La Schiavitù Bianca negli Stati Barbareschi
(c.d. schiavismo bianco) fu un fenomeno che conobbe il suo apice
fra XVI e XVIII, con il consolidarsi di entità statuali basate quasi
esclusivamente sulla cattura ed il commercio di schiavi.
Qualche anno fa ho scritto un articolo sullo Schiavismo
Islamico, in particolare sulla tratta e sulle rotte sahariane delle
carovane degli schiavisti arabi, ma ho solo accennato alla questione dei
milioni di europei che, nel corso dei secoli, caddero in mano a questi ultimi.
Il testo su cui sto lavorando si intitola White Slavery in the Barbary States (1853) di Charles Sumner, uno dei
senatori più importanti nella storia degli USA. Repubblicano e
collaboratore di Abraham
Lincoln, Sumner era un convinto abolizionista e, in tutta la sua opera,
paragona la schiavitù dei neri negli Stati Uniti meridionali con quella dei
bianchi nei territori nordafricani.
A volte il parallelo è ardito, altre volte sensato, ma in
ogni caso stimolò (e stimola tuttora) una riflessione storica, politica e
sociale sul concetto di schiavitù.
L’obiettivo di Zhistorica
Purtroppo molti storici di oggi sono costretti a fare i conti con un politicamente corretto che stringe sempre di più la libertà della ricerca, ed è per questo motivo che ho sempre avuto una fortissima attrazione per i testi antichi, specie quelli redatti fra il XVIII e l’inizio del XX secolo (per quanto ricchi di influenze anticlericali, antisemite o, per gli odierni standard, razziste). Sareste sorpresi di vedere in che modo questi documenti siano stati ritagliati, ripuliti e riproposti al pubblico come opere originali dal professore di turno. Con i volumi della Zhistorica, invece di appropriarmi di testi altrui, ho l’obiettivo di ripristinare il testo originale (tramite traduzione o, in caso di lingua italiana, “modernizzazione”) e arricchirlo con box di commento e link ipertestuali che possano agevolarne la lettura.
L’estratto:
L’argomento che voglio prendere in considerazione è la
Schiavitù Bianca ad Algeri o, forse, sarebbe meglio chiamarla Schiavitù Bianca
negli Stati
Barbareschi.
Visto che Algeri era il suo centro, il suo nome è entrato
nell’uso comune quando si parla di Schiavitù Bianca. Questo non comporta alcun
problema, visto che parleremo, per l’appunto, di Schiavitù Bianca, o Schiavitù
dei Cristiani, presso gli Stati Barbareschi.
Il soggetto potrebbe non essere particolarmente
interessante, ma di certo è innovativo. Non siamo infatti a conoscenza di altri
tentativi di sistematizzare il materiale frammentario che lo riguarda in un
saggio omogeneo.
Il territorio che oggi facciamo rientrare nella
denominazione «Stati Barbareschi» ha una storia importante. Iscrizioni
classiche, archi diroccati e antiche tombe – le memorie di età differenti –
rappresentano ancora una testimonianza istruttiva degli sconvolgimenti che lo
hanno interessato.
Un’antica leggenda Greca lo considera la dimora del terrore
e della felicità. Si trovava lì il rifugio della Gorgone, che con i suoi ricci
di serpente trasformava in pietra tutto ciò che guardava; il giardino delle
Esperidi, con i suoi pomi d’oro. È anche lo scenario di avventura e mitologia.
Lì Ercole lottò con Anteo, e Atlante sosteneva, con le spalle doloranti, l’arco
del cielo.
Gli esuli Fenici portarono sulla sua costa lo spirito del
commercio; e Cartagine, che quei girovaghi fondarono lì, divenne la signora dei
mari, l’esploratrice di regioni lontane, la rivale e vittima di Roma. Lì la
forza e la furbizia di Giugurta avevano contrastato per un breve periodo la
potenza di Roma, ma alla fine l’intera regione, dall’Egitto alle Colonne di
Ercole, era stata annessa alla vorace repubblica dei tempi antichi.
La popolazione fiorente e il suolo fertile lo avevano reso
un immenso granaio. Era ricco di città famose, una delle quali fu il rifugio e
la tomba di Catone, fuggito dalle usurpazioni di Cesare.
Più tardi, alcuni dei vescovi più santi diffusero lì la
Cristianità. Il fiume dei Vandali, che prima aveva devastato l’Italia, passò
poi in quel territorio, e le armate di Belisario ottennero lì le più grandi
vittorie.
Successivamente dall’Arabia arrivarono i Saraceni, messaggeri
di una nuova religione, e con i potenti mezzi di conversione rappresentati dal
Corano e dalla spada, si riversarono su quelle coste diffondendo la fede e gli
insegnamenti di Maometto.
Il loro impero non rimase all’interno di questi ampissimi
confini, ma, sotto Musa, entrò in Spagna e arrivò fino a Roncisvalle, alla
«dolorosa sconfitta», e batté la cavalleria Cristiana di Carlomagno in
difficoltà.
l’autore dell’opera
Il potere Saraceno non ha più la sua unità o la sua forza.
Guardando il territorio in oggetto, all’alba delle storia moderna, quando i
paesi Europei appaiono nelle loro nuove identità nazionali, possiamo
individuare cinque diverse entità politiche o stati: Marocco, Algeri,
Tunisi, Tripoli e Barca. L’ultimo, di poca importanza, viene spesso incluso
in Tripoli, ma tutti insieme costituiscono ciò che erano, e sono ancora, gli
Stati Barbareschi.
Questo nome è stato talvolta riferito ai Berberi, o
Berebberi, che costituiscono una parte della popolazione, ma preferisco seguire
l’autorità classica di Gibbon,
il quale pensa che questo termine, inizialmente concepito dall’orgoglio dei
Greci per indicare gli stranieri, e infine riservato solo a coloro che erano
selvaggi od ostili, sia ormai condiviso come denominazione locale per la costa
settentrionale dell’Africa.
Gli Stati Barbareschi portano dunque la loro antica fama nel
loro stesso nome.
Questi Stati occupano un posto importante nel mondo; a nord,
bagnati dal Mediterraneo, possono avere scambi immediati con l’Europa
Meridionale, tanto che Catone fu in grado di mostrare al Senato Romano fichi
freschi raccolti nei giardini di Cartagine; confinanti a est con l’Egitto e
ovest con l’Oceano Atlantico, e a sud con le vaste e indefinite sabbie del
Sahara che li separa dal Sudan e dalla Negrolandia.
Hanno una posizione geografica che dà loro grandi vantaggi
rispetto al resto dell’Africa – ad eccezione forse dell’Egitto – essendo loro
permesso di comunicare facilmente con le nazioni Cristiane, e così, come anche
in passato, entrare in contatto con l’ultimo avamposto della civiltà.
La Negroland, o
Nigritia, era l’ampia fascia di territori che si estendeva dall’oceano
atlantico all’africa centrale, appena sotto il deserto del Sahara e sopra la
Guinea
Il clima è un’altra attrattiva della regione, che sfugge al
freddo del nord e al caldo soffocante dei tropici, ed è ricca di aranci,
limoni, olive, fichi, melograni e fiori meravigliosi.
La sua posizione e le sue caratteristiche invitano a una
comparazione tanto singolare quanto suggestiva. È infatti posizionata fra il
29° ed il 38° parallelo nord, occupando in pratica la stessa posizione degli
Stati Schiavisti dell’Unione che ora sembrano estendersi, ahimè, dall’Oceano
Atlantico al Rio Grande. Gli Stati Barbareschi probabilmente occupano una
superficie di 700.000 miglia quadrate, una misura analoga a quella occupata da
quelli che potremmo chiamare Stati Barbareschi d’America.
E le similitudini non finiscono qui. Algeri, per lungo tempo
il più detestabile luogo degli Stati Barbareschi, il centro principale della
Schiavitù Bianca, una volta definito da un cronista indignato «la roccaforte
del mondo barbarico» è collocato vicino al parallelo di 36°30’ latitudine nord,
in linea con quello che è stato definito il Compromesso del
Missouri, che segna la linea di confine della Schiavitù cristiana, in
America del Nord, a ovest del Mississippi.
Si possono identificare altri punti di contatto, meno
importanti, fra i due territori.
Entrambi sono bagnati dall’oceano e dal mare per la medesima
estensione, ma con una differenza: le due regioni sono bagnate dalle acque in modo
diametralmente opposte, la Barbaria Africana a nord e a ovest, quella Americana
a sud ed est.
Non ci sono due territori della stessa estensione, sulla
faccia della terra (e un esame delle mappa vi convincerà di quello che sto
dicendo) che presentano così tante caratteristiche simili, sia che consideriamo
la latitudine in cui sono situati, la natura dei loro confini, la loro
produzione, il clima, o le «peculiari istituzioni domestiche» che hanno trovato
accoglienza in entrambe.
Introduco questo parallelo farvi comprendere il più
possibile, la posizione e le caratteristiche precise del territorio che era il
centro del male che sto per descrivere.
Di certo sarebbe interessante comprendere per quale motivo
la schiavitù Cristiana, abolita in tutta Europa e in quelle parti del globo che
giacciono sulla medesima latitudine, sia riuscita a stabilirsi in entrambi gli
emisferi nei medesimi paralleli di latitudine, tanto che Virginia, Carolina,
Mississippi e Texas dovrebbero essere considerati l’equivalente americano di
Marocco, Algeri, Tripoli e Tunisi.
Questa insensibilità nei confronti delle richieste di
giustizia e umanità, presente in entrambe le regioni, deriva forse dalle
similitudini in fatto di clima, di indolenza dell’istruzione, di debolezza e di
egoismo.
SCHIAVITÙ BIANCA NEGLI STATI BARBARESCHI (2)
Per avere tutte le informazioni necessarie alla comprensione
del testo (schiavismo bianco), vi rimando al primo
articolo sull’argomento. L’argomento è quello, poco trattato, dello
schiavismo bianco negli Stati barbareschi dal XVI all’inizio del XIX secolo.
Di seguito la traduzione dall’originale inglese:
Gli Stati Barbareschi, dopo il declino del potere Arabo,
sono stati avvolti dall’oscurità, resa ancora più palpabile della luce, sempre
più accesa, proveniente dalle nazioni Cristiane.
Osservandoli nel XV secolo, nel crepuscolo della civiltà
Europea, sembrava che a governare le vite degli arabi ci fossero poco più che
bande scalcagnate di ladri e pirati – i «ratti di terra e ratti d’acqua»
di Shylock – che governano le vita degli Ismaeliti.
Un antico viaggiatore descrive Algeri come «un covo di
grandissimi ladri, riuniti in un organo dal quale, effettuata confusa divisione
dei compiti, essi governano». E ancora un altro scrittore, contemporaneo
dell’orrore che descrive, la definisce «Il teatro di tutte le crudeltà e il
santuario dell’iniquità, che tiene prigionieri, in miserabile schiavitù,
centoventimila Cristiani, quasi tutti sudditi del Re di Spagna.»
La loro abitudine di schiavizzare i prigionieri, presi in
guerra e durante le azioni di pirateria, alla fine ha condotto contro questi
stati la sacra ostilità dei Cristiani.
Ferdinando il Cattolico, dopo la conquista di Granada, e
nonostante fosse preso dalle enormi scoperte di Colombo che stavano dando alla
Castiglia e all’Aragona un nuovo mondo, trovò comunque il tempo di effettuare
una spedizione in Africa sotto il comandano militare del grande ecclesiastico Cardinale
Jimenes.
Si dice che questo valoroso soldato della Chiesa,
nell’effettuare la conquista di Oran nel 1509, si prese l’indicibile
soddisfazione di liberare oltre trecento schiavi Cristiani.
I successi delle armate spagnole portarono il governo di
Algeri a richiedere aiuto al di fuori del paese. In quel periodo, Horuc (Aruj)
e Hayradin (Haradin), figli di un vasaio di Lesbo, erano diventati famosi
corsari. In un periodo in cui la spada di un avventuriero spesso portava
fortune più grandi di quelle che potevano essere ottenute da uno sforzo non
violento, loro erano temuti per le loro abilità, il loro coraggio e la loro
forza. Algeri chiese aiuto a loro.
I corsari lasciarono il mare per dominare la terraferma o,
meglio, con incursioni anfibie presero possesso di Algeri e Tunisi mentre
continuavano le loro scorrerie per mare. Il nome di Barbarossa,
con cui sono conosciuti fra i Cristiani, è uno dei più terribili della storia
moderna.
Infestarono i mari con le loro navi pirata, ed effettuarono
scorrerie sulle coste spagnole e italiane fino a che Carlo V fu sollecitato a
prendersi l’impegno di sconfiggerli. Le varie forze dei suoi ampi domini furono
impiegate in questa nuova crociata.
«Se l’entusiamo» dice Sismondi «che armò la Cristianità
dei primi giorni era ormai quasi estinto, un altro sentimento, più legittimo e
razionale, ora univa l’Europa in un voto. La sfida non era più riconquistare la
tomba di Cristo, ma difendere la civiltà, la libertà e le vite dei Cristiani.»
Un fedele corpo di fanteria dalla Germania, i veterani di
Spagna e Italia, il fiore della nobiltà Castigliana, i Cavalieri di Malta, con
una flotta di quasi cinquecento vascelli provenienti da Italia, Portogallo e
anche dalla lontana Olanda, sotto il comando di Andrea Doria, il più
grande comandante navale di quel periodo andò verso Tunisi. La spedizione,
sotto gli occhi dello stesso Imperatore e con il permesso e la benedizione del
Papa, era costituita da uno degli eserciti più completi mai visti.
Barbarossa si oppose con coraggio, ma con forze inferiori.
Mentre cedeva lentamente agli attacchi Cristiani, la sua sconfitta fu
accelerata da un’inaspettata rivolta interna.
Confinati nella cittadella c’erano molti schiavi Cristiani,
che, sostenendo il diritto alla libertà, ottennero una sanguinosa emancipazione
puntando l’artiglieria contro i loro vecchi padroni.
La città si
arrese all’Imperatore, i cui soldati però si concessero i disumani
eccessi della guerra. Il sangue di trentamila abitanti innocenti tinse di rosso
la sua vittoria.
In mezzo a queste scene di orrore ci fu uno spettacolo che
gli offrì una certa soddisfazione.
Diecimila schiavi Cristiani gli andarono incontro, non
appena fu entrato in città, e si inginocchiarono davanti a lui, omaggiandolo
come loro salvatore.
Nel trattato di pace che seguì, fu stipulato espressamente
che tutti gli schiavi Cristiani, di qualsiasi nazionalità, dovevano essere
liberati senza riscatto, e che nessun suddito dell’Imperatore sarebbe dovuto
finire in schiavitù.
La manifesta generosità di questo impegno, la magnificenza
con cui fu portato avanti, e il successo da cui fu coronato, portarono all’Imperatore
più omaggi di qualsiasi altro evento accaduto durante il suo regno.
Ventimila schiavi, liberati dal trattato o dalle armi,
elogiarono il suo nome in Europa. È probabile che, in questa spedizione,
l’Imperatore fosse governato da motivi non molto più alti della volgare
ambizione o della fama; ma i risultati che ottenne, ovvero l’emancipazione di
così tanti Cristiani dalla crudeltà delle catene lo mettono, assieme al
Cardinale Jimenes, fra i primi Abolizionisti dell’era moderna.
Questo accadeva nel 1535. Solo pochi anni prima, nel 1517,
egli aveva concesso a un mercante Fiammingo il privilegio di trasportare nelle
Indie Occidentali 4.000 schiavi neri dall’Africa.
Si dice che Carlo V sia vissuto abbastanza da pentirsi di
tale decisione sconsiderata.
Di sicuro non si ricorda una singola concessione, fatta da
re o Imperatori, che abbia prodotto risultati a lungo termine più disastrosi di
questa. Il Fiammingo infatti vendette il suo privilegio a una compagnia di
mercanti Genovesi che organizzò un traffico di schiavi sistematico fra Africa e
America.
Una delle mappe più
interessanti che ho trovato sul periodo in questione.
Così, mentre da un lato aveva mosso una imponente forza
militare per contrastare le scorrerie del Barbarossa e per abolire la schiavitù
Cristiana a Tunisi, l’Imperatore aveva, dall’altro, gettato la pietra angolare
di un nuovo sistema schiavistico in America, in comparazione al quale
l’enormità che aveva cercato di sopprimere appariva triviale e fuggitiva.
Esultante per la conquista di Tunisi e con l’ambizione di
soggiogare tutti gli Stati Barbareschi, estirpando così la piaga della
Schiavitù Cristiana, nel 1541 l’Imperatore guidò una grande spedizione contro
Algeri.
Ancora una volta il Papa aggiunse la sua influenza allo
schieramento militare. Ma la natura si mostrò più forte sia del Papa che
dell’Imperatore. In vista di Algeri, una tempesta improvvisa fece a pezzi la
sua flotta imponente, e fu costretto a tornare in Spagna, frustrato, senza
poter portare alcuno dei trofei di emancipazione che avevano coronato la sua
spedizione precedente.
Il potere degli Stati Barbareschi era in quel periodo al suo
apice.
I corsari divennero il flagello della Cristianità, mentre il
loro tanto temuto schiavismo portò nuovi terrori.
Le loro scorrerie non erano più confinate al Mediterraneo.
Penetrarono l’Oceano e raggiunsero gli Stretti di Dover e il
Canale di St. Giorgio. Dalle bianche scogliere inglesi, e anche dalle distanti
coste occidentali dell’Irlanda, abitanti inconsapevoli venivano ridotti in
schiavitù.
Il governo Inglese fu spinto a fare degli sforzi per fermare
queste atrocità. Nel 1620, una flotta di diciotto navi, sotto il comando del
Vice-Ammiraglio inglese Sir
Robert Mansel, fu spedita contro Algeri.
Ritornò senza essere stata capace, secondo il linguaggio
dell’epoca «di distruggere quei fottuti pirati» sebbene avesse ottenuto
la liberazione di quaranta «poveri schiavi, che provarono a far passare per
gli unici presenti in città.»
«Le attività della flotta Inglese» dice Purchas «ebbero
il supporto di uno schiavo Cristiano, che nuotò dalla città fino alle navi.»
Questa spedizione ricorda quella di Carlo V non solo per
questo, visto che anche quella ricevette la fondamentale assistenza di schiavi
ribelli, ma anche perché possiamo osservare un’analoga condotta ambigua nel
governo che la decise.
Fu infatti nel 1620 – anno caro a tutti i discendenti dei Padri Pellegrini di Plymouth Rock come un’epoca di libertà
– che una flotta Inglese cercò di salvare gli Inglesi tenuti in schiavitù ad
Algeri proprio mentre i primi schiavi neri venivano introdotti nelle colonie
Inglesi del Nord America. Fu l’inizio di un sistema orrendo, il cui lungo
catalogo di umiliazione e sofferenza non è ancora completo.
La spedizione di Algeri fu seguita, nel 1637, da un’altra,
guidata dal
Capitano Rainsborough contro Salé, in Marocco. Vedendola
arrivare, i Mori trasferirono in tutta fretta circa mille schiavi, cittadini
Inglesi, a Tunisi e Algeri.
Come riportato in Osborne’s Voyages–Journal of the
Sallee Fleet, vol. II. p. 493: «Alcuni Cristiani schiavi che si
trovavano a riva, fuggirono dalla città e raggiunsero le navi a nuoto.»
Anche le lotte intestine dei Salé aiutarono la flotta, e la
causa dell’emancipazione trionfò velocemente. Duecentonovanta prigionieri
Inglesi furono riscattati. Fu anche estorta una promessa al governo di Sallee,
che si impegnò a emancipare gli sventurati prigionieri venduti a Tunisi e
Algeri. Un ambasciatore del Re del Marocco visitò l’Inghilterra poco dopo e,
mentre girava per le strade di Londra per raggiungere il luogo della sua
audizione a corte, era accompagnato da quattro cavalli barbareschi dotati di
ricche bardature e di selle ancora più ricche, con briglie impreziosite di
gemme. Portava anche alcuni falchi, e «molti degli schiavi che aveva portato
le seguivano a piedi vestiti di bianco» (Strafford’s Letter and
Despatches, vol. II. pp. 86, 116, 129).
L’importanza dell’impresa di Salé può essere dedotta dalla
grande gioia con cui fu salutata dagli Inglesi. Per quanto non fosse stata di
grandi dimensioni, si era comunque trattato di una guerra di liberazione.
Poeti, ecclesiastici e governanti erano uniti nel complimentarsi per il
risultato raggiunto.
Ispirò anche Waller a scrivere un poema intitolato The
Taking of Sallee, in cui la sconfitta del nemico schiavista viene
descritta così:
Hither he sends the chief among his peers,
Who in his bark proportioned presents bears,
To the renowned for piety and force
Poor captives manumised, and matchless horse.
Diede soddisfazione a Laud, e riempì d’esultanza la mente
oscura di Strafford. «Sallee, la città, è presa» disse l’Arcivescovo in
una missiva a quest’ultimo, allora in Irlanda, «e tutti i prigionieri a
Sallee e in Marocco consegnati; così tanti, dicono i nostri mercanti, che, in
base al prezzo di mercato, valevano almeno diecimila sterline.»
Strafford vide nella popolarità di questo trionfo una nuova
opportunità di elogiare i disegni tirannici del suo padrone, Carlo I. «L’azione
di Sallee» rispose all’Arcivescovo, «le assicuro che è piena di onore».
Le coste inglesi erano ora protette, ma i suoi cittadini che
si trovavano in mare continuavano a essere preda dei corsari Algerini che,
secondo lo storico Carte, ora «portavano i loro prigionieri Inglesi in
Francia, li portavano in catene via terra fino a Marsiglia, per poi imbarcarli
in sicurezza verso Algeri.»
I crescenti problemi, che colpirono e poi posero fine al
regno di Carlo I, non potevano distogliere l’attenzione dalla disperazione
degli Inglesi vittime degli schiavisti Maomettani…
Fonte: da ZHISTORICA,
del 10 agosto 10, 2015
Fonte: da ZHISTORICA del 14 settembre 2015
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