Affreschi del X -XI secolo, proveniente dal sacello
dei Santi Nazzaro e Celso sotto il monte Costiglione o Castiglione, dietro l’attuale chiesa di San Nazzario e
Celso. Attualmente si trovano al museo
degli affreschi di Verona
EPOCA II - CAPO XIII
SOMMARIO. - Importanza
della città di Verona - Sua annessione al regno germanico - Preludi
all'indipendenza comunale - Privilegio del « Mundeburdium » - Potere dei
vescovi - Privilegi della chiesa veronese - Concessione ad alcuni uomini di
Lazise - Gli « urbani » veronesi giudici in una causa contro il vescovo Raterio
- Invasione degli Ungheri - « Iconografia rateriana » - Quale fosse Verona -
Cinte murali - Cultura letteraria - Scuola calligrafica - Inizii della Lingua
italiana - Alcuni affreschi.
Sotto questo appellativo « condizioni civili », intendiamo comprendere tutte quelle, che per
sè sono estranee alla religione; spettanti sia alla politica od alla
topografia, sia alla cultura letteraria ed artistica, ecc.
Sotto l'aspetto politico il secolo X è uno dei più importanti
nella storia di Verona; sia, perchè in essa ed attorno di essa si svolsero
molteplici e varie vicende di lotte politiche: sia, perché in tal secolo essa acquistò una specie di
preminenza sulle altre città dell'Italia superiore, ed in essa si radicarono
quei germi di autonomia comunale, che ebbero poi il loro completo sviluppo nei
secoli posteriori.
Verona ripete i primordi della sua importanza fra le città
del regno italico dal re Berengario I,
che la ebbe a sua residenza ordinaria, e l'avrebbe resa prospera e forse, se il
suo regime non fosse stato turbato da nemici e da fedifraghi amici. Ucciso Berengario
(924), Verona fu quasi il centro di nuove lotte fra varii principotti, Ugo di Provenza, Milone, Rodolfo, Lotario,
Arnolfo.
Sperava di goder un po' di pace, quando venuto a Verona nel 950 Berengario II, e bene accolto dai veronesi memori delle benemerenze
del suo zio, riuscì ad impossessarsi del regno d'Italia, e farsi coronare re
insieme col figlio Adalberto in S. Michele di Pavia (15-20 dicembre
950).
A rassodare la sua
posizione Berengario tentò di fare sposa a suo figlio Adalberto la giovane Adelaide,
vedova di Lotario, che era morto il
22 novembre 950, forse avvelenato per ordine di Berengario. Deluso nei suoi tentativi, perseguitò l'infelice
Adelaide e la fece rinchiudere nella rocca di Garda (1): indi nuove sommosse degli italiani, che chiamarono in Italia Ottone re della Germania. Questi si
impadronì facilmente del regno d'Italia, e lo affidò allo stesso Berengario ed al figlio Adalberto con la condizione che lo
riconoscessero come in feudo da Ottone
e gli giurassero fedeltà. Ne tolse però
l'antica Marca foroiuliese e con
essa anche Verona, che diede al
proprio fratello Enrico duca di Baviera:
questa, secondo i Ballerini, sarebbe
l'origine della Marca veronese, la
quale avrebbe così sostituita la tridentina (2): primo duca o marchese fu Enrico
figlio di Ottone nel 952.
Ottone scese una seconda volta in Italia nell'agosto
dell'anno 961; e, superata l'opposizione fattagli da Adalberto alla Chiusa,
si fece coronare con la corona ferrea a Pavia
verso la fine del 961. Così l'Italia superiore e, con essa Verona, fu annessa
definitivamente alla Germania.
Questa annessione, che a prima vista e secondo gli odierni
ideali parrebbe un servaggio, fu per i veronesi la restaurazione della pace, il
primo inizio di libertà, anzi un preludio a quella autonomia, che si maturò poi
all' epoca dei comuni nei secoli XII e XIII.
Ottone I, principe religioso, quanto valente in guerra,
altrettanto savio e prudente in pace, non volle fare Verona tedesca, ma più italiana di prima, e seppe cattivarsi la
stima e l'affetto dei veronesi, usando la sua naturale fierezza per restituire
anche a Verona quella tranquillità
dell'ordine, in cui consiste la pace. Anzi, ed egli ed i due Ottoni suoi successori con ampie
concessioni e privilegi appianarono lentamente la via a libertà sempre
maggiori. « L'unione di Verona con una
provincia tedesca non trasformò la popolazione cittadina: anzi quasi si
potrebbe dire che la stessa fusione politica fosse in certo modo piuttosto
nominale, che effettiva »(3).
Questa fusione fu poi confermata da Ottone
II, quando nella dieta dei Grandi tenuta
a Verona nel giugno 983 fece
eleggere a re di Germania e d'Italia
suo figlio Ottone (III).
Il primo privilegio che troviamo concesso da Ottone I ad alcune comunità di
Verona, è il « Mundeburdium
». A quanto riferisce Raterio, esso era « quoddam genus regalis tuitionis; quod qui habuerit, speciali quodam
privilegio ita regia tuetur (passivo) auctoritate, ut nec vi nec iudicio
aliquid etiam in culpa reprehensus ab aliquo patiatur, antequam in praesentia
eiusdem maiestatis audiatur »(4).
Era adunque una esenzione dai duchi o
marchesi od altri rettori di Verona, un diritto di essere giudicati direttamente
dall'imperatore o da un messo imperiale.
Nei documenti conosciuti troviamo concesso questo privilegio
a tre comunità di Verona con diploma del 9 ottobre 951; ai canonici di Verona
ed a due ospitali: « Nos ... veronensem
congregationem cum canonica ipsius ecclesiae sub nostri mundeburdii tutelam
accepimus; ... nec non et illa duo xenodochia, unum quod obtulit Notkerius
sanctae ipsius ecclesiae episcopus; aliud quod obtulit Dagibertus diaconus;
unum quod nominatur State, aliud quod est infra ipsam urbem cum ecclesia sancti
Sebastiani; et omnia illuc aspicientia inibi confirmo eo tenore, quo sub
nostrae permaneant aula defensionis, nostraeque providentiae immunitate
perpetua; prohinde volumus ut nullus iudex publicus aut ulli iudiciaria
potestas aliquam his exerceat potestatem in vicis aut in castellis aut in
libellariis ... »(5). Lo stesso privilegio concesse Ottone I al monastero di S. Zeno con diploma del 3 dicembre 961 (6).
L'imperatore Ottone I
si studiò pure di accrescere il potere ai vescovi, opponendoli così ai principi
secolari, in mano dei quali lo stato era piombato nell'anarchia (7). Con diploma del 5 novembre 967
concesse al nostro vescovo Raterio
il «mundeburdium», accennando che
già lo aveano anche altri vescovi. Con
lo stesso diploma concesse alla chiesa veronese, e perciò a Raterio e suoi successori, intiera
giurisdizione sulle terre e castelli proprietà della chiesa veronese, con diritto di giudicare i coloni che vi
abitassero, in guisa che nulla in dette terre e castelli comandassero nè i
viscontinè gli sculdascii: confermò pure ai vescovi di Verona il diritto di
teloneo sulle due porte di S. Zeno e
di S. Fermo, due porzioni del
ripatico di Verona e tutto quello
del castello di Porto presso Legnago (8).
Il nostro Cipolla dà
molta importanza ad un diploma di Ottone
II, dato il 7 maggio 983(9). Quel diploma accordava diritti e favori ad
alcuni uomini che abitavano nella terra e nel castello di Lazise sul lago di Garda:
il Cipolla vi riconosce nientemeno
che l'organizzazione di una forma qualsiasi di governo popolare in quel
villaggio, dove mancavano i vincoli del governo ufficiale; vi vede una prima
apparizione di Comune (10) (a).
Una tal quale apparenza di assemblea popolare si ha pure in
un fatto, a dir vero, poco onorifico per Verona. Ad un processo mosso contro il vescovo Raterio,
sotto la presidenza del conte Nannone,
quale messo imperiale, furono chiamati i cittadini «urbani »: non quali testi, ma quali giudici. « Ipsa beati Pauli Apostoli solemnitate pene tota civitas affuit », Alla
domanda di Nannone « Quid vobis videtur,
de isto prato, quem exaratum videtis? Responderunt omnes: Pessime ... Quid
iudicatis de ista domo (la residenza vescovile), quam sic destructam videtis? -
Culpa est episcopi - omnes respondent ... »(11). In questa forma di procedere il Cipolla vede un fatto
sintomatico, una preparazione all'assemblea comunale.
Abbiamo detto che questa assemblea è un fatto poco onorifico
per Verona: i veronesi, chierici e
laici, giudicano e condannano il loro vescovo. Raterio
qualifica questo giudizio per una usurpazione dei diritti di Dio. Mentre
dovevano rispondere: « Quid ad nos? Hoc
penes omnes homines ipse efficit Deus », essi, gli « urbani... porcino magis universi concrepaverunt stridore ». Questo
insulto del « vulgus veronense », commesso il 30 giugno del 968, indusse Raterio ad abbandonare definitivamente
Verona sulla fine del luglio seguente od al principio dell'agosto; lasciando
così la sede di Verona a Milone, che l'avea usurpava nel 951.
Per altro la memoria di Raterio
fu più tardi rivendicata nel concilio
tenuto a Reims verso l'anno 991; nel
quale furono abrogati tutti i decreti, « quae
circa Ratherium Veronensem Episcopum provenerunt ».
Dal complesso di questi fatti apparisce come non senza
ragione fu detto essere stato Ottone I
il fondatore dei nostri comuni: egli
iniziò quella serie di atti e di provvedimenti, che nel loro svolgimento
naturale dovevano più tardi condurre alla vita vigorosa dei comuni.
Per completare questa breve relazione sulle condizioni
politiche di Verona, aggiungeremo come i suoi suburbi furono in quest'epoca più
volte molestati dalle scorrerie degli Ungheri
(negli anni 899,906, 924, e forse 951), e ne rimasero assai danneggiate le
chiese di S. Zeno, S. Procolo, S. Fermo,
S. Nazaro (12). Per evitar una profanazione e forse un furto
del corpo di S. Zeno, questo fu allora trasferito nella chiesa di S. Maria Matricolare, donde tornò ben
presto alla sua basilica (13).
A riparare i danni di quella basilica concorse l'imperatore Ottone I, rimettendo a tale scopo una
somma nelle mani del vescovo Raterio
(14). nche queste incursioni degli Ungheri
indirettamente giovarono per favorire gli inizii di indipendenza; poiché i re e
gli imperatori permisero ai vescovi, ai canonici, alle plebi, di fabbricare
mura e castelli per difendere i loro diritti e proprietà dagli Ungheri. Così sorsero i castelli e le torri di Caldiero, Montorio, Monteforte, Nogara,
Cerea, Porto e Legnago (15).
Per la topografia di Verona nei secoli IX e X è della
massima importanza la così detta « Iconografia
Rateriana ». Fra i preziosi tesori di memorie veronesi raccolti
da Scipione Maffei nel suo viaggio
scientifico in Francia, nel Belgio, in Germania (1732-1736), si trova un codice del monastero di Lobes contenente molti manoscritti di
origine veronese, probabilmente colà trasportati da Raterio nel suo ultimo ritiro da Verona nell'agosto 968. In
un catalogo di questi manoscritti, tra gli altri titoli si trovava questo « Civitas Veronensis depicta ».
In seguito l'abate Teodolfo di Lobes,
dietro istanza del Maffei, gli
trasmise una copia di questa Civitas
Veronensis depicta: altra copia per mezzo di un mercante di Aquisgrana se ne procurò il Biancolini dall'abate Dubois nel 1752.
Così ne vennero a Verona
due copie; mentre l'originale perì, quando l'archivio del monastero di Lobes andò distrutto sulla fine del
secolo XVIII. Ora ne abbiamo due riproduzioni, rare ambedue. Il Biancolini pubblicò nel 1757
quell'iconografia secondo la copia che egli se ne avea procurata direttamente
(16): il Cipolla pubblicò la copia del Maffei
nell'anno 1901 in un periodico scientifico di Roma (17).
Tra i nostri eruditi si disputò sull'epoca di questa
iconografia.
Il can. Dionisi
la volea connessa e contemporanea ai Versus
de Verona; e perciò la attribuiva al principio del secolo IX (18): il Cipolla
la vuole di molto posteriore; secondo lui, appartiene alla fine del secolo IX,
e forse ai primi decenni del secolo X: perciò sarebbe di poco anteriore a Raterio (19): certo è anteriore all'anno 915, perché vi manca la chiesa di S. Siro. Secondo alcuni sarebbe opera
di Raterio: secondo altri, Raterio la copiò o la fece copiare e la
inserì nel codice, che egli portò poi al monastero di Lobes (20).
L'iconografia in forma rozza e grossolana ci presenta Verona quale era in quell'epoca, veduta
presso a poco dal punto dove ora si trova la Cittadella. Alla sommità del
colle a sinistra dell'Adige sta una
chiesa con la scritta « Ecclesia sancti
Petri »: alla quale si ascende per una scala angolosa con la scritta « gradus ». A destra (di chi guarda) e un po' sotto, un
fabbricato « Arena minor »: indi un
altro « Palatium ».
Più lontano, presso a poco dove ora si trova la chiesa di S. Zeno in Monte, sta una fabbrica
rotonda con la scritta « Orfanum ». Su questo titolo hanno pur disputato i nostri:
alcuni lo vorrebbero un errore per «organum
», arsenale (come dicono alcuni), che certo esisteva in questi dintorni: ma non
v'è dubbio che l'originale avea «orfanum
»; il Biancolini congettura che fosse una specie di orfanotrofio.
Il fiume (Atiesis nella
copia di Biancolini, Athesis in quella del Maffei) sbocca da una testa barbata: su
di esso sta il « Pons marmoreus
», l'unico allora esistente, perché del ponte Postumio non rimanevano che l'appellativo del posto « Pons fractus ».
Sulla destra dell'Adige
sta l'anfiteatro con la scritta « Theatrum
», ed una fabbrica rotonda « Horreum ».
Secondo il Biancolini vi sarebbero rappresentati due recinti di mura (romane e
teodoriciane), cinque porte, la residenza vescovile, gli archi del foro, e
dieci chiese oltre quella di S. Pietro.
Secondo le Memorie
storiche sulle chiese di Verona premesse allo Stato personale, verso la
metà del secolo X esistevano in Verona quarantotto chiese: ma non sappiamo su
quali documenti sia basata questa asserzione (b).
Attorno ai lati del panorama
stanno questi distici:
De summo montis castrum prospectat in urbem
Dedalea factum arte viisque tetris.
Nobile, praecipuum, memorabile, grande theatrum
Ad decus exstructum, sacra Verona, tuum.
Magna Verona, vale: valeas per saecula semper
Et celebrent gentes nomen in orbe tuum!
Crediamo che questi pochi cenni bastino per far comprendere
la somma importanza storica di questo documento felicemente dopo otto secoli
ricuperato dai nostri Maffei e Biancolini (21).
Biancolini,
basato sulla iconografia ed altri documenti di quell'epoca si studia di
ricostruire la Verona dei secoli IX
e X, massime in riguardo alle sue cinta murali (22).
Sulla destra dell'Adige,
le mura dette di Gallieno dall'Adige venivano fin presso la chiesa
attuale di S. Nicolò; indi piegando
ad angolo retto tornavano all'Adige
passando presso la chiesa attuale di S.
Sebastiano: ad esse apparteneva la Porta
S. Zenonis (Borsari), detta così dal vicino Palatium S. Zenonis.
Un po' più estesa era la cinta delle mura di Teodorico: dall'Adige tra la chiesa di S.
Micheletto e quella di S. Lorenzo
procedevano parallele alle prima inchiudendo il theatrum (23); indi parallele alle prime andavano
all'Adige; ad esse apparteneva la Porta S. Firmi. Se
a questa porta apparteneva il così detto Arco
dei Leoni, le mura non dovrebbero essere di Teodorico, ma romane; perché romano è quell'arco. Del resto molto
si è discusso su quell'arco: il Saraina
lo giudicò un arco trionfale; il Maffei
una porta d'ingresso al foro giudiziale; i più lo vogliono una porta della
città (24). Alla sinistra dell'Adige, presso il Pons
marmoreus era la Porta
Romana; e perciò la chiesa di S. Stefano era ancor fuori della
città. Sulla via Postumia vicino alla chiesa di S. Faustino era la Porta
Organi; dalla quale deviava a sinistra il borgo Tascherium (25).
Per quanto spetta alla cultura letteraria, artistica, ecc.,
si avverta che siamo nel secolo di
ferro. Pur tuttavia a Verona
non mancavano scuole: non si ha vestigio di quella istituita per ordine di Lotario nell'825; ma Raterio parla di una scuola per i
chierici esistente in città, forse presso
la cattedrale, e di altre in un monastero e presso persone sagge (26); anzi egli stesso assegnò una
somma, perché i chierici attendendo all'istruzione della mente non difettassero
del necessario per vivere.
Quanto poi alla letteratura profana, Raterio dice Verona «
quondam Platonica Athenis », e
deplora che nessuno dei suoi sapienti abbia celebrato i meriti di S. Metrone, « etsi non metrico, stilo saltem prosaico ».
Accenna pure come già da tempo era costume dei poeti e
scrittori scrivere versi sui muri della città (27).
Di lui
sappiamo che, forse primo tra gli scrittori medioevali, mostrò di conoscere e
leggere i versi di Catullo (28):
anzi recenti scrittori osservano, come Raterio,
cultore appassionato degli studi classici, cita Cicerone, Varrone, Terenzio, Persio, Seneca, Orazio ed anche alcuni greci (29), e si appellano a lui per provare
che gli studi sacri e profani nel secolo X erano tutt'altro che negletti in
Italia (30).
Presso la cattedrale, oltre la « schola sacerdotum », e forse come appartenente ad essa, era anche
in questo secolo una
scuola calligrafica. Nella nostra biblioteca Capitolare si conserva un
bellissimo messale con l'orazione « pro
gloriosissimo rege nostro Ottone », e con una Messa propria di S. Zeno confessore: dunque quel messale
spetta alla seconda metà del secolo X, ed è veronese (31).
I cultori della storia letteraria d'Italia osservano pure
come il secolo X segna nell'uso comune un transito dalla lingua latina alla lingua italiana o semiitaliana (32).
Noteremo alcune parole occorrenti negli scritti di Raterio: Curtinulae per vela aulea, it. cortine; bausiator per bugiardo, o meglio doppione, impostore; puta (sit venia verbo) per donna di mal fare; caballus per
equus; scardus per parcus, d'onde l'italiano
scarso; anzi al testo
di Raterio risponde meglio il nostro
scurso. Facilmente con un po' di pazienza se ne
potrebbero trovare delle altre. – Troviamo
pure forme italiane in alcuni cognomi.
Così quel Giovanni
traditore della causa di Berengario,
a cui fu mozzo il capo nell'Arena
nel 905, era soprannominato Braccacurta.
In un atto scritto a Verona nel 945 troviamo un Lupo soprannominato Suplainpunio, ossia Soffiainpugno. - In un istrumento di
permuta, redatto a Verona nel 977, una « terra
aratoria habet per longum perticas trenta ».
Quanto ad arti, spettano a questo secolo alcuni affreschi.
Nell'antica chiesa di S. Pietro in Carnario,
sotterranea dell'attuale, tra le altre immagini v'ha quella del Redentore Crocifisso con quattro chiodi
e suppedaneo, e con le lettere IC XC sopra due mezze figure di Angeli
coi nomi sc.us Michael, sc.us Gabriel: sotto vi è Maria con la
penula e S. Giovanni con pallio e sandali: ogni figura ha il diadema; quello
del Redentore è spartito da tre tasselli bianchi con entro la croce (33).
Intorno agli affreschi dell'antica chiesa di S. Nazaro sotto il monte Costiglione
hanno scritto molto e in vario senso gli eruditi di cose nostre: certamente
appartengono' alla fine del secolo X almeno quelli del locale che precede la
vera chiesa; probabilmente anche alcuni di quelli della chiesa: il più antico
intonaco di essa porta la data dell'anno 996(34). - Et de hoc satis (35).
NOTE
1 - ORTI, Avventure
di Adelaide ... (Verona 1844); CROSATTI, Bardolino, Nota 1, pag. 25;
BUSSINELLO, L'eremo dei Camaldolesi, pag. 71 (Verona 1916).
2 - BALLERINI, Rath.
Op., Vita, Cap. XII. - Diversa sarebbe l'origine della Marca veronese
secondo CIPOLLA, Compendio della storia pol. di Verona, pag. 67.
3 - CIPOLLA, Op.
cit., pag. 69. - Vedi anche VENTURI, Storia di Verona, VoI. I, pag. 168.
4 - RATHERIUS, Proeloqu.,
Lib. Iu, Num. 12, col. 113.
5 - DE DIONYSIIS,
De Aidone et Notingo, Dipl. XX,
pag. 120; SIKEL, Diplom. Regum et Imper., Num. 137, I, pag. 217. - Il
primo lo mette in data 8 ottobre 952; il secondo in data 9 ottobre 951.
6 - Presso
CAVATTONI, Memorie intorno alla vita ... di S. Zeno. Docum. 93,
pag. 23, segg.; SIKEL, Op. cit., Num. 234, pag. 320.
7 - BALAN, Storia
d'Italia, Lib. XVIII, Num. 11, seg.
8 - Presso
BALLERINI, Rath. Op., col. 457-462; SIKEL, Op. cit., Num. 348,
pag. 474; MIGNE, Patr. lat., CXXXVI, 599. - E' dato da Balsomade,
località posta presso Monzambano.
9 - Presso SIKEL,
Op. cit., Tom. II, P. I. Num. 291, pag. 343 (Hann. 1888). Lo aveva pubblicato Cipolla in Verzeichniss
der Kaiserurk in den Archiven Veronas I,
Num. 4.
10 - CIPOLLA, Comp.
storia di Verona, pag. 72, seg.
11 - RATHERIUS, Op.,
Epist. XII, ad Ambrosium Cancell., Num. 4, col. 565. - Per il Prof.
TAMASSIA, Raterio e l'età sua, quell'appellativo « urbani» indica
il passaggio dalla vecchia autorità feudale ad una nuova società popolare.
12 - Delle varie
incursioni degli Ungheri vedi CIPOLLA, Antiche cronache veronesi, pag.
383 (Venezia 1890).
13 - CAVATTONI, Memorie
intorno alla vita ... di S. Zeno, Cap. VII, pag. 65-71.
14 - RATHERIUS, Liber
apolog., num. 2, 3, col. 500.
15 - VENTURI, Storia
di Verona, pag. 172, seg. - Per quest'ultimo castello vedi sac. G. TRECCA, Legnago,
P. I. pag. 21, (Verona 1900).
16 - BIANCOLINI, Dei
Vescovi e Govern. di Verona, pag. 54-55 (Verona 1757).
17 - CIPOLLA, L'antichissima
Iconografia di Verona, in Reale Accademia dei Lincei, Anno CCXCVIII (Roma 1901).
18 - DIONISI, Il
Ritmo Pipiniano commentato e difeso (Verona 1773).
19 - CIPOLLA, Opusc.
Cit. (estratto), pag. 14.
20 - BIANCOLINI, Dissert.
cit., pag. 56. - Egli la vuole anteriore all'anno 895, perchè vi è la Arena
minor, e questa dovette essere abbattuta in quell'anno. Ma il Diploma, che dicesi aver ordinata quella
demolizione, è apocrifo. Vedi Boll. eccles., A.V., pag. 115.
21 - Attesa
l'importanza e la rarità della Iconografia, avremmo voluto riprodurla
sul Bollettino; ma l'amministrazione non ce lo consente.
22 - BIANCOLINI, Dissert.
cit., pag. 56, segg., con una tavola. - Intorno alle mura di Verona molte e
varie furono e sono le opinioni degli scrittori nostri da Saraina a Pompei: noi
intendiamo riferire storicamente le idee di Biancolini, senza discuterle.
23 -II tratto tra
le vie attuali Gran Czara e Scimmie in un diploma di Ottone III
(15 ago 998) è detto inter muros. DE DIONYSIIS, De Aidone et Not.
Dipl., XLV, pago 184; SIKEL, Op. cit., II, P. II, pago 723 (Hann.
1893).
24 - DA PERSICO, Verona
e sua provincia, pag. 109-111 (Verona 1838); SIMEONI, Verona -
Guida stor. art., pag. 206, seg.
25 - Un altro
borgo Tascherium dal di fuori della « Porta S. Zenonis» andava alla
Braida. - Ha forse qualche significato questa voce Tascherium?
26 - RATHERIUS, Synodica,
Num. 13. - Vedi SPAGNOLO, Le scuole accolitati, pag.5.
27 - RATHERIUS, Invectiva
de transl. S. Metronis, Num. 5, 6.
28 -CIPOLLA, Catullo
nel Medioevo in Archivio Ven. (Serie II) XXXIII, P.I.
29 - SALVIOLI, L'istruzione
pubblica in Italia, pag. 88.
30 - NOVATI in Origini
della letter. ital., Cap. V, pag. 199-203.
31 - MAFFEI, Istoria
teologica, App., pag. 91.
32 - MAFFEI, Verona
illustr., Istoria, Lib. II, pag. 80, segg. (1825); BALAN, Storia
d'Italia, Libro XVII, 49; ed altri.
33 – BIANCOLINI. Chiese di Verona, II, pag. 717; DA
PERSICO, Op. cit., pag. 99.
34 - VENTURI, Storia
di Verona, pag. 122, 130 con tavole; DA PERSICO, Op. ci t., pag. 173, seg.; SIMEONI, Guida
di Verona, pag. 256 (c).
35 - Diamo qui una
bellissima reminiscenza rateriana della formula di preghiere usata anche nel
secolo X per la raccomandazione
dell'anima; la quale ci era sfuggita nel Capo precedente: « Qui liberavit
Israelem de manu Pharaonis, liberet Ratherium de manu Bucconis ». RATHERIUS, Ep.
XI ad Nannonem, col. 560.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIII {a cura di A. Orlandì]
(a) pag. 262. -
G. AGOSTINI, Lazise nella storia e nell'arte, Verona 1955.
(b) pag. 265. -
Delle chiese di Verona nel sec. IX-XI tratta anche il Volume del Meersseman:
MEERSSEMAN, G.G. - E. ADDA - J. DESHUSSES, L'Orazionale dell'Arcidiacono
Pacifico e il Carpsum del Cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia
di Verona dal IX al XI secolo. Friburgo, 1974.
(c) pag. 267 (n.
34). - Alle opere citate si devono aggiungere queste altre pubblicazioni in
tema di arte: R. BRENZONI, Intorno alle origini della pittura veronese, Verona,
1925; E. ARSLAN, La pittura e la scultura veronese dal sec. VIII al
sec. XIII, Milano, 1943; F. ZULIANI,
I frescanti di S. Maria in Stelle - I frescanti dei SS. Nazaro e Celso -
Il frescante della torre di S. Zeno - Il maestro del Redentore, in « Maestri
della pittura veronese» (a cura di P.P. Brugnoli), Verona, Banca Mutua
Popolare, 1974, pp. 1-30.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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