Affresco del X o
inizio XI secolo: crocifisso con ai piedi la Madonna e san Giovanni, in alto gli arcangeli Michele e Gabrile; precedentemente situato nella chiesa
inferiore, venne recuperato dopo l’alluvione dell’Adige del 1882. CHIESA DI SAN PIETRO IN CARNARIO, VERONA.
EPOCA II - CAPO XII
SOMMARIO. - Chiesa
matricolare - Clero della matricolare - Clero della diocesi - Costumi -
Sacramenti - Usi liturgici - Digiuni - Errori - Chiese, oratori ed ospitali.
Già il Maffei ed
i Ballerini avevano notato come per
conoscere le condizioni di Verona nel secolo X non si abbia fonte alcuna più
copiosa e certa delle opere di Raterio;
Carlo Cipolla aggiunse che esse
costituiscono una delle fonti principali per la storia della cultura italiana
di quell'età. Noi restringeremo le nostre ricerche alla sola città e diocesi di
Verona; ed, oltrecchè delle opere di
Raterio, ci serviremo anche di altri
documenti nostri spettanti al secolo X. Diremo in succinto delle condizioni
religiose; nel capo seguente diremo delle condizioni civili.
Già abbiamo detto altrove che la cattedrale nei secoli IX e
X non era l'attuale, neppure nella sua parte inferiore; ma era altra chiesa
situata nello spazio che è tra essa e la chiesa di S. Giorgio (Sant' Elena): essa pure, come l'attuale, era dedicata
ad onore di Maria Assunta in cielo.
Questa chiesa da Raterio
è detta « Ecclesia mater »: al quale
appellativo risponde pur l'altro più antico « Ecclesia matricularis ... , Ecclesia (S. Mariae) matricularis »:
altrove abbiamo veduto come in documenti del secolo IX era detta « domus sancti Zenonis », e talvolta
semplicemente « domus nostra ... domus »; in più documenti del secolo X è anche
detta « Ecclesia cardinalis »; (1).
Finalmente considerata sotto il suo aspetto spirituale è
detta semplicemente « Sancta Ecclesia
Veronensis ». Questi appellativi indicano l'alta dignità di quella chiesa,
che era la chiesa madre di tutte le altre, l'unica propriamente parrocchiale
della città, presso la quale risiedeva il vescovo, che in essa celebrava i
divini ufficiì, massime nelle solennità principali.
All'ufficiatura ordinaria della chiesa matricolare era
addetto un ceto di sacerdoti e chierici, che in un diploma di Ottone I dato il 9 ottobre 951 è detto
« Veronensis congregatio »(2). I membri di questa congregazione
eran distribuiti in due categorie. Quelli della prima categoria, sacerdoti e
diaconi, da Raterio ed in altri
documenti dei secoli IX e X son detto Ordinarii;
talvolta anche Cardinales
(3): ad essi presiedevano un «Archipresbyter
» ed un « Archidiaconus ».
Il nome canonici
in documenti certi del secolo IX e della prima metà del secolo X non si
trova mai (4). Raterio lo attribuisce agli ordinarii due volte; però in forma
assai espressiva, la quale lascia intravedere che quel nome era allora nuovo, e
volentieri se lo attribuivano gli ordinarii della chiesa veronese (5).
Ad ogni modo questo appellativo « canonici» ha la sua importanza storica. Esso dice che i sacerdoti e
chierici addetti alla chiesa matricolare avean cominciato a vivere la vita
comune, introdotta già da tempo in altre diocesi della Francia e dell'Italia;
vita, che dovea essere conformata ad una regola (canon), dalla
quale eran detti «regulares» o «canonici». Perciò si dicevano canonici i sacerdoti e chierici
«secundum regulam communiter viventes
»(6). Di qui l'argomentazione od
invettiva di Raterio: «Cum canonici
affectent vocari, .. in tantum recusant esse canonici, ut, consuetudinibus
solummodo innitentes, nil, quod canones sanciunt sancti, nedum legere vel
facere, tolerent saltem audire »(7).
Il luogo della comune abitazione si chiamava canonica: questo nome a
Verona ricorre la prima volta nel diploma dato il 9 ottobre 951 Ottone I, col quale riceveva « veronensem congregationem cum canonica
ipsius ecclesiae sub nostri mundeburdii tutelam
»(8).
I membri di questa prima categoria erano « presbyteri et diaconi sanctae cardinalis
ecclesiae »; ai quali presiedevano l’« Archipresbyter
», indi l'« Archidiaconus »; mentre
nei documenti anteriori ordinariamente l'arcidiacono vien prima dell'arciprete.
Oltre gli ordinari o canonici, v'erano i
« presbyteri cappellani »: indi
sette diaconi « de secretario », che
doveano assistere alle ufficiature del vescovo; sette cantori; sette accoliti «de secretario» con altri chierici e
cantori per il coro (9).
La chiesa matricolare, per le beneficenze dell'arcidiacono Pacifico, dei vescovi Ratoldo, Audone, Notkerio e di molti offerenti privati, era
assai ricca di proventi: ma questa ricchezza, massime per la ineguale
distribuzione dei redditi, fu causa di discordie fra i canonici ed il vescovo Raterio, e forse anche contribuì alla
depravazione dei costumi, sia nel clero superiore per la soverchia abbondanza,
sia nell'inferiore della matricolare e delle chiese minori per la eccessiva
penuria. Delle contese fra Raterio
ed i canonici forse tratteremo in uno dei capi seguenti.
In città la sola chiesa matricolare era propriamente
parrocchiale, e ne avea la cura il vescovo (10). Nella diocesi sembrano essere state parrocchiali le chiese
delle comunità di fedeli dette « plebes ».
La prima che si trova nominata in
documenti finora conosciuti è la « plebs
sancti Martini de Gretiana », di cui nell'893 si dice fosse rettore Audone diacono (11): ma nel secolo X doveano essere parecchie.
Raterio riferisce
d'aver conferito « unam ex melioribus
plebem» ad un certo diacono, il quale poi per compenso lo disse « fellonem, bausiatorem, perjurum »(12). Tali «plebes » erano poi moltissime nel secolo XII, come apparisce dalla
Bolla di Eugenio III il 17 maggio
1145(13). I sacerdoti, ai quali erano
affidate le « plebes », si dicevano plebani o de plebibus (a).
Oltre di questi, v'erano altri sacerdoti nella città e nei
suburbi, detti presbyteri titularii o titulati; ai quali Raterio
raccomanda che non devano abbandonare la propria chiesa per andar ad altra « quaestus causa »(14). Lo stesso Raterio ad alcune località dà il nome
di « parochia »; ad esse pure
attendeva qualche sacerdote; benché presso Raterio
non si legga mai il nome parochus,
vi si fa menzione dei « presbyteri
parochiani » e dei loro diritti e doveri; dunque parrebbero veri parroci.
Questo è quanto possiamo dire della gerarchia ecclesiastica
nella città e nella diocesi di Verona.
Quanto ai costumi, già abbiamo veduto quale triste
descrizione ne dà Raterio; il quale,
oltre la « mulierositas »,
attribuisce al clero la caparbietà contro il suo vescovo, l'ignoranza a tal
punto che parecchi sacerdoti non sapevano neppure il simbolo degli apostoli,
ecc., ecc. Ma speriamo che Raterio esageri.
La corruzione e l'ignoranza del clero naturalmente aveano le
loro funeste conseguenze nei fedeli: «Causa
perditionis totius populi mihi commissi, commanentes illi sunt clerici ».
In particolare deplora Raterio la
profanazione dei giorni festivi, sia nella città, sia nella campagna: tra le
altre raccomandazioni ai sacerdoti titolari v'ha pur questa, che nella domenica
facciano venire alla Messa «porcarios et
alios pastores »(15). Troppo
acerbo poi è il rimprovero che egli muove ai veronesi: « Quid vulgus veronense non audet? »(16).
Nella storia ecclesiastica tengono un posto importante gli
usi liturgici, anche per la ragione che essi indirettamente ci rivelano le
credenze. Daremo brevi cenni intorno ai sacramenti.
Il battesimo ordinariamente non si conferiva se non nelle
due vigilie della Pasqua e della Pentecoste: questo era detto il battesimo
generale o solenne, con le unzioni mediante il crisma benedetto dal vescovo
nella feria quinta in coena Domini.
Fuori delle due vigilie non si
potevano battezzare che i bambini che si trovassero in pericolo di morte (17).
La cresima era conferita unicamente dal vescovo; talmente
che Raterio deplora che i suoi
chierici gli avessero tolte tutte le facoltà, tranne quella di fare il crisma e
« chrismandi ».
L'Eucaristia si conservava nelle chiese in un vasetto detto
« buxida », e ciò per gli infermi.
Quando alla comunione, certo non si facea che rare volte: Raterio la dice prescritta tre volte
all'anno; Pasqua (la distribuiva il vescovo); Pentecoste, Natale: in altro
luogo la dice prescritta anche nel giovedì santo; ma probabilmente è la stessa
prescritta per la Pasqua.
Alcuni sacerdoti celebravano ed anche alcuni fedeli si
comunicavano ogni domenica. Raterio loda quest'uso; purchè alla domenica si
premetta un santo sabbatum,
cioè « quiescamus ab operibus malis
et vacemus divinis obsequiis »: ed un santo parasceves, cioè « probet seipsum homo ».
Alcuni sacerdoti celebravano ogni giorno (non sembra che
parli dei fedeli); e Raterio non
avrebbe nulla a ridire, se nulla avesse a temere sull'onestà del vivere, per la
quale teme «ne, dum putant se comedere
Agnum, comedant hircum »(18). Il
sacerdote nel dare la comunione al fedele diceva: « Corpus D. N. Jesu Christi propitietur tibi in vitam aeternam »(19); ed il fedele baciava la mano al
sacerdote. Non pare che i fedeli si comunicassero mai fuori della messa;
giacchè l'eucaristia si conservava bensì
nella buxida, ma « ad viaticum infirmis ».
Per il sacramento della penitenza l'epoca più opportuna era
la quaresima: perciò Raterio
ordinava ai sacerdoti che ne parlassero ai fedeli nella feria quarta avanti la
quaresima, ossia nel mercoledì delle Ceneri. Più che la frequenza, Raterio
raccomanda che si faccia con vero dolore ed efficace proposito; per la
deficienza di questo, mostra di dubitare sulle confessioni dei suoi chierici e
dei fedeli.
Dell'estrema unzione non abbiamo che un cenno nella Synodica; dove Raterio raccomanda ai sacerdoti che
conoscano bene « ordinem ungendi infirmos », e che sappiano almeno legger
bene « orationes eidem necessitati
competentes ».
Sulle sacre ordinazioni insiste che devano farsi dal vescovo
proprio e legittimo: se qualche ordinando fosse di altra diocesi, doveva
presentare le lettere commendatizie, « quas
formatas vocant »(20). Deplora
che alcuni fossero stati ordinati da Milone
ancor giovanetti, alcuni troppo poveri, altri « pro quaestu », Insiste perchè i sacerdoti vivano od almeno vestano
da sacerdoti, deplorando che taluni non si distinguano dai secolari, se non « barbirasio et corona »(21).
Il matrimonio dove a farsi « publice celebratis nuptiis ». Non si facea nel tempo della quaresima. Quanto
all'uso, Raterio insiste che i coniugati se ne astengano nei giorni più sacri:
venti giorni dopo il Natale, le ottave di Pasqua e Pentecoste, le rogazioni, le
vigilie delle solennità, le notti tra il sabato e la domenica; e così pure nei
tempi di digiuno.
Diremo anche di alcuni usi liturgici. Due erano le solennità
principali: Pasqua e Pentecoste. In esse il vescovo celebrava solennemente la
messa nella chiesa matricolare; vi teneva sermone e distribuiva la comunione ai
fedeli. Nel giovedì santo il vescovo riconciliava i penitenti; benediceva il
crisma per il battesimo e la confermazione; nella messa solenne distribuiva la
comunione; indi lavava i piedi ad alcuni poveri. In tutte le domeniche prima
della Messa si doveva fare la benedizione dell'acqua: la benedizione del fonte
battesimale si faceva nelle due vigilie di Pasqua e Pentecoste, nelle quali si
conferiva pure il battesimo generale.
Il digiuno si doveva osservare in tutta la quaresima, nelle
quattro settimane antecedenti il Natale, e nei giorni delle litanie o
rogazioni. Ordinariamente nei giorni festivi non si digiunava; perciò in
quaresima non si doveano celebrare altre festività, che quelle di Maria, degli
apostoli o di qualche santo il cui corpo « in
eadem parochia iacet »(22). Per
la stessa ragione ad alcuni piaceva poco il digiuno nei tre giorni delle
rogazioni, che scadono nel tempo pasquale; ma ciò nonostante Raterio insiste perchè si digiuni (23). Il digiuno cessava all'ora di nona (24); ma alcuni preferivano protrarlo
fino a sera tarda; perché così, cessato il lavoro, « nocte, quasi cum licentia ventrem valeant ingurgitare »(25) (b).
Aggiungeremo pure un cenno sopra alcuni errori, che, a
quanto riferisce Raterio, serpeggiavano nella diocesi di Verona.
Primo fra questi è l'Antropomorfismo,
eresia antica che attribuiva a Dio un essere corporeo, restaurata, come
dice Raterio, da alcuni sacerdoti
vicentini nostri limitrofi; accenna
esser quell'errore penetrato nella nostra diocesi od esserne infetti alcuni
sacerdoti (26). Da un'allusione di Raterio pare che serpeggiasse tra noi il gravissimo errore,
restaurato poi dai protestanti, che ai battezzati per conseguir la salute eterna
basti la fede; così pur l'altro, che attribuiva direttamente od indirettamente
ad influsso diabolico i fulmini, la grandine e simili disastri.
Singolare del tutto ed erronea nella sua base era la
devozione dei veronesi verso l'angelo S.
Michele. Vicino alla «porta S.cti
Zenonis », ora porta Borsari,
era una chiesa dedicata a S. Michele,
e ad essa accorrevano i veronesi in ogni feria
seconda (lunedì) per ascoltarvi
la Messa; la ragione, a quanto dice Raterio,
di questa scelta del lunedì era l'opinione diffusa tra noi che in ogni feria
seconda l'angelo S. Michele in cielo
canta la Messa. «Secunda, inquiunt,
feria Michael Archangelus Dei missam celebrat. O caeca dementia! Apud nos
primam vel secundam feriam nonne facit solis ortus et eius occubitus? Et quis
est alius sol in coelo, nisi sol justitiae? ... Si carnem et ossa non habet
spiritus, unde habet linguam, unde guttur, unde pulmones, un de quatuor
anteriores dentes, ... quibus Michael missam canere dicitur? etc. ». E,
siccome parecchi contro queste ed altre invettive brontolavano, Raterio ne fece in altro sermone
un'apologia di stile rateriano puro (27).
Chiuderemo questa recensione sin ottica coll'accennare quel
po' di bene, che troviamo a Verona nel secolo X. Oltre l'ospitale fondato dal vescovo Notkerio, ne troviamo un secondo
fondato nel 937 dal diacono Dagiberto
con un « oratorium sanctae Dei
genitricis Virginis Mariae et sancti Martini et sancti Sebastiani... non longe
ad portam sancti Firmi »(28); al
quale l'imperatore Ottone I concesse
il privilegio del mundeburdium con
diploma del 9 ottobre 951 (29).
Oltre la chiesa di S.
Salvatore « in Curte Regia» e l'oratorio di S. Siro, in documenti di
questo secolo troviamo nominati gli oratori i di S. Cecilia, di S. Lucia, e forse qualche altro, che non si trovano
nominati in documenti dei secoli antecedenti. La chiesa di S. Maria Consolatrice certamente esisteva in questo secolo, e
probabilmente apparteneva al principio del secolo IX. La chiesa di S. Pietro in Carnario fu
fatta erigere dal conte Milone nel 955 presso il luogo, dove già dall'epoca
romana esisteva un Carnarium, forse
macello o cimitero od ossario privato. Vi è un affresco giudicato del secolo X (30).
NOTE
1- BIANCOLlNI, Chiese di Verona, Lib. Il, pag. 697,
seg. E' un atto di donazione fatta dal
diacono Dagiberto il 21 dicembre 932.
2 - Presso DE DIONYSIIS, De AIdone et Notingo, Dipl. XX,
pag. 120; SIKEL, Diplomata Regum et Imp. Germ., I, pag. 217 (Hannov.
1884).
3 - RATHERIUS, Opera
col. 445, 447, 563. Vedi BALLERINI,
col. 445, Nota 27, e col. 447, Nota 31.
4 -Si trova nell'atto del vescovo Ratoldo 813, quale fu
edito da UGHELLI, Italia sacra, Tom. V, col. 707. Ma quell'atto in quella forma è tutt'altro che
certo: nella sua forma autentica fu pubblicato da MAFFEI, Istoria teolog., Append.
pag. 95. - Ne tratteremo altrove.
5 - RATHERIUS, Praeloqu.
V. 29, De clericis sibi rebell. 1. - Opp. col. 164, 480.
6 - La voce Canonici
in questo senso si trova per la prima volta negli Statuta S. Bonifacii
II, 12, 25, e nel Concilio di Verneuil del 755. Vedi MURATORI, Antiqu. Medii Aevi, Dissert. De Canonicis, V, 163
seqq.
7 - RATHERIUS, De
clericis sibi rebellibus, Num. 1.
8 - Presso DE
DIONYSIIS, loc. cit., e Dipl., XXXI, pag. 147. - Di questo
privilegio tratteremo nel capo seguente.
9 - Vedi
BALLERINI, Rath. Opera, col. 471, Notae 5, 6, 7.
10 - In nessuna
città, fuorchè forse in Alessandria e Roma, esistevano chiese parrocchiali e
parroci in senso proprio, prima del secolo XI. Vedi BOUIX, De parocho, Pars
I, Sectio I, pag. 4-81 (Parisiis
1855).
11 - Presso
BIANCOLlNI, Chiese di Verona I, 176; BALLERINI, Rath. Op., col. 563,
Nota 11.
12 -RATHERIUS, Epist.
XIII ad Ambrosium, Num. 2, col. 563, Nota 11.
13 - Presso
BIANCOLlNI, Chiese ... I, 193-197.
14 - RATHERIUS, Synodica,
Num. 9; Itinerarium, Num. 7, col. 447, ed ivi BALLERINI, Nota 31.
15 - RATHERIUS, Synodica,
Num. 11, col. 418.
16 - RATHERIUS, Epist,
ad Ambrosium, Num. 4. 360, 361, 413; BALLERINI nelle Note relative.
17 - RATHERIUS, Synodica,
Num. 10. - Vedi BALLERINI col. 417, Nota 31.
18 - RATHERIUS, Synodica,
Num. 4,5. Op. col. 412, seg. Vedi
anche col. 259, 360, 361, 413; BALLER. nelle Note relative.
19 - RATHERIUS, Sermo
de Pascha II. - Vedi BALLERINI, col. 616, Nota 7.
20 - RATHERIUS, Synodica,
Num 12.
21 - RATHERIUS, Proeloqu.,
V, 18, De contemptu canonum, Num. 2.
22 - RATHERIUS, Synodica,
Num. 15. - Vedi BALLERINI, Nota 53, col. 422.
23 - RATHERIUS, Sermo
De Ascensione Domini, I. Num. 2.
24 - RATHERIUS, Synodica
15. - I BALLERINI nella Nota 48 (col. 420) dimostrano esser questa
la più antica testimonianza della cessazione del digiuno all'ora nona.
25 - RATHERIUS, Sermo
II, De Ouadragesima, Num. 6.
26 - RATHERIUS, Sermo
II, De Quadragesima, Num. 29, 30.
27 - RATHERIUS, Sermo
II, De Quadrag., Num. 35, e Contra reprehensores sermonis ejusdem, col.
601. Questa apologia meriterebbe d'esser riferita per esteso: del resto da
altri documenti risulta che anche altrove la devozione ai santi angeli era
connessa col giorno lunedì. Vedi MURATORI, Liturgia Romana, II, pag.
386.
28 - Presso
BIANCOLINI Chiese di Verona, Lib. I, pag. 697.
29 - Presso DE
DIONYSIIS, De Aldone et Notingo, Dipl. XX, pag. 120; SIKEL, Diplom
... I, pag. 217.
30 - BIANCOLINI, Chiese di Verona, II, 717, seg.; DA
PERSICO, Verona e la sua provincia, pag. 99.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XI (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 253. -
Per quanto riguarda le pievi, si veda: G. FORCHIELLI, Una « plebs
baptismalis cum schola iuniorum » a S. Giorgio di Valpolicella nell'età
longobarda, Urbino, 1927; G. FORCHIELLI, La pieve rurale. Ricerche sulla
storia della costituzione della chiesa in Italia e particolarmente nel
veronese, Verona, 1931.
(b) pag. 256. -
Per utili raffronti sugli usi liturgici del Medioevo si vedano: RIGHETTI, Storia
liturgica, Milano, 1959-1966, vol. 4; e per argomenti specifici il Dictionnaire
d'Archélogie Chrétienne et Liturgie (sous la direction de H. Leclercq et F.
Cabrol), Parigi, 1924-1953.
Fonte: srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI
STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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