Ipazia da Alessandria
d’Egitto (nata fra il 355 e il 370 – morta
8 marzo 415 dopo Cristo)
Di Donato Barone
– premessa
Ho conosciuto Ipazia attraverso l’opera fondamentale di L. Russo “La rivoluzione dimenticata”. A pag. 30 Russo dedica alla donna
poche righe:
“La fine della scienza antica si pone a volte nel 415,
anno in cui la figlia di Teone, anche lei matematica (aveva scritto commenti ad
Apollonio, Tolomeo e Diofanto) fu linciata ad Alessandria da una folla di
cristiani fanatici per motivi religiosi” [1]
Nell’opera il nome di Ipazia ricorre più volte, ma
certamente non è una delle protagoniste del lavoro di Russo. Per conoscere
Ipazia bisogna leggere il testo di S.
Ronchey “Ipazia: la vera storia” [2] in cui la storica e bizantinista
delinea uno stupendo ritratto della matematica, scienziata e filosofa
alessandrina.
Chi era Ipazia?
Le fonti sono unanimi, ma per ora soffermiamoci sulla prima,
ovvero il Suda o Suida. Si tratta di un’opera enciclopedica pubblicata a
Bisanzio nel X secolo in cui, tra l’altro, si cita Damascio, un filosofo
neo-platonico vissuto tra il 480 ed il 550 ed ultimo scolarca
dell’Accademia di Atene, che parla di Ipazia nella Vita di Isidoro. Isidoro,
maestro di Damascio ed ultimo sacerdote del Serapeo di Alessandria, venne
a conoscenza della vicenda di Ipazia attraverso il racconto di due sacerdoti
alessandrini a lei contemporanei. [3] Le vicende di cui parla Damascio,
pertanto, gli erano state trasmesse da Isidoro. Considerando che Damascio era
pagano ed esponente della scuola neoplatonica di cui Ipazia era stata insigne
rappresentante in Alessandria, non deve stupire se il suo racconto appaia un po’
agiografico. Secondo Damascio Ipazia nacque ad Alessandria, dove fu allevata ed
istruita dal padre. La giovane non fu appagata dagli insegnamenti scientifici e
matematici paterni e cominciò a studiare la filosofia, di cui divenne padrona.
Indossando il mantello del filosofo (riservato agli uomini, ma lei non era
molto ligia alle regole) si recava al centro della città e qui commentava
pubblicamente le opere di Platone, Aristotele ed altri filosofi. Scrive
Damascio che ella
“Fu giusta e casta e rimase sempre vergine. Lei era così
bella e ben fatta che uno dei suoi studenti si innamorò di lei, non fu capace
di controllarsi e le mostrò apertamente la sua infatuazione. Alcuni narrano che
Ipazia lo guarì dalla sua afflizione con l’aiuto della musica. Ma la storia
della musica è inventata. In realtà lei raggruppò stracci che erano stati
macchiati durante il suo periodo e li mostrò a lui come un segno della sua
sporca discesa e disse, “Questo è ciò che tu ami, giovanotto, e non è bello!”.
Alla brutta vista fu così colpito dalla vergogna e dallo stupore che
esperimentò un cambiamento del cuore e diventò un uomo migliore.” [4]
Ho preferito riportare le parole del Suda per far capire il
carattere franco e diretto della donna, al limite della supponenza e della
sfacciataggine, ma la narrazione ha anche molti altri significati di cui
parleremo a breve.
Ipazia era ben vista da tutti i cittadini di Alessandria, ma
aveva diversi nemici tra coloro che detenevano il potere in città.
Damascio attribuisce all’invidia le ragioni dell’odio e, in ultima analisi,
della sua triste fine.
Le notizie fornite da Damascio non sono molto diverse da
quelle che ci sono state tramandate da Socrate Scolastico, avvocato e storico
vissuto a Costantinopoli tra il 380 ed il 450, quindi contemporaneo di Ipazia.
Nella sua Historia Ecclesiastica egli scrive:
“Ad Alessandria c’era una donna chiamata Ipazia, figlia
del filosofo Teone, che ottenne tali successi nella letteratura e nella scienza
da superare di gran lunga tutti i filosofi del suo tempo. Provenendo dalla
scuola di Platone e di Plotino, lei spiegò i principi della filosofia ai suoi
uditori, molti dei quali venivano da lontano per ascoltare le sue lezioni.
Facendo conto sulla padronanza di sé e sulla facilità di
modi che aveva acquisito in conseguenza dello sviluppo della sua mente, non
raramente apparve in pubblico davanti ai magistrati. Né lei si sentì confusa
nell’andare ad una riunione di uomini. Tutti gli uomini, tenendo conto della
sua dignità straordinaria e della sua virtù, l’ammiravano di più. Fu vittima
della gelosia politica che a quel tempo prevaleva.” [5]
Come si vede Ipazia era conosciuta ben oltre i confini di
Alessandria d’Egitto e rappresentava un punto di riferimento per buona parte
del mondo antico. A questo punto è necessario capire, però, che cosa aveva
fatto Ipazia di così importante da meritarsi simile fama.
– la matematica e la scienziata
Ipazia è vissuta alla fine di quella che può essere
considerata una delle età dell’oro della scienza. Secondo L. Russo [6] tra il 300 a.C. ed il 100 d.C. nel
mondo ellenistico ebbe luogo la prima rivoluzione scientifica. Per la prima
volta nella storia dell’uomo venne elaborato un metodo di indagine dei fenomeni
naturali che ha molti punti di contatto con il metodo scientifico-sperimentale
galileiano. Le conoscenze acquisite dagli scienziati ellenisti durante questo
periodo, risultarono estremamente sofisticate e riguardarono campi tra i più
disparati: astronomia, geometria, geodesia, medicina e fisiologia, idraulica e
pneumatica, ingegneria e via cantando. In questo periodo vissero, infatti,
Eratostene, Euclide, Archimede, Diofanto, Tolomeo e tanti altri la cui fama è
giunta fino ai nostri giorni. Le loro opere, purtroppo, si sono in gran parte
perse e con grande fatica gli storici riescono a ricostruire l’operato di
questi giganti della scienza attraverso lavori di altri autori che ad esse
fanno riferimento. Uno dei centri più importanti di questa fioritura della
scienza, fu Alessandria d’Egitto che può essere considerato il faro che
illuminava la civiltà ellenistica, ma anche Antiochia può essere considerata un
centro culturale di ottimo livello, così come le colonie greche di Siracusa e
Marsiglia.
Ai tempi di Teone e della figlia Ipazia il periodo d’oro
della scienza ellenistica poteva dirsi finito da un pezzo e quello in cui
vissero i due scienziati, filosofi e matematici alessandrini, costituiva la
parte finale del lungo periodo di decadenza che, di lì a poco, sarebbe sfociato
nel Medioevo. Nonostante ciò Alessandria continuava ad essere considerata uno
dei maggiori centri culturali del mondo antico e le parole di Damascio e
Socrate Scolastico lo testimoniano. Tornando ad Ipazia, sappiamo, attraverso la
testimonianza del padre Teone e dal Suda, che ella scrisse due opere
matematiche: un Commentario sull’Arithmetica di Diofanto di Alessandria [7] ed un Commentario sulle
Coniche di Apollonio di Perga. [8] Non possedendo i testi, non siamo in
grado di capirne l’importanza e, quindi, i contributi di Ipazia al progresso
delle conoscenze matematiche. Studi condotti da A. Cameron e pubblicati nel
1990, sembrano avvalorare l’ipotesi che Ipazia sia intervenuta sui testi
originali e non si sia limitata ad una semplice azione di revisione dei
commenti del padre.[9] In questa ipotesi Ipazia non
dovrebbe essere considerata una semplice insegnante di matematica, ma una
matematica a tutti gli effetti.
Ipazia aveva grande interesse anche per l’astronomia, come
deduciamo da alcune lettere del suo allievo più famoso: Sinesio di Cirene. E’
attraverso le lettere di costui che siamo in grado di conoscere una parte
dell’opera di Ipazia. Sappiamo, infatti, che Sinesio ha costruito o fatto
costruire, in base a precise istruzioni della sua maestra un astrolabio piano,
un idroscopio ed un aerometro.
Vediamo, in estrema sintesi di cosa si tratta. Storicamente
la prima menzione dell’aerometro è collegata proprio alla figura di Ipazia:
Sinesio di Cirene scrisse infatti verso il 400 d.C. alla sua maestra per
chiederle spiegazioni circa la costruzione di un aerometro. Come indica
l’etimologia della parola stessa, si tratta di uno strumento che serve per
determinare la densità di un gas.
Ad Ipazia si attribuisce la costruzione di un altro
strumento di misura detto idroscopio.
Il densimetro o idroscopio sfrutta il Principio di Archimede
ovvero il fatto che un corpo immerso in un liquido, riceve una spinta, diretta
dal basso verso l’alto, pari al peso del volume di liquido spostato. Nella
fattispecie l’idroscopio attribuito ad Ipazia è costituito da un tubo
cilindrico avente la forma e la dimensione di un flauto che presenta degli
intagli perpendicolari al suo asse. Una delle estremità del tubo è chiusa
con un cono, detto barillio, avente la stessa sezione di base del tubo
cilindrico. Il barillio ha la funzione di zavorrare il sistema in maniera tale
che esso, immerso nell’acqua, mantenga un assetto verticale. Il calcolo della
densità del liquido avviene contando il numero di intagli che fuoriescono dal
liquido: più il liquido è denso, minore è il numero di intagli che emergono
dall’acqua. Tarando opportunamente lo strumento, ad esempio immergendolo in un
liquido di riferimento come l’acqua, siamo in grado di calcolare la densità
relativa di qualsiasi liquido per semplice comparazione.
E’ l’astrolabio piano, però, lo strumento che ci introduce
in quello che fu un altro campo in cui Ipazia eccelse. L’astrolabio piatto o
piano é uno strumento astronomico tramite il quale è possibile determinare la
posizione di corpi celesti come il Sole, la Luna, i pianeti e le stelle.
L’astrolabio progettato da Ipazia era formato da due dischi metallici forati,
ruotanti l’uno sopra l’altro mediante un perno rimovibile: veniva utilizzato
per calcolare il tempo, per definire la posizione del Sole, delle stelle, dei
pianeti. Di questo strumento Sinesio è particolarmente orgoglioso in quanto
scrive che “concepito sulla base di quanto mi insegnò la mia
veneratissima maestra […] Ipparco lo aveva intuito e fu il primo a occuparsene,
ma noi, se è lecito dirlo, lo abbiamo perfezionato”.[10]
Pare che mediante questo strumento Ipazia abbia addirittura
risolto alcuni problemi di astronomia sferica anche se non tutti gli studiosi
sono concordi in proposito. Anche in questo caso ci troveremmo di fronte a
contributi originali al corpus di conoscenze astronomiche. L’astronomia
per Ipazia non era, però, la mera osservazione degli astri per prevedere il
futuro o la successione delle stagioni o dei fenomeni astronomici come le
eclissi.
Stando a quanto scrive Sinesio “l’astronomia è di
per sé una scienza di alta dignità, ma può forse servire da ascesa a qualcosa
di più alto, da tramite opportuno, a mio avviso, verso l’ineffabile teologia,
giacché il beato corpo del cielo ha sotto di sé la materia e il suo moto sembra
essere ai sommi filosofi un’imitazione dell’intelletto. Essa procede alle sue
dimostrazioni in maniera indiscutibile e si serve della geometria e
dell’aritmetica, che non sarebbe disdicevole chiamare diritto canone di
verità” [11]
Se queste parole riflettono il pensiero di Ipazia, possiamo
affermare che la studiosa alessandrina per giungere alla conoscenza della
verità, più che dei discorsi retorico-dimostrativi del neo-platonismo ateniese,
si serviva dell’esperienza e dello studio dei fenomeni naturali.
Come si vede l’opera di Ipazia può essere inquadrata nella
migliore tradizione della scuola di Alessandria che alla speculazione teorica
associava anche applicazioni basate sulle conoscenze teoriche stesse e che
servivano a verificarle sperimentalmente. Circa la fama di astronoma di Ipazia,
illuminante appare un epigramma del Pallada (Alessandria d’Egitto IV-V secolo):
“Quando ti vedo mi prostro, davanti a te e alle tue
parole,
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura“. [12]
vedendo la casa astrale della Vergine,
infatti verso il cielo è rivolto ogni tuo atto
Ipazia sacra, bellezza delle parole,
astro incontaminato della sapiente cultura“. [12]
Illuminante, scrive G. Beretta in “Ipazia di Alessandria”,
il terzo verso in quanto dimostra che ogni interesse ed azione di Ipazia era
diretto verso le cose del cielo e ciò denota tanto la sua sapienza astronomica,
quanto quella filosofica. Ogni mappa celeste disegnata da Ipazia, prosegue
Beretta, rappresenta una “… traiettoria nuova – e insieme antichissima
– per mezzo della quale gli uomini e le donne del suo tempo potessero imparare
ad orientarsi sulla terra e dalla terra al cielo e dal cielo alla terra senza
soluzione di continuità e senza bisogno della mediazione del potere
ecclesiastico […]. Ipazia insegnava ad entrare dentro di sé (l’intelletto)
guardando fuori (la volta stellata) e mostrava come procedere in questo cammino
con il rigore proprio della geometria e dell’aritmetica che, tenute l’una
insieme all’altra, costituivano l’inflessibile canone di verità”. [13]
– la filosofa
A queste attività scientifiche Ipazia associava lo studio
della musica e l’insegnamento della filosofia. In proposito ella ricevette in
eredità da Plotino la scuola di filosofia di Alessandria ed il livello del suo
insegnamento lo deduciamo da quanto hanno scritto Damascio e Socrate
Scolastico. Anche in questo caso non siamo in grado di conoscere i contributi
originali della filosofa alla progressione della filosofia.
Può esserci d’aiuto, però, il ritratto che della filosofa
Ipazia traccia G. Beretta nella sua opera “Ipazia di Alessandria”.[14] L’autrice ha effettuato un
profondo scavo storico e filosofico per riuscire a ricostruire l’opera di
Ipazia. Il risultato appare un po’ sopra le righe: Ipazia mi sembra un po’
sopravvalutata e ciò, forse, anche a causa dell’impegno sociale e politico
della Beretta. Secondo la Beretta Ipazia è addirittura l’iniziatrice di una
scuola di pensiero originale che vede “nell’autorità femminile” il suo nucleo
fondante. Beretta parte dal mito di Dike, la Vergine patrona della prosperità e
della fecondità, simbolo di una mitica età dell’oro in cui la filosofia e la
razionalità, unite alla politica, contribuivano al benessere della società e
attraverso l’analisi dei testi di Damascio, Sinesio, Agostino ed altri,
individua in Ipazia la Vergine che, tornata tra gli uomini, avrebbe dovuto dare
inizio ad una nuova età dell’oro. Ipazia viene vista in questa ottica non solo
da Damascio e da Sinesio di Cirene, ma da tutti gli intellettuali dell’Impero
Romano d’Oriente che vedono nella filosofa alessandrina un “astro
incontaminato della sapiente cultura” , per usare le parole di Pallada.
A questo punto appare chiara l’enfasi che Damascio pone nel descrivere lo
stato della filosofa (verginità intesa come stato ideale di colei in grado di
collegare il mondo celeste con quello terreno senza tema di contaminazione) ed
anche il significato simbolico dell’esibizione del sangue mestruale (simbolo di
fecondità alla stregua della spiga di grano della Vergine Igea). [15] L’immagine della Vergine in
questo travagliato periodo storico si confà tanto alla tradizione pagana che a
quella cristiana e ciò spiega il giudizio ampiamente positivo che traspare
dagli scritti del pagano Damascio e dei cristiani Sinesio e Socrate Scolastico.
In maniera più prosaica io penso che Ipazia sia stata una maestra di filosofia
che riusciva a creare un rapporto docente-discente estremamente profondo che,
in alcuni casi, sfociava quasi nella venerazione della maestra. Le parole con
cui Sinesio di Cirene si rivolge alla sua Maestra non lasciano spazio ai dubbi:
“Detto questa lettera dal letto nel quale giaccio. Possa
tu riceverla stando in buona salute, o madre, sorella e maestra, mia
benefattrice in tutto e per tutto, essere e nome quant’altri mai onorato!”[16]
Sinesio era cristiano, Ipazia pagana, ma il legame
spirituale tra i due travalica i precetti delle rispettive religioni e denota
una completa immedesimazione tra la maestra e l’allievo, alla stregua del
legame tra Socrate ed Aspasia o Socrate e Platone:
“E se c’è qualcuno venuto dopo che ti sia caro, io debbo
essergli grato poiché ti è caro, e ti prego di salutare anche lui da parte mia
come amico carissimo. Se tu provi qualche interesse per le mie cose, bene; in
caso contrario, non importano neanche a me”.[17]
Ipazia era tutto questo: matematica, astronoma, scienziata,
musicista, filosofa. Una mente eclettica che attirava allievi da ogni dove e
che teneva alto il faro della cultura scientifica alessandrina.
Ipazia era, però, anche altro e di ciò mi occuperò ora.
– l’impegno civile
Per comprendere meglio la figura di quest’altra Ipazia,
bisogna che essa sia inquadrata nella realtà storica in cui si svolse la vicenda
dell’intellettuale alessandrina. Ipazia apparteneva all’aristocrazia pagana di
Alessandria ed era, pertanto, molto vicina alle elites che gestivano il potere
nella città. Attorno a lei si era venuto a formare un cenacolo di discepoli
rappresentanti il meglio della buona società di Alessandria e di buona parte
del Nord Africa e del Medio Oriente. Si trattava di persone altamente influenti
che nel segreto delle loro riunioni oltre che di scienze, filosofia e
matematica, discutevano di politica e di affari di stato ed economici. Non
stupisce, quindi, che Oreste, prefetto di Alessandria si rivolgesse ad Ipazia
per discutere dei problemi politici ed economici della città. Così come non
stupisce che la filosofa fosse ammessa a parlare nelle riunioni dell’Assemblea
cittadina: rappresentava quello che oggi definiremmo un potentissimo gruppo di
pressione in grado di influenzare le scelte politiche dell’intero governo
cittadino. [18]
La cosa non poteva passare inosservata a chi in quegli
stessi momenti cercava di accreditarsi come antagonista del potere civile
alessandrino e mirava a soggiogarlo: la potente e ricchissima sede vescovile di
Alessandria. Nel 313 l’imperatore Costantino aveva concesso la libertà di
culto ai cristiani. Da quel momento iniziò il lento processo che nel 391 portò
Teodosio a proclamare il cristianesimo religione di stato e, l’anno dopo, ad
emanare delle leggi speciali contro i culti pagani in Egitto. Ad Alessandria
l’azione contro i culti pagani fu particolarmente violenta. Il vescovo Teofilo
si dimostrò particolarmente attivo nell’opera di distruzione di ogni traccia
della religione degli antichi templi e, si narra, che fu lui ad assestare il
primo colpo alla “statua blu” di Giove Serapide. Quasi contemporaneamente
veniva dato fuoco alla biblioteca tolemaica di Alessandria. [19] Il vecchio mondo stava per cedere
il passo al Medioevo.
La contesa per la supremazia tra la chiesa alessandrina e le
autorità civili, si trasformò ben presto in una lotta senza quartiere che nel
431 culminò con il trionfo del nuovo patriarca alessandrino, il vescovo
Cirillo. In quell’anno si concluse, infatti, il Concilio di Efeso, fortemente
voluto da Cirillo, che decretò il distacco della chiesa di Roma da una parte di
quella Orientale, distacco che perdura ancora ai nostri giorni. Alessandria e
l’intero Egitto si schierarono con il Papa di Roma e contro le gerarchie civili
e religiose dell’Oriente bizantino. [20]
Nel pieno di questa tumultuosa stagione politica va a
collocarsi la vicenda di Ipazia. Abbiamo visto gli aspetti scientifici e
filosofici che caratterizzavano il suo insegnamento ed abbiamo visto anche come
tra i suoi discepoli si collocasse l’elite della classe dirigente alessandrina.
Un aspetto del personaggio Ipazia non è stato, però, ancora esaminato. Secondo
alcuni studiosi (Bregman, 1982; Cameron, 2013 ed altri) Ipazia affiancava
all’insegnamento pubblico anche un insegnamento, per così dire, privato.
Abbiamo visto come ella discettasse di filosofia nel centro di Alessandria
(forse da una cattedra pubblica, finanziata dallo Stato) ed abbiamo fatto cenno
ad un cenacolo di discepoli. Si trattava di un gruppo di allievi rigorosamente
selezionati ai quali la Maestra insegnava i culti misterici ed i principi
esoterici tipici del neo-platonismo e della scuola di Plotino. Quella
costituita da Ipazia e dai suoi allievi prediletti, veniva a configurarsi come
una specie di “loggia massonica” ante litteram che non poteva lasciare
indifferenti gli esponenti del clero alessandrino che, ai sensi dei decreti
teodosiani che proibivano i culti pagani, erano gli unici depositari
dell’ortodossia religiosa. A questo punto il quadro diventa estremamente
chiaro. Ipazia è una scienziata ed una filosofa che ha anche libertà di
insegnamento nell’ambito della netta separazione tra Chiesa e Stato che
caratterizzava l’Impero d’Oriente, ma la sua azione trascende questi due
aspetti e invade la sfera politica che ella riesce a condizionare tramite i
suoi discepoli e religiosa attraverso i riti iniziatici ed esoterici che
pratica nel suo cenacolo domestico.
A rendere ancora più difficile la posizione di Ipazia furono
una serie di eventi che funestarono la vita di Alessandria tra il 414 ed il
415. Nel 414 si verificò un pogrom contro la potente comunità ebraica della
città. Secondo alcune fonti la causa dell’evento deve ricercarsi nella lotta
per il controllo del commercio del grano egizio nel territorio dell’Impero.
Fino ad allora tale commercio era stato saldamente nelle mani degli
ebrei di Alessandria in un regime di monopolio assoluto, ma,
successivamente, il monopolio era stato esteso anche alla chiesa alessandrina.
Quella ebraica era una presenza estremamente potente in Alessadria:
elleni ed ebrei convivevano nella città sin dall’epoca della sua fondazione ed
i legami tra le due comunità erano saldissimi anche ai tempi di Ipazia. Tra i
due potenti gruppi di armatori (l’ebraico ed il cristiano) non correva buon
sangue per cui nel 414, sfruttando eventi pretestuosi, si verificarono diversi
massacri (di ebrei e di cristiani) al termine dei quali gli ebrei alessandrini
furono cacciati dalla città, i loro beni confiscati e le loro sinagoghe
trasformate in chiese. La classe dirigente ellenica della città aveva sempre
appoggiato gli armatori greci, per cui non è affatto campata in aria l’ipotesi
che Ipazia, di cui abbiamo visto l’influenza sulle scelte politiche dei
Magistrati alessandrini, sia stata considerata ispiratrice delle veementi
proteste contro il vescovo Cirillo che Oreste e gli altri Magistrati portarono
fino al soglio imperiale. Dopo qualche mese dai tragici eventi del 414, Oreste
fu assalito da un gruppo di monaci inferociti e ferito alla testa da uno di
loro, Ammonio. Costui fu arrestato e sottoposto a tortura tanto violenta, da
causarne la morte. Il vescovo Cirillo gli tributò solenni funerali e lo
dichiarò martire. [21]
– l’epilogo
Appare chiaro che Ipazia aveva superato il limite e la
punizione non si fece attendere. Nell’anno quarto del vescovado di Cirillo,
decimo del consolato di Onorio, sesto di Teodosio II, nel mese di marzo
dell’anno 415, narra Socrate Scolastico, un gruppo di monaci e parabalani
(sorta di ordine monastico di infermieri/barellieri) si riunisce sotto la guida
del chierico Pietro il Lettore e decide di assassinare Ipazia.[22]
Racconta Damascio “che una moltitudine di uomini
imbestialiti piombò improvvisamente addosso a Ipazia un giorno che come suo
solito tornava a casa da una delle sue apparizioni pubbliche.” Ipazia
viene tirata fuori dalla lettiga e trascinata nel Cesareo dove, scrive Socrate
Scolastico, “incuranti della vendetta e dei numi e degli
umani questi veri sciagurati massacrarono la filosofa” in modo
orrendo. Secondo Damascio “mentre ancora respirava debolmente le
cavarono gli occhi”, mentre secondo Socrate “La spogliarono delle
vesti, la massacrarono usando cocci aguzzi (ὄστρακα), la fecero a brandelli. E
trasportati quei resti al cosiddetto Cinaro, li diedero alle fiamme.”[23]
Ed ora è possibile leggere e comprendere un passo di
Giovanni, vescovo cristiano di Nikiu, in Etiopia, risalente a circa due secoli
dopo i fatti avvenuti ad Alessandria nel 415. Il passo è un po’ lungo, ma vale
la pena leggerlo interamente in quanto, pur nella sua semplicità, dà una chiave
di lettura degli eventi molto chiara. Soprattutto se lo si legge tra le righe
ed alla luce di quanto si è potuto desumere dal quadro generale degli
avvenimenti che ho cercato di delineare fino ad ora.
“In quei giorni apparve in Alessandria un filosofo
femmina, una pagana chiamata Ipazia, che si dedicò completamente alla magia,
agli astrolabi e agli strumenti di musica e che ingannò molte persone con
stratagemmi satanici.
Il governatore della città l’onorò esageratamente perché
lei l’aveva sedotto con le sue arti magiche. Il governatore cessò di
frequentare la chiesa come era stato suo costume. Ad eccezione di una volta in
circostanze pericolose. E non solo fece questo, ma attrasse molti credenti a
lei, ed egli stesso ricevette gli increduli in casa sua.
Un giorno in cui stavano facendo allegramente uno
spettacolo teatrale con ballerini, il governatore della città pubblicò un
editto riguardante gli spettacoli pubblici nella città di Alessandria. Tutti
gli abitanti della città erano riuniti nel teatro.
Cirillo, che era stato nominato patriarca dopo Teofilo,
era ansioso di comprendere esattamente il contenuto dell’editto.
C’era un uomo chiamato Hierax, un cristiano che possedeva
comprensione ed intelligenza e che era solito dileggiare i pagani. Era un
seguace affezionato all’illustre padre il patriarca ed obbediente ai suoi
consigli. Egli era anche molto versato nella fede cristiana.
Ora questo uomo si era recato al teatro per conoscere la
natura dell’editto. Ma quando gli ebrei lo videro nel teatro gridarono e
dissero: ‘Questo uomo non è venuto con buone intenzioni, ma solamente per
provocare un baccano’.
Il prefetto Oreste fu scontento dei figli della santa
chiesa, e Hierax fu afferrato e sottoposto pubblicamente a punizione nel
teatro, sebbene fosse completamente senza colpa.
Cirillo si irritò con il governatore della città per
questo fatto, ed anche perché aveva messo a morte Ammonio, un illustre monaco
del convento di Pernodj, ed anche altri monaci.
Quando il magistrato principale della città venne
informato, rivolse la parola agli ebrei come segue: ‘Cessate le ostilità contro
i cristiani’. Ma essi rifiutarono di dare ascolto a quello che avevano sentito;
si vantarono dell’appoggio del prefetto che era dalla loro parte, e così
aggiunsero oltraggio a oltraggio e progettarono un massacro in modo infido.
Di notte posero in tutte le strade della città alcuni
uomini, mentre altri gridavano e dicevano: ‘La chiesa dell’apostolico Athanasius
è in fiamme: corrano al soccorso tutti i cristiani’. Ed i cristiani al sentire
queste grida vennero fuori del tutto ignari della slealtà degli ebrei. Quando i
cristiani vennero avanti, gli ebrei sorsero e perfidamente massacrarono i
cristiani e versarono il sangue di molti, sebbene fossero senza alcuna colpa.
Al mattino, quando i cristiani sopravvissuti sentirono
del malvagio atto compiuto dagli ebrei contro di loro, si recarono dal
patriarca. Ed i cristiani si chiamarono a raccolta tutti insieme. Marciarono in
collera verso le sinagoghe degli ebrei e ne presero possesso, le purificarono e
le convertirono in chiese. Una di esse venne dedicata a S. Giorgio.
Espulsero gli assassini ebrei dalla città. Saccheggiarono
tutte le loro proprietà e li derubarono completamente. Il prefetto Oreste non
fu in grado di portare loro alcun aiuto.
Poi una moltitudine di credenti in Dio si radunò sotto la
guida di Pietro il magistrato, un credente in Gesù Cristo perfetto sotto tutti
gli aspetti, e si misero alla ricerca della donna pagana che aveva ingannato le
persone della città ed il prefetto con i suoi incantesimi.
Quando trovarono il luogo dove era, si diressero verso di
lei e la trovarono seduta su un’alta sedia. Avendola fatta scendere, la
trascinarono e la portarono nella grande chiesa chiamata Caesarion. Questo
accadde nei giorni del digiuno.
Poi le lacerarono i vestiti e la trascinarono attraverso
le strade della città finché lei morì. E la portarono in un luogo chiamato
Cinaron, e bruciarono il suo corpo. E tutte le persone circondarono il
patriarca Cirillo e lo chiamarono ‘il nuovo Teofilo’ perché aveva distrutto gli
ultimi resti dell’idolatria nella città”.[24]
Dopo la morte di Ipazia i suoi discepoli si dispersero ed
Alessandria perse il suo ruolo di guida culturale del mondo ellenico. La prima
rivoluzione scientifica era terminata definitivamente. Bisogna attendere il
rinascimento affinché venga riscoperta la ricchezza del mondo classico ed il
genio di G. Galilei per riscoprire il metodo scientifico-sperimentale.
Ho cercato di esporre la vicenda umana e scientifica di
Ipazia in modo asettico, presentando i fatti come raccontati dalle fonti ed
interpretati dagli studiosi che per oltre un millennio e mezzo si sono dedicati
alla vicenda di Ipazia. Le fonti utilizzate non sono esenti da pregiudizi e
riserve mentali: Damascio è un pagano neoplatonico che vede come il fumo negli
occhi il cristianesimo, Socrate Scolastico è un cristiano orientale che ha non
pochi pregiudizi verso la chiesa alessandrina ed il vescovo Cirillo, così come
altre fonti (Filostorgio, Esichio e Malala che non ho citato e commentato
in quanto si rifanno a Damascio ed a Socrate Scolastico).
La cronaca del Vescovo di Nikiu fa dell’assassinio di Ipazia
un motivo di vanto per la chiesa alessandrina per cui è affetta da un bias
opposto.
Mettendo a confronto le varie fonti e le interpretazioni
fornite dagli studiosi, è possibile ricavare un quadro d’insieme della vicenda
di Ipazia.
Personalmente sono convinto che il vescovo Cirillo sia
responsabile della sua morte, ma sono altrettanto convinto che Ipazia non è
morta perché scienziata e filosofa, ma perché impegnata attivamente nelle
vicende politiche ed economiche della città di Alessandria e, quindi, fu
vittima di una guerra di potere combattuta senza esclusione di colpi tra due
fazioni che si contendevano il governo della città: la vecchia classe dirigente
ellenica affiancata da quella ebraica e la nuova classe dirigente cristiana
(per fede o per convenienza).
Ipazia era una presenza scomoda che doveva essere eliminata
e, difatti, fu eliminata, in modo premeditato e pianificato.
Le motivazioni ideologiche e religiose c’entrano poco: sono
la solita foglia di fico con cui si coprono le vergogne.
[9] Alan Cameron – Isidore of Miletus and
Hypatia: On the Editing of Mathematical Texts http://grbs.library.duke.edu/article/viewFile/4171/5587
[18]http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf
[21]http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf
[22]http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf
[23]http://www.silviaronchey.it/materiali/pdf_docenza/pubblicazioni/Perche_Cirillo_assassino_Ipazia.pdf
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