(1)
Il testo di cui oggi iniziamo la pubblicazione - per
gentile concessione di Edoardo Perazzi, nipote e erede della
Fallaci - è quello di un discorso pronunciato da Oriana Fallaci
nel novembre del 2005. La grande toscana fu insignita del Annie Taylor
Award, un premio conferito dal Centro Studi di cultura popolare di New
York. Il suo discorso, in versione integrale inglese, fu pubblicato
pochi giorni dopo da Il Foglio. Poi, il primo dicembre del 2005, Libero
ne pubblicò la versione italiana, col permesso della stessa Fallaci, che volle
rivederne personalmente la forma (modificandola tramite memorabili telefonate
con l'allora responsabile delle pagine culturali Alessandro Gnocchi). Abbiamo
deciso di ripubblicare questo testo perché pensiamo che oggi, a quasi dieci
anni di distanza, sia più attuale che mai.
Bé: un premio intitolato a una donna che saltò sopra
le Cascate del Niagara, e sopravvisse, è mille volte più prezioso e prestigioso
ed etico di un Oscar o di un Nobel: fino a ieri gloriose onorificenze rese a
persone di valore ed oggi squallide parcelle concesse a devoti antiamericani e
antioccidentali quindi filoislamici. Insomma
a coloro che recitando la parte dei guru illuminati che definiscono Bush un
assassino, Sharon un criminale-di-guerra, Castro un filantropo, e gli Stati
Uniti «la-potenza-più-feroce, più-barbara, più-spaventosa-che-il-mondo-abbia-mai-conosciuto».
Infatti se mi assegnassero simili
parcelle (graziaddio un’eventualità più remota del più remoto Buco Nero
dell’Universo), querelerei subito le giurie per calunnia e diffamazione. Al
contrario, accetto questo «Annie Taylor»
con gratitudine e orgoglio. E pazienza se sopravvaluta troppo le mie virtù.
Sì: specialmente come corrispondente di guerra, di salti ne
ho fatti parecchi. In Vietnam, ad esempio, sono saltata spesso nelle trincee
per evitare mitragliate e mortai. Altrettanto spesso sono saltata dagli
elicotteri americani per raggiungere le zone di combattimento. In Bangladesh, anche da un elicottero russo
per infilarmi dentro la battaglia di Dacca. Durante le mie interviste coi
mascalzoni della Terra (i Khomeini, gli Arafat, i Gheddafi
eccetera) non meno spesso sono saltata in donchisciotteschi litigi rischiando
seriamente la mia incolumità. E una volta, nell’America Latina, mi sono buttata
giù da una finestra per sfuggire agli sbirri che volevano arrestarmi.
Però mai, mai, sono saltata sopra le Cascate del Niagara. Né
mai lo farei. Troppo rischioso, troppo pericoloso. Ancor più rischioso che
palesare la propria indipendenza, essere un dissidente cioè un fuorilegge, in
una società che al nemico vende la Patria. Con la patria, la sua cultura e la sua civiltà
e la sua dignità. Quindi grazie David
Horowitz, Daniel Pipes, Robert Spencer. E credetemi quando
dico che questo premio appartiene a voi quanto a me. A tal punto che, quando ho
letto che quest’anno avreste premiato la Fallaci, mi sono chiesta: «Non dovrei
esser io a premiare loro?». E per contraccambiare il tributo volevo presentarmi
con qualche medaglia o qualche trofeo da consegnarvi. Mi presento a mani vuote
perché non sapevo, non saprei, dove comprare certa roba. Con le medaglie e i
trofei ho un’esigua, davvero esigua, familiarità. E vi dico perché.
Anzitutto perché crediamo di vivere in vere democrazie,
democrazie sincere e vivaci nonché governate dalla libertà di pensiero e di
opinione. Invece viviamo in democrazie deboli e pigre, quindi dominate dal
dispotismo e dalla paura. Paura di pensare e, pensando, di raggiungere conclusioni
che non corrispondono a quelle dei lacchè del potere. Paura di parlare e,
parlando, di dare un giudizio diverso dal giudizio subdolamente imposto da
loro. Paura di non essere sufficientemente allineati, obbedienti, servili, e
venire scomunicati attraverso l’esilio morale con cui le democrazie deboli e
pigre ricattano il cittadino. Paura di essere liberi, insomma. Di prendere
rischi, di avere coraggio.
«Il segreto della
felicità è la libertà. E il segreto della libertà è il coraggio», diceva Pericle.
Uno che di queste cose se ne intendeva. (Tolgo la massima dal secondo libro
della mia trilogia: La Forza della
ragione. E da questo prendo anche il chiarimento che oltre centocinquanta
anni fa Alexis de Tocqueville fornì nel suo intramontabile trattato
sulla democrazia in America). Nei regimi assolutisti o dittatoriali, scrive
Tocqueville, il dispotismo colpisce il corpo. Lo colpisce mettendolo in catene
o torturandolo o sopprimendolo in vari modi. Decapitazioni,
impiccagioni, lapidazioni, fucilazioni, Inquisizioni eccetera. E così
facendo risparmia l’anima che intatta si leva dalla carne straziata e trasforma
la vittima in eroe.
Nelle democrazie inanimate, invece, nei regimi interamente
democratici, il dispotismo risparmia il corpo e colpisce l’anima. Perché è
l’anima che vuole mettere in catene. Torturare, sopprimere. Così alle sue
vittime non dice mai ciò che dice nei regimi assolutisti o dittatoriali: «O la
pensi come me o muori». Dice: «Scegli.
Sei libero di non pensare o di pensare come la penso io. Se non la pensi come
la penso io, non ti sopprimerò. Non toccherò il tuo corpo. Non confischerò le
tue proprietà. Non violenterò i tuoi diritti politici. Ti permetterò
addirittura di votare. Ma non sarai mai votato. Non sarai mai eletto. Non sarai
mai seguito e rispettato. Perché ricorrendo alle mie leggi sulla libertà di
pensiero e di opinione, io sosterrò che sei impuro. Che sei bugiardo,
dissoluto, peccatore, miserabile, malato di mente. E farò di te un fuorilegge,
un criminale. Ti condannerò alla Morte Civile, e la gente non ti ascolterà più.
Peggio. Per non essere a sua volta puniti, quelli che la pensano come te ti
diserteranno».
Questo succede, spiega, in quanto nelle democrazie
inanimate, nei regimi interamente democratici, tutto si può dire fuorché la
Verità. Perché la Verità ispira paura. Perché, a leggere o udire la verità, i
più si arrendono alla paura. E per paura delineano intorno ad essa un cerchio
che è proibito oltrepassare. Alzano intorno ad essa un’invisibile ma
insormontabile barriera dentro la quale si può soltanto tacere o unirsi al
coro. Se il dissidente oltrepassa quella linea, se salta sopra le Cascate del
Niagara di quella barriera, la punizione si abbatte su di lui o su di lei con
la velocità della luce. E a render possibile tale infamia sono proprio coloro
che segretamente la pensano come lui o come lei, ma che per convenienza o viltà
o stupidità non alzano la loro voce contro gli anatemi e le persecuzioni. Gli
amici, spesso. O i cosiddetti amici. I partner. O i cosiddetti partner. I
colleghi. O i cosiddetti colleghi. Per un poco, infatti, si nascondono dietro
il cespuglio. Temporeggiano, tengono il piede in due staffe. Ma poi diventano
silenziosi e, terrorizzati dai rischi che tale ambiguità comporta, se la
svignano. Abbandonano il fuorilegge, il criminale, al di lui o al di lei
destino e con il loro silenzio danno la loro approvazione alla Morte Civile.
(Qualcosa che io ho esperimentato tutta la vita e specialmente negli ultimi
anni. «Non ti posso difendere più» mi disse, due o tre Natali fa, un famoso
giornalista italiano che in mia difesa aveva scritto due o tre editoriali.
«Perché?» gli chiesi tutta mesta. «Perché la gente non mi parla più. Non mi
invita più a cena»).
L’altro motivo per cui ho un’esigua familiarità con le
medaglie e i trofei sta nel fatto che soprattutto dopo l’11 Settembre l’Europa
è diventata una Cascata del Niagara di Maccartismo sostanzialmente identico a
quello che afflisse gli Stati Uniti mezzo secolo fa. Sola differenza, il suo colore politico. Mezzo
secolo fa era infatti la Sinistra ad essere vittimizzata dal
Maccartismo. Oggi è la Sinistra che vittimizza gli altri col suo Maccartismo.
Non meno, e a parer mio molto di più, che negli Stati Uniti. Cari miei,
nell’Europa d’oggi v’è una nuova Caccia alle Streghe. E sevizia chiunque vada
contro corrente. V’è una nuova Inquisizione. E gli eretici li brucia
tappandogli o tentando di tappargli la bocca.
Eh, sì: anche noi abbiamo i nostri Torquemada. I
nostri Ward Churchill, i nostri Noam Chomsky, i nostri Louis
Farrakhan, i nostri Michael Moore eccetera. Anche noi siamo
infettati dalla piaga contro la quale tutti gli antidoti sembrano inefficaci.
La piaga di un risorto nazi-fascismo. Il nazismo islamico e il fascismo
autoctono. Portatori di germi, gli educatori cioè i maestri e le maestre che
diffondono l’infezione fin dalle scuole elementari e dagli asili dove esporre
un Presepe o un Babbo Natale è considerato un «insulto-ai-bambini-Mussulmani».
I professori (o le professoresse) che tale infezione la
raddoppiano nelle scuole medie e la esasperano nelle università. Attraverso
l’indottrinazione quotidiana, il quotidiano lavaggio del cervello, si sa. (La
storia delle Crociate, ad esempio, riscritta e falsificata come nel 1984
di Orwell. L’ossequio verso il Corano visto come una religione di
pace e misericordia. La reverenza per l’Islam visto come un Faro di Luce
paragonato al quale la nostra civiltà è una favilla di sigaretta). E con
l’indottrinazione, le manifestazioni politiche. Ovvio. Le marce settarie, i
comizi faziosi, gli eccessi fascistoidi. Sapete che fecero, lo scorso ottobre,
i giovinastri della Sinistra radicale a Torino? Assaltarono la chiesa
rinascimentale del Carmine e ne insozzarono la facciata scrivendoci con lo
spray l’insulto «Nazi-Ratzinger» nonché l’avvertimento: «Con le budella dei preti impiccheremo
Pisanu». Il nostro Ministro degli Interni. Poi su quella facciata
urinarono. (Amabilità che a Firenze, la mia città, non pochi islamici amano
esercitare sui sagrati delle basiliche e sui vetusti marmi del Battistero).
Infine irruppero dentro la chiesa e, spaventando a morte le vecchine che
recitavano il Vespro, fecero scoppiare un petardo vicino all’altare. Tutto ciò
alla presenza di poliziotti che non potevano intervenire perché nella città
Politically Correct tali imprese sono considerate Libertà-di-espressione. (A
meno che tale libertà non venga esercitata contro le moschee: s’intende).
E inutile aggiungere che gli adulti non sono migliori di
questi giovinastri. La scorsa settimana, a Marano, popolosa cittadina collocata
nella provincia di Napoli, il Sindaco (ex seminarista, ex membro del Partito
Comunista Italiano, poi del vivente Partito di Rifondazione Comunista, ed ora
membro del Partito dei Comunisti Italiani) annullò tout-court l’ordinanza
emessa dal commissario prefettizio per dedicare una strada ai martiri di Nassiriya.
Cioè ai diciannove militari italiani che due anni fa i kamikaze uccisero in
Iraq. Lo annullò affermando che i diciannove non erano martiri bensì mercenari,
e alla strada dette il nome di Arafat. «Via Arafat». Lo fece piazzando una
targa che disse: «Yasser Arafat, simbolo dell’Unità (sic) e della Resistenza
Palestinese». Poi l’interno del municipio lo tappezzò con gigantesche foto del
medesimo, e l’esterno con bandiere palestinesi.
La piaga si propaga anche attraverso i giornali, la Tv, la
radio. Attraverso i media che per convenienza o viltà o stupidità sono in gran
maggioranza islamofili e antioccidentali e antiamericani quanto i maestri, i
professori, gli accademici. Che senza alcun rischio di venir criticati o
beffati passano sotto silenzio episodi come quelli di Torino o Marano. E in
compenso non dimenticano mai di attaccare Israele, leccare i piedi all’Islam.
Si propaga anche attraverso le canzoni e le chitarre e i concerti rock e i
film, quella piaga. Attraverso uno show-business dove, come i vostri ottusi e
presuntuosi e ultra-miliardari giullari di Hollywood, i nostri giullari sostengono
il ruolo di buonisti sempre pronti a piangere per gli assassini. Mai per le
loro vittime.
Si propaga anche attraverso un sistema giudiziario che ha
perduto ogni senso della Giustizia, ogni rispetto della giurisdizione. Voglio
dire attraverso i tribunali dove, come i vostri magistrati, i nostri magistrati
assolvono i terroristi con la stessa facilità con cui assolvono i pedofili. (O
li condannano a pene irrisorie). E finalmente si propaga attraverso
l’intimidazione della buona gente in buona fede. Voglio dire la gente che per
ignoranza o paura subisce quel dispotismo e non comprende che col suo silenzio
o la sua sottomissione aiuta il risorto nazi-fascismo a fiorire. Non a caso,
quando denuncio queste cose, mi sento davvero come una Cassandra che parla al
vento. O come uno dei dimenticati antifascisti che settanta e ottanta anni fa
mettevano i ciechi e i sordi in guardia contro una coppia chiamata Mussolini e
Hitler. Ma i ciechi restavano ciechi, i sordi restavano sordi, ed entrambi
finirono col portar sulla fronte ciò che ne L’Apocalisse chiamo il Marchio
della Vergogna. Di conseguenza le mie vere medaglie sono gli insulti, le
denigrazioni, gli abusi che ricevo dall’odierno Maccartismo. Dall’odierna
Caccia alle Streghe, dall’odierna Inquisizione. I miei trofei, i processi che
in Europa subisco per reato di opinione. Un reato ormai travestito coi termini
«vilipendio dell’Islam, razzismo o razzismo religioso, xenofobia, istigazione
all’odio eccetera».
Parentesi: può un Codice Penale processarmi per odio? Può
l’odio essere proibito per Legge? L’odio è un sentimento. È una emozione, una
reazione, uno stato d’animo. Non un crimine giuridico. Come l’amore, l’odio
appartiene alla natura umana. Anzi, alla Vita. È l’opposto dell’amore e quindi,
come l’amore, non può essere proibito da un articolo del Codice Penale. Può
essere giudicato, sì. Può essere contestato, osteggiato, condannato, sì. Ma
soltanto in senso morale. Ad esempio, nel giudizio delle religioni che come la
religione cristiana predicano l’amore.
Non nel giudizio d’un tribunale che mi garantisce il diritto
di amare chi voglio. Perché, se ho il diritto di amare chi voglio, ho anche e
devo avere anche il diritto di odiare chi voglio. Incominciando da coloro che
odiano me. Sì, io odio i Bin Laden. Odio gli Zarkawi. Odio i kamikaze e le
bestie che ci tagliano la testa e ci fanno saltare in aria e martirizzano le
loro donne. Odio gli Ward Churchill, i Noam Chomsky, i Louis Farrakhan, i
Michael Moore, i complici, i collaborazionisti, i traditori, che
ci vendono al nemico. Li odio come odiavo Mussolini e Hitler e Stalin
and Company. Li odio come ho sempre odiato ogni assalto alla Libertà, ogni
martirio della Libertà. È un mio sacrosanto diritto. E se sbaglio, ditemi
perché coloro che odiano me più di quanto io odi loro non sono processati col
medesimo atto d’accusa. Voglio dire: ditemi perché questa faccenda
dell’Istigazione all’Odio non tocca mai i professionisti dell’odio, i
mussulmani che sul concetto dell’odio hanno costruito la loro ideologia. La
loro filosofia. La loro teologia. Ditemi perché questa faccenda non tocca mai i
loro complici occidentali. Parentesi chiusa, e torniamo ai trofei che chiamo
processi.
Si svolgono in ogni paese nel quale un figlio di Allah o un
traditore nostrano voglia zittirmi e imbavagliarmi nel modo descritto da
Tocqueville, quei processi. A Parigi, cioè in Francia, ad esempio. La France
Eternelle, la Patrie du Laïcisme, la Bonne Mère du Liberté-Egalité-Fraternité,
dove per vilipendio dell’Islam soltanto la mia amica Brigitte Bardot ha
sofferto più travagli di quanti ne abbia sofferti e ne soffra io.
La France Libérale, Progressiste, dove tre anni fa gli ebrei
francesi della LICRA (associazione ebrea di Sinistra che ama manifestare
alzando fotografie di Ariel Sharon con la svastica sulla fronte) si unì
ai mussulmani francesi del MRAP (associazione islamica di Sinistra che ama
manifestare levando cartelli di Bush con la svastica sugli occhi). E
dove insieme chiesero al Codice Penale di chiudermi in galera, confiscare La
Rage et l’Orgueil o venderla con il seguente ammonimento sulla copertina:
«Attenzione! Questo librò può costituire un pericolo per la vostra salute
mentale». (Insieme volevano anche intascare un grosso risarcimento danni,
naturalmente).
Oppure a Berna, in Svizzera. Die wunderschöne Schweitz, la
meravigliosa Svizzera di Guglielmo Tell, dove il Ministro della Giustizia osò
chiedere al mio Ministro della Giustizia di estradarmi in manette. O a Bergamo,
Nord Italia, dove il prossimo processo avverrà il prossimo giugno grazie a un
giudice che sembra ansioso di condannarmi a qualche anno di prigione: la pena
che per vilipendio dell’Islam viene impartita nel mio paese. (Un paese dove
senza alcuna conseguenza legale qualsiasi mussulmano può staccare il crocifisso
dai muri di un’aula scolastica o di un ospedale, gettarlo nella spazzatura,
dire che il crocifisso
«ritrae-un-cadaverino-nudo-inventato-per-spaventare-i-bambini-mussulmani». E
sapete chi ha promosso il processo di Bergamo? Uno dei mai processati quindi
mai condannati specialisti nel buttare via i crocifissi. L’autore di un sudicio
libretto che per molto tempo ha venduto nelle moschee, nei Centri Islamici,
nelle librerie sinistrorse d’Italia.
Quanto alle minacce contro la mia vita cioè
all’irresistibile desiderio che i figli di Allah hanno di tagliarmi la gola o
farmi saltare in aria o almeno liquidarmi con un colpo di pistola nella nuca,
mi limiterò a dire che specialmente quando sono in Italia devo essere protetta
ventiquattro ore su ventiquattro dai Carabinieri. La nostra polizia militare.
E, sia pure a fin di bene, questa è una durissima limitazione alla mia libertà
personale.
Quanto agli insulti, agli anatemi, agli abusi con cui i
media europei mi onorano per conto della trista alleanza Sinistra-Islam, ecco
alcune delle qualifiche che da quattro anni mi vengono elargite: «Abominevole.
Blasfema. Deleteria. Troglodita. Razzista. Retrograda. Ignobile. Degenere.
Reazionaria. Abbietta». Come vedete, parole identiche o molto simili a quelle
usate da Alexis de Tocqueville quando spiega il dispotismo che mira alla Morte
Civile.
Nel mio paese quel dispotismo si compiace anche di chiamarmi
«Iena», nel distorcere il mio nome da Oriana in «Oriena» e nello sbeffeggiarmi
attraverso sardoniche identificazioni con Giovanna d’Arco. «Le bestialità della
neo Giovanna d’Arco». «Taci, Giovanna d’Arco». «Ora basta, Giovanna d’Arco».
di Oriana Fallaci
(1. Continua)
ORIANA FALLACI E L'ISLAM.
"LE GALLINE DELLA SINISTRA IN GINOCCHIO".
(2)
Lo scorso agosto venni ricevuta in udienza privata da
Ratzinger, insomma da Papa Benedetto
XVI. Un Papa che ama il mio lavoro da quando lesse Lettera a un bambino mai nato e che io rispetto profondamente da
quando leggo i suoi intelligentissimi libri.
Un Papa, inoltre, col quale mi trovo d’accordo in parecchi
casi. Per esempio, quando scrive che l’Occidente ha maturato una sorta di odio
contro sé stesso. Che non ama più sé stesso, che ha perso la sua spiritualità e
rischia di perdere anche la sua identità. (Esattamente ciò che scrivo io quando
scrivo che l’Occidente è malato di un cancro morale e intellettuale. Non a caso
ripeto spesso: «Se un Papa e un’atea
dicono la stessa cosa, in quella cosa dev’esserci qualcosa di tremendamente
vero»).
Nuova parentesi. Sono un’atea, sì. Un’atea-cristiana, come
sempre chiarisco, ma un’atea. E Papa Ratzinger lo sa molto bene. Ne La Forza
della Ragione uso un intero capitolo per spiegare l’apparente paradosso di tale
autodefinizione.
Ma sapete che cosa dice lui agli atei come me? Dice: «Ok.
(L’ok è mio, ovvio). Allora Veluti si Deus daretur. Comportatevi come se Dio esistesse». Parole da cui desumo che nella
comunità religiosa vi sono persone più aperte e più acute che in quella laica
alla quale appartengo. Talmente aperte ed acute che non tentano nemmeno, non si
sognano nemmeno, di salvarmi l’anima cioè di convertirmi. Uno dei motivi per
cui sostengo che, vendendosi al teocratico Islam, il laicismo ha perso il
treno. È mancato all’appuntamento più importante offertogli dalla Storia e così
facendo ha aperto un vuoto, una voragine che soltanto la spiritualità può
riempire.
Uno dei motivi, inoltre, per cui nella Chiesa d’oggi vedo un
inatteso partner, un imprevisto alleato. In Ratzinger, e in chiunque accetti la
mia per loro inquietante indipendenza di pensiero e di comportamento, un
compagnon-de-route. Ammenoché anche la
Chiesa manchi al suo appuntamento con la Storia. Cosa che tuttavia non prevedo.
Perché, forse per reazione alle ideologie materialistiche che hanno
caratterizzato lo scorso secolo, il secolo dinanzi a noi mi sembra marcato da
una inevitabile nostalgia anzi da un inevitabile bisogno di religiosità. E,
come la religione, la religiosità finisce sempre col rivelarsi il veicolo più
semplice (se non il più facile) per arrivare alla spiritualità. Chiusa la nuova
parentesi.
E così ci incontrammo, io e questo gentiluomo intelligente.
Senza cerimonie, senza formalità, tutti soli nel suo studio di Castel Gandolfo
conversammo e l’incontro non-professionale doveva restare segreto. Nella mia
ossessione per la privacy, avevo chiesto che così fosse.
Ma la voce si diffuse ugualmente. Come una bomba nucleare
piombò sulla stampa italiana, e indovina ciò che un petulante idiota con
requisiti accademici scrisse su un noto giornale romano di Sinistra. Scrisse
che il Papa può vedere quanto vuole «i miserabili, gli empi, i peccatori, i
mentalmente malati» come la Fallaci. Perché «il Papa non è una persona
perbene». (A dispetto di ogni dizionario e della stessa Accademia della Crusca,
il «perbene» scritto "per bene"). Del resto, e sempre pensando a
Tocqueville, alla sua invisibile ma insuperabile barriera
dentro-la-quale-si-può-soltanto-tacere-o-unirsi-al-coro, non dimentico mai
quello che quattro anni fa accadde qui in America.
Voglio dire quando l’articolo La Rabbia e l’Orgoglio (non ancora libro) apparve in Italia. E il
New York Times scatenò la sua Super
Political Correctness con una intera pagina nella quale la corrispondente
da Roma mi presentava come «a provocateur» una «provocatrice». Una villana
colpevole di calunniare l’Islam... Quando l’articolo divenne libro e apparve
qui, ancora peggio. Perché il New York Post mi descrisse, sì, come «La
Coscienza d’Europa, l’eccezione in un’epoca dove l’onestà e la chiarezza non
sono più considerate preziose virtù».
Nelle loro lettere i lettori mi definirono, sì, «il solo
intelletto eloquente che l’Europa avesse prodotto dal giorno in cui Winston
Churchill pronunciò lo Step by Step cioè il discorso con cui metteva in guardia
l’Europa dall’avanzata di Hitler». Ma i giornali e le TV e le radio della
Sinistra al Caviale rimasero mute, oppure si unirono alla tesi del New York
Times.
Tantomeno dimentico ciò che è avvenuto nel mio paese durante
questi giorni di novembre 2005. Perché, pubblicato da una casa editrice che
nella maggioranza delle quote azionarie appartiene ai miei editori italiani, e
da questi vistosamente annunciato sul giornale che consideravo il mio giornale,
in un certo senso la mia famiglia, un altro libro anti-Fallaci ora affligge le
librerie. Un libro scritto, stavolta, dall’ex vice-direttore del quotidiano che
un tempo apparteneva al defunto Partito Comunista. Bé, non l’ho letto. Né lo
leggerò. (Esistono almeno sei libri su di me. Quasi tutti, biografie
non-autorizzate e piene di bugie offensive nonché di grottesche invenzioni. E
non ne ho mai letto uno. Non ho mai neppure gettato lo sguardo sulle loro
copertine).
Ma so che stavolta il titolo, naturalmente accompagnato dal
mio nome che garantisce le vendite, contiene le parole «cattiva maestra». So
che la cattiva-maestra è ritratta come una sordida reazionaria, una perniciosa guerrafondaia,
una mortale portatrice di «Orianismo».
E secondo l’ex vice-direttore dell’ex quotidiano
ultracomunista, l’Orianismo è un virus. Una malattia, un contagio, nonché
un’ossessione, che uccide tutte le vittime contaminate. (Graziaddio, molti milioni
di vittime. Soltanto in Italia, la Trilogia ha venduto assai più di quattro
milioni di copie in tre anni. E negli altri ventun paesi è un saldo
bestseller).
Ma questo non è tutto. Perché nei medesimi giorni il sindaco
milanese di centro-destra mi incluse nella lista degli Ambrogini: le molto
ambite medaglie d’oro che per la festa di Sant’Ambrogio la città di Milano
consegna a persone note, o quasi, nel campo della cultura. E quando il mio nome
venne inserito, i votanti della Sinistra sferrarono un pandemonio che durò fino
alle cinque del mattino. Per tutta la notte, ho saputo, fu come guardare una
rissa dentro un pollaio. Le penne volavano, le creste e i bargigli
sanguinavano, i coccodè assordavano, e lode al cielo se nessuno finì al Pronto
Soccorso. Poi, il giorno dopo, tornarono strillando che il mio Ambrogino
avrebbe inquinato il pluriculturalismo e contaminato la festa di Sant’Ambrogio.
Che avrebbe dato alla cerimonia del premio un significato anti-islamico, che
avrebbe offeso i mussulmani e i premiati della Sinistra. Quest’ultimi minacciarono addirittura di
respingere le ambite medaglie d’oro e promisero di inscenare una fiera
dimostrazione contro la donna perversa. Infine il leader del Partito di
Rifondazione Comunista dichiarò: «Dare l’Ambrogino alla Fallaci è come dare il
Premio Nobel della Pace a George W. Bush».
Detto questo, onde rendere a Cesare quel che è di Cesare e a
Dio quel che è di Dio, devo chiarire qualcosa che certo dispiacerà ad alcuni o
alla maggioranza di voi. Ecco qua. Io non sono un Conservatore. Non simpatizzo
con la Destra più di quanto non simpatizzi con la Sinistra. Sebbene rifiuti
ogni classificazione politica, mi considero una rivoluzionaria. Perché la
Rivoluzione non significa necessariamente la Presa della Bastiglia o del Palais
d’Hiver. E certamente per me non significa i capestri, le ghigliottine, i
plotoni di esecuzione, il sangue nelle strade. Per me la Rivoluzione significa
dire «No». Significa lottare per
quel «No». Attraverso quel «No», cambiare le cose.
E di sicuro io dico molti «No». Li ho sempre detti. Di
sicuro vi sono molte cose che vorrei cambiare. Cioè non mantenere, non
conservare.
Una è l’uso e l’abuso della libertà non vista come Libertà
ma come licenza, capriccio, vizio. Egoismo, arroganza, irresponsabilità.
Un’altra è l’uso e l’abuso della democrazia non vista come
il matrimonio giuridico dell’Uguaglianza e della Libertà ma come rozzo e
demagogico egualitarismo, insensato diniego del merito, tirannia della
maggioranza. (Di nuovo, Alexis de Tocqueville...).
Un’altra ancora, la mancanza di autodisciplina, della
disciplina senza la quale qualsiasi matrimonio dell’uguaglianza con la libertà
si sfascia.
Un’altra ancora, il cinico sfruttamento delle parole
Fratellanza-Giustizia-Progresso.
Un’altra ancora, la nescienza di onore e il tripudio di
pusillanimità in cui viviamo ed educhiamo i nostri figli. Tutte miserie che
caratterizzano la Destra quanto la Sinistra.
Cari miei: se coi suoi spocchiosi tradimenti e le sue
smargiassate alla squadrista e i suoi snobismi alla Muscadin e le sue borie
alla Nouvel Riche la Sinistra ha disonorato e disonora le grandi battaglie che
combatté nel Passato, con le sue nullità e le sue ambiguità e le sue incapacità
la Destra non onora certo il ruolo che si vanta di avere.
Ergo, i termini Destra e Sinistra sono per me due viete e
antiquate espressioni alle quali ricorro solo per abitudine o convenienza
verbale. E, come dico ne La Forza della Ragione, in entrambe vedo solo due
squadre di calcio che si distinguono per il colore delle magliette indossate
dai loro giocatori ma che in sostanza giocano lo stesso gioco. Il gioco di
arraffare la palla del Potere. E non il Potere di cui v’è bisogno per governare:
il Potere che serve sé stesso. Che esaurisce sé stesso in sé stesso.
di Oriana Fallaci
(2. Continua)
ORIANA FALLACI E L'ISLAM:
"DIVENTEREMO L'EURABIA. IL NEMICO È IN CASA NOSTRA E NON VUOLE
DIALOGARE"
(3)
Questo può
apparir demagogico, semplicistico, e perfino superficiale: lo so. Ma se
analizzate i fatti vedrete che la mia è pura e semplice verità. La verità del
bambino che nella fiaba dei Grimm, quando i cortigiani lodano le vesti del re,
grida con innocenza: Il re è nudo.
Pensateci
ragionando sull'attuale tragedia che ci opprime. Perbacco, nessuno può negare
che l'invasione islamica dell'Europa sia stata assecondata e sia assecondata
dalla Sinistra. E nessuno può negare che tale invasione non avrebbe mai
raggiunto il culmine che ha raggiunto se la Destra non avesse fornito alla
Sinistra la sua complicità, se la Destra non le avesse dato il imprimatur.
Diciamolo una
volta per sempre: la Destra non ha mai mosso un dito per impedire o almeno
trattenere la crescita dell’invasione islamica. Un solo esempio? Come in molti
altri paesi europei, in Italia è il leader della Destra ufficiale che imita la
Sinistra nella sua impazienza di concedere il voto agli immigrati senza
cittadinanza. E questo in barba al fatto che la nostra Costituzione conceda il
voto ai cittadini e basta. Non agli stranieri, agli usurpatori, ai turisti col
biglietto di andata senza ritorno.
Di conseguenza, non
posso essere associata né con la Destra né con la Sinistra. Non posso essere
arruolata né dalla Destra né dalla Sinistra. Non posso essere strumentalizzata
né della Destra né della Sinistra. (E guai a chi ci prova). E sono
profondamente irritata con entrambe. Qualunque sia la loro locazione e
nazionalità.
Attualmente, per
esempio, sono irritata con la Destra americana che spinge i leader europei ad
accettare la Turchia come membro dell’Unione Europea. Esattamente ciò che la
Sinistra europea vuole da sempre. Ma le vittime dell’invasione islamica, i
cittadini europei, non vogliono la Turchia a casa loro. La gente come me non
vuole la Turchia a casa sua. E Condoleezza Rice farebbe bene a smetterla
di esercitare la sua Realpolitik a nostre spese.
Condoleezza è una
donna intelligente: nessuno ne dubita. Certo, più intelligente della maggioranza
dei suoi colleghi maschi e femmine, sia qui in America che al di là
dell’Atlantico. Ma sul paese che per secoli fu l’Impero Ottomano, sulla
non-europea Turchia, sulla islamica-Turchia, sa o finge di sapere assai poco. E
sulla mostruosa calamità che rappresenterebbe l’entrata della Turchia
nell’Unione Europea conosce o finge di conoscere ancora meno.
Così dico: Ms.
Rice, Mr. Bush, signori e signore della Destra americana, se credete tanto in
un paese dove le donne hanno spontaneamente rimesso il velo e dove i Diritti
Umani vengono quotidianamente ridicolizzati, prendetevelo voi. Chiedete al
Congresso di annetterlo agli stati Uniti come Cinquantunesimo Stato e
godetevelo voi. Poi concentratevi sull’Iran. Sulla sua lasciva nucleare, sul
suo ottuso ex-sequestratore di ostaggi cioè sul suo presidente, e concentratevi
sulla sua nazista promessa di cancellare Israele dalle carte geografiche.
A rischio di
sconfessare l’illimitato rispetto che gli americani vantano nei riguardi di
tutte le religioni, devo anche chiarire ciò che segue.
Come mai in un
Paese dove l’85 per cento dei cittadini dicono di essere Cristiani, così
pochi si ribellano all’assurda offensiva che sta avvenendo contro il Natale?
Come mai così pochi
si oppongono alla demagogia dei radicals che vorrebbero abolire le vacanze di
Natale, gli alberi di Natale, le canzoni di Natale, e le stesse espressioni
Merry Christmas e Happy Christmas, Buon Natale, eccetera?!?
Come mai così pochi
protestano quando quei radicals gioiscono come Talebani perché in nome dei
laicismo un severo monumento a gloria dei Dieci Comandamenti viene rimosso da
una piazza di Birmingham?
E come mai anche
qui pullulano le iniziative a favore della religione islamica?
Come mai, per
esempio, a Detroit (la Detroit ultra polacca e ultra cattolica le
ordinanze municipali contro i rumori proibiscono il suono delle campane) la
minoranza islamica ha ottenuto che i muezzin locali possano assordare il
prossimo coi loro Allah-akbar dalle 6 del mattino alle 10 di sera?
Come mai in un
paese dove la Legge ordina di non esibire i simboli religioni nei luoghi
pubblici, non consentirvi preghiere dell’una o dell’altra religione, aziende
quali la Dell Computers e la Tyson Foods concedono ai propri
dipendenti islamici i loro cortili nonché il tempo per recitare le cinque
preghiere? E questo a dispetto del fatto
che tali preghiere interrompono quindi inceppano le catene di montaggio?
Come mai il nefando
professor Ward Churchill non è stato licenziato dall’Università del
Colorado per i suoi elogi a Bin Laden e all’11 Settembre, ma il
conduttore della Washington radio Michael Graham è stato licenziato per
aver detto che dietro il terrorismo islamico v’è la religione islamica?
Ed ora lasciatemi
concludere questa serata affrontando altri tre punti che considero
cruciali.
Punto numero uno.
Sia a Destra che a Sinistra tutti si focalizzano sul terrorismo. Tutti. Perfino
i radicali più radicali. (Cosa che non sorprende perché le condanne verbali del
terrorismo sono il loro alibi. Il loro modo di pulire le loro coscienze non
pulite). Ma nel terrorismo islamico non vedo l’arma principale della guerra che
i figli di Allah ci hanno dichiarato.
Nel terrorismo
islamico vedo soltanto un aspetto, un volto di quella guerra. Il più visibile,
sì. Il più sanguinoso e il più barbaro, ovvio. Eppure, paradossalmente, non il
più pernicioso. Non il più catastrofico. Il più pernicioso e il più
catastrofico è a parer mio quello religioso. Cioè quello dal quale tutti gli
altri aspetti, tutti gli altri volti, derivano. Per incominciare, il volto
dell’immigrazione.
Cari amici: è
l’immigrazione, non il terrorismo, il cavallo di Troia che ha penetrato
l’Occidente e trasformato l’Europa in ciò che chiamo Eurabia. È
l’immigrazione, non il terrorismo, l’arma su cui contano per conquistarci
annientarci distruggerci. L’arma per cui da anni grido: «Troia brucia, Troia
brucia». Un’immigrazione che in Europa-Eurabia supera di gran lunga
l’allucinante sconfinamento dei messicani che col beneplacito della vostra Sinistra
e l’imprimatur della vostra Destra invadono gli Stati Uniti.
Soltanto nei
venticinque paesi che formano l’Unione Europea, almeno venticinque milioni di
musulmani. Cifra che non include i clandestini mai espulsi. A tutt’oggi, altri
quindici milioni o più. E data l’irrefrenabile e irresistibile fertilità
mussulmana, si calcola che quella cifra si raddoppierà nel 2016. Si triplicherà
o quadruplicherà se la Turchia diventerà membro dell’Unione Europea. Non
a caso Bernard Lewis profetizza che entro il 2100 tutta l’Europa sarà
anche numericamente dominata dai musulmani.
E Bassan Tibi,
il rappresentante ufficiale del cosiddetto Islam Moderato in Germania,
aggiunge: «Il problema non è stabilire se entro il 2100 la stragrande maggioranza
o la totalità degli europei sarà mussulmana. In un modo o nell’altro, lo sarà.
Il problema è stabilire se l’Islam destinato a dominare l’Europa sarà un Euro-Islam
o l’Islam della Svaria». Il che spiega perché non credo nel Dialogo con
l’Islam. Perché sostengo che tale dialogo è un monologo. Un soliloquio
inventato per calcolo dalla Realpolitik e poi tenuto in vita dalla nostra
ingenuità o dalla nostra inconfessata disperazione. Infatti su questo tema
dissento profondamente dalla Chiesa Cattolica e da Papa Ratzinger.
Più cerco di capire e meno capisco lo sgomentevole errore su cui la sua
speranza si basa.
Santo Padre:
naturalmente anch’io vorrei un mondo dove tutti amano tutti e dove nessuno è
nemico di nessuno. Ma il nemico c’è. Lo abbiamo qui, in casa nostra. E non ha
nessuna intenzione di dialogare. Né con Lei né con noi.
di Oriana
Fallaci
(3. Continu)
ORIANA FALLACI E L'ISLAM:
"CI RINCHIUDERANNO IN RISERVE COME I PELLEROSSA E FAREMO LA LORO FINE"
Punto numero due.
Non credo nemmeno nella fandonia del cosiddetto pluriculturalismo. (E a
proposito di quella fandonia: lo sapevate che al Barbican Center Theater di
Londra hanno mutilato Tamerlano il Grande, il dramma scritto nel 1587 da Christopher Marlowe? A un certo momento
del dramma, Christopher Marlowe fa bruciare il Corano da Tamerlano. Mentre il Corano brucia, gli fa anche sfidare il
Profeta gridando: «Ed ora, se ne hai davvero il potere, vieni giù e spengi il
rogo». Bé, poiché quelle parole aggravate dalle fiamme del rogo infuriavano le
autorità mussulmane di Londra, il Teatro Barbican ha eliminato l’intera scena.
Mezzo millennio dopo ha censurato Marlowe).
E ancor meno credo
nella falsità chiamata Integrazione. Integrarsi significa accettare e rispettare
(più educare i propri figli ad accettare e rispettare) le regole, le leggi, la
cultura, il modo di vivere del posto nel quale si sceglie di vivere. E quando
si impone la propria presenza a un paese che non ci ha chiamato e tuttavia ci
tiene, ci mantiene, ci tollera, il minimo che si possa fare è integrarsi.
Soprattutto se si è chiesto e ottenuto di diventare cittadini. Status che esige
lealtà, fedeltà, affidabilità, e possibilmente amore per la Patria cioè la
Nuova Patria che si è scelta. Ebbene, nell’Europa-Eurabia gli altri immigrati
si integrano. Più o meno si integrano.
Quelli che vengono dai paesi di cultura
cristiana, ad esempio. Dalla Russia, dall’Ucraina, dalla Bulgaria,
dall’Ungheria, dalla Slovenia, e tutto sommato anche dalla Romania che davvero
non ci esporta il meglio del meglio. Perfino i discutibili cinesi che
provocatoriamente si chiudono dentro le loro mafiose enclave, in certo senso
finiscono con l’integrarsi. I mussulmani, no. Forse qui, negli Stati Uniti, lo
fanno. Beati voi. In Europa, no.
Nella maggior parte
dei casi non si curano neanche di imparare la nostra lingua, le nostre lingue.
Incollati alle loro moschee, ai loro Centri Islamici, alla loro ostilità anzi
al loro disprezzo e alla loro ripugnanza per tutto ciò che è occidentale,
obbediscono soltanto alle regole e alle leggi della Sharia. E in compenso ci
impongono le loro abitudini. Le loro pretese, il loro modo di vivere. (Cibo e
poligamia inclusi).
Cari miei, per
capire che gli immigrati mussulmani non hanno alcuna intenzione di integrarsi
con noi, che al contrario vogliono indurre noi a integrarsi con loro, basta
considerare l’Intifada che questo autunno è scoppiata nella provincia di Parigi
e poi in tutta la Francia. Ma credete davvero a ciò che sostengono i media quando
sostengono che quelle scommesse e quegli incendi sono dovuti esclusivamente
alla disoccupazione e alla povertà? Credete davvero che non abbiano niente a
che fare con la guerra dichiarataci dall’Islam?
Occhi negli occhi
non bastano le prese di bavero. Quelle sommosse erano e sono un’altra arma, un
altro volto di questa guerra. Appartenevano, appartengono, alla strategia
dell’invasione. Una strategia molto intelligente, ammettiamolo. Perché, grazie
ad essa, l’odierno espansionismo islamico non ha bisogno delle armate e delle
flotte usate dal defunto Impero Ottomano.
Per realizzarsi gli
bastano le orde di immigrati che ogni giorno arrivano in Sicilia con le navi o
i gommoni o le barche, e ai quali i traditori nostrani spalancano le porte per
farli entrare col cavallo di Troia e dare fuoco alla città. Una strategia
intelligente anche perché non spaventa come spaventavano le loro armate, le
loro flotte, le loro scimitarre, le barbarie di quando in Italia si scappava
gridando Mamma-li-Turchi. E perché richiede tempo. Richiede pazienza. Richiede
nuove generazioni installate nei paesi da conquistare. I kamikaze inglesi del 7
luglio non erano forse immigrati di seconda o terza generazione? I rivoltosi
francesi di quest’autunno non erano forse immigrati di seconda e terza e
perfino quarta generazione?
Se sbaglio ditemi
perché tra quei rivoltosi non v’erano immigrati cinesi o vietnamiti o filippini
o dall’Europa orientale. Non meno poveri e non meno disoccupati. (Ammesso che
quelli dello scorso autunno fossero davvero poveri e disoccupati. Alla
televisione ho visto ragazzi ben nutriti e ben vestiti come, a suo tempo, i
nostri sessantottini ultraborghesi).
Ditemi perché essi
erano e sono tutti arabi mussulmani o nord-africani mussulmani.
Ditemi perché
bruciando le automobili e gli autobus e le scuole e gli asili e gli uffici
postali e i cassonetti della spazzatura e le case urlavano «Allah-akbar,
Allah-akbar».
Ditemi perché,
quando venivano intervistati dai giornalisti, rispondevano: «Noi non siamo
francesi. Non vogliamo essere francesi».
Ditemi perché
agivano in modo così coordinato, come se dietro il loro delirio vi fosse la
mente di qualche esperto di Al Qaeda.
E visto che
parliamo di invasione, ditemi perché in Europa gli immigrati mussulmani
materializzano così bene l’avvertimento che nel 1974 ci rivolse l’Onu e il
leader algerino Boumedienne. «Presto
irromperemo nell’emisfero del nord. E non vi irromperemo da amici, no. Vi
irromperemo per conquistarvi. E vi conquisteremo popolando i vostri territori
coi nostri figli. Sarà il ventre delle nostre donne a darci la vittoria».
Bando alle
illusioni: noi italiani, francesi, tedeschi, inglesi, spagnoli, svedesi,
danesi, olandesi eccetera stiamo per diventare ciò che diventarono i Comanci e
gli Apache e i Cherokee e i Navajos e gli Cheyenne quando gli rubammo
l’America. Stranieri in casa nostra. Anno 2016? Anno 2100?
Parlando della
futura dominazione mussulmana dell’Europa-Eurabia, alcuni studiosi già
riferiscono a noi come ai «nativi». Agli «indigeni». Agli «aborigeni». Di
questo passo finiremo anche noi dentro le Riserve come i Pellerossa.
di Oriana Fallaci
(4. Continua)
ORIANA FALLACI, L'ULTIMA LEZIONE: "NON ESISTE UN
ISLAM MODERATO. IL CORANO È IL LORO MEIN KAMPF"
(5)
Punto numero tre.
Soprattutto non credo alla frode dell'Islam
Moderato.
Come protesto nel libro Oriana Fallaci intervista sé
stessa e ne L'Apocalisse, quale Islam Moderato?!? Quello dei
mendaci imam che ogni tanto condannano un eccidio ma subito dopo aggiungono una
litania di «ma», «però», «nondimeno»?
È sufficiente cianciare sulla pace e sulla misericordia per
essere considerati Mussulmani Moderati?
È sufficiente portare giacche e pantaloni invece del djabalah,
blue jeans invece del burka o del chador, per venir definiti Mussulmani
Moderati?
È un Mussulmano Moderato un mussulmano che bastona la
propria moglie o le proprie mogli e uccide la figlia se questa si innamora di
un cristiano?
Cari miei, l'Islam moderato è un'altra invenzione. Un'altra
illusione fabbricata dall'ipocrisia, dalla furberia, dalla quislingheria o
dalla Realpolitik di chi mente sapendo di mentire. L'Islam Moderato non esiste.
E non esiste perché non esiste qualcosa
che si chiama Islam Buono e Islam Cattivo.
Esiste l'Islam e
basta. E l'Islam è il Corano.
Nient'altro che il Corano.
E il Corano è il Mein Kampf di una religione che ha sempre
mirato a eliminare gli altri.
Una religione che ha sempre mirato a eliminare gli altri.
Una religione che si identifica con la politica, col
governare.
Che non concede una scheggia d'unghia al libero pensiero,
alla libera scelta.
Che vuole sostituire la democrazia con la madre di tutti i
totalitarismi: la teocrazia.
Come ho scritto nel saggio Il nemico che trattiamo da
amico, è il Corano non mia zia Carolina che ci chiama «cani infedeli» cioè
esseri inferiori poi dice che i cani infedeli puzzano come le scimmie e i
cammelli e i maiali. È il Corano non mia zia Carolina che umilia le donne e
predica la Guerra Santa, la Jihad.
Leggetelo bene, quel «Mein Kampf», e qualunque sia la versione ne ricaverete le
stesse conclusioni: tutto il male che i figli di Allah compiono contro di noi e
contro sé stessi viene da quel libro. È scritto in quel libro.
E se dire questo significa vilipendere l’Islam, Signor
Giudice del mio Prossimo Processo, si accomodi pure. Mi condanni pure ad anni
di prigione. In prigione continuerò a dire ciò che dico ora. E continuerò a
ripetere: «Sveglia, Occidente, sveglia! Ci hanno dichiarato la guerra, siamo in
guerra! E alla guerra bisogna combattere».
Visto? Potrei andare avanti per sempre quando sermoneggio di
queste cose. Così la smetto e dico: caro David, caro Daniel, caro Robert, cari
compagni d'arme con cui condivido questo premio, cari amici del Center for the
Study of Popular Culture: davvero noi esercitiamo un dovere molto faticoso e
molto doloroso. Il dovere di raccontare la verità. E, raccontando la verità,
dar voce a chi non ha voce. Alla gente male informata o nient'affatto informata.
Alla gente che dorme o non pensa con la propria testa e che tuttavia, quando
viene informata, bene informata, si sveglia e pensa con la propria testa (anzi
si accorge di pensare ciò che non sapeva di pensare ma pensava già). O alla
gente che pur pensando non parla per inerzia o timidezza o paura.
Non siamo molti, lo so. Ma esistiamo. Siamo sempre esistiti.
E sempre esisteremo. Sotto ogni fascismo, ogni nazismo, ogni bolscevismo,
ogni islamismo, ogni maccartismo,
ogni cancro del cervello, ogni cancro dell'anima. E nonostante gli insulti, le
messe alla gogna, le persecuzioni, le beffe, le galere, i gulag, le forche che
stroncano il corpo non l’anima. Ah! Per
quanto sia amaro considerarci fuorilegge-eretici-dissidenti in una società che
a parole si definisce libera e democratica, noi siamo davvero i nuovi eretici.
I nuovi fuorilegge. I nuovi dissidenti.
Quindi lasciate che mi congedi con la seguente confessione.
Io non sono giovane ed energica come voi. Non ho la salute che spero voi
abbiate. A dirla in modo brusco e brutale, sono disperatamente malata. Ho
raggiunto ciò che i dottori chiamano la Fine della Strada, e non durerò a
lungo. Ma sapere che voi fate quello che fate, pensare che voi sarete qui
quando io non ci sarò più, mi aiuta parecchio a esercitare quel dovere contro
il nemico. A non dargli pace finché avrò un filo di fiato. Meglio: come ho
detto quando ho incominciato a parlare, io non accarezzo affatto l'idea di
imitare Annie Taylor. Mica son pazza. Ma se necessario, proprio
necessario, davvero necessario, bé… tirerò un gran respiro, chiuderò gli occhi,
forse mi farò il segno della Croce, (non si sa mai), e salterò anche sopra le
Cascate del Niagara.
Ok? Grazie per avermi ascoltato.
Oriana Fallaci
Fonte: Libero.it del 27-28-29-31 agosto 2014, / 1 settembre
2014.
Link: http://www.liberoquotidiano.it/news/libero-pensiero/11679821/Oriana-Fallaci--le-galline-della.html
Link: http://www.liberoquotidiano.it/news/libero-pensiero/11681651/Oriana-Fallaci--l-ultima-lezione.html
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