Elenco delle reliquie in occasione della Consacrazione della
Chiesa di S. Giorgio/S. Elena da parte
di Andrea, patriarca di Aquilea (842-847). Chiesa di S. Elena, presso il Duomo di Verona
EPOCA II - CAPO XV
SOMMARIO. - I
Canonici - Contese col vescovo Raterio - Contese col vescovo Milone - La «
Canonica S. Mariae et S. Georgli» - Il prevosto «custos et rector S. veronensis
ecclesiae» - Congregazioni del clero - Rilassamento della disciplina - Vescovi
eletti dal clero, altri dagli imperatori - L'elezione dei vescovi dopo la lotta
delle investiture - Autorità del Patriarca di Aquileia in Verona - Abbazia di
S. Zeno.
Da quanto abbiamo detto nei capi precedenti è chiaro che la
vita religiosa della nostra chiesa dal principio del secolo X alla metà del
secolo XI rimase sopraffatta ed attutita dalle vicende politiche. Le stesse
vicende forse trassero seco un'altra conseguenza, un rallentamento nel clero e
nei fedeli di quello spirito di
sommissione, che dovrebbe stringere i sudditi ai loro superiori: così in
quest'epoca troviamo nelle corporazioni del clero regolare e secolare una
tendenza a sottrarsi alla giurisdizione del vescovo di Verona (a).
Una mutazione radicale avvenne nel corpo del clero maggiore
addetto alla chiesa di S. Maria
Matricolare (cattedrale) verso
la metà del secolo X. Gli ordinari, seguendo l'esempio di altre chiese della
Francia, cominciarono a radunarsi a vita comune nelle case che avea loro lasciate
il vescovo Ratoldo: da allora si
dissero canonici, ed
il luogo di abitazione comune si disse canonica.
Certamente questa vita comune giovò per unificare gli animi dei canonici ed
intensificarne l'operosità e regolarizzare meglio l'ufficiatura della cattedrale
e sopprimere od almeno attenuare quel brutto vizio della « mulierositas ».
Dobbiamo per altro deplorare che essa forse influì ad acuire
l'opposizione dei canonici verso il vescovo Raterio, massime a riguardo dell'amministrazione dei beni della cattedrale.
Chè anzi nell'anno 967, mentre Raterio
tentava introdurre una più equa distribuzione dei beni tra i canonici ed i
sacerdoti e chierici minori, i canonici ricorsero al papa Giovanni XIII, e questi sotto pene gravissime impose a Raterio che nè egli nè alcuno dei suoi
successori « de clericorum se
inframitteret rebus» (1).
Altra sentenza ancor più favorevole, non solo per
l'amministrazione dei loro beni, ma anche per la loro esenzione personale,
avrebbero avuto i canonici da Rodoaldo patriarca di Aquileia con
altri canonici e sacerdoti e « commilitones
domini Ratherii episcopi », radunati nel monastero di S. Maria in Organo il 14 maggio dell'anno 968.
Ma tanto il Judicatum,
quanto il suo Compendium
(2), sono documenti fabbricati in epoca posteriore: le prove date
dal Ballerini son troppo evidenti (3), e non vengono punto confutate da
quanto nel secolo XVIII ne scrissero gli apologisti dei privilegi canonicali (4).
Altre contese pare abbiano avute i canonici anche col
vescovo Milone successore di Raterio; ma non è del tutto certa
l'autenticità della lettera del papa
Benedetto VI, che ne sarebbe l'unica prova (5).
Non possiamo definire quali siano state le relazioni dei
canonici coi vescovi del secolo seguente; poiché nulla ci dicono i documenti.
Però è molto verosimile che esse non fossero troppo benevole, massime per il
fatto che i vescovi furono nominati dagli imperatori, e non scelti tra il corpo
dei canonici: anzi erano quasi tutti forestieri; e l'unico veronese, Giovanni, non era canonico, ma prete
della chiesa dei santi Apostoli.
Oltre il corpo dei canonici, detto più tardi capitolo, v'era pure un corpo di
sacerdoti e chierici addetti alla chiesa cattedrale, i quali forse vivevano
essi pure in comune. Sin verso la metà
del secolo XI ricorre ancora la « schola
sacerdotum »: la quale probabilmente, più che un ceto di insegnanti e
discenti, indicava il ceto di questi sacerdoti. In seguito quell'appellativo
sparisce; e sottentra l'altro « canonica santae Mariae et sancti Georgii »(6), che dovrebbe designare l'insieme dei due ceti ecclesiastici
addetti all'ufficiatura ed alla cura della cattedrale (7). Così, mentre il servilismo dei vescovi verso il potere laico
era a discapito della loro autorità spirituale, sorgeva presso il vescovo
questo potente collegio di canonici, il cui prevosto in un documento dell'anno
1104 è detto nientemeno che « custos et
rector sanctae veronensis ecclesiae » (8).
Probabilmente per le stesse ragioni verso la metà del secolo
X si formò tra i rettori delle chiese urbane un'altra associazione, detta poi «
Congregatio veronensis », e più
tardi « Congregatio intrinseca» o «cleri intrinseci », quando una simile
congregazione si formò tra i plebani e rettori delle chiese rurali. Questa congregazione intrinseca avea il suo
presidente eletto dai rettori stessi, e chiamato « Archipresbyter »: il primo, di cui si ha memoria, è Ghiselberto nell'anno 976, di cui si fa
menzione nelle costituzioni della congregazione (9). In seguito, forse dopo il concordato di Worms, agli arcipreti delle due congregazioni insieme col capitolo
dei canonici fu dato il diritto di eleggere per compromesso il vescovo di Verona.
La formazione di queste corporazioni del clero dovea
naturalmente limitare il potere del vescovo, e quindi paralizzare la sua
autorità con detrimento della disciplina e dei buoni studi. Di questa
esautorizzazione dell'autorità episcopale si lamentava ai suoi tempi Raterio, senza voler riconoscere che
non tutta di altri ne era la colpa.
Un tentativo di indipendenza dei rettori di alcune chiese si
ebbe durante l'episcopato di Otberto
e diede occasione al concilio tenuto
a Verona dal patriarca di Aquileia nel 995; e nell'anno 1022 il
vescovo Giovanni deplorava che prima
della sua venuta a Verona la
disciplina dei rettori delle chiese e dei monasteri fosse quasi annientata: «Il ius episcopii ecclesiarum culmina atque
coenobitarum regula ferme ... ante nostri adventum fuerant deleta »(10).
Tuttavia la formazione di queste corporazioni nei disegni di
Dio fu provvidenziale per l'avvenire della nostra chiesa. Dopo la morte del
vescovo Walterio (1052) la chiesa
veronese ebbe un numero stragrande di Vescovi; di alcuni dei quali nulla
sappiamo, neppure la legittimità o le circostanze della loro elezione. È
verosimile che durante il periodo della lotta delle Investiture si avessero
contemporaneamente due Vescovi: uno imposto dagli imperatori e rigettato dal
capitolo e dalla congregazione; l'altro
eletto dal capitolo e dalla congregazione e non riconosciuto dall'imperatore.
Così, dopo che la chiesa riebbe la sua libertà per il
concordato di Worms, l'elezione del vescovo quasi da sé divenne diritto del
capitolo, della congregazione del clero intrinseco e della congregazione del
clero estrinseco formatasi poco dopo la precedente. Queste tre corporazioni
designavano i loro rappresentati, i quali per compromesso eleggevano il
vescovo: pare che il primo vescovo eletto in questa forma sia stato Tebaldo nell'anno 1135. Questo diritto
fu confermato alla congregazione intrinseca per la terza parte dal pontefice
Urbano III con bolla data da Verona, il 28 gennaio 1186: «Jus et auctoritatem, quam pro tertia parte in efectione vestri
Pontificis habuistis hactenus et habetis, vobis et per vos successoribus
vestris auctoritate apostolica confirmamus »(11). Con gli stessi termini la confermò pure il pontefice Innocenzo
III con bolla del 23 maggio 1202(12).
A restizione dell'autorità episcopale era pure la soggezione
immediata di alcune chiese e monasteri alla giurisdizione del Patriarca. Per
questo titolo i canonici della cattedrale pretendevano d'essere esenti dalla
giurisdizione del vescovo, almeno nella chiesa
di S. Giorgio; e ciò in forza di un atto del vescovo Ratoldo del 16 settembre 813 (13).
Certamente nell'epoca, di cui trattiamo, ne erano esenti la
chiesa ed il monastero importantissimo e ricchissimo di S. Maria « in Organo », e con esso altre chiese e monasteri da esso
dipendenti: tali erano il monastero di S.
Maria in Solaro, le chiese di S.
Maria antiqua, di S. Siro, S.
Margherita, S. Faustino, Santa Apollonia, S. Cecilia, e parecchie del
territorio. Difficile è definire quando abbia avuto principio questa soggezione
immediata al patriarca di Aquileia:
probabilmente essa risale agli ultimi decennii del secolo X (14). In forza di essa il patriarca di Aquileia, non solo ufficiava in alcune
chiese di Verona, ma sedeva «pro tribunali» nel monastero di S. Maria in Organo, nella chiesa di S. Maria antiqua ed in altre; ed il vescovo di Verona interveniva, non quale giudice o
presidente, ma quale persona dei cui diritti o torti si dovea trattare: così
avvenne nel giudizio tenuto nella chiesa di S. Maria antiqua l'anno 995.
Anche le relazioni tra l'abbazia
di S. Zeno ed il vescovo di Verona
subirono qualche modificazione in quest'epoca. L'ultimo ricordo sulla connessione tra quella
e questo si ha nel fatto di Ottone I,
che nel 967 dà una somma a Raterio
per riparare la basilica di S. Zeno,
forse danneggiata per le incursioni degli Ungheri.
Ma « al principio del secolo XI ogni
relazione è già scomparsa, e l'abbazia procede per la sua via del tutto
indipendente dai vescovi »(15).
NOTE
1 - RATHERIUS, Op.
Apologeticus Liber, Num. 7, col. 507. Di fronte a questa intimazione e la sanzione
«perpetuo anathemate ", Raterio sfoga l'animo suo in pieno stile
rateriano, chiamando Roma «urbem venalem » e la lettera del papa « emptas quasi
apostolicas litteras ».
2 - BALLERINI, Ratherii
Op., col. 663-666.
3 - BALLERINI, Rath.
Op., Admon., post col. 652, De privilegiis ... pag. 77, La falsità ... pag. 57, Conferma.:
102. Vedi anche GIULlARI, Archivio Veneto, XVIII, 15.
4 - DIONISI, Apologiche
riflessioni; FLORIO, Dei privilegi... del Capitolo di Verona (Roma
1754).
5 -Vedi nel capo
precedente la Nota 9.
6 - Cosi in Atto
del 1007, presso MAFFEI, Istoria teol., App., pag. 215. 7 SPAGNOLO, Le scuole acolitali, pag.
6, seg.
8 - Presso
MUSELLI, Cronaca ed appunti per una storia della chiesa veronese, all'anno
1104. (E' un manoscritto della biblioteca Capitolare).
9 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, II., 531; IV. 542.
10 - Presso
MAFFEI, Istoria teol., Append., pag. 245. Il Canonico L. Gaiter nel 1877
scriveva che Leone IX nel 1050 era venuto a Verona anche allo scopo di
riordinare alcuni monasteri di uomini e di donne.
11 - Presso
BIANCOLlNI, Chiese di Verona, IV. 545; JAFFE’, Num. 15526.
l2 - Presso
BIANCOLlNI, Chiese, IV., 549; POTTHAST, Regesta RR. PP. II. Addenda, Num. 1680a.
13 - Ne abbiamo
trattato nel Capo III. (Bollett, eccl. 1917, pag. 135).
14 - Cosi pensa
BIANCOLlNI, Chiese di Verona, I, 289.
15 -.SIMEONI, La
Basilica di S. Zeno in Verona, pag. 9.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE
AL CAP. XV (a cura di A. Orlandì )
(a) pag. 278. -
L'autore, in questo capitolo, come in altri casi, prende un atteggiamento
decisamente apologetico, che si comprende bene rapportato all'epoca in cui egli
scriveva. Tuttavia bisogna riconoscere al Pighi la conoscenza dei documenti e
l'onestà nel riferirli, anche se poi egli cerca di interpretarli nella maniera
più benevola possibile.
Dobbiamo aggiungere che restano ancora da chiarire i motivi
per cui si formarono i corpi ecclesiastici (Capitolo canonicale e congregazioni
del clero «intrinseco» ed « estrinseco ») di cui si parla nel capitolo. Non
pare giusto attribuire il fatto a semplici atteggiamenti di ribellione: vi era
certamente anche un motivo di difesa non solo di privilegi, ma anche di una
propria fisionomia culturale da imposizioni che talora non ne tenevano conto e
che d'altra parte non avevano diretta connessione con problemi di fede.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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