Lapide che ricorda la
riconsacrazione della Chiesa di San Giorgio e Zeno, detta di Sant’Elena, da parte del
patriarca di Aquilea Pellegrino nel 1140, dopo che l'altar maggiore era stato
profanato da alcuni sconosciuti; Presso
Duomo di Verona.
VOLUME II – EPOCA TERZA - CAPO I
SOMMARIO. - Vantaggi
generali nella Chiesa. - Il vescovo Bernardo. - Sacerdoti di vita comune
nell'ex-monastero di S. Giorgio in Braida. - Chiese restaurate o nuovamente
erette. - Verona con regime comunale. - Lotte civili. - Il vescovo Tebaldo. -
Controversia per la chiesa di Sant' Alessandro. - Controversia per la chiesa di
S. Giorgio. - Controversia per i diritti sulla corte di Cerea e su quella di
Porcile. - La bolla di Eugenio III. - Tebaldo per la sua Verona. - Morte di
Tebaldo e giudizi sulla sua condotta.
La fermezza dei
romani pontefici nella lotta per la libertà delle sacre elezioni inaugurata da Gregorio VII, continuata poi dai suoi successori, nonostante
le effimere incertezze di Pasquale II,
ebbe il completo trionfo nel Concordato
di Worms conchiuso il 23 settembre dell'anno 1122, confermato poi l'anno
seguente nel concilio Lateranese I.
Quali frutti ne sian venuti alla chiesa lo accenna con brevi
parole un cronista tedesco, scrivendo pochi anni dopo: « Exhinc (dal concordato)
ecclesia, libertate ad plenum recuperata, paceque ad integrum reformata, in
magnum montem crevisse invenitur »(1).
Di tali frutti partecipò pure la chiesa
veronese, quanto le fu consentito dalle sue condizioni politiche determinate
soprattutto dalla posizione di Verona
sui confini tra l' Italia e la Germania. Certamente essa ebbe quindi
innanzi una serie non interrotta di vescovi dotti ed intemerati, tutti dediti
alla restaurazione religiosa e morale del clero secolare e regolare, e quindi al bene spirituale dei fedeli alla loro cura
affidati.
Diremo dei due primi vescovi:
76° Bernardo (1122-1135).
77° Tebaldo II(1135-1157).
Bernardo,
di origine bresciano, fu eletto vescovo nell'anno 1122 o forse al principio
dell'anno seguente. (a) Durante il suo episcopato si consacrò tutto
alla riforma dei costumi, massime nel clero. Siccome il monastero di S. Giorgio fondato da Cadaloo era disonorato per la vita turpe, che vi faceano o
simultaneamente o successivamente monache e monaci, perciò egli, cacciati
questi, nell'anno 1127 vi pose alcuni sacerdoti regolari di vita comune, « qui Dei grati a celibem ducebant vitam et
regulam observabant canonicam »(2).
Ad essi concesse la chiesa ed il
monastero con le sue rendite: primo superiore fu un sacerdote Pellegrino, e pare che detti sacerdoti
vivessero secondo la regola di sant'Agostino.
In una specie di concilio tenuto nella chiesa di S. Giorgio (Sant'Elena) il 13 giugno
1158 dal vescovo Ognibene fu
riferito che « Bernardus restauravit et
ordinavit ob Dei amorem et animae suae redemptionem ecclesiam s.cti Georgii (in
Brayda), quam in spiritualibus et temporalibus multimode destructam invenerat
»(3).
Rifece le chiese di S.
Giovanni in Fonte e di S. Giovanni
in Valle, distrutte per il terremoto del 7 gennaio 1117: all'epoca
dell'episcopato di Bernardo furono
pure rifabbricate o restaurate altre chiese in tutto od in parte ruinate dal
terremoto; in città quelle di S. Pietro
in Castello, S. Maria in Organo, S. Fermo minore; nel suburbio fuori della porta S. Zeno quella di S. Lorenzo e dei SS. Apostoli; nel distretto furono parte rifabbricate, parte
fabbricate quelle di S. Floriano, S.
Giustina di Palazzolo, S. Salvar di Bussolengo, S. Salvar di Legnago, S. Zeno
di Cerea, S. Mauro di Saline.
Da una iscrizione che esisteva nella chiesa « Montis aurei », riportata da Ughelli, consta che Bernardo consacrò quella chiesa il
giorno 17 novembre dell'anno 1129 (secondo altri 1127); mentre ne era arciprete
Alberone(4). La chiesa era sul colle,
ove ora è il castello.
Consacrò pure nel 1132 l'altare della chiesa « sanctae Trinitatis in Monte Oliveto »;
nel 1140 quello della chiesa di S. Maria
Novella, detta ora di Santa
Elisabetta. (b).
Sorta una lite tra il monastero benedettino di Calavena (Badia) e Benedetto arciprete di Calavena
(Tregnago) per le decime di quindici concasali, il vescovo Bernardo decise la lite in favore del
monastero (5),
Da un necrologio del monastero della SS. Trinità, Bernardo
morì l'anno 1135; e da altro necrologio del monastero di S. Michele in campagna morì il giorno 1 dicembre di quell'anno(6).
Intanto s'era non poco modificata la posizione politica
delle città italiane, e quindi anche di Verona.
La ribellione di Enrico
V contro il padre Enrico IV, lo
scacco subito dagli imperatori nella contesa delle investiture, le contese
sorte in Germania per la successione
ad Enrico V, aveano paralizzato il
prestigio del potere imperiale e suscitato nei popoli uno spirito di
indipendenza: si aggiunga che Lotario II,
uomo religiosissimo e devotissimo al papa, era tutt'altro che tenace dei
diritti imperiali sull'Italia. Così troviamo in quest' epoca radicarsi anche in
Verona i principii di poteri
comunali con magistrati proprii e con dipendenza piuttosto nominale che reale
dagli imperatori.
Secondo il Canobio,
nell'anno 1120 « era retta la città da
quattro consoli e dal duca Arrigo », che ne era il marchese: questo era quasi il
rappresentante dell'autorità imperiale; ma sopra di lui stavano a reggere la
città i quattro consoli creati dai cittadini(7). I nostri storici Venturi
e Cipolla differiscono questo regime
dei consoli all'anno 1136, in cui esercitavano questo ufficio Eleazaro, Odone figlio di Zenone, Corrado di Crescenzio(8),
Contemporaneamente vediamo rialzata nelle cose politiche e cittadine l'autorità
dei vescovi, come ne fa prova l'intervento in esse del vescovo Tebaldo
successore di Bernardo. (c).
Insieme però la paralizzazione dell'autorità imperiale e la
costituzione delle amministrazioni comunali furono causa di lotte tra le varie
città, massime tra le avide di indipendenza e quelle che ancor ammettevano
qualche ingerenza imperialistica: talvolta un castello, una pezza di terra,
l'acqua di un fiume erano causa di guerra. Nè a queste lotte rimase estranea Verona.
Così già nel 1119 Milano
combatteva contro Como, e riuscì a
trar seco nella lotta anche Verona;
per cui un poeta contemporaneo cantò che in quella lotta « aspera cum multis venit et Verona vocata »(9).
Più tardi troviamo i veronesi in lotta coi padovani per un
asserito deviamento dell'alveo dell'Adige;
lotta che indi insieme coi vicentini continuarono per vari anni contro i
padovani ed i trevisani. La pace fu conchiusa in un convegno di vescovi tenuto
a Fontanaviva
presso Treviso il giorno 28 aprile
del 1128: tra i vescovi convenuti era il nostro Tebaldo ed il vescovo di Padova
S. Bellino (10). Però le
discordie civili si accentuavano ognor più, non solo tra città e città, ma
anche tra gli abitanti d'una città e quelli del relativo distretto, o spesso
tra gli stessi cittadini: verso la metà di questo secolo troviamo in Verona i primi germi dei due partiti,
uno Guelfo, l'altro Ghibellino.
In quest'epoca burrascosa resse la nostra chiesa il vescovo Tebaldo (II). Oriundo dalla nobile
famiglia de’ Pegorari « de mercatu novo », era stato arciprete
della chiesa cattedrale (11) e dopo
la morte di Bernardo fu eletto,
forse per il primo, canonicamente dai canonici e dalla congregazione del clero
intrinseco: fu vescovo di Verona per ventidue anni (1135-1157). Documenti di
poco posteriori a Tebaldo lo
celebrano per la sua saggezza e santità.
Ci piace notare come Tebaldo
inaugurò il suo episcopato col mettere i fondamenti della nuova chiesa
cattedrale.(12), della quale ci
occuperemo in seguito: forse la chiesa di S.
Maria Matricolare era in gran parte deperita per il terremoto del gennajo
1117.
Nel giorno 6 aprile del 1141 consacrò la chiesa di S. Croce posta fuori della città non lungi dal monte Oliveto (13); e fu largo di favori alla chiesa stessa ed all'annesso
monastero ed ospitale. Forse egli consacrò pure la chiesa di S. Fermo, detta anche del Crocefisso (ora distrutta), la quale si dice essere stata
consacrata il 13 marzo dell'anno 1138(14).
Nello stesso anno concesse decime
ed altri diritti al monastero di S. Zeno(15).
Essendo sorta una controversia tra i canonici della
cattedrale e Giovanni sacerdote
della chiesa di S. Martino di Avesa,
circa la possessione della chiesa di S.
Alessandro (ora S. Rocco) « prope
vicum Quintiani », Tebaldo
chiamò le parti contendenti invitandole ad espor le proprie ragioni davanti a
lui e ad un consesso « religiosorum et
sapientum clericorum ». I canonici rifiutarono di presentarsi; ed il
vescovo, sentite le ragioni del sacerdote Giovanni
e le dichiarazioni di dieci testi che affermavano il tranquillo possesso di
detta chiesa per parte dei chierici di san
Martino per oltre quaranta anni, ed aggiunto quanto già si diceva al tempo
del vescovo Bernardo e che avea
udito lo stesso Tebaldo, allora
arciprete della Cattedrale, diede sentenza favorevole al sacerdote Giovanni di S. Martino di Avesa, « salvo tamen jure Canonicorum et aliorum de
ea agere volentium »(16). Questa
sentenza, data 1'8 settembre del 1140, fu sottoscritta dal vescovo Tebaldo, dall'arciprete della
Congregazione del clero, dal prevosto della chiesa di S. Giorgio e da altri trentacinque sacerdoti..
L'episcopato di Tebaldo
fu spesso agitato da controversie coi canonici
di S. Giorgio; i quali durante la lotta delle investiture, forse a causa
del servilismo dei vescovi verso gli imperatori, s'aveano acquistato autorità e
privilegi forse eccessivi.
Anzi tutto i canonici pretendevano di essere quasi esenti
dalla giurisdizione del vescovo; tantochè, come altrove abbiamo accennato, il
loro prevosto in un documento del 1104 si
diceva nientemeno che « custos et rector
sancte Veronensis Ecclesiae ». Questa
esenzione dall'autorità del vescovo era il punto capitale delle discordie: i
canonici fondavano i loro diritti sulla famosa costituzione di Ratoldo, che si dicea dato il 16
settembre 813, e sul Judicatum
del patriarca Rodoaldo, che si
dicea dato il 13 maggio del 968. L'autenticità dei due documenti è assai
problematica e nella seconda metà del secolo XVIII fu negata dai Ballerini e da altri dotti veronesi,
che li tennero fabbricati appunto in occasione delle controversie al tempo di Tebaldo.
Il punto capitale delle controversie fu la chiesa di S. Giorgio, di cui verso
l'aprile del 1140 fu dissacrato l'altare. Questo delitto, secondo un documento
canonicale, fu consumato « livore et
dolo malo quorumdam tempore episcopi Teobaldi »; e probabilmente veniva
attribuito almeno in parte a Tebaldo
stesso. Tebaldo all'incontro lo
attribuiva ad altri: ad ogni modo avrebbe voluto riconsacrar egli stesso la
chiesa. Allora i canonici chiamarono a Verona il patriarca d'Aquileja Pellegrino (17);
il quale, producendo, forse per la prima volta, il privilegio di Ratoldo, alla presenza del cardinale Ribaldo legato di Innocenzo II, di Tebaldo
e di altri cinque vescovi, di Gilberto
arciprete e degli altri canonici, sentenziò « ut canonici ... sint liberi in ecclesia atque canonica beati Georgii
sub jure et dominio atque regimine Aquileiensis Patriarchae, ita ut nullus
Episcopus, qui nunc est vel qui pro tempore fuerit, aliquam litem vel molestiam
aut injuriam, tam in officis quam in beneficiis,
illis inferre possit »(18). Indi alla presenza delle stesse persone
riconsacrò solennemente la chiesa nel giorno 1 dicembre dello stesso anno; come
apparisce dall'iscrizione che tuttora si legge sopra una parete della chiesa: «
Anno ab incarnacione Domini MCXL primo
die mensis decembris indict. III. Peregrinus Aquileiensis Patriarcha
reconsecravit hanc ecclesiam extra et intus more praedecessorum suorum Maxentii
et Andreae ... Erant praesentes Ribaldus S. R. E. Cardinalis, Thebaldus Veron.
Episcopus ... etc». (19).
Gravissima fu pure la questione per il possesso della Corte di Cerea. Tebaldo
vantava diritti su di essa per due ragioni. Diceva che quella Corte era
spettanza del vescovo, essendochè la contessa Matilde ne era stata investita dal vescovo Zuffeto e che il marchese Alberto
(od Alberico) Sambonifacio ne era stato investito dal vescovo Bernardo suo antecessore: aggiungeva
che quelle terre erano state concesse al vescovo di Verona dall'imperatore Ottone. Sennonchè le sue
asserzioni mancavano di prove. All'incontro Gilberto arciprete della chiesa « sanctae Mariae et sancti Georgii » sosteneva che quel castello avea
sempre appartenuto ai canonici; i quali di fatto fin dal principio del secolo
precedente ne aveano investito un certo Isnardo
e che da Isnardo quelle terre erano
passate a Bonifacio padre della
contessa Matilde. Qui pure dovette intervenire l'autorità
suprema: il Papa Eugenio II mandò il
cardinale Guido di Crema (altro da
quel Guido che fu poi antipapa).
Il placito fu tenuto il mercoledì 2 gennaio 1146 « in sala venerabilis episcopi ». Tebaldo diede bella prova della sua
piena sottomissione: « Tunc ipse
Tebaldus ipsam sententiam laudavit et corroboravit et per omnia firmavit »; anzi
« finem fecit de superpositis causis et
rebus per fustem, quem in manu sua tenebat (consegnandolo) in manus ipsius Gilberti archipresbyteri »(20). La controversia ebbe così la sua soluzione
ufficiale: ma i canonici ebbero da allora a lottare con gli elementi riottosi del
luogo; e forse a questi nuovi torbidi non fu del tutto estraneo Tebaldo.
Con gli stessi canonici avea avuto altra contesa Tebaldo nel 1138 per il possesso della
corte di Porcile. Però anche qui il
diritto dei canonici era troppo sancito per precedenti concessioni di papi ed imperatori nei due secoli precedenti(21). Intervenne qui pure il patriarca Pellegrino; il quale in presenza del cardinale Ribaldo decise la lite in
favore dei canonici. Da allora gli
abitanti di Porcile dovettero
giurare fedeltà ai canonici, come già dal 1120 l'aveano giurata alla chiesa « sanctae Mariae de domo »: il qual
giuramento dovettero poi prestare « omnes
homines Porcilis caput casae a sexaginta annis inzo et a quatuordecim insu
»(22).
Fu allo scopo di evitare ulteriori controversie, che Tebaldo domandò al papa una precisa
determinazione dei diritti del vescovo: ciò che forse fece il papa Eugenio III con la bolla Piae postulatio voluntatis: la
daremo intiera nel capo seguente.
Una controversia avuta con l'abate del monastero di Nonantola a riguardo di alcuni diritti
sulla pieve di Nogara fu composta
tra il vescovo Tebaldo e l'abate Silvestro alla presenza del pontefice Eugenio III; il quale poi con
bolla del 18 Maggio 1145 sancì quella composizione: « Veronensis episcopus jus parochiale, Nonantulanus vero abbas jus fundi
in eadem plebe quiete possideat »(23).
Lo stesso Tebaldo
si interessò pure per il bene materiale della sua Verona; ed i veronesi riconobbero in lui un vero benefattore. Tanta
fu la sua autorità che ad un placito tenuto il 28 giugno 1136 « in domo Theobaldi veronensis episcopi»
intervenne uno dei consoli di Verona, Corrado
di Crescenzio. Tebaldo intervenne
pure ad un patto stipulato tra' l'imperatore Lotario III ed i veneziani il 1ottobre del medesimo anno(24).
Nell'anno 1154 dall'imperatore Federico I, Tebaldo ottenne al vescovo di Verona la
« moneta civitatis »; ossia il
diritto di percepire quei diritti pecuniari, che sulla coniazione della moneta
sarebbero appartenuti al fisco imperiale(25).
Nè potè Tebaldo rimanere
estraneo alla lotta combattuta dalle città lombarde contro Federico Barbarossa. Quando il Barbarossa
tornando da Roma dopo la sua
coronazione (18 giugno 1154), pronunziato presso l'Isola Cenense (Isola della
Scala) il bando contro Milano,
se ne tornava in Germania, i
veronesi incorsero l'ira di lui a motivo di due funesti incidenti(26). Il primo fu la rottura forse proditoria di un ponte sull'Adige
poco al di sopra di Verona, per la quale dovea restar diviso, e quindi
facilmente sopraffatto, l'esercito imperiale: l'altro fu lo sbarramento della
via trovato dal suo esercito alla Chiusa in un corpo di gente armata sotto il
comando di Alberico. Ben s'avvidero i veronesi quanto potea esser
loro micidiale la vendetta di Federico;
perciò « omnibus in majori ecclesia
congregatis », convennero che il vescovo Tebaldo insieme con Garzapano
ed Isacco si recasse a Ratisbona per placare la collera del Barbarossa, « a populo suo ad imperatorem destinatus ». Tra le altre cose disse all'imperatore: « Crede, domine ... Populus tuus veronensis
tuus peculiaris est populus, tibi tamquam domino et imperatori suo, ...
fideliter devotissimus et devote fidelissimus ... etc. etc. ». Del resto
più che le parole giovò il danaro. Riferisce
lo storiografo Ottone che « Verona in gratiam recepta est; nam magnam
pecuniam dedit ac militiam contra Mediolanum ducere sacramento firmavit »(27).
Nel giorno 25 settembre del 1145 avea risolto una lite che si agitava tra
alcuni preti di Calavena e Lanfranco priore della chiesa di S. Mauro di Saline: « In palatio episcopi... presbyter
Benedictus, et Otto presbyter... fecerunt finem (consegnarono) in manu Lafranci
prioris ecclesiae sancti Mauri de ecclesia sancti Salvatoris sita prope Castrum
vetus (Castelvero) non long e multum ab arce quae vocatur Vestena ... Clerici
Calavenae receperunt ab episcopo Thebaldo vigintiquinque libras et acceperunt
finem de armentis... Actum est hoc coram Episcopo Thebaldo anno ab Incarnacione
... centesimo quadragesimo quinto »(28).
Tebaldo morì il 10 maggio dell'anno 1157; nel quale anno
così registra la sua morte un cronista del secolo XIV: « Episcopus Tebaldus primus qui fuit homo sanctus obiit ».
Coerentemente in una iscrizione della chiesa
di S. Croce è celebrato « magnus vir
Christi Thebaldus »(29). Il Biancolini dice che egli morì « in gran
concetto di santità ».
NOTE
1 - Otto Frising,
Chronicon Lib. VII. Cap. 16, presso PERTZ, Monum. Germ. Script. XX,
256.
2 - Presso
UGHELLI, Italia sacra, Tom. V. col. 773. Vedi anche BIANCOLINI, Chiese di Verona II, 484.
3 - CIPOLLA in Nuovo
Archivio Veneto Vol. X, pag. 449 (Venezia 1895).
4 - Presso
UGHELLI, Italia sacra V, col. 774.
5 - L'atto fu
pubblicato da CIPOLLA, Le popolazioni dei XIII Comuni, pag. 14.
6 - BIANCOLINI, Serie
cronol. dei Vescovi, pag. 66, Dissert. sui Vescovi ... Append. pag.
184.
7 - CANOBIO, Annali
Veron. Libro VI, presso BIANCOLINI, Diss. Seconda pag. 93.
8 -VENTURI, Compendio
della storia di Verona II, pag. 2; CIPOLLA, Compendio ... pag. 93.
9 - Anon., De
bello Mediolanensium adversus Comenses, presso
MURATORI Rerum ital. Script.V. 418.
10 - PAGLIARINO, Cronaca
di Vicenza, pag. 20 (Vicenza 1663); DE BATTISTI, Memorie sulla vita di S. Bellino, pag. 40 (Lendinara
1888).
11 - VEDI
BIANCOLINI, Chiese di Verona IV, pag. 700. - Ivi Tabaldo arciprete è
sottoscritto ad un atto dei Canonici in favore delle monache di S. Michele « de
campanea ».
12 - CANOBIO, Annali Veron. presso BIANCOLINI, Dissert.
sui Vescovi, pag. 44; Chiese
II, 485 .
13 - Il documento
presso BIANCOLINI, Chiese ... II, 592.
14 - BIANCOLINI, Chiese
... I. 353; SIMEONI, Guida di Verona, pag. 188.
15 - L'atto
presso BIANCOLINI, Chiese V, P. I. pag. 93.
16 - Presso
BIANCO LINI, Chiese di Verona II. pag. 489-491; ANT, PIGHI, Il
santuario di S. Rocco, pag. 9 (Verona 1887).
17 - Pellegrino,
scomunicato da Onorio II, non se ne diè per inteso. CARLI, Storia di Verona II.
pag. 503. Più tardi fu « caldo propugnatore dell'Antipapa» Vittore III. CIPOLLA
in, N Arch. Ven. X, pag.413.
18 - Presso
UGHELLI, Italia sacra, Tom. V 778-780.
19 - Intiera si
trova presso BAGATA-PERETTI, Epp. Veron. Monumenta, pag. 79 r.,80.
20 - L'istromento
originale si trova nella Biblioteca Capitolare, ma assai deperito per l’inondazione del 1882. Pubblicato già da Ughelli e da altri,
recentemente fu ripubblicato con le sue varianti da SGULMERO, Zuffeto, pag.
21-25; da esso abbiamo riprodotto i tratti, che più ci interessano.
21 - Vedi i
documenti citati presso CROSATTI, Belfiore d'Adige, pag. 12, seg.
(Verona 1906).
22 - CROSATII, Op.
cit., pag. 18.
23 - TIRABOSCHI, Storia
dell'Abbazia di Nonantola II, pag. 259. Documento CCLXXVII.
24 - WEILAND, Constit.
Imper. et Regum I, pag. 174.
25 - CIPOLLA, Compendio
della storia poI. di Verona, pag. 94.
26 - Li riferisce
lo storiografo contemporaneo OTTO Frising, Chronicon Num. 7; e Gesta
Friderici Lib. m. Num. 25, presso PERTZ, Monum. Germ. Script. XX.
306, 409, seqq.
27 - OTTO
Frising, Gesta Friderici Lib. II. Num. 28.
28 - Presso
BIANCOLINI, Chiese ... III, 320; CIPOLLA, Le popolazioni...
29 - Chronica illorum de la
Scala, presso CIPOLLA, Antiche cronache veronesi pag. 498 (Venezia
1890); BIANCOLINI, Chiese ... II. 595. - Una vecchia membrana della
Biblioteca Vaticana, presso UGHELLI, Italia sacra V. 707. accusa Tebaldo d'aver alienati molti beni e
diritti del vescovo di Verona: ma non sappiamo quanta fede meriti questa,
narrazione.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. I (a cura di Angelo Orlandi)
(0) Sul piano
generale della storia della Chiesa dopo i tempi di mons. G. B. Pighi, si
sono svolti numerosi studi sia generali che monografici. Per chi fosse
interessato ad approfondire questi argomenti, indichiamo le seguenti grandi
opere:
Storia della Chiesa dalle origini ai nostri giorni (opera
iniziata da Augustin Fliche e Victor Martin e quindi diretta da J.-B. Duroselle
e Eugène Jarry ... ed. italiana), Torino, 1957-1975, voli. 28.
- Nuova storia della Chiesa (sotto la direzione di L.
J. Rogier, R. Aubert, M. D. Knowles),
Torino, 1970-1979, voll. 5.
- Storia della Chiesa (diretta da Hubert Jedin).
Traduzione dal tedesco, Milano, 1976-1980, voli. 10 (in 13 tomi).
Nelle opere citate si potranno trovare anche abbondanti
bibliografie su vari aspetti trattati nel corso.
(a) Secondo lo
studioso Luigi Simeoni pare che Bernardo sia stato eletto vescovo già dal 1119,
tre anni prima quindi del Concordato di Worms. Cf. L. SIMEONI, Le origini
del Comune di Verona, in Studi Storici Veronesi Luigi Simeoni, vol.
VIII-IX (1957-58), Verona, 1959, p. 96 ..
(b) Per
l'ubicazione della chiesetta di S. Elisabetta si può vedere: T. LENOTTI, Chiese
e conventi scomparsi (a destra dell'Adige), Verona, 1955, p. 17 « Le Guide»
di Vita Veronese, n° 32.
(c) Si veda in
proposito: L. SIMEONI, Le origini del comune di Verona e Il primo
periodo della vita comunale a Verona, in Studi Storici Veronesi Luigi
Simeoni, vol. VIII-IX (1957-58), Verona, 1959 pp. 87-180.
(d) Di questa
controversia e delle probabili cause di essa tratta il Simeoni citato: L.
SIMEONI, Il primo periodo della vita ... cit.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume II
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