vengono setacciate insieme all'aggiunta di farine o di farina di grano
saraceno.
Infine si arricchisce il tutto con, formaggi, soffritto di
cipolle e cubetti di salame del posto; in alternativa si può personalizzare il
piatto con invenzione proprie e fantasiose.
Più centralmente e precisamente in Romagna si può trovare la
“polenta di Tossignano”che secondo tradizione, fin dal 1622, viene preparata
annualmente; solo nel 1943 e nel 1944 non si rispettò l'usanza per via della
presenza tedesca sul suolo romagnolo.
La polenta di Tossignano è di color giallo ed è ottenuta
mischiando vari tipi di farine di mais; il composto che si ottiene solitamente
è per metà costituito da grana grossa e l'altra metà da grana fine.
Tale polenta viene presentata in tavola molto dura e
suddivisa in vari cubetti ottenuti con un filo di cotone e impreziosita con un
ragù preparato con carne di maiale e arricchita con un'abbondante quantità di
formaggio Grana.
La polenta nel centro della nostra penisola viene cucinata
in maniera più soffice e presentata su di un supporto rettangolare molto grande
in legno (pero o ciliegio) posto al centro della tavolata.
Nel paiolo di rame, per circa 45 minuti, viene cotta la
polenta girata in modo continuo mediante lo "sguasciapallotti",
bastone di legno di orniello (noto anche nel nord Italia); tale bastone è di
forma diritta e finisce in un incrocio costituito da quattro rami.
Tale forma permette allo strumento di poter diluire i grumi
della farina.
La polenta, in Toscana, viene modellata in altre forme come
i crostini oppure cuocendola in forno o friggendola; classica è la pattona una
polenta molto dolce ottenuta con farina di castagne.
Una volta tale pietanza veniva utilizzata come contorno da
servire insieme al pesce, alla verdura o alla carne mentre odiernamente la
pattona è utilizzata come un cibo appartenente alla categoria dolciaria.
Nella città di Roma la polenta viene servita con un sugo
arricchito da salsicce e spuntature di maiale; un altro modo di cucinare la
polenta nella capitale è quello di non guarnirla con il sugo ma di insaporirla
con olio, peperoncino, salsicce e aglio, tutti quanti incorporati in un
soffritto.
Quest'ultima variante deriva direttamente dalle usanza
culinarie della tradizione contadina che prevedeva di consumare la polenta con
olio e aglio.
In ambedue i casi si può impreziosire la polenta con una
sventagliata, sostanziosa, di pecorino grattugiato.
Nelle zone laziali, in Ciociaria e in Campania è molto
diffusa la polenta fritta; nel territorio partenopeo i cubetti fritti di
polenta prendono il nome di “scagliozzi” o “scagliuozzi” e sono considerati
come crocchè.
Come nel caso della polenta bianca tramandata nel Lazio
anche qui a Napoli tale piatto veniva considerato un classico del panorama
culinario “povero” di Napoli.
Ricetta della polenta tipica siciliana e lucana è
sicuramente “la Frascatula”; essa è una ricetta tradizionale che si basa
sull'utilizzo di una patata, strutto e farina di granturco.
La Frascatula si sposa ottimamente con cotechino, o
salsiccia o con del semplice sugo; in casi particolari si orna il piatto con un
po' di vino cotto.
Anche l'isola della Sardegna ha il suo piatto tipico di
polenta che prende il nome di “pulenta”, “farru” (o anche polenta di orzo) o
“purenta”.
Tale pietanza è stata tramandata fin dalla civiltà nuragica
come testimoniano i vari strumenti dell'epoca rinvenuti, utilizzati per
preparare tale piatto e i resti fossili di organismi vegetali come le
graminacee dalle quali si potevano ottenere la farina.
Già in età romana gli abitanti della capitale deliziavano il
proprio palato con polenta di farro e orzo, inoltre trasformarono la pianura
del Campidano, in Sardegna, in terra per poter coltivare le graminacee.
Uno dei cereali più coltivato dai romani era proprio il
grano per ottenere così un grande quantitativo di pane e polenta; il massiccio
incremento della produzione di grano conferì alla terra sarda l'appellativo di
"granaio di Roma".
Sull'isola oltre al grano duro, l'ingrediente maggiormente
usato, anche le ghiande e le castagne sono ultimamente impiegate per cucinare
la polenta; oltre agli ingredienti testé elencati sono utilizzati anche segale,
avena e riso.
La polenta alla sarda può essere preparata impreziosendo la
pietanza con prezzemolo, salsiccia, pancetta magra, pecorino sardo, carota,
aglio, cipolla e sedano.
La “umutsima” è una specie di polenta cucinata in Burundi e
preparata con farina di manioca e acqua; è un piatto non salato e il suo nome
appartiene all'idioma kirundi.
Storicamente la polenta appartiene a tempi molto remoti e si
può quasi dire che si è evoluta pari passi con l'uomo.
Già l'uomo preistorico si cibava si cereali macinati tra due
pietre cotti in acqua bollente; stesso procedimento eseguito dagli assiri, gli
egiziani e i babilonesi.
Ad esempio in una tomba egizia eretta a Tebe sono stati
trovati grani di mais avvalorando ancor di più la tesi della diffusione di
questa pietanza già ai tempi degli egiziani.
Con il termine “pultem” in epoca romana si intendeva
indicare proprio la polenta.
La pultem era realizzata con un elemento simile al grano ma
più duro ovvero il farro; tale ingrediente veniva prima tritato e poi posto a
cottura ottenendo così una polenta poco compatta servita con carne e formaggio.
Il rapporto, duraturo ancora oggi, tra polenta e mais si
intensificò solo dopo la scoperta del continente americano; infatti prima della
scoperta dell'America gli alimenti base della polenta erano il grano saraceno,
il farro, il panico, il sorgo e il miglio.
Il mais secondo leggenda prese il nome da “Mahiz” parola
pronunciata dagli indigeni Tainos per indicare i “grani d'oro” scoperti da
Cristoforo Colombo una volta approdato ad Hispaniola (odierna isola dei Caraibi
ospitante la Repubblica Dominicana e Haiti); lo stesso Colombo denominerà
“specie di fava” il mais nelle lettere spedite alla famiglia reale spagnola.
Nel 1525 il mais prese piede in Europa ma già
precedentemente era stato diffuso in Portogallo e Spagna.
In Guatemala, Messico e Honduras i Maya con la loro fiorente
civiltà già coltivavano il mais (circa 3.000 anni fa); ancora oggi il ciclo
vitale di quelle popolazioni è legato intrinsecamente al mais.
Una delle loro divinità più importanti, il dio Xilotl, era
legato al culto del mais.
Nel 1550-1555 nel Friuli già si parlava di polenta preparata
con farina gialla ma precedentemente le popolazioni che abitavano in quella
zona utilizzavano le “pultes julianae” anticipando di molto le altre civiltà
nell'uso dei cereali.
Il granoturco è anche l'altra parola per riferirsi al mais;
sentendo questo nome ci si domanda il perché della parola “turco” utilizzata
per esprimere il cereale in questione.
La spiegazione è da ricercare nelle usanze lessicali del
'500 che tendevano a generalizzare con la parola “turco” tutti i vocaboli che
si trovavano in stretta correlazione con tutto ciò che era straniero e non
“nazionale”.
Però questa non è l'unica spiegazione; infatti un'altra
ipotesi dell'utilizzo del termine turco per indicare il granoturco è che coloro
che coltivavano e si cibavano del mais fossero a loro volta sotto il controllo
dei turcomanni.
A Venezia, molto prima della scoperta sensazionale di
Cristoforo Colombo di un nuovo continente, venivano prodotti i famosi zaleti,
dei rustici dolcetti popolari , ottenuti con farina gialla di mais.
Forse ci sono stati fisicamente scambi di prodotti culinari
tra Europa e Asia come testimoniarono viaggiatori di origine tedesca che videro
coltivazioni di mais lungo le pianure del fiume Eufrate.
La data certa della diffusione del mais in Europa è comunque
da attribuire al XVII° secolo.
Le regioni in Italia in cui si diffuse la polenta, chiamata
anche "frumento a granelle grosse e gialle", furono il Friuli e il
Veneto.
Nelle paludi del Polinese e Friuli il mais fu introdotto da
Venezia e secondo Beggio Giovanni, studioso, nel 1554 si registrò la prima
semina.
Essenzialmente la polenta costituiva l'alimento base delle
popolazioni meno abbienti che con questa pietanza riuscivano a sfamarsi
causando però il propagarsi della pellagra per l'elevato uso di questo cibo.
Inizialmente si considerava la polenta un piatto povero che
da solo non conferiva all'individuo un apporto nutrizionale notevole;
odiernamente invece è considerata un buonissimo elemento poiché costituito dal
mais che contiene molte proteine.
Per diventare un ottimo prodotto culinario bisogna
integrarla con alimenti secondari come fagioli, salsicce e formaggio
grattugiato e altri cibi.
Quindi sono proprio gli ingredienti considerati “contadini”
a rendere più ricchi di proteine, carboidrati, grassi, sali minerali e vitamine
i piatti che propongono come elemento base la polenta.
Fonte: da Il
Corriere del Verde
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