Altare dedicato a San Petronio. Fu innalzato nei primi anni del
Seicento per collocarvi l'urna del santo veronese. Verona, Chiesa di Santa
Maria al Paradiso
EPOCA II - CAPO VII
SOMMARIO. - Vita
monastica - Monasteri di « S. Maria foris porta organi », - di S. Zeno, - di S.
Maria « in Solaro », - di S. Pietro « puellarum », - di S. Maria « de Gadio ».
- di S. Michele « ad Flexium », di S. Salvatore a Sirmione - Beati Benigno e
Caro eremiti - S. Metrone penitente.
Come abbiamo accennato altrove, troppo poco sappiamo sulla
vitalità religiosa dei veronesi nel secolo IX. Abbiamo però alcune memorie, che ci attestano
come anche in questo secolo v'erano persone d'ambo i sessi, che attendevano ad
una vita conformata almeno nella sostanza ai consigli dati da N.S. Gesù Cristo
ai suoi discepoli desiosi di seguire più dappresso le sue orme.
Anzitutto sappiamo che in questo secolo esistevano in Verona e nel suo « comitato» (ossia zona soggetta ad un « comes », conte), alcuni monasteri di religiosi e religiose.
Il monastero di S.
Maria « foris porta organo» ha prove non dubbie della sua fondazione nella
seconda metà del secolo VI, forse una
quarantina di anni dopo la morte di S.
Benedetto (1). Il Biancolini,
dietro Mabillon, afferma che questo
monastero fin dai suoi inizii era benedettino. Ed in vero così scriveva di esso
Alessandro III nel 1117: « Ordo monasticus, qui secundum Deum et beati
Benedicti regulam in eodem monasterio institutus esse dignoscitur ... ».
Allo stesso secolo, secondo il can. Giuliari, appartiene la chiesa dedicata fin da allora a Maria, e forse ne facea parte la cripta
sottostante alla parte elevata della chiesa attuale: essa è nominata tra le
chiese esistenti « ab oriente» nel Ritmo Pipiniano. Dicesi
rifabbricata verso l'anno 860 con una contribuzione di cento lire d'argento
data dal vescovo Audone (2). Il monastero almeno dal principio del secolo
VIII fu soggetto alla giurisdizione del patriarca
di Aquileia; al patriarca Paolo
lo confermò Carlo Magno con diploma
4 agosto 792(3). Finalmente dopo varie peripezie, il papa
Giovanni XIX nel 1025 lo assoggettò immediatamente al patriarca Poppone, sottraendolo del tutto alla giurisdizione del vescovo di Verona (4).
I re ed imperatori franchi furono larghi di privilegi al
monastero. Così Carlo Magno con
diploma del novembre 804 concedeva libero transito ai suoi carri e navi per
tutto I' impero (5): altri privilegi
concessero pure Berengario nel
giorno 28 febbraio 889(6). Ugo
nel 12 febbraio 928(7).
Al monastero era pure annesso un ospedale o « xenodochium » fondato verso la metà del
secolo VIII dal duca Lupo e sua
moglie Ermelinda, lo stesso e la
stessa che nel 751 fondarono il monastero di S. Giorgio di Rieti.
Forse fu in vista di questo ospedale, che il monastero trovò
generosi benefattori. Dal gastaldo Ildemaro
ebbe un pascolo sui Lessini
nell'814; dal chierico Lupo, alcune
terre in Valpantena, ad Veneres (Vendrì), a Lugo ed a Rosaro; da un certo Illaro alcuni campi in Porcara, Cantero, Scandole
nell'833; dall'arcidiacono Audone
alcuni fondi a Sezano e Vendri (845, 960); altre terre per
testamento da Engelberto di Erbè
nell'846; ecc.
Inoltre il monastero o xenodochium
avea, non sappiamo da quale epoca, diritti a prestazioni personali a Tierno, Mori ed Avio nel
comitato tridentino. Siccome questi diritti furono contestati, quasi per
prescrizione, dagli abitanti di quei paesi nel secolo IX, si tenne a « Tridento
» il celebre Placito da Garibaldo
messo del re Ludovico (26 febbraio
845) nel quale fu discussa la controversia, e poi risolta in favore del
monastero: v'era presente anche « Audo
archidiaconus de Verona »(8). Nel 907
Giovanni chierico donava al monastero tre ariali (poste da molini) nel luogo detto pons fraetus (9).
Tra gli abati di questo monastero, oltre il fondatore Feroce, troviamo: Andrea nell'atto di fondazione del
monastero di S. Maria in Solaro
(15 maggio 744), Gundelberto nel « Privilegio» di Carlo Magno
(nov. 804), Audilberto nell'atto di soggezione di Eufrasia (4 giugno 834), Rodemario
nel placito tridentino (26 febbraio
845), Gundalberto nel « Privilegio» di Berengario (28 febbraio 889).
Del monastero di S.
Zeno abbiamo certe notizie nel primo decennio del secolo IX. Quando il
vescovo Ratoldo coadiuvato dal re Pipino eresse la nuova chiesa di S. Zeno e ve ne fece trasportare le
preziose reliquie, affidò la custodia di quel sacro deposito ad alcuni monaci,
dei quali non si può dubitare che non professassero la regola di S. Benedetto.
Alcuni dei nostri scrittori opinarono che già in quel luogo
preesistesse un monastero di benedettini, e confermano la loro opinione
dall'esservi nel chiostro un oratorio ad onore di S. Benedetto, che vorrebbero attribuire ai secoli VI o VII: ma è
una semplice congettura, alla quale nessun valore può aggiungere la prova
addotta (10). La celebre Translatio sancti Zenonis dice che i monaci vi furono
posti e dotati dal re Pipino e dal
vescovo Ratoldo (11).
Certamente quel monastero prosperò fin dai suoi primordii
per il gran numero di monaci e per la loro saviezza e santità; talché si
cattivò ben tosto protezione e privilegi dai re franchi e beni donati o
lasciati da benefattori privati. Pipino
nell'anno 807 donò al monastero di S.
Zeno il « monasteriolum sancti Petri
de Mauratica cum suis pertinentiis », la chiesa di Sant'Andrea in Caffi con le sue famiglie e monti e selve, la chiesa di S. Zeno presso il lago di Garda (in Bardolino) «cum suis
pertinentiis» ed il bosco del
Mantico (12). Questi possessi con altri aggiunti confermava
al monastero Ludovico il Pio con
atto 19 novembre 815. Lotario I gli
attribuì nel 15 gennajo 833 il bosco di
Ostiglia.
Nuova conferma dei suoi privilegi e possessi ebbe il
monastero da Ludovico II con atto
del 24 agosto 853, e da Carlomanno
con atto del 6 ottobre 880. Largheggiò
pure di privilegi e di terre al monastero il re Berengario con atti del 9 novembre 893, 23 agosto 901, e con
quello del 4 aprile 904 in cui concedeva libero passaggio alle barche del
monastero nell'Adige e nel Po (13).
Altri privilegi e favori furono poi concessi dagli
imprenditori sino a Federico II; per
i quali il monastero acquistò pure un'importanza politica, avendo giurisdizioni
feudali sui paesi di Vigasio, Trevenzuolo,
CelIore di Illasi, Pastrengo, Castelnuovo dell'Abate (Affi e dintorni) Chievo,
Romagnano, ecc.
La chiesa, eretta dal vescovo Ratoldo e dal re Pipino
sotto la direzione dell'architetto Pacifico,
si trovava certamente là, dov'è l'attuale basilica; ma essa ebbe molto a
soffrire nel secolo X per le invasioni degli Ungheri, quando fu trasportato in città il corpo di S. Zeno; talchè l'imperatore Ottone I nel 967 consegnò una somma al vescovo Raterio per la sua restaurazione. Nulla di essa ci rimane,
se non forse qualche elemento nella cripta della Basilica: questa non ebbe
principio se non nel secolo XI (14).
Quanto agli abati del monastero, non abbiamo nome alcuno
degno di speciale menzione. Nella storia della basilica rimase celebre Alberico, che verso la metà del secolo
XI pose la base del campanile, e nel chiostro fabbricò un grande sepolcro per i
monaci tuttora esistente (a).
Inoltre abbiamo memorie di almeno due monasteri femminili
entro il recinto della città. Il monastero di S. Maria «in solaro », fondato nel 744 dalle due sorelle Auteonda e Natalia, fino ad allora era in qualche modo soggetto all'abate del
monastero di S. Maria «in organo» ed
insieme con questo alla giurisdizione del
patriarca di Aquileia (15).
Da un atto del 4 giugno 854, l'abbadessa Eufrasia era stata consacrata dal troppo celebre
patriarca Massenzio e da lui aveva
ricevuto l'autorità sopra le altre vergini «per baculum et fune campanae ecclesiae ipsius monasterii ». Con
quell'atto, alla presenza di Rodemario abate
di S. Maria in organo e parecchi
monachi e di Teodomaro legato del
patriarca, Eufrasia insieme con le
sue monache professava di essere sempre stata e di voler essere in avvenire soggetta all'abate di S. Maria in organo ed al patriarca di Aquileia (16). Il Biancolini dietro l'autorità del Canobio dice che Eufrasia
fu confermata nell'ufficio di abbadessa da Ludocivo
II nell'anno 845.
Secondo il Canobio,
fin dall'anno 780 esisteva un altro monastero di vergini presso la chiesa detta
allora di S. Pietro « ad puellas» o « puellarum », più tardi « in
monastero ». Da un documento del
maggio 968 apparisce che esso era soggetto al vescovo; talchè Raterio per parte dello stesso
monastero fece una commutazione di diritti con Leudiberto abate di S. Zeno
(17). Da memorie posteriori il
vescovo Milone sembra aver assegnato
quel monastero all'abbazia di S. Zeno
e che in seguito sia stato abitato da monaci benedettini.
Esistevano pure alcuni monasteri nel comitato veronese. Il
più antico tra essi è quello di S. Mario
« de Gadio » (Gazzo); al quale come apparisce da un atto di Ludovico II,
avevan donato possessioni e diritti i re longobardi Liutprando e Ilprando;
perciò esisteva già nella prima metà del secolo VIII: tali possessioni e
diritti gli confermò poi Ludovico II
(18). Allo stesso monastero Berengario donava quanto era di diritto
regio nel castello di Gazo (1 agosto
909); inoltre il teloneo e ripatico « in
ruviscello », ed altri privilegi (19):
allora ne era abate Rodiberto. Altri
privilegi concesse pure il re Ugo
con diploma 12 febbraio 928; dal quale apparisce che allora il monastero di Gazo era unito a quello di S. Maria in organo, e ne era abate un
certo Pietro (20). Da una carta pubblicata da Ughelli si ricava che anche il nostro Audone, arcidiacono e forse vescovo, donò a questo monastero alcuni
suo fondi nella valle Pantena.
Benché di rado occorra in atti diplomatici antichi, tuttavia
nel secolo IX, e forse prima, esisteva un monastero nella località detta « Flexium » e talvolta « Campanea »; ed insieme con esso una
chiesa dedicata a S. Michele (21). Pare che dapprincipio fosse
abitato da monache professanti la regola
di S. Scolastica, e che lì presso fossero pure alcuni monaci come conversi;
una specie di monastero doppio.
Del monastero femminile così dice una nota manoscritta del sac.
B. Campagnola cancelliere vescovile
nell'anno 1752: «Dall'anno 807 datano le
prime memorie della fondazione del monastero; e nella parte interna della prima
chiesa era murata una memoria in pietra che dinotava fosse il primo luogo della
chiesa e del monastero »(22).
Dopo l'anno 940 non si hanno più memorie di monaci presso S. Michele: forse si
erano trasferiti nel luogo detto Stafulo
a Bionde, dove troviamo un monastero
di frati fino dall'anno 909.
Anche a Sirmione
apparisce fondato un monastero circa la metà del secolo VIII con una chiesa
dedicata al SS. Salvatore. Fu eretto
da Ansa moglie di Desiderio re dei longobardi; in
seguito, dopo cacciati i longobardi dall'Italia superiore, Carlo Magno donò alla chiesa
di S. Martino di Tours varie
terre, e tra queste « insula cum castro
Sermionense, quae est sita in lacu Minciadae, cum ... monasterio in infra ipso castro, quem
Ansa novo opere construxit, quod est in
honore sancti Salvatoris cum omni ejus soliditate »(23).
Da un atto di Lotario
I e di Ludovico II 8 settembre
851, questo monastero apparisce congiunto con quello di S. Salvatore di Brescia (24):
lo stesso con altro atto del 28 aprile 868 lo donava a sua moglie Angilberga (25): e finalmente Ottone III il giorno 19 gennaio 997 lo
confermava al monastero di Brescia (26). In seguito non se ne hanno altre
notizie (b).
Non abbiamo documenti di altre istituzioni monastiche:
abbiamo però memorie di alcuni uomini santi, che si studiarono giungere alla
santità mediante una vita solitaria o con la pratica della penitenza.
Sulla riviera del lago
di Garda, presso il luogo allora detto Melsisenum
(Malcesine), sulla fine del secolo VIII e sul principio del secolo
seguente viveano due santi eremiti, Benigno
e Caro(27) . I loro nomi ci dicono che essi erano di origine latina: tra i
due apparisce in tutte le memorie, Benigno
essere il più anziano di età e maestro nella vita eremitica, Caro esser il più giovane e discepolo
del pri-
mo (28); sembra
avessero la loro spelonca presso l'antichissima chiesa dedicata a S. Zeno.
Il fatto più importante che si racconta dei due eremiti è la
traslazione del corpo di S. Zeno
dall'antica cripta umida e poco decorosa alla chiesa edificata ad onore del
santo per la munificenza del re Pipino.
Riferisce la Translatio
che, eretta la nuova chiesa, nè il vescovo Ratoldo, nè Pipino, nè
altri ardivano toccare le preziose reliquie; perciò, essendo già divulgata
anche in Verona la santità dei due eremiti, il re col consenso del vescovo, li
mandò ad invitare; vennero e con pompa solenne trasferirono quelle reliquie
nella nuova chiesa: il fatto avvenne l'anno 807. Tornati alloro romitaggio,
ripresero la loro vita di preghiera e di penitenza: si dice siano morti ambedue
nel medesimo giorno 20 luglio di un anno incerto, che potrebbe essere verso l'820.
Appena passati ad altra vita, li canonizzò, diremo così, il vescovo Ratoldo: ordinò che fossero sepolti
nella chiesa di S. Stefano, e che
sull'urna fosse posta questa iscrizione:
SEPVLCRVM SANCTORVM
BENIGNI ET CHARI
Nè minor devozione verso i due eremiti professò il nostro
vescovo Tebaldo: nell'anno 1313
volle egli stesso collocare le loro ossa dietro l'altar maggiore. Delle tre
iscrizioni, che ivi si trovano, daremo questa soltanto:
Benignus et Carus uterque merito clarus
Sub hoc altari meruerunt digne locari.
Sancti Zenonis Urbis Veronae Patroni
Hi duo transferre reliquias commeruere
Pontifex Thebaldus hos colit atque Rotaldus:
Rotaldus in vita, Thebaldus tumulat ita.
Il culto dei due beati fu confermato con decreto della S. Congregazione dei riti.
A titolo di curiosità, riportiamo quanto dice uno scrittore
nostro del secolo XVIII. Presso l'eremo dei due santi conducea vita eremitica
una certa Olivetta, come si deduce
da un'iscrizione ritrovata sopra l'antico altare nella chiesa di S. Zeno in monte; e l'iscrizione ci
dice come Francesco Capello, che fu
uno dei fondatori del collegio dei SS.
Siro e Libera e degli esecutori del testamento del nostro vescovo Giberti, dedicò quell'altare a Gesù Bambino, a S. Zeno, ai santi Benigno,
Caro ed Olivetta, che egli dice sorella (nella vita eremitica) ai due
santi: «Santisque Caro et
Benigno atque Olivetae fratribus eremi hujus cultoribus dicavit Franciscus Capellus Veron. a. Dni MDIV» (29).
Verso la fine del secolo VIII, e fors'anco sul principio del
secolo seguente, la chiesa veronese ebbe sotto gli occhi un ammirabile esempio
della vita penitente in S. Metrone.
Secondo alcuni egli era oriundo della Germania:
secondo altri egli veniva dalla Grecia;
e parrebbe indicarlo, oltre il suo nome, il genere di penitenza orientale da
lui abbracciato. Intorno alla sua vita non abbiamo che poche notizie ed oscure
lasciateci dal nostro vescovo Raterio
(30), e da una Vita S. Metronis del secolo XV conservata nella
nostra Biblioteca capitolare (31).
Siccome nella sua gioventù avea lasciate libere le briglie
alle sue passioni, così volle riparare ai suoi trascorsi con un nuovo genere di
penitenza, che egli ottenne dal vescovo o di suo arbitrio impose a se medesimo.
Stretto il piede con una catena, fermò
questa con chiave ad una grossa pietra, che era tra la porta della chiesa di S. Vitale posta fuor di porta Organa e quel ramo dell' Adige
che era chiamato Aqua morta.
Indi gettò la chiave nel fiume. In questo modo condannò se medesimo a
vivere lontano dalla chiesa e dalla sacra liturgia e dai sacramenti, esposto
giorno e notte a tutte le intemperie delle stagioni, vivendo di quanto a lui
portavano i fedeli dei dintorni.
Perseverò in quello
stato ben sette anni; finchè nel ventre di un pesce fu trovata la chiave:
allora il vescovo giudicò che Dio fosse già soddisfatto di quella dura e lunga
penitenza; accompagnato dal clero e dal popolo venne al luogo ove stava il
santo penitente, lo sciolse dalla catena e lo rimise nella comunione della
chiesa.
Secondo un antico martirologio veronese fu anche ordinato
sacerdote e forse predicò in Verona ed in diversi paesi del comitato veronese e
mantovano. Morì santamente il giorno 8 maggio: l'anno incerto: ma parrebbe
dovesse essere sul principio del secolo IX. Il suo corpo fu sepolto nella
chiesa di S. Vitale, e ben presto ebbe culto in Verona, come appare dal citato
martirologio, dagli scritti di Raterio, e dal Carpsum, nel quale al
giorno 8 maggio è segnato: «VIII idus
maii S. Metronis conf. »(32).
Sennonchè la chiesa di S.
Vitale posta fuori della città era assai negletta dai veronesi; e così
avvenne che verso la metà del secolo X i
mantovani,
forse anche approfittando dei terrori avvenuti nelle scorrerie degli Ungheri, riuscirono a rubare le
reliquie del santo e trasportarle a Mantova.
Il furto avvenne durante una delle due
discese di Ottone III a Verona, nei due anni 951 e
961; Raterio ne dà buona parte della colpa a chi allora era vescovo di Verona, e dove a essere quel
Milone,
al quale durante il secondo esilio di Raterio
l'arcivescovo Manasse avea venduto la chiesa di Verona. Questo è
quel delitto famoso dei veronesi, contro il quale si scagliò virulento Raterio nella sua Invectiva de translatione sancti Metronis.
Sulla fine del secolo il corpo di S. Metrone fu restituito ai veronesi sotto il vescovo Ilderico
od il suo successore Obberto, e di
nuovo fu sepolto nella chiesa di S.
Vitale. Nel secolo XV Giorgio dei conti Allegri con suo
testamento dal 28 maggio 1476 dispose che nella stessa chiesa fosse eretta una
cappella con altare ad onore di S.
Metrone. Nel secolo XVIII il nostro
vescovo Giovanni Morosini riconobbe
giuridicamente le preziose reliquie e nel 21 agosto dell'anno 1782 le fece
trasferire nella chiesa di S. Maria del
Paradiso, dove sono venerate anche al presente (c).
NOTE
1 - Vedi questi Cenni
stor., Epoca I, Capo XVI, in Bollett. eccles. anno 1916, pag. 154.
2 - BIANCOLINI, Chiese,
I, pag. 288.
3 - MUHLBACHER, Diplom.
Karol., pag. 235, tra i Monum Germ. (Hannov, 1916).
4 - « JOANNES ...
Benedicto Veronensi Abbati ». BIANCOLINI, Chiese di Verona,
V, P. L, pag. 14; JAFFE,
Regesta RR. PP., Num. 471 (CCCLVI), vol. I, pag. 516, il quale dice
questa bolla « certe genuina». data nel settembre 1025, e memorata poi da
Aless. III, presso BIANCOLINI, Op. cit., pag. 17. Non fu dunque data da Giovanni X (914-918),
come opinava CIPOLLA, Miscell. di storia ven., II, 114.
5 - UGHELLI, Italia
sacra, V, 704; MIGNE, Patrol. lat., XCVII, 1030; MUHLBACHER, Op.
cit., 402.
6 - BIANCOLINI, Chiese,
IV, 675.
7 - MURATORI, Antiqu.
ital. M. Aevi, V, 939.
8 - Il placito fu
con meravigliosa erudizione illustrato da CIPOLLA, Antichi possessi del
monastero di S. Maria in Organo nel Trentina, in Archivio storico
per Trieste, l'Istria ed il Trentina (Roma 1882).
9 - BIADEGO e
CIPOLLA in Atti del Collegio degli Ingegneri ecc., Anno XIII, fase. 2, (Milano 1880).
10 - SIMEONI, La
Basilica di S. Zeno in Verona, pag. 43.
11 - Presso
BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag. 93.
12 - Così la Translatio
presso BIANCOLINI, Op. cit., pag. 92.
13 - Molti di
questi atti di trovano presso BIANCOLINI, Op. cit., pag. 92. 14 SIMEONI,
Guida di Verona, pag, 133, seg.
15 - BIANCOLINI, Chiese,
II, 400, reca l'atto di fondazione (15 maggio 744) scritto da Bonoso
arcidiacono e sottoscritto dalle due sorelle fondatrici e dal vescovo
Sigeberto. Lo riporta pure TROYA, Cod. diplom. long., Num. 577.
16 - Presso
BIANCOLINI, Chiese II, 403.
17 - DIONISI, De
duobus Episcopis ... Docum. XXIV, pag. 128.
18 - UGHELLI, Italia
sacra, Tom. V, col. 716.
19 - MURATORI, Antiqu.
ital. M. Aevi, VI, 63; BIANCOLINI, V. P. I. 49.
20 - MURATORI, Op.
cit., Tom. V. 936; DE RUBEIS, Monum. Eccl. Aquil., Num, Vedi SIMEONI, S. Maria di Gazzo in L'Arte
XII, 313 (1909).
21 - Forse la
chiesa risale ai tempi dei Longobardi, che avevano molta devozione per
l'arcangelo S. Michele.
22 - Presso
FINETTI, L'antico monastero delle benedettine a S. Michele di
Campagna, pag. 4, segg.
23 - L'atto dato
a Pavia il 16 luglio dell'anno I del regno di Carlo in Italia (775) si trova
presso BIANCOLlNI, Chiese, IV, pag. 499; ORTI, La Penisola di
Sirmione, Docum. VII, (Verona 1856).
24 - ODORICI, Codice
diplom. Bresciano, II, 41, Num. 27; ORTI, Sermione, Docum. VIII.
25 - MURATORI, Antiqu.
Ial., VI., 343; ORTI, Docum. XI.
26 - ORTI, Serrnione,
Docum. XIII.
27- MARAI, Notizie
istor. dei due santi romiti Benigno e Caro, (Verona 1769); il quale
riporta pure ed accetta i racconti della merla, delle rape e del mantello; TOBLlNI,
Memorie storiche sopra la vita dei santi eremiti Benigno e Caro (Milano
1844); CHIEREGATO, Per la XI
ricorrenza ecc. (Verona 1909).
28 - SPAGNOLO, Tre
calendarii medioevali, Nota 48: pag. 66.
29 - MARAI, Op.
cit., pag. 46.
30 - RATHERII, Opera
(Edit. Ballerini), col. 401.
31 - Presso
PEREGRINUS DE PEREGRINI, S, Vitae ss.
aliqu. Veron., Ms. della Biblioteca capitolare CVIIII, 214. Vedi anche MANZONI, Notizie intorno a S.
Metrane, (Verona 1756).
32 - Biblioteca
Capitolare, Cod. CVI, 99. - SPAGNOLO, Tre calendarii medioevali, pag. 28 e Nota 36. - Nell'Ordo
del Carpsum, l'Ufficio e la Messa di S. Metrone sono quelli dei
martiri nel tempo pasquale. - MANZONI, op. cit., pag. 46.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAPO VII (a cura di A. Orlandì )
(a) pag. 209. -
Per le vicende del monastero di S. Zeno nei tempi delle origini si veda: G.
SANCASSANI, Le fonti archivistiche relative al monastero e all'abbazia
di S. Zeno di Verona, in Studi Zenoniani nell'occasione del XVI
centenario della morte di S. Zeno (a cura dell'Accademia di Agr. Sc.
e Lettere di Verona), Verona, 1974, pp.
49-64; E. ROSSINI, Giurisdizioni e proprietà fondiarie del Monastero
di S. Zeno dedotte da documenti pubblici anteriori all'anno 1000, in Studi Zenoniani ecc., cit., pp.
65-168.
(b) pag. 211. -
Tra le fonti documentali utili per l'origine e le prime vicende di questi
monasteri è utile ricordare: V. FAINELLI, Codice diplomatico veronese, vol.
I e II, Venezia, 1940-1943;
L. SCHIAPARELLI - C. BRUEHL, Codice diplomatico
Longobardo, Roma, 1929- 1979, voll. 3 (Fonti per la Storia d'Italia 62, 63,
64);
L. SCHIAPARELLI, I Diplomi di Berengario, Roma, 1903
(Fonti per la Storia d'Italia 35).
Molte informazioni sull'argomento, specialmente di natura
storica, giuridica, economica ed artistica relativamente ai monasteri si possono
trovare nei volumi pubblicati a cura della Banca Popolare di Verona nel 1980 e
1981:
Chiese e Monasteri a Verona, (a cura di G.
Barelli), Verona, 1980; Chiese e Monasteri nel territorio veronese (a
cura di G. Borelli), Verona, 1981; e, vera miniera di notizie sul territorio
veronese, Uomini e civiltà agraria in territ. veronese dall'alto medioevo al
sec. XX (a cura di G. Barelli), tomi 2, Verona 1982.
(c) pag. 214. -
Con la riforma del calendario liturgico promossa dal concilio Vaticano II, la
celebrazione di S. Metrone è stata configurata come « memoria in S. Maria
del Paradiso », ove si conservano le reliquie trasferitevi dalla soppressa
chiesa di S. Vitale.
Cf. Messale proprio della chiesa veronese, Verona,
1981, p. 7 e p. 115.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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