SOMMARIO. - La
basilica di S. Zeno - Corpo di S. Zeno - Devozione alle sacre reliquie -
Reliquie un po' dubbie nelle nostre chiese - Furti di reliquie - Un furto nella
chiesa di S. Maria « in organo» - Memorie di funzioni liturgiche - Processioni
- Stazioni - Un codice prezioso inedito: et Carpsum » - Altri codici liturgici
- Scrittori veronesi - Importanza politica di Verona - Verona nell'anno 1090 -
I veronesi alla prima crociata.
Come appare dal titolo intendiamo di raccogliere qui alcuni
fatti particolari, che, o ci sono sfuggiti nella narrazione cronologica o non
aveano una connessione naturale con la materia dei singoli capi.
Inauguriamo queste spigolature con qualche accenno alla storia
della basilica di S. Zeno, la quale
è certamente la più antica tra le nostre chiese maggiori ed una gloria
artistica per Verona. Senza dubbio la basilica zenoniana ebbe principio entro i
limiti di quest'epoca seconda: ma pur troppo nulla sappiamo dei primi suoi
inizi, e ben poco delle sue interrotte costruzioni e ricostruzioni.
Sappiamo come una chiesa ad onore di S. Zeno fu eretta per opera del re Pipino, del vescovo Ratoldo
e dell'arcidiacono Pacifico:
essa non era né la basilica attuale né la sua cripta: solo si ritiene che fosse
nel medesimo luogo e che di essa rimanga forse qualche avanzo in una muraglia
della basilica.
L'attuale basilica pare abbia avuto principio nel secolo X;
essendo ché dopo i danni, che essa dovette subire in qualche scorreria degli Ungheri l'imperatore Ottone nell'anno 961 diede una somma al
vescovo Raterio, perché essa venisse compita. Quella somma, a quanto
pare, fu dal vescovo devoluta ad altro scopo; e la chiesa non vide allora il
suo compimento: la sua ulteriore costruzione dovrebbe riferirsi al secolo XI,
quando i monaci di quel monastero ebbero offerte conspicue dagli imperatori.
In una iscrizione, che dovrebbe essere dell'anno 1185 circa,
è detto che nell'anno 1178 « confluxerant
anni a renovatione et ecclesiae augmentatione XL» (1). Dunque verso l'anno 1138
la chiesa era stata rinnovata, forse per i danni sofferti nel terremoto
dell'anno 1117, ed anche accresciuta di una aggiunta, forse verso occidente,
ossia verso la porta maggiore. Tuttavia, il suo compimento definitivo nelle
singole parti, secondo i cultori dei nostri monumenti storici, si deve ancor
differire sino al secolo XIII e forse anche al XIV. Le porte, ossia le preziose
formelle di bronzo, (torneranno al loro posto?) spettano, parte al secolo XI, parte
al secolo XII.
Date più certe abbiamo intorno al campanile cominciato dall'
abate Alberico nell'anno 1045,
restaurato nell'anno 1120, e terminato poi coll'aggiungere « balcones novos super balcones veteres,
deinde capitellum mirifice constructum» dall' abate Gerardo prima dell'anno 1188. Tanto consta dall'iscrizione
scolpita sulla base del campanile (2),
e dall'altra or ora citata.
Non ci tratteniamo a descrivere la basilica ben nota ai
lettori.
Notiamo soltanto come i cultori dell'arte veggono in essa
una prova del risveglio del genio latino. «Tutta
la basilica zenoniana, in cui vive potente l'arte romanza (italica), ci offre
una prova ben chiara del risveglio del genio latino. Nel suo complesso
l'edificio rivela il gagliardo risorgere del genio italiano, e forse non lascia
più alcun posto all'influsso dell'arte che lo precedette» (3) (a).
Un'opera così grandiosa, quale è la basilica zenoniana, ci
attesta quanto fosse radicata nella mente dei veronesi l'idea che là sotto
fossero le reliquie del loro santo Patrono e quanto stava a cuore che vi
fossero custodite decorosamente. In quest'epoca abbiamo appunto ravvivato nei
fedeli il culto delle sacre reliquie. Del re
Pipino si racconta che non potè ottenere
dal vescovo Ratoldo una minima
particella delle ossa di S. Zeno, e fu beato di poter raccogliere e portar seco
un po' di polvere e di cenere del ripostiglio. Più fortunato il vescovo Walterio nel ritirarsi da
Verona portò seco un osso del corpo del
santo.
Per questa venerazione verso il corpo di S. Zeno, quando si temeva che gli Ungheri lo rubassero, i veronesi lo
ritirarono in città nella chiesa di S.
Maria Matricolare; d'onde ben presto, cessato il pericolo, lo riportarono
alla sua basilica.
Anche i diplomi imperiali fanno risaltare quanto prezioso
tesoro fosse il corpo di S. Zeno custodito nella sua basilica, quando, parlando
di essa o del monastero, soggiungono e ripetono spesso: «ubi sacrum eius corpus humatum quiescit » (4). Così vari diplomi di Berengario,
Ugo, Ottone I, Ottone II, Enrico II, ecc.; nei quali la ragione dei privilegi e possessi
attribuiti al monastero od alla chiesa è appunto il corpo di S. Zeno.
La devozione alle sacre reliquie, devozione in sé legittima
e tutta conforme alla dottrina cattolica, ravvivatasi in quest'epoca, trasse
seco un'avidità talvolta eccessiva di aver tali reliquie, senza troppo
sottilizzare sulla loro autenticità e sulla legittimità dei mezzi per
appropriarsele (5). Per dir solo di
cose nostre, fu in quest'epoca che anche i veronesi procurarono di arricchire
la loro città di corpi di santi, dei quali, prescindendo dai mezzi usati per
averli, si dubitò più tardi sulla loro autenticità. Così verso la fine di
quest'epoca seconda o sul principio della seguente si infisse nella mente dei
veronesi la persuasione che nella chiesa di S. Procolo si trovassero i corpi dei martiri Cosma e Damiano, in quella di S. Giovanni in Valle i corpi dei
Ss. apostoli Simone e Giuda, in santa
Maria della Fratta i corpi dei Ss.
Liberto e Vittoria, in S. Nazaro
i corpi di S. Biagio e di S. Giuliana,
nella Cattedrale il corpo di Sant'Agata, ecc. Ora parecchi di questi
corpi di santi consta che si trovano altrove.
Abbiamo pure accennato che in quest'epoca non si
scrupoleggiava sui mezzi per appropriarsi le sacre reliquie. Limitandoci a cose
nostre, richiamiamo alla mente dei lettori il furto del corpo di S. Metrone
commesso dai mantovani: furto, per il quale il nostro vescovo Raterio inveisce (Invectiva), non contro i mantovani,
ma contro i veronesi (6). Secondo i
bergamaschi, i corpi dei nostri Ss.
martiri Fermo e Rustico sarebbero
passati da Verona a Bergamo nell'anno 855, o furtivamente, o per infedeltà dei
custodi corrotti con danaro (7).
Un curioso furto di reliquie si dice commesso nella nostra
chiesa di S. Maria « in organo» la
mattina del giorno 23 giugno 1053. Non dispiacerà leggerne il racconto
originale (da noi un po' compendiato), quale ci viene dato da un cronista del
monastero benedettino di Burn in
Germania: autore del furto fu Gotschalco
dello stesso monastero di Burn, che
allora per le necessità economiche del suo monastero si trovava a Verona:
« Gotschalcus
(avendo già un giorno asportate da S.
Maria in Organo alcune reliquie, la notte seguente potè rientrare nella
cripta, e) omnia quae remanserant, tulit... et criptam volens exire (8) ... ad gradus ipsius cripte obviam
ipsum custodem habens (sic) nomine Florianum ... Quid quaeris? Ille
respondit: Nichil aliud quaero nisi Dominum Jesum, et sanctos eius qui hic
requiescant deprecare studui. Custos Florianus, criptam cito ingrediens,
post fugientem currit clamans cum austeritate magna: Expecta me, expecta me,
fur. Et ille fugiens extra ecclesiam cupiens aliquo loco abscondere se, sed
non potuit, custode insequente et dicente: Expecta me, fur. Tunc
apprehendit eum in curte, et dixit ei: Fur, quid portas? Ille vero prae
pavore respondere non potuit... Et clauso ostio tenuit manus fratris nostri Gotschalci ... et dixit
illi: Quid portas? Ille vero flexis genibus veniam postulans confessus
est, nichilque abscondit. Tunc custos
dixit: Ubi tulisti (abstulisti) haec ossa? Ille respondit: In cripta in sarcofago
retro altari quod est in australi parte. Tunc exclamavit custos: Vae
mihi! vae mihi! Corpus est sancte Anastasie virginis et martiris et patrone
nostre post sanctam Mariam... Vae tibi, male fur! quomodo ausus fuisti nobis tanta mala facere?
... Iterum: Vae tibi! et voluit oculos eius eruere. In magna vero tribulacione Gotschalcus
positus, retraxit de sacculo suo 20 solidos denariorum et dedit ei dicens: Accipe,
domine pater, istos denarios cum reliquiis his, et noli detegere reatum meum
abbati tuo et neque dicas fratribus peccatum meum. Tunc mutatum est cor Italici (di
Floriano), vidensque pecuniam cecati sunt oculi ejus ... : Noli metuere, non
facio tibi malum modo ... Ille vero dixit
confortatus: Domine mi, sine me habere istas reliquias; habeo hic bonum opertorium,
daboque tibi. Custos ille avarus
pecunia seductus respondit: Non ausus
sum (non ardisco) hoc facere contra locum istum et abbatem meum. Gotschalcus vero respondit: Da mihi,
domine mi; non nocet tibi, quia sanctus Benedictus, de cuius monasterio sum,
adiuvat te, ne patiaris per hoc malum
... Tunc duxit illum in pomerium, quod iuxta ecclesiam iacet, ... ibique
iterurn dixit: Valde stulte egisti,
... sed propter sanctum Benedictum ... dabo tibi reliquias quas tu ipse
tulisti, tantum capite (di Sant'Anastasia) mihi dato, et vade in pace. (Ma
poi avendo veduto che nella cripta non restavano altre reliquie) dixitei: Non
possum: nunc tolle tuos denarios, et vade in pace. (Allora Gotschalco fece notare al custode che
restavano ancor nella cripta reliquie di S.
Crisogono, di S. Castorio e dei Santi Canciani, e pregò di nuovo):
I stud corpus sanctae Anastasiae rogo ut des sancto
Benedicto ... Tunc Florianus, compulsus precibus Gotschalci cum lacrimis
cepit dicere: Fiat tibi secundum voluntatem tuam; et traxit pallium
altaris de sinu suo, et involvit corpus sancte Anastasie, et tradit ei dicens: Non
propter tua m voluntatem tibi dabo, sed propter Sanctum Benedictum; ... osculansque
omnia ossa eius tradit Gotschalco sub die 9 Kal. Iulii (1053), acceptoque
sancto corpore (Gotschalcus) ivit ad hospitium »(9) e nel giorno seguente partì per il suo monastero di Burn. Così i venti soldi ed il mantello fruttarono a
lui ed al suo monastero le reliquie di santa
Anastasia. Tuttavia un' iscrizione posta nella chiesa di S. Maria in Organo l'anno 1497 tra le
reliquie ivi esistenti pone « sanctae
Anastasiae ossa» (B).
Nei nostri documenti medioevali abbiamo preziose memorie
intorno alle funzioni, che si celebravano col massimo decoro nella chiesa
cattedrale e certo con la dovuta proporzione nelle altre chiese.
Due codici, uno della fine del secolo VIII o del principio
del seguente, l'altro della seconda metà del secolo XI, si completano insieme.
Il primo è il celebre codice dei sermoni
di S. Zeno, detto codice di Reims, l'altro è il Carpsum di Stefano sacerdote è
cantore (10): il primo ci dà delle
importanti notizie sulle funzioni, quali si celebravano nel secolo VIII e,
dobbiamo supporre, anche nei seguenti; l'altro ci dice espressamente che
designa le funzioni quali si celebravano all'epoca sua ed anche nei tempi
anteriori: dunque ciascuno dei due completa l'altro.
Dal codice di Reims,
e precisamente da postille o rubriche segnate in margine ai sermoni da qualche
ceremoniere dell'epoca accennata, sappiamo come nelle feste principali, o dal
vescovo o dal diacono sull'ambone si leggeva ai fedeli « fratribus » un tratto di qualche sermone di S. Zeno; la quale
lettura dovrebbe aver sostituito un discorso tenuto a voce nelle feste
ordinarie. Così nella festa dei Ss. Fermo e Rustico si leggeva il sermone II De
Daniele.
Nel primo sabato del mese primo si leggeva il sermone IV De Daniele « coram pontifice ante processionem »:
dunque in quel primo sabato di marzo il clero della Cattedrale adunato col
vescovo, forse nel « secretarium»
(sacrestia), dopo letto quel sermone andava processionalmente alla cattedrale.
Quando il vescovo battezzava nelle solennità di Pasqua e di Pentecoste, prima del battesimo si leggeva uno dei sermoni Invitatio ad fontem; dopo
il battesimo uno dei sermoni Post
baptismum.
Il sermone VI ad neophytos si leggeva
nella chiesa di S. Stefano «ad Martyres » sull'ambone prima che il
vescovo « consignationem Spiritus sancti
celebrare incipiat » nella « feria
secunda post Pascha »: dunque in quel lunedì il vescovo amministrava la
cresima nella chiesa di S. Stefano;
nella quale ci dice il Carpsum
che in quella « feria secunda»
vi era la Statio.
Il Sermone I De die dominico Paschatis veniva recitato dal diacono « ipso die Paschatis coram pontifice, postquam
ipse cum diaconibus sederit, porrectis malis cum pace praestita, dicente
Pontifice: Surrexit Dominus »: gli altri rispondevano: « et illuxit nobis ».
La cerimonia « porrectis
malis» secondo i Ballerini, sarebbe la presentazione liturgica di alcune
mele (11): osserva per altro il Da Prato che il nominativo di quel « malis» non dovrebbe essere mala (poma, mele), ma malae (genae,
guancie); e così la cerimonia del secolo VIII è l'« osculum pacis », quale troviamo usato nei riti antichi ed anche
negli attuali. Omettiamo gli altri sermoni e le feste in cui erano letti (12).
Da altre rubriche del codice di Reims, dal Carpsum e da alcuni Ordines della nostra
Capitolare apparisce come in alcune ricorrenze speciali si faceano processioni
liturgiche, massime dal clero della cattedrale, talvolta insieme col vescovo.
Così il Carpsum:
« Faciant canonici
processionem una cum Episcopo ad sanctum Theodorum ... Cuncti fratres (sic)
faciant processionem ad sanctum Georgium », etc. Pare che in tali
processioni si cantassero le Laudes
o litanie che troviamo nei tre codici processionali della nostra
capitolare, spettanti il primo alla prima metà del secolo IX, gli altri ai
secoli XI, XII.
Le processioni partivano da un luogo ove si adunavano il
clero ed i fedeli; la quale adunanza a Roma e altrove si diceva collecta, presso di noi conventus (13):
indi si recavano alla cattedrale o ad altre chiese, nelle quali in giorni
determinati si dovean tenere le Stationes.
Nel giorno 25 o 26 dicembre i canonici insieme col vescovo « antecedente cruce » andavano
processionalmente alla chiesa di S.
Teodoro (14). Nella chiesa di sant'Elena abbiamo ancora una
croce stazionale; ma è posteriore di qualche secolo.
L'appellativo «Statio»
veniva certo da stando; sia
perché il clero ed i fedeli giunti alla chiesa designata si fermavano ad orare,
sia perché ivi pregavano stando in piedi: non dallo statuto die di Plinio
a proposito dei cristiani della Bitinia,
come opinava il sac. Spagnolo (15).
In Roma le
stazioni si tenevano in quaresima e negli altri giorni di digiuno: in Verona, a
quanto afferma Spagnolo, si tenevano
pure in varie chiese in quaresima (16);
ma certo visi tenevano anche in giorni solenni dell'anno, e perciò
indipendentemente dal digiuno. Nel Carpsum
abbiamo segnate le « stationes »
che si celebravano nel secolo XI e nei precedenti durante l'ottava di Pasqua: « Feria II: statio ad sanctum Stephanum. -
Feria III: statio ad sanctos Apostolos et sanctum Laurentium. - Feria IV:
statio ad sanctam Mariam organam et sanctum Vitalem. - Sabbato statio ad
sanctum Zenonem et sanctum Proculum. - In Dominica octavae Paschae: statio ad
sanctam Anastasiam »(17). Dallo
stesso codice sappiamo che altre sei volte all'anno si celebravano le stazioni
nella Basilica di S. Zeno (18).
Alla chiesa della stazione andava ordinariamente anche il
vescovo, procedendo insieme col clero e coi fedeli; è là « ante stationem » si leggeva uno o l'altro sermone di S. Zeno.
Tra i codici liturgici della nostra capitolare ha
un'importanza specialissima il Carpsum
composto da Stefano sacerdote e
cantore nella chiesa cattedrale al tempo del vescovo Walterio, e quindi verso la metà del secolo XI (19). Il Maffei ha espresso il suo
desiderio che fosse pubblicato un documento così importante per la storia della
liturgia della chiesa veronese; il compianto sac. Spagnolo pubblicò con dotte annotazioni il calendario premesso al Carpsum; ma la morte
prematura gli impedì di condur a termine l'opera da lui meditata. Ne diamo qui
il proemio togliendolo dal Maffei (20):
« In divinis voluminibus scriptum habetur quod unusquisque,
religiosa sanctae christianitatis fide imbutus, quique in agro dominico boni
operis semen studuerit seminare, is iuxta sui laboris exercitium centupliciter
aeternam sit accepturus mercedem atque ineffabilem remunerationem. Quapropter
ego Stephanus, licet indignus in canonica sanctae Matris Dominae Mariae Veronae
sitae imbutus et educatus, sacerdotis quoque et cantoris fungens officii
dignitate, hujus libelli opusculum, quod ex nostrorum antecessorum nuncupatione
Carpsum vocatur, divina renovavi inspiratione; incipiens ab adventu
Domini, ea quae sunt in sancta ecclesia ordinatim cantanda, quae pertinere
cernuntur sencundum temporis qualitatem, tam in diurnis, quam in nocturnis
officiis. In hoc ergo memorato opere quae congruenter addenda erant addidi, et
quae superflua sollerter resecare studui; confisus in de certissime, non meis
meritis, sed Dei misericordia aeternum me consecuturum bravium, quod sine fine
constat mansurum» (c).
La nostra biblioteca capitolare ha altri codici
importantissimi per la storia liturgica di questi secoli. L'Evangelarium porpureo era in uso nella nostra chiesa
almeno dal principio del secolo IX: al secolo X appartiene il Sacramentarium sancti Wolfangi,
al quale più tardi furono inserite alcune messe ad onore di S. Zeno: inoltre vi sono Processionales, Orationales,
Lectionales, Penitentiales, Kalendaria, etc., tutti destinati
all'uso liturgico della nostra chiesa.
Quanto alla coltura intellettuale del nostro clero, poche
notizie abbiamo e malsicure dall'epoca di Raterio
in poi, e tutto l'ambiente ci persuade che ben poco coltivati fossero gli
studii letterari e sacri in quei secoli funesti. Sussisteva ancora la « Schola sacerdotum »; ma forse non più
destinata esclusivamente all'istruzione (21).
Un certo Pacifico,
detto Leneo, mansionario della
cattedrale, nel secolo XI compose un Lexicon
o Dizionario citato dal Panvinio.
Probabilmente fu vescovo nostro quell'Adelberto
o Aldegerio, che poco dopo la metà
del secolo XI scrisse il trattato De
studio virtutum. Contemporaneo fu Stefano cantore della cattedrale autore del Carpsum. Abbiamo anche nel medesimo secolo un Inno ad onore di sant'Ambrogio, che si trova nella nostra capitolare: l'autore si dice discepolo di Adelberto: siccome poi le iniziali dei versi formano acrosticamente
«Maximianus », si ritiene che questo
fosse il suo nome (22).
Sotto l'aspetto politico Verona ebbe molta importanza dalla
metà del secolo X alla metà del secolo XII, per essere Verona media, come dice un cronista teutonico, tra la Bavaria e la Lombardia.
Per questa ragione vi si trovarono di spesso gli imperatori
germanici. Oltre gli Ottoni nella
seconda metà del secolo X, nell'aprile o maggio del 1004 vi entrò Enrico II vittorioso contro Arduino, ricevuto con onori regali da Tebaldo marchese e dal vescovo (di nome
incerto): vi tornò pure nel 1014 e nel 1021.
Venne pure più volte e risiedette a Verona Corrado II; e così pure vi furono più
volte gli imperatori Enrici, III, IV, V.
La residenza ordinaria degli imperatori era presso i monaci di S. Zeno, dove convenivano spesso i grandi d'Italia e due
celebri donne Beatrice e la sua
figlia Matilde di Canossa.
Furono pure a Verona almeno tre papi 23: Benedetto VIII nel 1014, S. Leone IX nel Natale del 1050, Pasquale II nel 1106 invitato da Enrico V a recarsi in Germania per finire la lotta delle
investiture (24).
Notiamo qui per
incidens il terremoto del
7 gennaio 1117, che ci vien testificato da parecchi Annales; per causa di esso ruinarono diverse chiese e
case in Verona e in tutta la Lombardia: insieme « maxima pars arenae cecidit »(25).
Chiudiamo questo capo ed insieme l'epoca seconda con una
breve descrizione di Verona, quale ci è data da un buon cronista teutonico
nell'anno 1090. Trovandosi a Verona nell'aprile di questo anno l'imperatore Enrico IV, venne a Verona
per trattare direttamente con lui Gunthero
vescovo di Citz; certamente il
cronista venne insieme con lui:
« Hic (l'imperatore) eo tempore apud civitatem Bavariam et
Longobardiam dividentem morabatur, quae a Latinis Verona, a teutonicis Berne
nuncupatur. Hanc civitatem transmontanam (scrive un tedesco) Theodericus
quondam rex Hunnorum, ut ab indigenis accepimus, primus condìdìt (26), et a situ et natura loci Veronam,
scilicet a vere, vernali vocabulo iocundavit. Est enim locus aëre
salubris, flumine iocundus, civium innumerositate refertus. A meridie, occidente et aquilone planicies
spaciosissima per tres fere dietas extenditur; ab oriente montana coelo contigua aspiciuntur.
In eadem civitate domum praegrandem
extruxit, quae Romuleo theatro mire assimilatur. Haec per ostium intratur et
exitur, et per gradus circumductos, cum sit mirae altitudinis, facile
ascenditur. In qua dum multa millia hominum contineantur, singuli a singulis
audiuntur et videntur. Ne quisquam conditoris huius incertus habeatur, usque
hodie Theodorici domus appellatur» (27).
Aggiungiamo che alcuni
veronesi presero parte alla prima
crociata, come accenna Fulco: « Ouos Athesis pulcher praeterfluit
Eridanusque ... concurrunt Itali »(28).
Tornati a Verona, a ricordo dei luoghi santi diedero nuovi nomi ad alcune
località: Betlemme, Nazareth, Santo
Sepolcro. Ma gli appellattivi Vallis dominica, Pratum dominicum, Mons olivetus, sono
anteriori alle crociate: quest'ultimo si dice derivato da questo, che un dei
nostri vescovi si fece incontro in quel luogo ad un imperatore con un ramoscello di olivo in mano (29).
NOTE
1 - Presso
SIMEONI, La Basilica di S. Zeno in Verona, pag. 14.
2 - DA PERSICO, Verona
e sua Provincia, pago 47, 142, Nota
26; SIMEONI, Op. cit., pag. 15.
3 - CIPOLLA, Compendio
della storia politica di Verona, pag. 87.
4 - Presso
CAVATTONI, Memorie intorno alla vita ... di S. Zeno nei Documenti.
- Secondo, gli Excerpta pubblicati da C. Cipolla la traslazione
nella Chiesa di S. Maria Matricolare sarebbe avvenuta probabilmente nell'899. -
CIPOLLA, Antiche cronache veron., pag. 483, 532 (Venezia 1890).
5 - Una strana
devozione verso le reliquie dei santi suggerì verso la fine del secolo X agli
abitanti delle Gallie meridionali il tentativo di uccidere S. Romualdo, perché
ne restasse il corpo presso di loro; ROHRBACHER, Storia univ. della Chiesa,
Libro LXI, Vol. VII, pag. 158. (Torino 1876); BUTLER, Vite dei Santi, al
giorno 7 febbrajo.
6 - RATHERIUS, Opera,
Invectiva in quosdam de transl. S. Metronis (Ed. Ball, pag. 301,
seqq.).
7 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, VIII,· Epilogo delle controversie tra i bergamaschi e
veronesi sopra i sacri corpi dei SS. Fermo e Rustico, pag. V (Verona 1771).
8 - Non dovrebbe
essere la cripta attuale, la quale sembra sia stata consacrata nel 1131: essa
però conserva qualche capitello della precedente.
9 – Chronicon Benedictoburanum,
. all'anno 1053, presso PERTZ, Monum. Germ., Script., IX, 226-228.
10 - Trattano del
primo codice: BALLERINI, S. Zenonis Sermones, Praefatio, Num IV, V; (Ed.
Veronae 1739); GIULlARI, S. Zenonis Sermones, Commento Cap. X, § 2. -
Del secondo daremo un cenno più sotto.
11 - BALLERINI, Op.
cit., Lib. 11, Tract. I, pag. 254.
12 - BALLERINI, Op.
cit., Praejatio, Num. V; GIULlARI, Op. cit., pagg. 232, 237, 239,
241, 249, 253, 260, 265, 269, 271, 276, 294, 296.
13 - Da una
rubrica del codice di Reims consta che anche in questa adunanza preparatoria si leggeva qualche
sermone di S. Zeno; BALLERINI, S. Zenonis Sermones, pag. 242.
14 -Vedi Bollettino
eccles. veron. 1916, pag. 14.
15 - Nel Bollettino
eccles. veron., 1914, pag. 57.
16 - Bollett. cit., pag.
59.
17 - Presso
GIULlARI, S, Zenonis Sermones, pag. 265, Nota a BALLER.
18 - GIULlARI, Op.
cit., Commento praev., Cap. III, pag. XXXV; Bollett, eccl. veron., 1915,
pag. 98.
19 - Quest'epoca
è dimostrata da SPAGNOLO, Tre calendari medioevo veron., pag. 13, seg.
20 - MAFFEI, Istoria
teolog., Append., Opusc. eccles., pag. 92. - Noi facciamo voti che
qualche cultore delle cose nostre procuri al nostro clero la pubblicazione di
un manoscritto tanto prezioso.
21 - Ad essa
donarono beni Ingebaldo nel 981, Naldo nel 983, i coniugi Angloara e Paolo nel
987. De DIONYSIIS, De AIdone et Notingo, Docum., pag. 161, 166, 168.
22 - VENTURI, Storia
di Verona, I, pag. 185; SORMANI-MoRETTI, La Provincia di Verona, III,
290. - L'Inno ad onore di sant'Ambrogio presso MURATORI, Rerum. ital.
Script., II, P, II, 689.
23 - Sac. ANT;
PIGHI, I Papi il Verona, pag. 13-15.
24 - A Verona il
Papa si trovò chiusa la via per andar in Germania; perciò si rivolse alla
Francia.
25 - Annales
veteres, a. 1117, presso CIPOLLA, Ann. vet., pag. 2 (Estratto da Arch. Ver., IX, P. II).
26 - La notizia,
che Verona e con essa l'arena siano state fabbricate da Teodorico, il cronista
la raccolse «ab indigenis ».
27 - Chronicon
Gozense (oggi Goseck), presso PERTZ, Monum. Germ., Script., X,149.
28 - FULCO,
presso DUCHESNE, Rerum Francic., Tomo IV.
29 - BIANCOLINI, Chiese
di Verona, II, pag. 736.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XIX (erroneamente XVIII
nella stampa originale) a cura di A. Orlandi
(a) Pag. 307. -
La bibliografia intorno alla basilica di S. Zeno si è notevolmente moltiplicata
e certamente si accrescerà ancora. Qui citiamo alcuni lavori più ragguardevoli.
W. ARSLAN, L'architettura romanica veronese, Verona 1939; A. DA LISCA, La basilica di San Zenone in
Verona, Verona 1941; G. TRECCA, Facciata
e cripta della basilica di S. Zeno, Verona 1941; P. GAZZOLA, San
Zeno Bible des pauvres. Porte de bronze de V érone, Lausanne 1956. Vari volumetti sulla storia e l'arte della
basilica zenoniana sono stati editi anche nella collana te Le Guide» di «Vita
Veronese ».
(b) Pag. 310. -
Anche Francesco Corna nel 1477 elencando nel suo Fioretto le reliquie
conservate in S. Maria in Organo, riferisce che vi erano anche quelle di S.
Anastasia. Cf. F. CORNA, Fioretto de le antiche croniche de Verona e de
tutti i soi confini e de le reliquie che si trovano dentro in ditta
citade. A cura di G. P. Marchi e P. P. Brugnoli, Verona 1973, p. 71.
(c) Pag. 313. -
L'edizione del Carpsum fu data recentemente da G. G. Meersseman insieme
con quella dell'orazionale dell'arcidiacono Pacifico. L'utile pubblicazione non
ha con ogni probabilità esaurito gli aspetti di studio, che il Carpsum può
offrire. G. G, MEERSSEMAN - E. ADDA - J. DESHUSSES, L'Orazionale
dell'arcidiacono Pacifico e il Carpsum del cantore Stefano. Studi e testi sulla
liturgia di Verona dal IX al XI secolo, Friburgo 1974.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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