sabato 1 febbraio 2014

MONACHESIMO ED ASCETISMO


Altare dedicato a  San Petronio. Fu innalzato nei primi anni del Seicento per collocarvi l'urna del santo veronese. Verona, Chiesa di Santa Maria al Paradiso



EPOCA II - CAPO VII


SOMMARIO. - Vita monastica - Monasteri di « S. Maria foris porta organi », - di S. Zeno, - di S. Maria « in Solaro », - di S. Pietro « puellarum », - di S. Maria « de Gadio ». - di S. Michele « ad Flexium », di S. Salvatore a Sirmione - Beati Benigno e Caro eremiti - S. Metrone penitente.


Come abbiamo accennato altrove, troppo poco sappiamo sulla vitalità religiosa dei veronesi nel secolo IX.  Abbiamo però alcune memorie, che ci attestano come anche in questo secolo v'erano persone d'ambo i sessi, che attendevano ad una vita conformata almeno nella sostanza ai consigli dati da N.S. Gesù Cristo ai suoi discepoli desiosi di seguire più dappresso le sue orme.

Anzitutto sappiamo che in questo secolo esistevano in Verona e nel suo « comitato» (ossia zona soggetta ad un « comes », conte), alcuni monasteri di religiosi e religiose.

Il monastero di S. Maria « foris porta organo» ha prove non dubbie della sua fondazione nella seconda metà del secolo VI,  forse una quarantina di anni dopo la morte di S. Benedetto (1).  Il Biancolini, dietro Mabillon, afferma che questo monastero fin dai suoi inizii era benedettino. Ed in vero così scriveva di esso Alessandro III nel 1117: « Ordo monasticus, qui secundum Deum et beati Benedicti regulam in eodem monasterio institutus esse dignoscitur ... ».

Allo stesso secolo, secondo il can. Giuliari, appartiene la chiesa dedicata fin da allora a Maria, e forse ne facea parte la cripta sottostante alla parte elevata della chiesa attuale: essa è nominata tra le chiese esistenti « ab oriente» nel Ritmo Pipiniano. Dicesi rifabbricata verso l'anno 860 con una contribuzione di cento lire d'argento data dal vescovo Audone (2).  Il monastero almeno dal principio del secolo VIII fu soggetto alla giurisdizione del patriarca di Aquileia; al patriarca Paolo lo confermò Carlo Magno con diploma 4 agosto 792(3).  Finalmente dopo varie peripezie, il  papa Giovanni XIX nel 1025 lo assoggettò immediatamente al patriarca Poppone, sottraendolo del tutto alla giurisdizione del vescovo di Verona (4).

I re ed imperatori franchi furono larghi di privilegi al monastero. Così Carlo Magno con diploma del novembre 804 concedeva libero transito ai suoi carri e navi per tutto I' impero (5): altri privilegi concessero pure Berengario nel giorno 28 febbraio 889(6).  Ugo nel 12 febbraio 928(7).

Al monastero era pure annesso un ospedale o « xenodochium » fondato verso la metà del secolo VIII dal duca Lupo e sua moglie Ermelinda, lo stesso e la stessa che nel 751 fondarono il monastero di S. Giorgio di Rieti.
Forse fu in vista di questo ospedale, che il monastero trovò generosi benefattori. Dal gastaldo Ildemaro ebbe un pascolo sui Lessini nell'814; dal chierico Lupo, alcune terre in Valpantena, ad Veneres (Vendrì), a Lugo ed a Rosaro;  da un certo Illaro alcuni campi in Porcara, Cantero, Scandole nell'833; dall'arcidiacono Audone alcuni fondi a Sezano e Vendri (845, 960); altre terre per testamento da Engelberto di Erbè nell'846; ecc.
Inoltre il monastero o xenodochium avea, non sappiamo da quale epoca, diritti a prestazioni personali a Tierno, Mori ed Avio nel comitato tridentino. Siccome questi diritti furono contestati, quasi per prescrizione, dagli abitanti di quei paesi nel secolo IX, si tenne  a « Tridento » il celebre Placito da Garibaldo messo del re Ludovico (26 febbraio 845) nel quale fu discussa la controversia, e poi risolta in favore del monastero: v'era presente anche « Audo archidiaconus de Verona »(8).   Nel 907 Giovanni chierico donava al monastero tre ariali (poste da molini) nel luogo detto pons fraetus (9).

Tra gli abati di questo monastero, oltre il fondatore Feroce, troviamo: Andrea nell'atto di fondazione del monastero di S. Maria in Solaro (15 maggio 744),  Gundelberto nel « Privilegio» di Carlo Magno (nov. 804),  Audilberto nell'atto di soggezione di Eufrasia (4 giugno 834), Rodemario nel placito tridentino (26 febbraio 845), Gundalberto nel « Privilegio» di Berengario (28 febbraio 889).

Del monastero di S. Zeno abbiamo certe notizie nel primo decennio del secolo IX. Quando il vescovo Ratoldo coadiuvato dal re Pipino eresse la nuova chiesa di S. Zeno e ve ne fece trasportare le preziose reliquie, affidò la custodia di quel sacro deposito ad alcuni monaci, dei quali non si può dubitare che non professassero la regola di S. Benedetto.
Alcuni dei nostri scrittori opinarono che già in quel luogo preesistesse un monastero di benedettini, e confermano la loro opinione dall'esservi nel chiostro un oratorio ad onore di S. Benedetto, che vorrebbero attribuire ai secoli VI o VII: ma è una semplice congettura, alla quale nessun valore può aggiungere la prova addotta (10).  La celebre Translatio sancti Zenonis dice che i monaci vi furono posti e dotati dal re Pipino e dal vescovo Ratoldo (11).  
Certamente quel monastero prosperò fin dai suoi primordii per il gran numero di monaci e per la loro saviezza e santità; talché si cattivò ben tosto protezione e privilegi dai re franchi e beni donati o lasciati da benefattori privati. Pipino nell'anno 807 donò al monastero di S. Zeno il « monasteriolum sancti Petri de Mauratica cum suis pertinentiis », la chiesa di Sant'Andrea in Caffi con le sue famiglie e monti e selve, la chiesa di S. Zeno presso il lago di Garda (in Bardolino) «cum suis pertinentiis» ed il bosco del Mantico (12).  Questi possessi con altri aggiunti confermava al monastero Ludovico il Pio con atto 19 novembre 815. Lotario I gli attribuì nel 15 gennajo 833 il bosco di Ostiglia.  
Nuova conferma dei suoi privilegi e possessi ebbe il monastero da Ludovico II con atto del 24 agosto 853, e da Carlomanno con atto del 6 ottobre 880.  Largheggiò pure di privilegi e di terre al monastero il re Berengario con atti del 9 novembre 893, 23 agosto 901, e con quello del 4 aprile 904 in cui concedeva libero passaggio alle barche del monastero nell'Adige e nel Po (13).
Altri privilegi e favori furono poi concessi dagli imprenditori sino a Federico II; per i quali il monastero acquistò pure un'importanza politica, avendo giurisdizioni feudali sui paesi di Vigasio, Trevenzuolo, CelIore di Illasi, Pastrengo, Castelnuovo dell'Abate (Affi e dintorni) Chievo, Romagnano, ecc.

La chiesa, eretta dal vescovo Ratoldo e dal re Pipino sotto la direzione dell'architetto Pacifico, si trovava certamente là, dov'è l'attuale basilica; ma essa ebbe molto a soffrire nel secolo X per le invasioni degli Ungheri, quando fu trasportato in città il corpo di S. Zeno; talchè l'imperatore Ottone I nel 967 consegnò una somma al vescovo Raterio per la sua restaurazione. Nulla di essa ci rimane, se non forse qualche elemento nella cripta della Basilica: questa non ebbe principio se non nel secolo XI (14).

Quanto agli abati del monastero, non abbiamo nome alcuno degno di speciale menzione. Nella storia della basilica rimase celebre Alberico, che verso la metà del secolo XI pose la base del campanile, e nel chiostro fabbricò un grande sepolcro per i monaci tuttora esistente (a).

Inoltre abbiamo memorie di almeno due monasteri femminili entro il recinto della città. Il monastero di S. Maria «in solaro », fondato nel 744 dalle due sorelle Auteonda e Natalia, fino ad allora era in qualche modo soggetto all'abate del monastero di S. Maria «in organo» ed insieme con questo alla giurisdizione del patriarca di Aquileia (15).
Da un atto del 4 giugno 854, l'abbadessa Eufrasia era stata consacrata dal troppo celebre patriarca Massenzio e da lui aveva ricevuto l'autorità sopra le altre vergini «per baculum et fune campanae ecclesiae ipsius monasterii ». Con quell'atto, alla presenza di Rodemario abate di S. Maria in organo e parecchi monachi e di Teodomaro legato del patriarca, Eufrasia insieme con le sue monache professava di essere sempre stata e di voler essere  in avvenire soggetta all'abate di S. Maria in organo ed al patriarca di Aquileia (16). Il Biancolini dietro l'autorità del Canobio dice che Eufrasia fu confermata nell'ufficio di abbadessa da Ludocivo II  nell'anno 845.

Secondo il Canobio, fin dall'anno 780 esisteva un altro monastero di vergini presso la chiesa detta allora di S. Pietro « ad puellas» o « puellarum », più tardi « in monastero ».  Da un documento del maggio 968 apparisce che esso era soggetto al vescovo; talchè Raterio per parte dello stesso monastero fece una commutazione di diritti con Leudiberto abate di S. Zeno (17). Da memorie posteriori il vescovo Milone sembra aver assegnato quel monastero all'abbazia di S. Zeno e che in seguito sia stato abitato da monaci benedettini.

Esistevano pure alcuni monasteri nel comitato veronese. Il più antico tra essi è quello di S. Mario « de Gadio » (Gazzo); al quale come apparisce da un atto di Ludovico II, avevan donato possessioni e diritti i re longobardi Liutprando e Ilprando; perciò esisteva già nella prima metà del secolo VIII: tali possessioni e diritti gli confermò poi Ludovico II (18). Allo stesso monastero Berengario donava quanto era di diritto regio nel castello di Gazo (1 agosto 909); inoltre il teloneo e ripatico « in ruviscello », ed altri privilegi (19): allora ne era abate Rodiberto. Altri privilegi concesse pure il re Ugo con diploma 12 febbraio 928; dal quale apparisce che allora il monastero di Gazo era unito a quello di S. Maria in organo, e ne era abate un certo Pietro (20). Da una carta pubblicata da Ughelli si ricava che anche il nostro Audone, arcidiacono e forse vescovo, donò a questo monastero alcuni suo fondi nella valle Pantena.

Benché di rado occorra in atti diplomatici antichi, tuttavia nel secolo IX, e forse prima, esisteva un monastero nella località detta « Flexium » e talvolta « Campanea »; ed insieme con esso una chiesa dedicata a S. Michele (21). Pare che dapprincipio fosse abitato da monache professanti la regola di S. Scolastica, e che lì presso fossero pure alcuni monaci come conversi; una specie di monastero doppio.  
Del monastero femminile così dice una nota manoscritta del sac. B. Campagnola cancelliere vescovile nell'anno 1752: «Dall'anno 807 datano le prime memorie della fondazione del monastero; e nella parte interna della prima chiesa era murata una memoria in pietra che dinotava fosse il primo luogo della chiesa e del monastero »(22).
Dopo l'anno 940 non si hanno più memorie di monaci presso S. Michele: forse si erano trasferiti nel luogo detto Stafulo a Bionde, dove troviamo un monastero di frati fino dall'anno 909.

Anche a Sirmione apparisce fondato un monastero circa la metà del secolo VIII con una chiesa dedicata al SS. Salvatore. Fu eretto da Ansa moglie di Desiderio re dei longobardi; in seguito, dopo cacciati i longobardi dall'Italia superiore, Carlo Magno donò alla chiesa di S. Martino di Tours varie terre, e tra queste « insula cum castro Sermionense, quae est sita in lacu Minciadae,  cum ... monasterio in infra ipso castro, quem Ansa novo opere construxit,  quod est in honore sancti Salvatoris cum omni ejus soliditate »(23).
Da un atto di Lotario I e di Ludovico II 8 settembre 851, questo monastero apparisce congiunto con quello di S. Salvatore di Brescia (24): lo stesso con altro atto del 28 aprile 868 lo donava a sua moglie Angilberga (25): e finalmente Ottone III il giorno 19 gennaio 997 lo confermava al monastero di Brescia (26). In seguito non se ne hanno altre notizie (b).

Non abbiamo documenti di altre istituzioni monastiche: abbiamo però memorie di alcuni uomini santi, che si studiarono giungere alla santità mediante una vita solitaria o con la pratica della penitenza.

Sulla riviera del lago di Garda, presso il luogo allora detto Melsisenum (Malcesine), sulla fine del secolo VIII e sul principio del secolo seguente viveano due santi eremiti, Benigno e Caro(27) . I loro nomi ci dicono che essi erano di origine latina: tra i due apparisce in tutte le memorie, Benigno essere il più anziano di età e maestro nella vita eremitica, Caro esser il più giovane e discepolo del pri-
mo (28); sembra avessero la loro spelonca presso l'antichissima chiesa dedicata a S. Zeno.
Il fatto più importante che si racconta dei due eremiti è la traslazione del corpo di S. Zeno dall'antica cripta umida e poco decorosa alla chiesa edificata ad onore del santo per la munificenza del re Pipino.  
Riferisce la Translatio che, eretta la nuova chiesa, nè il vescovo Ratoldo, nè Pipino, nè altri ardivano toccare le preziose reliquie; perciò, essendo già divulgata anche in Verona la santità dei due eremiti, il re col consenso del vescovo, li mandò ad invitare; vennero e con pompa solenne trasferirono quelle reliquie nella nuova chiesa: il fatto avvenne l'anno 807. Tornati alloro romitaggio, ripresero la loro vita di preghiera e di penitenza: si dice siano morti ambedue nel medesimo giorno 20 luglio di un anno incerto, che potrebbe essere verso l'820. Appena passati ad altra vita, li canonizzò, diremo così, il vescovo Ratoldo: ordinò che fossero sepolti nella chiesa di S. Stefano, e che sull'urna fosse posta questa iscrizione:

SEPVLCRVM SANCTORVM
BENIGNI ET CHARI

Nè minor devozione verso i due eremiti professò il nostro vescovo Tebaldo: nell'anno 1313 volle egli stesso collocare le loro ossa dietro l'altar maggiore. Delle tre iscrizioni, che ivi si trovano, daremo questa soltanto:

Benignus et Carus uterque merito clarus
Sub hoc altari meruerunt digne locari.
Sancti Zenonis Urbis Veronae Patroni
Hi duo transferre reliquias commeruere
Pontifex Thebaldus hos colit atque Rotaldus:
Rotaldus in vita, Thebaldus tumulat ita.

Il culto dei due beati fu confermato con decreto della S. Congregazione dei riti.

A titolo di curiosità, riportiamo quanto dice uno scrittore nostro del secolo XVIII. Presso l'eremo dei due santi conducea vita eremitica una certa Olivetta, come si deduce da un'iscrizione ritrovata sopra l'antico altare nella chiesa di S. Zeno in monte; e l'iscrizione ci dice come Francesco Capello, che fu uno dei fondatori del collegio dei SS. Siro e Libera e degli esecutori del testamento del nostro vescovo Giberti, dedicò quell'altare a Gesù Bambino, a S. Zeno, ai santi Benigno, Caro ed Olivetta, che egli dice sorella (nella vita eremitica) ai due santi: «Santisque  Caro  et  Benigno  atque  Olivetae  fratribus eremi hujus cultoribus  dicavit  Franciscus  Capellus  Veron. a.  Dni MDIV» (29).

Verso la fine del secolo VIII, e fors'anco sul principio del secolo seguente, la chiesa veronese ebbe sotto gli occhi un ammirabile esempio della vita penitente in S. Metrone. Secondo alcuni egli era oriundo della Germania: secondo altri egli veniva dalla Grecia; e parrebbe indicarlo, oltre il suo nome, il genere di penitenza orientale da lui abbracciato. Intorno alla sua vita non abbiamo che poche notizie ed oscure lasciateci dal nostro vescovo Raterio (30), e da una Vita S. Metronis del secolo XV conservata nella nostra Biblioteca capitolare (31).  
Siccome nella sua gioventù avea lasciate libere le briglie alle sue passioni, così volle riparare ai suoi trascorsi con un nuovo genere di penitenza, che egli ottenne dal vescovo o di suo arbitrio impose a se medesimo.  Stretto il piede con una catena, fermò questa con chiave ad una grossa pietra, che era tra la porta della chiesa di S. Vitale posta fuor di porta Organa e quel ramo dell' Adige che era chiamato Aqua morta. Indi gettò la chiave nel fiume. In questo modo condannò se medesimo a vivere lontano dalla chiesa e dalla sacra liturgia e dai sacramenti, esposto giorno e notte a tutte le intemperie delle stagioni, vivendo di quanto a lui portavano i fedeli dei dintorni.
 Perseverò in quello stato ben sette anni; finchè nel ventre di un pesce fu trovata la chiave: allora il vescovo giudicò che Dio fosse già soddisfatto di quella dura e lunga penitenza; accompagnato dal clero e dal popolo venne al luogo ove stava il santo penitente, lo sciolse dalla catena e lo rimise nella comunione della chiesa.
Secondo un antico martirologio veronese fu anche ordinato sacerdote e forse predicò in Verona ed in diversi paesi del comitato veronese e mantovano. Morì santamente il giorno 8 maggio: l'anno incerto: ma parrebbe dovesse essere sul principio del secolo IX. Il suo corpo fu sepolto nella chiesa di S. Vitale, e ben presto ebbe culto in Verona, come appare dal citato martirologio, dagli scritti di Raterio, e dal Carpsum, nel quale al giorno 8 maggio è segnato: «VIII idus maii S. Metronis conf. »(32).

Sennonchè la chiesa di S. Vitale posta fuori della città era assai negletta dai veronesi; e così avvenne che verso la metà del secolo X  i  mantovani, forse anche approfittando dei terrori avvenuti nelle scorrerie degli Ungheri, riuscirono a rubare le reliquie del santo e trasportarle a Mantova.  Il furto avvenne durante una delle due discese di Ottone III a Verona, nei due anni 951 e 961;  Raterio ne dà buona parte della colpa a chi allora era vescovo di Verona, e dove a essere quel  Milone, al quale durante il secondo esilio di Raterio l'arcivescovo Manasse  avea venduto la chiesa di Verona. Questo è quel delitto famoso dei veronesi, contro il quale si scagliò virulento Raterio nella sua Invectiva de translatione  sancti  Metronis.

Sulla fine del secolo il corpo di S. Metrone fu restituito ai veronesi sotto il vescovo  Ilderico od il suo successore Obberto, e di nuovo fu sepolto nella chiesa di S. Vitale.  Nel secolo XV Giorgio dei conti Allegri con suo testamento dal 28 maggio 1476 dispose che nella stessa chiesa fosse eretta una cappella con altare ad onore di S. Metrone.  Nel secolo XVIII il nostro vescovo Giovanni Morosini riconobbe giuridicamente le preziose reliquie e nel 21 agosto dell'anno 1782 le fece trasferire nella chiesa di S. Maria del Paradiso, dove sono venerate anche al presente (c).


NOTE


1 - Vedi questi Cenni stor., Epoca I, Capo XVI, in Bollett. eccles. anno 1916, pag. 154.

2 - BIANCOLINI, Chiese, I, pag. 288.

3 - MUHLBACHER, Diplom. Karol., pag. 235, tra i Monum Germ. (Hannov, 1916).

4 - « JOANNES ... Benedicto Veronensi Abbati ». BIANCOLINI, Chiese di Verona,
V, P. L, pag. 14;  JAFFE, Regesta RR. PP., Num. 471 (CCCLVI), vol. I, pag. 516, il quale dice questa bolla « certe genuina». data nel settembre 1025, e memorata poi da Aless. III, presso BIANCOLINI, Op. cit., pag. 17.  Non fu dunque data da Giovanni X (914-918), come opinava CIPOLLA, Miscell. di storia ven., II, 114.

5 - UGHELLI, Italia sacra, V, 704; MIGNE, Patrol. lat., XCVII, 1030; MUHLBACHER, Op. cit., 402.

6 - BIANCOLINI, Chiese, IV, 675.

7 - MURATORI, Antiqu. ital. M. Aevi, V, 939.

8 - Il placito fu con meravigliosa erudizione illustrato da CIPOLLA, Antichi possessi del monastero di S. Maria in Organo nel Trentina, in Archivio storico per Trieste, l'Istria ed il Trentina (Roma 1882).

9 - BIADEGO e CIPOLLA in Atti del Collegio degli Ingegneri ecc., Anno XIII,  fase. 2, (Milano 1880).

10 - SIMEONI, La Basilica di S. Zeno in Verona, pag.  43.

11 - Presso BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag. 93.

12 - Così la Translatio presso BIANCOLINI, Op. cit., pag.  92.

13 - Molti di questi atti di trovano presso BIANCOLINI, Op. cit., pag. 92. 14 SIMEONI, Guida di Verona, pag, 133, seg.

15 - BIANCOLINI, Chiese, II, 400, reca l'atto di fondazione (15 maggio 744) scritto da Bonoso arcidiacono e sottoscritto dalle due sorelle fondatrici e dal vescovo Sigeberto. Lo riporta pure TROYA, Cod. diplom. long., Num. 577.

16 - Presso BIANCOLINI, Chiese II, 403.

17 - DIONISI, De duobus Episcopis ... Docum. XXIV, pag. 128.

18 - UGHELLI, Italia sacra, Tom. V, col. 716.

19 - MURATORI, Antiqu. ital. M. Aevi, VI, 63; BIANCOLINI, V. P. I. 49.

20 - MURATORI, Op. cit., Tom. V. 936; DE RUBEIS, Monum. Eccl. Aquil., Num,  Vedi SIMEONI, S. Maria di Gazzo in L'Arte XII, 313 (1909).

21 - Forse la chiesa risale ai tempi dei Longobardi, che avevano molta devozione per l'arcangelo S. Michele.

22 - Presso FINETTI, L'antico monastero delle benedettine a S. Michele di Campagna, pag. 4, segg.

23 - L'atto dato a Pavia il 16 luglio dell'anno I del regno di Carlo in Italia (775) si trova presso BIANCOLlNI, Chiese, IV, pag. 499; ORTI, La Penisola di Sirmione, Docum. VII, (Verona 1856).

24 - ODORICI, Codice diplom. Bresciano, II, 41, Num. 27; ORTI, Sermione,  Docum. VIII.

25 - MURATORI, Antiqu. Ial., VI., 343; ORTI, Docum. XI.

26 - ORTI, Serrnione, Docum. XIII.

27- MARAI, Notizie istor. dei due santi romiti Benigno e Caro, (Verona 1769); il quale riporta pure ed accetta i racconti della merla, delle rape e del mantello; TOBLlNI, Memorie storiche sopra la vita dei santi eremiti Benigno e Caro (Milano 1844);  CHIEREGATO, Per la XI ricorrenza ecc. (Verona 1909).

28 - SPAGNOLO, Tre calendarii medioevali, Nota 48: pag. 66.

29 - MARAI, Op. cit., pag. 46.

30 - RATHERII, Opera (Edit. Ballerini), col. 401.

31 - Presso PEREGRINUS DE PEREGRINI,  S, Vitae ss. aliqu. Veron., Ms. della Biblioteca capitolare CVIIII, 214.  Vedi anche MANZONI, Notizie intorno a S. Metrane, (Verona 1756).

32 - Biblioteca Capitolare, Cod. CVI, 99. - SPAGNOLO, Tre calendarii  medioevali, pag. 28 e Nota 36. - Nell'Ordo del Carpsum, l'Ufficio e la Messa di S. Metrone sono quelli dei martiri nel tempo pasquale. - MANZONI, op. cit., pag. 46.


ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAPO VII (a cura di A. Orlandì )


(a) pag. 209. - Per le vicende del monastero di S. Zeno nei tempi delle origini si veda: G. SANCASSANI, Le fonti archivistiche relative al monastero e all'abbazia di S. Zeno di Verona, in Studi Zenoniani nell'occasione del XVI centenario della morte di S. Zeno (a cura dell'Accademia di Agr. Sc.  e Lettere di Verona), Verona, 1974, pp. 49-64; E. ROSSINI, Giurisdizioni e proprietà fondiarie del Monastero di S. Zeno dedotte da documenti pubblici anteriori all'anno 1000,  in Studi Zenoniani ecc., cit., pp. 65-168.

(b) pag. 211. - Tra le fonti documentali utili per l'origine e le prime vicende di questi monasteri è utile ricordare: V. FAINELLI, Codice diplomatico veronese, vol.  I e II, Venezia, 1940-1943;
L. SCHIAPARELLI - C. BRUEHL, Codice diplomatico Longobardo, Roma, 1929- 1979, voll. 3 (Fonti per la Storia d'Italia 62, 63, 64);
L. SCHIAPARELLI, I Diplomi di Berengario, Roma, 1903 (Fonti per la Storia d'Italia 35).
Molte informazioni sull'argomento, specialmente di natura storica, giuridica, economica ed artistica relativamente ai monasteri si possono trovare nei volumi pubblicati a cura della Banca Popolare di Verona nel 1980 e 1981:
Chiese e Monasteri a Verona, (a cura di G. Barelli), Verona, 1980; Chiese e Monasteri nel territorio veronese (a cura di G. Borelli), Verona, 1981; e, vera miniera di notizie sul territorio veronese, Uomini e civiltà agraria in territ. veronese dall'alto medioevo al sec. XX (a cura di G. Barelli), tomi 2, Verona 1982.

(c) pag. 214. - Con la riforma del calendario liturgico promossa dal concilio Vaticano II, la celebrazione di S. Metrone è stata configurata come « memoria in S. Maria del Paradiso », ove si conservano le reliquie trasferitevi dalla soppressa chiesa di S. Vitale.
Cf. Messale proprio della chiesa veronese, Verona, 1981, p. 7 e p. 115.



Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I




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