La cosiddetta "Casa di Colombo", che attualmente si trova in Piazza Dante a Genova, ben al di fuori delle antiche mura della città - visibili sullo sfondo - contrariamente a quanto riportato dallo storico Staglieno ("entro le mura di Genova, in una casa del Carrogio diritto di Ponticello, a sinistra di chi scende dalla Porta di Sant'Andrea, a poca distanza da questa"), sulla base dei cui studi questo edificio venne considerato appunto la dimora del padre del navigatore .
(Cfr. M. Staglieno - Sulla casa abitata da Domenico Colombo, 1885)
Pietro Ratto
1. PLEBEO E GENOVESE OPPURE NO ?
Cominciamo dunque dalle origini del celebre navigatore. Si
sostiene che il padre fosse un tessitore genovese, forse partito da Terrarossa
- nei pressi di Nervi - nel 1445. In quell'anno, infatti, dai documenti in
archivio comunale egli risulta residente a Genova, in Vico Diritto
dell'Olivella, con la moglie Susanna Fontanarossa, discendente da una famiglia
di lanaioli. La data di nascita del primogenito "Cristofaro", però, è
già avvolta nel mistero.
Un rogito del 1470, ad opera del Notaio Niccolò Raggio, afferma che
il giovane aveva superato i diciannove anni ma non ancora raggiunta la maggiore
età (i venticinque). Questo potrebbe indurci a fissare l'anno di nascita tra il
1446 ed il 1451.
Un atto notarile risalente al 1479, trovato negli archivi storici di
Genova nel 1904 dallo studioso Nicola Assereto, riporta però una dichiarazione
del navigatore, il quale afferma di avere approssimativamente ventisette anni
(in virtù di cui potrebbe dunque essere nato anche nel 1552).
In un altro atto ancora, l'Estratto dal libro degli lnstrumenti
del fu Giovanni Recco Notaio (1455), si parla di un trasferimento della
famiglia Colombo da Vico Diritto dell'Olivella a Vico Diritto di
Ponticello, - ove la tradizione vuole che Domenico abbia aperto
anche la sua bottega - quando il piccolo "Cristofaro" era "non
ancora quattrenne". Naturalmente stiamo parlando di quella che ancor
oggi è considerata da milioni di turisti la Casa di Colombo, e che Cristoforo
avrebbe lasciato solo nel 1470, quando i suoi genitori si trasferirono a
Savona, aprendo una taverna in cui vendevano anche formaggi e vino.
Ciò che conta, però, sarebbe l'ulteriore conferma della collocazione
della data di nascita intorno al 1451. Atti notarili a parte (la cui quantità
decisamente eccessiva potrebbe gettare un'ombra di mistificazione sull'intera
faccenda), Colombo stesso, in una sua celebre lettera, afferma però di aver
cominciato a navigare a quattordici anni e di aver continuato a farlo
ininterrottamente per altri ventitré. Dato che egli sospese i suoi viaggi nel
1479, anno in cui si trasferì stabilmente a Lisbona, si può concludere che la
data di nascita vada anticipata al 1442.
Peggio ancora se diamo retta al suo amico André Bernaldez, il quale
sostenne che Colombo fosse morto, sì, nel 1506, ma a settant'ani "poco
mas o menos" ( come d'altra parte si evince anche dal referto
stilato dal medico che ne constatò la morte); il che sposterebbe ulteriormente
indietro la nascita intorno al 1436, data riportata anche nella Storia
Universale pubblicata nel 1839 dallo storico Cesare Cantù.
Determinare l'anno di nascita di Colombo non è cosa di poco conto.
Non si tratta soltanto di pignoleria, poiché dietro a questa querelle si
annidano le inquietanti ombre degli interessi economici degli eredi e di quelli
economico-politici delle Nazioni che si contendono la "paternità" del
grande Ammiraglio e delle antiche famiglie che gestivano il potere a Genova.
Una luce sinistra sulla faccenda è proiettata dalla famosa Causa
per il maggiorasco di Cristoforo Colombo[1], che molti studiosi
continuano ad ignorare per non rimettere in dubbio troppe cose e per non ledere
troppi interessi. Vale senz'altro la pena di riprendere in mano gli atti di
questa che fu, a tutti gli effetti, una gigantesca disputa legale (protrattasi dal
1578 al 1608), tra tutti quelli che pretendevano di spartirsi l'eredità di
Colombo spacciandosi per suoi discendenti. Per farlo non esitiamo ad
appoggiarci anche ad uno storico "non convenzionale", Pier Costanzo Brio, autore di una Identità
di Christoforo Colombo scandalosamente vera (1993), mai
pubblicata se non su internet.
Dai documenti della causa legale giunti fino a noi evinciamo infatti
che l'Ammiraglio apparteneva ad una famiglia patrizia, essendo nipote di Lancia Colombo, parente del Marchese
del Monferrato Teodoro Paleologo. Lancia era padre di Domenico e nonno di Cristoforo.
La famiglia Colombo vantava origini nobilissime: istituita da Ottone I nel 960, a metà del XIV secolo
disponeva dei seguenti possedimenti territoriali tra Alessandria e Casale
Monferrato: Altavilla, Calamandrana, Bistagno, Cuccaro, Conzano, Lù, Ricaldone
e Rocca Platea. Non ha quindi senso, tanto per cominciare, continuare a
spacciare Colombo per un plebeo, e la stessa "genovesità"
dell'Ammiraglio vacilla, quanto meno da escludersi in termini di origini
famigliari, evidentemente monferrine.
Secondo il Brio la teoria di un Cristoforo Colombo di umili origini
sarebbe stata elaborata dagli storici vicini al Doge, il cui ritorno aveva
causato la fine del dominio dei Paleologi e la caduta in disgrazia dei loro
parenti Colombo.[2] Per non parlare della leggenda che
vorrebbe Colombo morto in povertà. Il navigatore morì ricchissimo, ed i molti
pretendenti alla sua eredità coinvolti in un processo risalente a più di
settant'anni dalla sua scomparsa ne sono una lampante dimostrazione.
La ricchezza lasciata agli eredi di Colombo, però, non deriva dal
patrimonio dei suoi predecessori, come si spiegherà di seguito, ma dai proventi
della sua grande impresa in America.
La ricostruzione del Tribunale delle Indie (organo istituito da
Carlo V e presieduto dallo stesso sovrano e dai suoi successori per dirimere le
questioni legali relative al Nuovo Mondi), ci fa sapere infatti che Domenico,
figlio di Lancia, ottenne in eredità il diciotto per cento dei possedimenti
della sola Cuccaro, ma di tali possedimenti, alla sua morte (1456), il
primogenito Cristoforo venne privato con la scusa che da ben cinque anni
si era ormai reso irreperibile (viaggiando in mare) e che nessuno sapeva più
nemmeno se fosse ancora vivo.
A parte l'evidente ingiustizia perpetrata in piena fase dogale
(sotto il potere del Doge Pietro di Campofregoso), ai danni dei membri di
un'antica famiglia, colpevole di essere imparentata con gli ormai decaduti
Paleologi, va assolutamente messa in rilievo, a questo punto, anche
l'inconsistenza della teoria che fisserebbe l'anno di nascita di Cristoforo
Colombo al 1451. Se da quell'anno, infatti, il navigatore era ormai irreperibile
e se, come Colombo stesso afferma, iniziò a navigare a 14 anni, ecco rispuntare
la conferma della nascita intorno al 1437.
Molte sono però le informazioni particolarmente intriganti che
emergono dalla Causa. Si evince che durante l'infanzia il nostro futuro
Ammiraglio studiò a Pavia, non a Genova. Spunta inoltre l'identità di un cugino
di secondo grado dell'Ammiraglio, tal Cristoforo Colombo, figlio del
fratello di Lancia, Nicolino, di professione corsaro.
A complicare questo curioso - ma al tempo dei fatti piuttosto
frequente - caso di omonimia, il Tribunale delle Indie accerta che Nicolino,
alla morte del padre, aveva cambiato nome in Domenico (!) trasferendosi
nei possedimenti di Cogoleto e aveva avuto due figli: Cristoforo,
appunto, e Bartolomeo. Abbiamo dunque da fare i conti con il ramo dei Colombo
di Cuccaro, da cui discende lo scopritore dell'America, e con quello dei
Colombo corsari di Cogoleto, da cui discende un Cristoforo Colombo che non è il
nostro, ma che, manco a dirlo, è navigatore ed ammiraglio. Ma non basta.
Veniamo a sapere che il quattordicenne futuro scopritore del Nuovo Mondo
cominciò la sua esperienza di mozzo (seppur cadetto), proprio sulla nave del
cugino in seconda! D'altra parte, all'epoca, sia il cognome Colombo sia il nome
Cristoforo erano molto comuni in quelle zone, come diversi storici confermano.
Il Tribunale, effettuata la ricostruzione, con sentenza del 1608
riconobbe Bernardo Colombo di Cogoleto - discendente di Nicolino - e
Baldassarre Colombo di Cuccaro - discendente di un fratello del Domenico padre
del nostro navigatore - gli unici veri eredi, rigettando le richieste dei molti
altri pretendenti, alcuni dei quali finirono anche in galera per falso
volontario e calunnia. Il Brio ricorda che Baldassarre Colombo di Cuccaro, pur
essendo nato a Genova, fu riconosciuto erede proprio a causa della sua
discendenza monferrina. Bernardo venne invece accusato di falso volontario e
calunnia ed estromesso dall'eredità
Ricapitolando:
1. COLOMBO ERA ITALIANO, DI ORIGINE MONFERRINA O PIACENTINA.
Niente di ben chiaro si sa sull'esatto luogo di nascita. Chi
sostiene si tratti di Genova si basa su documenti come la prova Assereto, la
cui autenticità è messa in dubbio dal Brio, o sulla trascrizione - non la
versione originale, andata persa - del Testamento dell'Ammiraglio, che a un
certo punto, riferendosi al figlio Diego, recita: "ordino.... che abbia
e sostenga sempre nella città di Genova persona del nostro lignaggio, la quale
vi abbia casa e famiglia, e ad essa assegni una rendita sufficiente a viver con
decoro, quale si conviene a persona del nostro lignaggio, e abbia piede e
radice nella detta città, in quanto nativa di essa, perché potrà averne aiuto e
favore in cose di suo bisogno, posto che in essa io nacqui e di là venni".
Anche questa trascrizione, però, è stata spesso messa in discussione.
Da citare anche l'annotazione riportata su una carta geografica
disegnata nel 1513 dal grande ammiraglio, geografo ed esploratore ottomano Piri
Reis e ritrovata nel sontuoso Palazzo di Topkapi ad Istanbul, in cui, a
proposito delle Americhe si legge: "si racconta che [...] un
infedele di Genova di nome Colombo abbia scoperto queste zone".
Questo "si racconta", però, all'orecchio di uno storico non dovrebbe
suonare eccessivamente rassicurante.
Soprattutto va sottolineato un particolare importante che emerge
dalla stessa Causa per il Maggiorasco. Baldassarre Colombo, al fine di
smentire le origini genovesi dell'Ammiraglio chiede a tutti i testimoni
presenti di confermare se anche a loro risulti che in tutti i territori
spagnoli chiunque provenga dalla penisola italica sia definito genovese.
Tutti quanti confermano con decisione: gli spagnoli chiamano
genovesi anche i siciliani, i napoletani, o chiunque provenga dall'Italia,
poiché di norma è a Genova che gli italiani si imbarcano per raggiungere la
penisola iberica! E non basta.
In un punto precedente degli atti tutti i convenuti riconoscono che,
a circa ottant'anni dalla morte dell'Ammiraglio, non esista in Genova un solo
monumento o una sola targa a lui dedicati per ricordarne le gesta, così come
invece la Repubblica marinara è solita fare con tutti i suoi cittadini
illustri.
Non risulta poi a nessuno dei testimoni convocati che, al momento
del processo, esista qualcuno in possesso della cittadinanza genovese che si
chiami Colombo di cognome, giungendo tutti alla stessa supposizione: anche
nell'eventualità che il navigatore sia nato a Genova, la cosa potrebbe essere
accaduta durante un viaggio della sua famiglia occasionalmente allontanatasi
dal Monferrato; non per questo si potrebbe definire l'Ammiraglio, quindi, un
genovese. A meno che non si tenga conto
del fatto che la giurisdizione di Genova, a quel tempo, arrivava fino al comune
di Bobbio, includendo proprio il Monferrato ed il piacentino.
Nel 1620 il canonico Pietro
Maria Campi entrò in possesso di una traduzione in italiano del 1571 di una
lettera di Don Fernando Colombo, figlio di Cristoforo (lettera custodita al
Museo di Siviglia ma da secoli completamente trascurata dagli storici italiani)
e rimase sconvolto da quanto Fernando ivi sosteneva a proposito delle origini
del padre:
"Alcuni dicono che fu di Nervi, altri di Cugureo, altri di
Bugiasco, ma quelli che sagliono il vento lo fanno di Piacenza, nella qual
città vi sono alcune onorate persone della sua famiglia, con sepolture, armi e
lettere di Colombo".
Preso dalla smania di vederci chiaro chiese a tutti i notai di
Piacenza di aiutarlo a trovare un atto che potesse confermare queste origini
piacentine del navigatore e ne scaturì un documento che attestava l'esistenza
di terreni e proprietà di Domenico Colombo e figli nella località di Pradello,
attualmente frazione di Bettola, a quaranta chilometri dal suddetto capoluogo e
al confine tra il Monferrato e la Lombardia. Giunto a Pradello rimase sconvolto di fronte ad un'antica Casa a torre che
gli abitanti del posto chiamavano Torre de' Colombi. Potrebbe essere
proprio quella la casa natia dell'Ammiraglio?
Secondo lo storico "alternativo" Vittorio Giunciuglio, Domingo Colon e Susana Fonterosa erano in
realtà due coniugi ebrei di Pontevedra, in Galizia, che decisero di lasciare la
loro attività commerciale in Spagna per sfuggire alle persecuzioni di
Ferdinando ed Isabella, approdando a Genova come tutti i sefarditi che volevano
dirigersi nel più tollerante e ghibellino Ducato di Milano. Nella capitale
della Repubblica, a quei tempi, la moltitudine dei profughi ebrei poteva cercar
dimora soprattutto in Vico e Piazza degli Ebrei, poi soprannominati
rispettivamente Vico e Piazza del Campo.
A comprar casa usufruendo dei notevoli capitali di cui disponevano
in virtù della loro attività di prestasoldi, venivano "aiutati" dal
Banco di San Giorgio - la più antica banca del mondo, sita proprio a Genova -
che grazie a questo movimento di profughi sarebbe diventata floridissima. Ogni richiesta di residenza da parte dei
sefarditi, però, era subordinata ad un'abiura alla loro fede con conseguente
conversione firmata al cristianesimo.
Per il Giunciuglio i coniugi Colon, nobili e benestanti, dopo
essersi convertiti preferirono acquistare un feudo a Pradello, appunto, territorio che a quel tempo si chiamava Pirrastrello e che potrebbe derivare il
suo nome proprio dall'antica famiglia dei Perestrello,
con cui evidentemente i Colon erano imparentati (l'Ammiraglio, non a caso,
sposerà in Portogallo un'esponente di quella nobile famiglia). In virtù di
questa parentela si può anche ipotizzare che i Colon non abbiano acquistato
tale feudo, bensì, semplicemente, che ne abbiano preso possesso. Ivi sarebbero
nati Cristoforo, Bartolomeo e Diego.
Giunciuglio ipotizza anche che i lanzichenecchi, inviati in Italia
nel gennaio del 1522 dall'imperatore nonché successivo re di Spagna Carlo V,
abbiano ricevuto l'ordine di far sosta a Genova a maggio dello stesso anno, per
bruciare tutti i documenti degli archivi diocesani della Cattedrale di San
Lorenzo, proprio al fine di far sparire le abiure dei due coniugi Colon.
Cancellando così la prova evidente delle origini ebraiche - che
approfondiremo nel prossimo capitolo - e della nazionalità non spagnola dello
scopritore dell'America.
Carta di Piri Reis, 1513
2. Colombo nacque intorno al 1437 da una famiglia nobile. A
prescindere da quanto emerso dagli atti della Causa per il Maggiorasco (e
da quanto scritto da Colombo nel suo stesso testamento, dato che più volte in
esso egli insiste sul suo "lignaggio"), dovremmo infatti chiederci
come avrebbe potuto mai un popolano figlio di tessitori ottenere udienza
dal Re del Portogallo (che oltretutto amava definirsi "suo amico
particolare"), sposarne una cugina e farsi ricevere dagli
importantissimi sovrani di Spagna per proporre un progetto a detta di molti
quanto meno strampalato? Cosa poteva saperne un figlio di lanai imbarcatosi
come mozzo all'età di quattordici anni, di Astronomia, di Navigazione o anche
di Matematica e Geografia, dato che dalle carte processuali emerge anche un suo
incontro - in quel di Lisbona - con Toscanelli?
3. Colombo morì ricco, come dimostra la folla di
pretendenti alla sua eredità a distanza di settant'anni dalla sua morte. Ma il
suo patrimonio non consisteva nei possedimenti dei suoi avi, che per motivi
ereditari si erano ridotti ad una sciocchezza (un diciottesimo del Castello di
Cuccaro), e dei quali, oltretutto, era stato ingiustamente spogliato alla morte
del padre.[3]
2. EBREO O CRISTIANO ?
Su questo punto dobbiamo accontentarci di muoverci su un terreno
meno sicuro, fatto di ipotesi, per altro piuttosto "solide". Una
delle teorie più scandalosamente intriganti di questi ultimi tempi, relative a
Colombo, è sostenuta infatti da un altro storico "non
allineato", il già citato Vittorio Giunciuglio, operaio genovese che, una
volta in pensione, si è presa la briga di spulciare l'archivio storico della
sua città per poi dar alla luce i due libri I sette anni che cambiarono
Genova (1991) ed Un ebreo chiamato Cristoforo Colombo (1994), tanto
sorprendenti quanto ignorati. D'altra parte la sua ipotesi di un Colombo semita
non è completamente nuova.
Di un Colombo ebreo catalano aveva già parlato negli anni Quaranta
lo storico S. de Madariaga ed il grande "cacciatore di Nazisti",
Simon Wiesenthal, nel suo celebre trattato Operazione Nuovo Mondo - I motivi
segreti del viaggio di Cristoforo Colombo verso le Indie (1973; Garzanti,
Milano, 1991), aveva sostenuto l'idea che l'Ammiraglio fosse ebreo ma che
avesse dovuto in tutti i modi tenerlo nascosto per poter essere preso in
considerazione dai cattolicissimi sovrani, invece di venir perseguitato.
Secondo lo stesso Wiesenthal la cosa era persino evidente: "Numerosi
storici si erano accorti che la cerchia dei personaggi che appoggiavano i piani
di Colombo era formata in prevalenza da ebrei e da ebrei battezzati [...]
senza l'aiuto degli ebrei il viaggio di Colombo non si sarebbe
realizzato".
La "cerchia dei
personaggi" a cui alludeva comprendeva gli ebrei convertiti Luis De Santàngel ( tesoriere e
cancelliere dell'intendenza di Ferdinando II), Gabriel Sánchez (tesoriere di Aragona) e Diego Deza (Arcivescovo di Siviglia), tutti impegnati a promuovere
ed appoggiare, chi dal punto di vista finanziario chi da quello
teologico-scientifico, il progetto del navigatore. Né va dimenticato lo stesso Alessandro Geraldini, precettore e
confessore presso la corte spagnola e futuro vescovo di Santo Domingo, famoso
per il suo atteggiamento protettivo nei confronti degli ebrei. Fu lui, a tutti
gli effetti, a convincere Isabella di Castiglia dell'opportunità di assecondare
il navigatore. Per non parlare delle teorie secondo cui lo stesso papa Innocenzo VIII (alias Giovanni Battista
Cybo, genovese, consuocero di Lorenzo il Magnifico[4], che secondo il
Guicciardini esercitò non poca influenza su di lui, ottenendo la nomina a
Cardinale per il figlio tredicenne Giovanni De Medici, futuro Leone X),
fosse ebreo converso (il padre si chiamava Aharon Cybo; il nonno, Aleramo
Kybos, era un ricco proprietario di allume nato a Rodi che aveva sposato
un'ebrea di Chio, colonia genovese).
Lo studioso Ruggero Marino -
a partire dal suo primo libro Cristoforo Colombo e il Papa tradito (Newton
Compton, 1991) - stimolato nel 1990 da una misteriosa lettera di un discendente
della famiglia Cybo finita sulla sua scrivania ai tempi in cui era capo
redattore de Il Tempo, ha accumulato molte prove del rapporto tra
Colombo e Innocenzo VIII. Un pontefice della cui storia si sono
"perse" molte tracce, forse proprio per celare la sua vera origine
ebraica. Un Papa che all'annuncio di Ferdinando di Aragona circa il completamento
della Reconquista, promise a lui ed alla moglie il titolo di Re
cristianissimi in cambio del loro consenso all'impresa di Colombo, per
altro indirettamente finanziata dal Papato stesso.
Come hanno ben rilevato sia il Marino che, successivamente, il
Giunciuglio, sulla tomba di Innocenzo VIII in San Pietro sta scritto: "Novi orbis, suo aevo inventi gloria",
che alluderebbe alla scoperta di un Nuovo Mondo nel tempo del suo pontificato.
Tale affermazione costituirebbe un anacronismo, dato che Colombo salpò ben otto
giorni dopo la morte del Papa, avvenuta il 25 luglio 1492.
Ma il Marino si dice convinto - facendo leva anche su un'annotazione
presente nella suddetta Carta di Piri
Reis, in cui si legge che l'America sarebbe stata scoperta da Colombo nell'anno
890 dell'era araba, equivalente al 1485 - che la spedizione del 1492 sia
stata per Colombo una "replica", avendo egli già effettuato un primo
viaggio sette anni prima, in pieno pontificato di Giovanni Battista Cybo. La precisione con cui l'Ammiraglio, il 9
ottobre 1492, placò le ire dei suoi uomini (esasperati da un viaggio che
avrebbe dovuto essere molto più breve), giurando sulla propria testa che entro
tre giorni avrebbero avvistato terra, costituisce per Marino una prova più che
evidente della sua teoria.
Non va inoltre tralasciata, come ricorda Umberto Bartocci nel suo La
vera identità di Cristoforo Colombo Osservazioni e congetture, la
sospetta coincidenza tra la partenza di Colombo, salpato (da Palos?) in fretta
e furia il 3 agosto 1492, e la scadenza imposta agli ebrei dai Re
cristianissimi (Decreto di Alhambra,
31 marzo 1492), per il loro allontanamento dalla Spagna.[5]
Secondo lo studioso William Melczer, infine, la madre di Colombo era di
origini ebraiche, così come sembra fosse anche la suocera.
A quell'epoca, d'altra parte, gli ebrei non avevano scelta:
convertirsi o venir perseguitati e rassegnarsi a fuggire. E la scelta della
conversione era spesso una scelta a metà, fatta solo per salvare le apparenze,
come recita un proverbio dell'epoca:
"In tre casi l'acqua è scorsa inutilmente: l'acqua del fiume
nel mare, l'acqua nel vino, l'acqua per il battesimo di un ebreo".
Da qui il clima di forte sospetto in cui vivevano questi "marrani",
spesso accusati di essere "doppi" e di tramare segretamente per
liberarsi da ogni discriminazione, raggiungere finalmente la Terra Promessa ed
arrivare addirittura ad esercitare un potere sul mondo intero. Quella Terra
Promessa in cui speravano milioni di marrani ricchi o poveri che, nei progetti
di Colombo, poteva tradursi in un Nuovo Mondo!
Colombo era dunque ebreo?
E' possibile che il suo intento fosse davvero quello di raggiungere e
conquistare una Terra Promessa per tutti i giudei (o quanto meno un rifugio per
tutti quelli che in quegli anni venivano espulsi dalle monarchie cristiane e
rifiutati dalle altre nazioni perché troppo poveri)? Giunciuglio arriva
addirittura ad ipotizzare che gli scopi della missione finanziata dal Papa
semita fossero due: trovare posto per gli ebrei scacciati ovunque e
rintracciare il mitico Prete Gianni,
che da tempo l'Occidente identificava con il Gran Khan, per chiedergli di
allearsi con la cristianità e sconfiggere congiuntamente i musulmani, in
un''ultima e definitiva crociata contro l'Islam.
Relativamente alla questione del Colombo ebreo, comunque, gli indizi
elencati giustificherebbero quanto meno un dubbio in questo senso. Chiaramente
va subito fatta una distinzione. Si può essere ebrei di origine ma non di fede
religiosa. E' quanto sostiene a tal proposito Paolo Emilio Taviani (Cristoforo
Colombo - La genesi della grande scoperta, De Agostini, Novara, 1982),
affermando con sicurezza che Colombo "fu cattolico e
religiosissimo".
Bisogna infatti ricordare che Alessandro VI si affrettò subito,
all'indomani della scoperta dell'America, a sottolineare la matrice tutta
cattolica dell'impresa di Colombo, giungendo persino a fare del navigatore una
figura simbolo della religiosità cristiana.
Nonostante la sua relazione extramatrimoniale con Beatriz Enríquez
de Araña, le accuse di maltrattamenti e sevizie nei confronti degli indios,
ecc., una causa di beatificazione per l'Ammiraglio fu caldeggiata per secoli in
Vaticano ed appoggiata sia da Pio IX che da Leone XIII. Il Sant'Uffizio però, esaminate tutte le
carte, si pronunciò negativamente. Lo stesso Wiesenthal ricorda a tal
proposito: "Volli saperne di più in proposito, ma a una mia
richiesta indirizzata a Roma risposero che gli atti relativi a Colombo
esistenti in Vaticano non erano accessibili".
Ma non basta. Sia Giuciuglio che Bartocci formulano un'interessante
teoria che vedrebbe Colombo non solo un ebreo nobile e colto ma persino vicino
all'ambiente dei Templari, argomento questo che fa sempre storcere un po' il
naso agli studiosi, giustamente refrattari nei confronti dei moderni
sfruttamenti commerciali in chiave "misteriosa" di molti argomenti
storici.
Certo non vanno trascurati particolari interessanti come il simbolo
scelto dall'Ammiraglio per decorare le vele delle sue caravelle (la tipica
croce cosmica templare in campo bianco) o i documenti[6] che
attestano il concepimento di un progetto del tutto simile a quello di Colombo
maturato in ambito templare già nel 1290.
Una caravella di Colombo con la famosa Croce Templare sulla vela, in un
disegno del 1493 presente sulla Prima relazione redatta dall'Ammiraglio.
Né vanno dimenticati altri elementi che, quanto meno, potrebbero
indurre a riflettere.
Colombo "si reca" proprio in Portogallo - sulla
possibilità di attraversare a nuoto l'Oceano per più di dodici chilometri
approdando sulle coste portoghesi si veda l'ironico Le balle di Colombo,
citato in nota 2 - nazione in cui l'Ordine dei Templari era riuscito a
sopravvivere alla soppressione voluta da Clemente V nel 1312, mutando
semplicemente il proprio nome in Ordine del Cristo. In quel Portogallo
in cui la Corona era stata a lungo alleata coi Templari, fin dai tempi di
Dionigi I, l'effettivo ideatore dell'escamotage del cambio di denominazione che
aveva salvato l'Ordine permettendogli, tra l'altro, di giungere fino ai nostri
giorni.
Per dar forza alla sua ipotesi il Bartocci [7]
ricorda i collegamenti tra la famiglia de' Medici - come abbiamo visto
molto influente nei confronti di Papa Innocenzo VIII - gli ambienti templari e
quelli giudei. L'ipotesi più intrigante di Bartocci consiste infatti nel
ritenere i Cavalieri del Tempio - il cui enorme potere economico e politico,
accumulato dai tempi delle Crociate grazie a quella stessa attività
"bancaria" in cui primeggiava la famiglia di Lorenzo il Magnifico,
crollò all'inizio del XIV secolo sotto i colpi dell'improvvisa e mai ben
spiegata accusa di eresia con conseguente rapida soppressione dell'ordine ed
esecuzione capitale dei vertici - nel corso dei loro precedenti ed innumerevoli
viaggi in Terra Santa fossero entrati in contatto con qualche oscura
"prova" attestante la falsità della fede cristiana (in piena sintonia
con la famosa eresia catara sulla quale, qualche decennio prima, si era
abbattuta una vera e propria crociata), e conseguentemente avessero abbracciato
un nuovo "cristianesimo senza Cristo". In altre parole, l'infamia oltraggiosa
di cui parla il Provvedimento di arresto di tutti i membri dell'Ordine,
emanato dal Re di Francia Filippo il Bello nel 1307, potrebbe consistere in una
loro segreta conversione all'ebraismo, così come molti dei loro misteriosi
"riti" - la cui scoperta da parte del Papa Clemente V portò proprio
alla condanna per eresia nei confronti dell'intero Ordine - parrebbero
suggerire.
Quanto all'obiezione di chi potrebbe ricordare che Giovanni II è proprio il re portoghese che si rese nemico
dei Templari, addirittura pugnalando con le sue stesse mani l'undicesimo Gran
Maestro dell'Ordine, Bartocci sostiene che potrebbe essersi trattato di
un'improvvisa crisi scoppiata tra la corona ed i Cavalieri di Cristo e che
proprio a causa di questa, nel 1484, l'Ammiraglio avrebbe deciso di traslocare
frettolosamente in Spagna.
3. INGENUO E SEMPLICIOTTO, OPPURE NO ?
Circa i veri intenti e le reali motivazioni dei protagonisti di
questa grande scoperta la faccenda si tinge davvero di giallo. Secondo il
Giunciuglio l'impresa fu originariamente concepita e finanziata dalla Chiesa
(per giunta non per favorire i cristiani bensì gli ebrei, come abbiamo
ipotizzato) e non dai reali di Spagna.
Fu l'ebreo Innocenzo VIII,
autentico "mandante" della scoperta, a trovare i fondi e ad
esercitare continue pressioni su Ferdinando ed Isabella. I quali rallentarono
in tutti i modi la cosa non vedendo assolutamente di buon occhio che essa
potesse venir condotta da uno straniero.
Colombo non solo era italiano e monferrino ma, secondo Giunciuglio,
aveva preso la cittadinanza portoghese dal momento in cui era arrivato a
Lisbona, chiamato da Don Rafael
Perestrelo, nobile appartenente ad un'antica famiglia piacentina di
banchieri (imparentata con i Visconti di Milano), trasferitasi in Portogallo
nel 1375 ed imparentatasi coi Colombo agli inizi del '400. Don Rafael avrebbe
voluto Cristoforo Colombo - probabilmente appena tornato da un viaggio in
Groenlandia così come da lui stesso raccontato.
A questo proposito vedi, su questo sito, il saggio Cristoforo Colombo in
Groenlandia di C. Bucher - a Lisbona per
offrirgli in moglie la nipote Felipa[8].
Tra l'altro gli Aragona avevano un conto in sospeso con Genova (e
Colombo, come abbiamo visto, era ritenuto "genovese"), a causa
dell'ancora bruciante Disfatta di Ponza del 1435, umiliante sconfitta
inflitta dalla Repubblica marinara - accorsa in difesa del Regno di Napoli
assediato dagli spagnoli - nei confronti dello zio di Ferdinando, Alfonso V
d'Aragona. In quell'occasione Alfonso era stato perfino catturato dall'esercito
genovese, che non aveva esitato a chiedere un riscatto in cambio della sua
libertà.
Per questo motivo, secondo Giunciuglio, la monarchia spagnola attese
più di sei anni per concedere il permesso di partire a Colombo. L'impresa, infatti,
ottenne il nulla osta solo alla morte del genovese Innocenzo VIII (per
altro piuttosto misteriosa ed improvvisa, per taluni seguita ad avvelenamento,
elemento che non può non far pensare al successore Rodrigo Borgia, il
grande avvelenatore!), ed alla conseguente salita sul soglio pontificio dell'aragonese
Alessandro VI. Un modo subdolo per poter poi attribuire alla Spagna tutto il
merito - e tutti i conseguenti diritti economici - della scoperta. Proprio a
tal fine, secondo lo studioso "non allineato", le vere origini di
Colombo furono poi volutamente oscurate e falsificate dai re cristianissimi.
Una fitta serie di attentati falliti a carico dell'Ammiraglio,
verificatisi nel corso della prima spedizione e appoggiati dai due fratelli
Pinzon, capitani delle due caravelle spagnole la cui presenza era stata imposta
dai Re cristianissimi, avrebbero avuto proprio, secondo il Giunciuglio,
l'obiettivo di far fuori l'italiano per trasformare l'impresa in un successo
tutto spagnolo. Lo stesso affondamento della nave di proprietà dell'Ammiraglio,
la Santa Maria, sarebbe da considerare in questo senso, dato che avvenne in
circostanze tutt'altro che chiare e che Colombo rischiò davvero di lasciarci la
pelle. Ma tutti i tentativi fallirono ed ai reali spagnoli, quindi, non restò
che oscurare l'italianità dell'Ammiraglio come ultima spiaggia per convincere
il mondo dell'esclusiva spagnola sui diritti di sfruttamento del Nuovo Mondo.
Quanto poi alla casualità della scoperta dell'America ed alla
convinzione di Colombo di essere approdato nelle Indie, non è difficile far
notare che la sfericità della Terra non fosse assolutamente un mistero, al
tempo dell'Ammiraglio.
Già Eratostene, nel terzo secolo a.C., ne aveva misurato il
diametro, quantificandolo in 252 mila stadi, circa 39600 chilometri attuali,
risultato che si avvicina in modo impressionante a quello riconosciuto al
nostro tempo (circa quarantamila chilometri in media, dato che la terra non è
perfettamente sferica).
D'altra parte le numerose raffigurazioni risalenti all'antichità e
relative al nostro pianeta, contrariamente a quanto spesso affermato, non lo
considerano "piatto", ma semplicemente lo ritraggono nella metà
ritenuta "abitata", quella superiore, grosso modo estesa dalla
penisola iberica all'India (ossia l'intero "mondo conosciuto"),
centrata perfettamente nella città di Gerusalemme, il luogo sacro ai cristiani
e dunque considerata il punto centrale della Terra.
L'altra parte, quella inferiore, non veniva raffigurata in quanto si
riteneva impossibile che qualsiasi essere umano potesse abitarlo, senza
staccarsene subito in caduta libera o costretto a vivere costantemente a testa
in giù. Non solo Colombo, dunque, era al corrente di tutto ciò. Ne erano al
corrente i reali di Spagna, i vari Papi, ecc. Si trattava, se mai, di capire se
questa parte "di sotto" del nostro pianeta potesse davvero venir
navigata.
Per non parlare della distanza da coprire per giungere in India, che
la tradizione vuole sia stata la reale meta del navigatore.
Poteva Colombo ignorare un trattato come La pratica della
mercatura, scritto tra il 1310 ed il 1340 da Francesco Balducci Pegolotti con l'intento di fornire un autentico
manuale di viaggio ai mercanti, densissimo di dettagliate informazioni per
tutte le vie dei commerci, incluse quelle necessarie a chiunque intendesse
recarsi a Pechino?
Le informazioni del Pegolotti portavano qualunque lettore a rendersi
conto che la strada da percorrere in modo "tradizionale" per Pechino,
seguendo quindi la direzione Est, potesse misurare all'incirca tra i 14 ed i 16
mila chilometri attuali, cifra che non poteva non suggerire a Colombo che la direzione
inversa gli sarebbe costata una enormità di gradi di longitudine (seppur
"corretta" con il relativo scarto di latitudine rispetto
all'equatore), soprattutto in confronto ai settanta/ottanta che al massimo era
solito coprire nel corso dei suoi viaggi e che l'equipaggiamento con cui salpò
gli consentiva.
Sembra dunque quanto meno improbabile che l'Ammiraglio, attraverso
la sua leggendaria spedizione, intendesse davvero raggiungere le fantomatiche Indie.[9]
Così riassume le sue osservazioni il Bartocci:
"In conclusione, Colombo appare [...] secondo noi,
per il tramite delle considerazioni sopra esposte, nelle vesti di un autentico
scienziato, un seguace del metodo sperimentale, che rischia la vita per
convalidare un'ipotesi, ottenuta del resto non irrazionalmente [...] o a
caso, bensì mediante l'elaborazione concettuale di dati osservativi.
Osservazione, teorizzazione, verifica attraverso la pratica: non manca nulla
per poter fare dell'impresa colombiana il punto di partenza del cammino della
nuova scienza, anche se purtroppo la segretezza di cui l'evento fu circondato,
per i motivi di natura "politica" oltre che ideologica che abbiamo
cercato di intravedere, ha impedito fino ad oggi di poterla apprezzare sotto la
sua più giusta e vera luce".
Se dunque vogliamo tentare di ricomporre - per quanto in modo non
troppo "definitivo" ed esaustivo - il nostro PUZZLE, dobbiamo per lo
meno prendere in considerazione l'ipotesi che Colombo fosse di origine ebrea e
che intendesse - in accordo con gli ambienti più influenti dell'ebraismo
apparentemente convertito al cristianesimo ed infiltratosi anche in sedi
assolutamente al di fuori di ogni sospetto come nel caso dello stesso Vaticano
- trovare un Nuovo Mondo (della cui presenza da molto tempo in quegli stessi ambienti
si parlava), per far fronte all'epocale emergenza di centinaia di migliaia di
giudei espulsi dalle nazioni cristiane e privi di una qualsiasi meta
"sicura" da raggiungere.
Questo progetto, però, è possibile che sia stato ostacolato con
tutti i mezzi dai Re cristianissimi che, avendo atteso la morte del
principale ideatore della grandiosa spedizione di Colombo, Innocenzo VIII, e
avendo favorito l'ascesa al soglio pontificio del successore aragonese
Alessandro VI, avrebbero provato sia ad eliminare il navigatore durante il
viaggio, sia, non essendovi riusciti, a farlo passare per uno spagnolo dal suo
ritorno in poi.
Quanto alla presunta ingenuità dell'Ammiraglio, pare alquanto
credibile l'ipotesi che egli sapesse quindi fin troppo bene cosa stesse cercando
e che a lungo, dopo la scoperta di quelle terre, la Spagna abbia continuato a
spacciarle per propaggini estreme dell'India solo per sminuirne l'immensa
portata economica e garantirsi così l'esclusiva territoriale e commerciale, per
altro assicurata a lungo dai frettolosi Trattati stipulati col Portogallo e
dalle Bolle papali di un compiacente Rodrigo Borgia.
Resta evidente che il nostro navigatore fosse nobile. Il Marino,
oltre ad aver introdotto la sopra citata teoria del pre-descubrimento ed
aver messo in rilievo i forti rapporti tra l'Ammiraglio e Papa Cybo, è arrivato
addirittura a proporre l'ipotesi che Colombo fosse figlio illegittimo dello
stesso Papa Innocenzo VIII, avendo trovato l'espressione "Colombo nepos"
in due diversi testi dei primi del Cinquecento ed avendo riscontrato una forte
somiglianza tra diversi ritratti dei due personaggi e tra i colori degli stemmi
delle rispettive famiglie.
Da notare come anche il termine nepos fosse utilizzato
in passato per indicare, con una certa discrezione, le discendenze illegittime.
4. LA LETTERA DI COLOMBO
Da cosa deriva, allora, l'idea che Colombo fosse genovese?
E' evidente che Ferdinando ed Isabella volessero farlo passare per spagnolo per
chiari interessi economici da tutelare nei confronti dello sfruttamento del
Nuovo Mondo. Un interesse di questo tipo lo nutriva certamente anche la
gloriosa Repubblica marinara, oltretutto a causa della sua giurisdizione (a
dire il vero piuttosto intermittente, nel corso della storia), sul piacentino e
su quelli che potrebbero essere stati i luoghi natii dell'Ammiraglio. Ma a
giocare improvvisamente a favore delle origini liguri del navigatore potrebbe
paradossalmente esser stato - anche se solo momentaneamente - anche lo stesso
re di Spagna, come ci spiega di nuovo Vittorio Giunciuglio.
Stiamo parlando di
un'enigmatica lettera, scritta da Colombo e indirizzata ai genovesi.
Il 2 aprile del 1502 Colombo invia una strana lettera (scritta in
castigliano), al Banco di San Giorgio, ricchissima banca genovese. In essa l'Ammiraglio dichiara la sua
disponibilità a pagare le gabelle di tutti i genovesi ("del grano,
del vino e di altre vettovaglie..."), dato che Dio gli ha concesso una
fortuna (quella della scoperta dell'America), seconda solo alla grazia accordata
al re David.
A prescindere dall'interessante (e forse non proprio causale),
riferimento al grande re di Israele, salta subito agli occhi la colossale
occasione offerta al popolo genovese, che subito viene a conoscenza della
proposta ed esulta per le strade della città.
In base ai documenti giunti fino a noi, i procuratori del Banco di
San Giorgio rispondono l'8 dicembre, commossi e pieni di gratitudine (anche
perché quei fondi sarebbero transitati sulle sue casse), scrivendo al
famosissimo scopritore delle Americhe ed a suo figlio Diego due diverse
lettere, entrambe da consegnare a quest'ultimo in quanto l'Ammiraglio, nel
frattempo, è già ripartito per le Indie. Queste lettere, però, non giungono a
destinazione.
La storiografia ufficiale spiega il mancato recapito parlando di
"disguidi postali", ma Giunciuglio fa notare che, in quel caso, data
la portata dell'occasione offerta dal navigatore, i genovesi si sarebbero
adoperati a inviare nuovamente la loro risposta.
Lo storico "non allineato" propone invece un'altra
spiegazione. Egli è convinto che la lettera fosse stata scritta, invece, su
istigazione di Ferdinando d'Aragona, preoccupato dell'appoggio di Genova ai
Francesi nelle Guerre d'Italia che da qualche anno erano scoppiate per i
possedimenti nella nostra Penisola. Genova, infatti, era finita improvvisamente
sotto il dominio di Luigi XII a causa di una concessione del 1499 di papa
Alessandro VI [10] in preda all'ira nei confronti del re di
Spagna che l'anno prima aveva osato, dopo un lungo periodo di
"amicizia", rifiutargli il favore di concedere la mano della figlia
Giovanna, detta la Pazza, al suo rampollo Cesare Borgia. Giovanna era stata
invece promessa in sposa a Filippo il Bello, Arciduca d'Austria e il figlio del
Papa (quel Cesare che il Machiavelli considerò il modello ideale di Principe in
grado di unificare l'Italia sotto di sé), si era dovuto accontentare della
figlia del re di Navarra, Carlotta. Un matrimonio ben più misero di quello
progettato dal Papa, che da tempo accarezzava invece l'idea di un figlio futuro
Re di Spagna e del Nuovo Mondo.
Il risultato era stato proprio la concessione della Liguria, del
Ducato di Milano e addirittura dell'aragonese Regno di Napoli ai francesi,
decisione che aveva mandato su tutte le furie re Ferdinando.
Giunciuglio - che non manca
di sottolineare come la lotta tra guelfi e ghibellini, a quei tempi, non si
fosse per nulla estinta ma di fatto vedesse schierate le grandi famiglie del
tempo, incluse quella dei francesi Valois (filo papali) e degli Aragona (passati
contro il pontefice per le suddette ragioni) - ci spiega che la lettera in
questione potrebbe costituire dunque un tentativo, da parte della Spagna, di
"comprarsi i genovesi" i quali, se avessero accettato, avrebbero
dovuto sbarrare la strada a Luigi XII invece che accoglierlo e combattere al
suo fianco.
Le lettere di risposta a Colombo, insomma, secondo il Giunciuglio
non arrivarono mai perché i procuratori del Banco di San Giorgio non se la
sentirono di voltare le spalle alla Francia per accettare una proposta
spagnola, implicitamente molto vincolante. Al popolo, che fremeva e non vedeva
l'ora di farsi pagare le gabelle dall'Ammiraglio, venne forse raccontato che
non se ne sapeva più niente, che probabilmente il navigatore aveva cambiato
idea, e tutto finì lì.
Giunciuglio sostiene che Ferdinando, non accettando di subire
gratuitamente un tale affronto, per ripicca istituì a Siviglia la Casa di Contrattazione, che
penalizzava fortemente le navi genovesi interessate a commerciare col Nuovo
Mondo (in quanto esse dovevano prima passare in quella città, così lontana dal
mare, a pagare i relativi pedaggi, costrette così a risalire tutto il
Guadalquivir per poi tornare sulle coste spagnole e dirigersi finalmente in
America. Un percorso incredibilmente scomodo e costoso che, di fatto, avrebbe
tenuto i genovesi ben lontani dal Nuovo Mondo fino al XIX secolo).
A distanza di quattro anni da quella lettera, poi, Ferdinando -
venuto a sapere della morte di Colombo (avvenuta il 20 maggio 1506) - secondo Giunciuglio
sferrò il colpo finale.
Convocò il fratello Bartolomeo a Barcellona. Non conosciamo la
motivazione dell'incontro tra i due. Sappiamo però che Bartolomeo ripartì poi
per Genova agli inizi di luglio e che di lì si spostò a Roma, ove incontrò il nuovo
pontefice, Giulio II. Fatto sta che a metà di luglio da una stamperia di Genova
uscì improvvisamente un documento del notaio Antonio Gallo che raccontava la
storia di Colombo sostenendo, per la prima volta, che egli fosse nato da una
povera famiglia di lanai liguri.
La notizia fece il giro della città. I cittadini vennero a sapere,
di colpo, che il famoso Ammiraglio che quattro anni prima si era offerto di
pagare le tasse a tutti senza ottenere alcuna risposta dalle autorità, era
povero e ligure come loro.
Ne seguì una violenta sommossa (in un clima per altro già
arroventato dal malcontento generale contro il dispotismo francese), che il 18
luglio si trascinò rapidamente fin sotto il palazzo del capo dei ghibellini,
Visconte Doria, chiedendogli, a gran voce, di dare inizio alla rivolta
antifrancese. Il Doria tergiversò, poi uscì di casa affrontando la folla e
finendo per pronunciare le seguenti parole: "Tornate alle vostre
botteghe, deficienti!". Fu aggredito e ucciso a calci e pugni. Seppur
momentaneamente, i Francesi furono così cacciati da Genova, con gran
soddisfazione di Re Ferdinando.
Dieci anni dopo, in uno scritto intitolato Salterium, lo
storico Mons. Giustiniani fece un passo avanti in quella stessa direzione,
arrivando a sostenere per la prima volta la genovesità del celeberrimo
Ammiraglio con la frase, a lui riferita: "Nessun genovese diede tanta
gloria alla città come lui".
Da lì in avanti Colombo fu sempre
considerato genovese, in Italia.
Ma anche spagnolo in Spagna e portoghese in
Portogallo.
5. LA QUESTIONE DELLA CASA
La sera del 16 dicembre 1812 il venerabile Rettore dell'Università
di Genova Gerolamo Serra tenne una conferenza "esplosiva" al cospetto
di studenti e docenti letteralmente esterrefatti. Come ci racconta il Giunciuglio,
dopo una relazione di due ore e mezza - in cui disse tutto il peggio sul
vecchio potere oscurantista e retrogrado dei Dogi confrontandolo con la ventata
di libertà portata anche in Liguria da Napoleone - il Magnifico rivelò molto
scenograficamente, proprio allo scoccare della mezzanotte, di aver individuato
la casa natale di Cristoforo Colombo.
Il Serra ne svelò l'indirizzo: Vico Dritto di Ponticello.
I giovani si riversarono per le vie di Genova urlando insulti contro
tutti i Dogi e i Vescovi che per secoli avevano tenuta nascosta anche questa
importante informazione, e la rabbia si diffuse tra il popolo.
Per sostenere una cosa di questo genere il Serra si era basato su
due enfiteusi misteriosamente spuntate nel 1798, una datata 1440 e l'altra
1455, tramite cui veniva concesso alla famiglia Colombo, in virtù della sua
povertà, di risiedere rispettivamente in "carubeo de Olivella"
(Vicolo dell'Olivella), e, appunto, in "carubeo Recto". Il
Rettore fece però un errore mica da poco: se, come la storiografia tradizionale
sosteneva e sostiene tuttora, l'Ammiraglio nacque nel 1451, la casa natale non
poteva certo essere quella concessa ai Colombo nel 1455. Inoltre si lasciò
scappare che i Colombo fossero nobili (e allora perché mai avrebbero avuto
bisogno di enfiteusi?), sostenendo contestualmente che il nome della madre di
Cristoforo fosse Susanna Fontanarossa (e qui Giunciuglio ci ricorda come
Susanna fosse un nome tipicamente ebraico, con cui nessun altro nobile
cristiano fino a quel momento era mai stato chiamato ).
Ma cosa c'era dietro questa incredibile quanto tardiva scoperta?
Come mai quegli enfiteusi erano spuntati solo a fine Settecento? Giunciuglio,
ironicamente, a tal proposito osserva: "... fu più facile scoprire
l'America [da parte di Colombo] che la sua casa natale a
Genova! Infatti la prima fu scoperta nel 1492 mentre la seconda soltanto nel
1812, dopo ben trecentoventi anni!".
Proviamo allora a ricostruire i fatti che, secondo l'esuberante
studioso genovese, motiverebbero un evento così poco chiaro.
Gennaio 1796. Napoleone piomba a Nizza con un esercito di 38.000
soldati, minacciando di invadere Genova. La sua Parigi è al tracollo economico,
dissanguata dalla Rivoluzione. Servono soldi, e il generale corso, che discende
da una famiglia di rivoluzionari che avevano lottato affinché la loro isola
fosse liberata dalla dominazione di Genova, ha ben chiaro in quale modo
recuperarli. Dal 1768, con il Trattato di Versailles, la Corsica è finita
praticamente nelle mani della Francia, da tempo alleata con i genovesi i contro
i rivoltosi corsi. In base al trattato l'isola è passata ai francesi a
"momentanea" garanzia del debito contratto da Genova nei loro
confronti in cambio di tutti gli aiuti militari prestati. In pratica, così,
Genova ha rinunciato comunque alla Corsica, concedendola ai francesi invece che
ai corsi! A questo debito (che ammonta a quattro milioni di lire), infatti,
negli anni seguenti Genova non è riuscita a far fronte in alcun modo.
Napoleone, quindi, nel '96 si appresta a ricattare gli odiati ex
dominatori: se Genova non vuol essere attaccata dal suo esercito sborsi subito
trenta milioni (ufficialmente sottoforma di "prestito"). E' una
tecnica che funziona in molte zone d'Italia: il Piemonte, ad esempio, accetta
di pagare, così come lo Stato pontificio. Ma Genova ha una tradizione da
rispettare. Genova è la Superba. Così il Minor Consiglio rifiuta
sdegnosamente, proclamando (al pari di Venezia) la propria neutralità.
Napoleone fa una seconda offerta, disposto ad accontentarsi di molto meno, e
questa volta l'accordo si fa: Genova accetta di versare sei milioni.
I quattro del debito (la cui richiesta dimostra che Napoleone non
riconosce lo "scambio" tra la sua patria e la cifra sborsata dalla Superba
nel '68), più altri due.
Ma del generale Bonaparte - passato in un sol giorno dal grado di
capitano a quello di generale proprio perché, secondo il Giunciuglio, ritenuto
particolarmente indicato in virtù delle sue origini, a trattare ferocemente la
ricca e odiatissima Genova - non c'è da fidarsi. Napoleone, infatti, attaccherà
comunque, indiscriminatamente, conquistando sia i territori che hanno accettato
di pagare, sia quelli che si sono rifiutati di farlo. Il 31 marzo è il giorno
del famoso Proclama di Nizza, rivolto proprio ai suoi soldati: "Siete
nudi e mal nutriti. Il governo ha con voi molti obblighi e nulla può fare per
voi. La pazienza, il valore mostrato fra queste montagne sono mirabili, ma non
vi procacciano gloria, né illustrano il vostro nome. Io vi condurrò nelle più
fertili pianure del mondo; città grandi, doviziose province, verranno colà, in
vostra mano; colà troverete onore, gloria, ricchezze …".
Così l'aggressione ha inizio. Le truppe francesi arrivano fino a
Savona, e tutto ciò che trovano viene depredato. "C’est L’argent qui fait
la guerre", sostiene il generale, che guida i suoi uomini all'assalto
della Penisola italica.
Dietro a questa figura, però, Giunciuglio ne intravede un'altra,
molto più potente, di cui i libri di Storia spesso si dimenticano.
Si tratta di Antoine de Saliceti, corso e antigenovese anche
lui.
E' Gran Maestro della Loggia massonica di Bastia, il Saliceti. Una
loggia che ha fondato lui. E secondo il nostro "storico non
allineato" la massoneria, in questa come in molte altre "storie"
dell'epoca moderna, gioca un ruolo fondamentale.
In contatto con Robespierre (soprattutto col fratello Augustine),
Saliceti ha partecipato alla Presa della Bastiglia ed all'Assemblea degli Stati
Generali di Versailles, poi è tornato in Corsica, investito della carica di Procuratore
del popolo, con il preciso compito di convincere i suoi compatrioti ad
appoggiare una dominazione francese contro Genova. E' lui l'autore, infatti, di
un Decreto che ha trasformato i locatari corsi in effettivi proprietari,
riuscendo così a liberarli dal peso delle pigioni da pagare a Luigi XV. Nel
1791 è stato nominato da Saint-Just Commissario del Popolo per l'Italia,
con il compito di preparare l'invasione della nostra Penisola. In questa veste
è stato proprio lui ad esercitare pressioni su Robespierre affinché nominasse
generale il venticinquenne capitano Bonaparte, durante la Battaglia di Tolone.
Quando Robespierre è stato ghigliottinato, a salvare Saliceti - accusato di
esser stato uno degli uomini più vicini all'artefice del Terrore - si è prodigato
proprio Napoleone. In seguito ha organizzato le sollevazioni popolari
nell'Italia del Nord, realizzando materialmente i presupposti per la creazione
della Repubblica Cisalpina. Si è insediato nella Prefettura di Milano e da lì,
secondo Giunciuglio, muove i fili di tutte le logge massoniche italiane.
Dopo aver ottenuto trenta milioni dal Papato, venti da Milano, dieci
da Modena quattro da Bologna e Ferrara e due da Parma (soldi sborsati per
evitare un'aggressione poi sistematicamente verificatasi), l'idea di
saccheggiare anche Genova per risanare i conti francesi è ancora sua.
Saliceti ha in mente il Banco di San Giorgio, la più antica banca
europea. Quando Napoleone occupa Genova si affretta a firmare con lui la
Convezione che sancisce la nascita della Repubblica ligure. E' il 6
giugno 1797, il giorno del definitivo atto di morte dell'antichissima
Repubblica di Genova. Poi dà inizio ad una subdola propaganda che, dalle pagine
della Gazzetta cittadina, tende a screditare i Quattro Protettori dell'Istituto
bancario. Tra i vari titolari dei depositi del Banco comincia a
diffondersi l'ansia di perdere tutto, a causa di quella che viene fatta passare
per una cattiva gestione dei loro risparmi.
Infine il colpo mortale: un Decreto che sancisce il passaggio di
tutti i fondi del Banco da Genova a Parigi. Perché il nuovo centro del Potere,
ormai, si trova là.
Nonostante il decreto, le cose van fatte senza dar troppo
nell'occhio, per non rischiare di suscitare lo sdegno dei genovesi. Così il
Giunciuglio ci racconta di lunghe settimane di trasferimenti notturni di
soldi e di registri, pieni zeppi di nomi di tutti i clienti dell'antichissimo e
ricchissimo Banco, per tutto il 1804. "... tutte le settimane partivano
carri militari pieni di pesanti bauli e di “Cartulari” dell’istituto che
comprendevano gli schedari di tutti i ricchi clienti europei, trasferiti alla
neonata banca di Napoleone a Parigi", naturalmente la Banca di
Francia, nata per l'occasione nel 1800 e letteralmente riempita con i soldi
dei depositi del Banco genovese. Il tutto con il beneplacito dei titolari di
conto residenti in tutta Europa, per i quali, tutto sommato, non cambia nulla
che i loro soldi siano disponibili a Genova o a Parigi, ma che apprezzano
quella che ritengono essere una maggiore affidabilità dell'Istituto francese.
Così svaniscono nel nulla migliaia di lingotti d'oro, della cui vendita, in
cambio di valuta preziosa, viene incaricato James Rothschild, il più
potente rampollo della famiglia di banchieri tedeschi il cui capostipite
Amschel Mayer, nel giro dei cinquant'anni precedenti, ha sparso le sedi dei
suoi Istituti di credito nelle grandi capitali europee, assegnandole ai suoi
cinque figli (Mayer, nella seconda metà del Settecento, aveva compreso che
erogare prestiti ai Re fosse molto più vantaggioso e sicuro che ai privati
cittadini; si poteva infatti contare su una garanzia solidissima: le imposte
sui sudditi). Il loro stesso cognome fa riflettere. Risale al XVI secolo, e
deriva dal nome dell'insegna a forma di stella posta sull'abitazione a
Francoforte (nella Judengasse, la Via dei giudei), di un loro antico antenato,
l'ebreo Isaac Elchanan. L'insegna recitava: "Allo scudo rosso". Un'allusione
fin troppo chiara all'equipaggiamento con cui - secondo la tradizione ebraica -
Davide combatté contro Golia.
Uno scudo rosso, formato da due triangoli di metallo incrociati in
modo da delineare una stella a sei punte.
In questa nostra storia, dunque, l'elemento ebraico ritorna
continuamente.
Così come la famiglia stessa dei Rothschild - di cui
ci ritroveremo a parlare anche a proposito di molti altri argomenti ed a cui
abbiamo riservato uno spazio apposito rintracciabile nell'Indice - che
diverrà la dinastia più potente e ricca del mondo. Inutile dirlo, James
Rothschild, grazie ai lingotti genovesi, moltiplicherà a dismisura la sua
ricchezza e il suo potere. Nel 1816 tutti i cinque fratelli verranno
nobilitati, poi, nel 1822, saranno nominati Baroni dell'Impero Austriaco.
A tutt'oggi i loro discendenti gestiscono le sorti dell'intera
economia planetaria.
Ma torniamo ai fatti. Uno dei complici più importanti di questo
"furto" colossale nei confronti del Banco di San Giorgio è l'appena
nominato Direttore dell'Istituto stesso, il giacobino Luigi Corvetto, colui che
materialmente ha destituito i quattro anziani Protettori (di cui non si sa più
nulla), sovrintendendo poi al trasferimento dei fondi a Parigi fino al 28
dicembre 1804, quando il Doge Gerolamo Durazzo (un semplice fantoccio
filo-francese), decreta il fallimento e la conseguente chiusura
dell'antichissimo Banco.
Il 26 maggio 1805 Napoleone è incoronato Re d'Italia. A Genova il
Doge lascia il posto a un Prefetto francese. Lo zelante Corvetto fa carriera.
L'ex Direttore dell'ex Banco viene chiamato a Parigi, nominato Conte
dell'Impero e Consigliere di Stato di Bonaparte. Di fatto amministra
occultamente (per non dare troppo nell'occhio dei genovesi, che lo ritengono un
benefattore che ha tentato con ogni mezzo di salvare il loro antico Istituto di
credito), la neonata Banca di Francia. Gli effetti della propaganda a suo
favore, che il Saliceti era stato in grado di costruire negli anni del
saccheggio del Banco di San Giorgio, non accennano a diminuire. A Genova tutti
continuano a credere di aver perso un grande statista, un importante economista.
Giunciuglio ironizza pesantemente sul fatto che i suoi concittadini abbiano
dedicato una delle piazze più importanti della loro città all'uomo che in
realtà aveva contribuito a portarle via un tesoro favoloso, che lo studioso
ipotizza di circa 4500 milioni di lire.
Per Giunciuglio non è un caso che, subito dopo, Parigi si trasformi
in un cantiere. Vengano costruite sessanta nuove strade e sontuosi palazzi. La
popolazione cresce del cinquanta per cento in dieci anni (e qui lo storico
genovese esagera, ma non di molto: dal 1801 al 1817 la popolazione passa
effettivamente da 546 mila a circa 714 mila abitanti. L'aumento è senza dubbio
di notevole portata).
I soldi dell'antichissimo Banco di San Giorgio per rendere bella la
capitale dell'Impero!
Ma se Parigi cresce, Genova è ormai in piena decadenza. Aumentano
miseria e malcontento, mentre migliaia di giovani vengono reclutati anche lì
per partecipare alle varie guerra napoleoniche. Nel 1812 gli italiani finiti
nell'armata sconfitta in Russia sono almeno quarantamila. Diverse migliaia sono
di Genova.
Così, secondo il Giunciuglio, il mito di Colombo può nuovamente
tornare utile a fini propagandistici, per fagocitare il popolo e indurlo a
pensare, ancora una volta, ciò che i potenti vogliono che pensi. Il giacobino e
collaborazionista Marchese Gerolamo Serra, uno dei tanti ad aver fatto carriera
per il suo appoggio a Napoleone, dall'alto della sua nuova carica di Presidente
dell'Accademia Linguistica e di Rettore dell'Università genovese, ha una brillante
idea.
Identificare, come per magia, la casa natia di Colombo e dirottare
così l'ostilità covata dai genovesi nei confronti del Prefetto Maire,
indirizzandola invece verso i tanti Dogi della Superba. Dogi
nuovamente colpevoli di aver nascosto nei secoli la dimora dell'eroe alla sua
gente per non dover ammettere pubblicamente di non averlo mai appoggiato e di
non aver accolto, nel 1502, quella sua generosa proposta che avrebbe finalmente
liberato dal pagamento di tante odiose tasse il suo amato popolo.
NOTE
[1] Si veda in proposito Angélica Valentinetti Mendi Causa
per il Maggiorasco di Cristoforo Colombo; domande di Baldassarre Colombo di
Cuccaro e testimonianze raccolte in Monferrato e in Spagna, in Atti
del II Congresso Internazionale Colombiano, CE.S.CO.M., Torino, 2006
[2] Tale tesi si basa soprattutto sul De navigatione
Columbi per inaccessum antea Oceanum commentariolum, un testo scritto da Antonio
Gallo - il primo biografo di Colombo - all'inizio del Cinquecento. Ma il
Brio fa notare come Gallo fosse uno degli artefici della cacciata dei Paleologi
(come abbiamo visto imparentati con la nobile famiglia dei Colombo) e del
conseguente ritorno del Doge a Genova. Come vedremo più avanti, poi, anche lo
studioso V. Giunciuglio tratta con molto sospetto questo testo, seppur per
altri motivi, legati ad una fantomatica Lettera di Colombo, di cui parleremo
nel paragrafo 4 di questa pagina. I sospetti del Brio valgono anche per quanto
scritto dal vescovo Agostino (Pantaleone) Giustiniani, sostenitore del
Doge, nel suo Salterium (1516) e nei suoi Annali di Genova
(1537). Il Giustiniani, infatti, ribadì e rafforzò la tesi del Gallo, ma per
questo si beccò una denuncia per falso e calunnia da Fernando Colombo in
persona, il secondogenito del navigatore! A detta dello stesso Fernando egli
venne quindi condannato dal Tribunale di Genova, che gli impose di ritirare
tutte le copie degli Annali in circolazione.
Non era questa l'unica causa "eccellente" vinta da un
figlio del Navigatore, d'altra parte. Ben più scalpore aveva fatto la querela
dello stesso Cristoforo addirittura nei confronti dei Re cattolicissimi in
persona, rei di avergli sottratto la carica di Vicerè. Tale processo si era
protratto ben oltre la morte dell'Ammiraglio e si era concluso con la
restituzione del titolo (per altro non ulteriormente trasferibile a discendenti),
proprio al figlio Diego.
[3] Cfr. per tutto questo Pier Costanzo Brio, Cristoforo
Colombo, la nascita. Verità storica e leggenda purista o,
dello stesso autore, il divertente Le
balle di Colombo
[4] Va a tal proposito ricordato come Lorenzo fosse in
stretti rapporti, dati i suoi interessi nelle banche fiorentine di proprietà
della famiglia de Medici, con i ricchi ebrei del tempo, da secoli dediti
proprio a questo tipo di attività.
[5] "...siamo informati che sussiste un grave
pericolo per i cristiani a causa dell’attività, della conversazione e della
comunicazione che mantengono con gli ebrei. [Gli ebrei infatti]
dimostrano di essere sempre all’opera per sovvertire e sottrarre i cristiani
alla nostra santa fede cattolica, per attirarli con ogni mezzo e pervertirli al
loro credo, istruendoli nelle cerimonie e nell’osservanza della loro legge […]
Pertanto ordiniamo che quanto da noi stabilito sia fatto conoscere, e cioè
che tutti gli ebrei e le ebree che vivono e risiedono nei nostri suddetti regni
e signorie, a prescindere dallo loro età […], entro la fine di luglio
lascino i nostri regni e signorie insieme con i loro figli […] e non
osino mai più farvi ritorno."
[6] A pag. 26 del libro citato ricorda infatti il
Giunciuglio: "Nel 1290, l'intrepido capitano [Lanzarotto Malocello]
tornò nella sua città e si presentò nella chiesa di Santa Fede (di fronte a
porta Sottana), tempio dei cavalieri dell'Ordine, dove spiegò ai maggiorenti la
possibilità di raggiungere l'India partendo dalle Canarie fondandovi colonie
commerciali. La proposta entusiasmò il ricco Ordine templare, che la finanziò
noleggiando due grosse navi. Capo della spedizione fu Tedisio Doria (presunto
maestro dell'Ordine) con altri templari. Furono imbarcati due frati francescani
con la benedizione del pontefice. Le navi furono affidate ai fratelli templari
Vadino e Ugolino Vivaldi." L'intrepido capitano Malocello di cui si
parla è colui che, negli anni Trenta del '300, guiderà una spedizione genovese
il cui esito sarà la "riscoperta" delle Canarie, già conosciute dai
Fenici e citate da Plinio il Vecchio ma poi "dimenticate". La
circostanza raccontata dal Giunciuglio, poi, si riferisce ad una Cronaca del
Duecento di Jacopo Doria, il quale per altro ricorda che di quella flotta non
si ebbe mai più alcuna notizia.
[8] Su questo punto, però, si veda anche l'ipotesi del
Bartocci, che nell'opera sopra citata avanza l'idea di un Colombo figlio
adottivo nato dall'unione tra Bartolomeo Perestrelo (o forse un componente
della famiglia dei Pellegrino, imparentata coi Perestrelo, come si evincerebbe
da diversi atti degli anni '70 stipulati a Genova, in cui si parla proprio di
due fratelli Cristoforo e Giovanni Pellegrino, figli della moglie, i quali
andrebbero a sommarsi agli effettivi figli di Domenico), e la popolana Susanna
Fontanarossa. In questo caso Domenico Colombo sarebbe stato solo il patrigno di
Cristoforo ed avrebbe sposato Susanna successivamente.
[9] Cfr. U. Bartocci, Una rotta templare all'origine del
mondo moderno, capitoli XI e XII, nel corso dei quali, anche avvalendosi di
un passo dei Quodlibeta di Raimondo Lullo (1233-1315) - passo che
teorizzava l'esistenza di un Nuovo Continente sulle cui sponde la marea
dell'Oceano Atlantico si sarebbe appoggiata nel suo flusso e riflusso - lo
studioso dimostra come il calcolo della distanza tra Cina e Spagna non fosse
poi così difficile da effettuare al tempo di Colombo. Quanto al passo in
questione del Lullo, così recita: "La principale causa del flusso e del
riflusso del Mar Grande o del Mar d'Inghilterra è l'arco dell'acqua del mare
che a ponente confina in una terra opposta alle coste dell'Inghilterra,
Francia, Spagna e di tutta la confinante Africa, nella quale gli occhi nostri
vedono il flusso e riflusso delle acque perché l'arco che forma l'acqua come
corpo sferico è naturale che abbia confini opposti su cui posare, poiché
altrimenti non potrebbe sostenersi. Per conseguenza, così come in questa parte
appoggia sul nostro continente, che vediamo e conosciamo, nella parte opposta
di ponente appoggia sull'altro continente che non vediamo e non conosciamo fino
ad oggi; però per mezzo della vera filosofia, che riconosce ed osserva mediante
i sensi la sfericità dell'acqua ed il conseguente flusso e riflusso, il quale
necessariamente esige due sponde opposte che contengano l'acqua tanto
movimentata e siano i piedistalli del suo arco, si inferisce logicamente che
nella parte occidentale esiste un continente nel quale l'acqua mossa va ad
urtare così come rispettivamente urta nella nostra parte orientale".
[10] I Papi, all'epoca, concedevano le terre d'Occidente in
usucapione ai sovrani a loro piacimento, in virtù di quella famosa Donazione
di Costantino la cui falsità era stata, sì, già dimostrata nel 1440 da
Lorenzo Valla, ma era, di fatto, ancora del tutto sconosciuta dato che gli
studi del grande filologo rinascimentale non erano stati diffusi a causa della
censura della Chiesa del tempo. Tale smascheramento sarebbe stato infatti reso
pubblico per la prima volta soltanto nel 1517, con il favore (e nell'ambito)
della Riforma Protestante. Va sottolineato che proprio a tale Donazione
si richiamava espressamente la famosa bolla Inter Coetera del 1493,
tramite cui Alessandro VI aveva concesso tutte le terre scoperte alla Spagna
Fonte: srs di Pietro Ratto visto su INCOTROSTORIA
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