mercoledì 5 febbraio 2014

LA CHIESA VERONESE ALL’EPOCA DI BERENGARIO I

Lapide di Notkerio; l’iscrizione si trova nella  cattedrale di Verona, sopra la porta sotto la cantoria di sinistra, a lato dell'altare di sant'Annone. 



EPOCA  II  -  CAPO IX


SOMMARIO. - Incertezze dopo l'anno 905 - Notkerio - Sue beneficenze - Il «Pater veronensium clericorum» - Suo testamento - Epigrafe sepolcrale - Ilduino - Berengario re ed imperatore - Il «Panegyricus Berengarii » - I re Rodolfo ed Ugo - Il cancelliere Giovanni.


Berengario I,  e come re d'Italia, e come imperatore, ha speciali attinenze con la chiesa veronese, avendo egli prescelto Verona, come sua residenza ordinaria, e largito favori e privilegi a varie chiese e monasteri della nostra diocesi. Nè i veronesi vennero mai meno alla più sincera ed illimitata fedeltà verso Berengario in tutte le sue fortunose vicende, sia prospere che avverse.

Già abbiamo veduto quali relazioni abbia avuto con Berengario il nostro vescovo Adelardo fin verso l'anno 905; dal quale anno nulla sappiamo di lui, neppure l'epoca della sua morte.
Dopo Adelardo alcuni dei nostri scrittori ponevano un vescovo Pietro; altri un vescovo Giovanni; ma senza alcun documento (1). Altri ponevano un certo Adelberto, basati su un diploma del re Ugo dato il 7 agosto dell'anno 926: « Noverit ... Adalbertum et Notkerium reverentissimos episcopos dilectos exorasse clementiam, quatenus... omnes proprietates et possessiones beatissimi Zenonis corroboraremus, etc. »(2).

Ma un Adelberto di origine veronese fu in quest'epoca vescovo di Bergamo: come veronese, e perciò devoto a S. Zeno, probabilmente avrà aggiunto le sue preghiere a quelle del vescovo Notkerio a favore di S. Zeno e di quel monastero: nè si può dire che sian nominati i due come vescovi di Verona successivamente; poichè Ugo fu imperatore solo dopo l'anno 924, quando certamente da parecchi anni era vescovo di Verona Notkerio.

Notkerio o Noterio nella serie dei nostri vescovi sarebbe il vescovo cinquantesimo quarto, succeduto immediatamente ad Adelardo tra gli anni 912-915.  Era figlio di Adelmaro longobardo, ricco di possessioni nella valle Pantena e nel comitato (a) tridentino. Egli stesso nel suo testamento attribui la sua elezione all'opera di Berengario « dominus amabilis, serenissimus, christianissimus »; il quale, non per meriti di lui, ma « sola gratuita pietate me ad istud culmen provexit ».  Del resto, Notkerio fu certamente un uomo di insigni virtù, degno dell'onore conferitogli da Berengario, benemerito della nostra chiesa; il quale, come attesta Panvinio, fu in grande venerazione presso i veronesi per la sua esimia santità »(3).

Se è autentico un diploma di Berengario dato fra gli anni 916- 920, Notkerio con un atto inter vivos (che non esiste) avrebbe donato ai canonici della nostra cattedrale tre ville, che egli possedeva nel comitato tridentino, dette Bergutium, Belvenum e Bundum: il diploma di Berengario confermerebbe appunto la donazione di Notkerio. Quel diploma fu rigettato come apocrifo dal canonico Dionisi; fu sostenuto come autentico dal canonico Muselli e recentemente dal sacerdote Spagnolo (4): ma il prof. Schiaparelli, esaminato e discusso e confrontato con altri documenti lo studio dello Spagnolo, concluse esser ancor assai dubbia l'autenticità del diploma (5). La questione oggi non è di tale importanza, da doverla noi trattare ex professo: ci basti averne indicato lo stato.

Comunque sia, Notkerio certamente lasciò quelle tre ville al suo « xenodochium » sotto la dipendenza ed amministrazione dei canonici nei codicilli degli anni 927, 928. Da un diploma di Ottone II  (983) sappiamo che ai canonici lasciò pure una sua tenuta nel comitato tridentino,  detta Badabiones (6).

Fondò un ospedale (« xenodochium ») in una sua casa non lungi dalla corte di S. Faustino: secondo il Biancolini, sarebbe quello di sant'Apollonia di fronte alla chiesa attuale di S. Chiara (7).  Beneficò il monastero di S. Zeno.  Al monastero di S. Zaccaria in Venezia donò alcuni possedimenti, che egli avea entro e fuori del castello di Monselice. Nel gennaio dell'anno 918 fu presente ad un placito tenuto da Odelrico messo di Berengario « ad ecclesiam sanctae Dei genitricis Mariae, quae dicitur antiqua »: nel quale si trattava una causa del monastero di Nonantola. La sentenza fu favorevole al monastero. Tra i soscrittori è segnato: «Ego Notkerius gratia Dei  episcopus  et missus domni imperatoris interfui et subscripsi »(8).

Dove però Notkerio profuse i tesori della sua pietà fu senza dubbio il clero della chiesa veronese. Di ciò rimase una memoria profondamente impressa nel cuore dei veronesi; i quali per molti anni dopo la sua morte lo ebbero « Pater veronensium clericorum »; come apparisce da diplomi imperiali di Ottone II (983), Enrico II, (1014), Enrico III (1047) (9).

Insigne monumento della pietà di Notkerio è il testamento fatto a Mantova il 10 febbraio 921(10), a cui si aggiunse alcuni codicilli negli lanni 927, 928(11).  In quel testamento disponeva di una gran parte dei suoi beni presso Marliana in favore del «xenodochium » non lungi dalla corte detta una volta del Duca e dell'Horreum  (12),  sotto la direzione ed amministrazione di un sacerdote addetto alla cura dell'ospitale e dell'arciprete e dell'arcidiacono della chiesa veronese; allo stesso nei codicilli lasciava anche le sue decanie che avea nei luoghi Bergunzio, Belveno e Bundo: stabiliva pure che fossero celebrate molte messe a suffragio dell'anima di Berengario suo benefattore (non ancora defunto); altre messe a suffragio dell'anima sua e di quelle dei suoi genitori e parenti, e che fossero distribuite elemosine ai poveri, a sacerdoti, e particolarmente ai monaci del monastero di S. Zeno, « ubi sanctum ejus corpus humatum quiescit ».

Morì Notkerio il 10 agosto dell'anno 928. Il suo corpo fu sepolto in una parete della chiesa di S. Maria Matricolare, e sulla sepoltura fu posta la seguente iscrizione, che si legge sotto la cantoria a lato dell'altare di sant'Annone:  l'urna fu poi affondata dal vescovo Giberti:


Praesulis hoc tumulo requiescit corpus humatum
Notkerii, largus qui fuit atque pius.
Nempe suo quicquid potuit largitor habere
Contulit ipse gregi mente benigna pura.
Praedia namque, domus, camporum jura parente
Ecclesiae cessit, nil retinendo sibi.
Omnibus impendens, charitatis luce repletus
Omnia coelorum aethera nudus adit.
Confovet in gremio gaudentem summa potestas
Illum cum sanctis collocat atque suis.
Virgo Dei genitrix, cujus se posse putavit
Salvari precibus, suscipe vota suis.

Obiit IV idus augusti anno dominicae incarnacionis
DCCCCXXVIII. Indict. I. (b).


Intanto a Berengario, ucciso nel 924, dopo il breve regno di Rodolfo, era succeduto Ugo di Provenza; per opera del quale fu trasferito alla sede di Verona  Ilduino monaco di Corbeja e parente di Ugo, esule dalla sede di Liegi. Questa traslazione avvenne « jure stipendiario », come dice Raterio; cioè, finché avesse a rimaner vacante qualche altro vescovado più pingue (13).
Così Ilduino, che nella sede dei nostri vescovi è il cinquantesimo quinto, tenne la sede di Verona per circa tre anni, trasferito poi per opera dello stesso Ugo a quella più pingue di Milano nell'anno 931. Di lui sappiamo che autorizzò il conte Milone a fabbricare in un suo fondo la chiesa di S. Maria di Ronco assoggettandola alla scuola e alla canonica della cattedrale (14).

Con Ilduino era venuto a Verona anche il suo discepolo Raterio; il quale tosto si recò a Roma a perorare presso il papa Giovanni X la causa di Ilduino, non senza speranza di promuovere insieme anche la propria. Di lui ci occuperemo nei capi seguenti.

Delle mutazioni politiche noi non ci possiamo occupare, se non in quanto si riferiscono alla storia della nostra chiesa. Sotto  questo aspetto lo storico ecclesiastico non ha che ad encomiare la condotta di Berengario, re ed imperatore per molti titoli benemerito della chiesa veronese.  
Mentre era ancor re d'Italia, concesse terre e privilegi al monastero di S. Zeno con diplomi 9 novembre 894, 4 aprile 904, 4 agosto 90S, 10 agosto 906; altri ne concesse a quelli di S. Maria in Organo e di S. Maria di Gazzo.  Sulla riva destra dell'Adige in una terra del fisco regio edificò una chiesa ad onore del divin Salvatore, detta Corte regia, presso la quale pare che egli abitasse ordinariamente: alla stessa assegnò una dotazione conspicua con diploma 31 marzo 913 (15).  A Giovanni suo cancelliere con diploma 25 maggio 913 concesse un tratto di terreno presso l'antico teatro romano, dove lo stesso Giovanni, vescovo di Cremona (16), eresse una chiesa ad onore di S. Siro, che si diceva avesse là celebrato la prima messa in Verona.

Eletto imperatore, si recò a Roma nei primi giorni del dicembre 915, accompagnato da quell'Adelberto vescovo di Bergamo, che era di origine veronese ed assai affezionato al suo re (17): fu coronato dal papa Giovanni X tra i giorni 5-8 dicembre (18).  Nella sua nuova posizione dovette più volte assentarsi da Verona; e perciò abbiamo pochi atti di lui posteriori alla sua coronazione. Se è autentico il diploma pubblicato (916-920), avrebbe confermato ai canonici il possesso delle tre ville Bergunzio, Belveno e Bundo. Verso l'anno 920 concesse al monastero di S. Zeno la corte o villa di Breonio con altri terreni in Bertello (19): con altri diplomi beneficò alcune chiese particolari, alcuni chierici e specialmente il suo cancelliere Giovanni, che fu poi vescovo di Cremona.

Aspro rimprovero si muove a Berengario da alcuni dei nostri per avere ordinato la demolizione dell'antico teatro (20).  Ma il diploma « Quia evenit nuper» con argomenti irrefragrabili fu dimostrato falso dal nostro Carlo Cipolla   ed il prof. Schiaparelli  lo relegò tra le Falsificazioni, come opera dell'età umanistica (22).  Dunque cessa ogni fondamento dell'accennato rimprovero. Più grave è l'accusa, che egli contro i suoi avversari abbia invocato gli Ungheri, i quali in varie incursioni devastarono i dintorni di Verona, si spinsero nella Lombardia e distrussero quasi tutta Pavia uccidendone i cittadini.  L'accusa sarebbe gravissima: però sembra che egli non abbia chiamato gli Ungheri dalla Pannonia,  ma se ne sia servito quando già erano in Italia: del resto egli era circondato da avversari sleali e felloni.

Berengario fu ucciso in Verona da un suo famigliare e beneficato, Flamberto, la mattina del 7 aprile 924, mentre si recava a pregare in chiesa: quale fosse la chiesa è incerto: alcuni pensano fosse quella di S. Pietro in Castello od altra presso la località ora detta Nazareth; altri quella di S. Salvatore, dov'era la sua residenza; altri quella di S. Maria Matricolare. Certamente Berengario fu uno dei migliori principi del suo tempo, stimato per le sue virtù anche dagli avversari, profondamente religioso e degno di sorte migliore.

«Un contemporaneo, probabilmente un veronese, forse uno scriba addetto alla cancelleria regale, narrò in un lungo ed elegante carme i fasti di Berengario fino alla sua coronazione ad imperatore: a questo punto si interrompe il poema; chè forse i casi successivi, avversi all'imperatore, distolsero il poeta da continuare il suo carme » (23).  E' il così detto Panegyricus Berengarii, oppure Gesta Berengarii, in circa mille versi esametri con molte reminiscenze classiche di autori latini e greci. Secondo il Wattembach, l'autore fu probabilmente un maestro della scuola veronese, ravvivata sulla fine del secolo X mercè l'insegnamento di Weingauso (24). Del lungo carme daremo solo i primi versi e gli ultimi:


Non hederam sperare vales laurumve, Iibelle,
Quae largita suis tempora prisca viris.
Mille mihi satis est metris tetigisse labores,
Maevius atque licet videar, vos este Marones,
Et post imperii diadema resumite laudes (c).


Per la morte di Berengario, i suoi stati passarono a Rodolfo di Borgogna.  Ma i veronesi mai si piegarono a riconoscerlo come loro re; cosicchè un documento del 12 agosto del medesimo anno « actum in civitate Verona» segna la data: « Regnante Domino nostro Jesu Christo »(25).   Rodolfo con diploma dato in Verona il 12 novembre 924 dichiarò di ricevere sotto la sua protezione il monastero di S. Zeno, confermandogli le precedenti donazioni con nuovi privilegi (26).  
Dopo pochi mesi, la corona passò ad Ugo di Provenza, il quale fu più volte a Verona. Egli fu che nel 928, essendo morto il nostro vescovo Notkerio, fece avere la sede di Verona al sua parente  Ilduino. Egli pure con diploma 7 agosto 926 confermò ed aggiunse altri privilegi alla chiesa ed al monastero di S. Zeno (37).

Tra gli addetti alla corte di Berengario, per noi veronesi ha una speciale importanza il chierico Giovanni, il quale, di origine. veronese, fu cancelliere di Berengario dal 908 al 922, e vescovo di Cremona dal 915 incirca fino alla sua morte (28).  Egli fu che, avendo ottenuto da Berengario un tratto di terreno presso l'antico teatro, vi eresse un oratorio ad onore di S. Siro, ponendolo sotto la dipendenza del monastero di S. Maria in Organo (29). Allo stesso monastero donò nel marzo 907 tre poste di molino « ariales », in vicinanza del « Ponte fracto »;  e ciò in suffragio delle anime di Berengario, dei suoi antecessori e successori, « et pro remedio animae  meae  vel  parentum  meorum »(30).
Celebre è il suo testamento fatto nell'agosto 922 « in castro veronensi », Dispone che la sua casa nel castello insieme con l'oratorio di S. Siro si trasformi in un « xenodochium » in sostentamento dei poveri; e gli assegna una dote conveniente per i sacerdoti, offrendolo al monastero di S. Maria in Organo: ordina che nella vigilia dell'anniversario della sua morte siano offerti tre ceri all'oratorio di S. Siro, ed « ipso vespertino tempore detur refe etio presbiteris illis, qui in ipso sancto lo co consecrati fuerint, pro anima mea ». Che se l'abate di S. Maria in Organo non osservasse queste e molte altre prescrizioni imposte, il «xenodochium» passi «in potestatem et regimen in schola sacerdotum sanctae veronensis ecclesiae »(31).  Dopo la morte di Berengario, Giovanni fu ben accetto anche al re Rodolfo, il quale con diploma del 27 settembre 924 gli confermò i privilegi concessi alla chiesa di Cremona (32).  Pare sia morto verso l'anno 925.


NOTE


1 - BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag. 179, Dissert. sui vescovi, 37.

2 - Presso CAVATTONI, Memorie ... di S. Zeno, Docum. 91; MURATORI, Antiqu. Ital., Medii Aevi, Tom. V. 851.

3 - PANVINIUS, Antiqu. Veron., Lib. I, Cap. 25.

4 - SPAGNOLO, Un diploma di Berengario I, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, XXXVII (Torino 1902).

5 - SCHIAPARELLI, I diplomi di Berengario I, Val. I. Num. CXIII, pag. 290 (Roma 1903).

6 - Vedi Ottonis II diplomata, Tom. II, P. 1, pago 361, tra i Monum. Germ., (Hannov. 1888).

7 - BIANCOLlNI, Chiese di Verona II. 708.

8 - TIRABOSCHI, Storia della Badia di S. Silvestro di Nonantola, Tomo II. pag. 96 Num. LXXVI; L. SCHIAPARELLI,  I diplomi di Berengario, p. 302-308.

9 - Vedi DA PRATO,  L'Arcid. Pacifico, Dissert. II, pag. 81-96; GLORIA, Codice diplom., Padov., Vol. I,  Num. 97, 146 (Venezia 1887).

10 - UGHELLI, Italia sacra, Tom. V,  col. 727;  CAVATTONI, Memore ... Docum. 89.

11 - DE DIONYSIIS,  De AIdone et Notingo, Dipl. XIII, pag. 103.

12 - Nella Iconografia Rateriana l'Horreum è segnato tra l'attuale stradone di S. Fermo e la via Leoncino.

13 - RATHERII, Opera, col. 538, Nota 7 (Ed. Baller.).

14 - Presso BIANCOLINI, Dissert. sui Vescovi ... di Verona, Docum. III, pag. 120.

15 - BIANCOLINI, Chiese di Verona, II. 702.

16 - I nostri scrittori, e con essi lo Stato personale, lo dicono vescovo di Pavia: ma i documenti lo dicono sempre vescovo di Cremona.  Contemporaneo era un Giovanni (III) vescovo di Pavia, creato vescovo l'anno 884, il quale prima era prete della cattedrale di Pavia, e morì sul principio del 924, od ucciso il 12 marzo dagli  Ungheri, od in causa dell'angoscia provata per la strage di quel giorno. Il nostro Giovanni in atti del marzo 907 ed aprile 908 si segnava: «Ego Joannes  clericus de castro Veronae ... de civitate Veronae »:  in un documento dell'agosto 922 si segnava: «Ego Joannes humilis  episcopus sanctae cremonensis ecclesiae »; ed era ancor vivo nel 27 settembre dell'anno 924. Vedi CAPPELLETTI, Chiese d'Italia, pag. 155.

17 - BARSOCCHINI, Docum. di storia eccl. Lucchese, II, 87; Docum. 1166.

18 - BALAN, Storia d'Italia, libro XVII, Uum. 25.

19 - BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag. 46.

20 - VENTURI, Compendio della storia di Verona, Vol. I,  pag. 21.

21 - CIPOLLA, Di un falso diploma di Berengario, in Atti della R. Accad. delle scienze di Torino, Vol. XXXII, (Torino 1897).

22 - SCHIAPARELLI,  I diplomi di Berengario I. - Falsificazioni, Num. II, pag. 368.

23 - CIPOLLA,  Compendio della storia pol. di Verona, pag. 62.

24 - Presso MURATORI, Rerum ital. script., II, P. L 371; PERTZ, Monum.  Germ. Sript., IV, 189; DUMMLER, Gesta Berengarii (Hallae 1871). - Si ritiene composto tra gli anni 916-924.

25 - Presso TlRABOSCHI, Storia della Badia ... di Nonantola, Tomo II, Docum. LXXIX.

26 - UGHELLI, Italia sacra, V. 74; CAVATTONI, Memorie ... di S. Zeno;  Docum.  90.

27 - MURATORI,  Antiqu. Ital., III, 55;  CAVATTONI, Op. cit., Docum. 91.

28 - Ne trattò CIPOLLA, Attorno a Giovanni... in Rendiconti della R. Accademia dei Lincei, Vol. XIV, (Roma 1905).

29 - SALVARO, La chiesa dei SS. Siro e Libera (Verona 1882).

30 - CIPOLLA, Opusc. estratto Attorno a Giovanni ecc., pag, 7.  

31 - Presso CIPOLLA, Opusc. cit., pago 17; SALVARO, Opusc. cit., pag. 35.

32 - MURATORI, Antiqu. Ital., VI. 49; CAPPELLETTI, Chiese d'Italia, XII, 153.


ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. IX (a cura di A. Orlandi)


(a) pag. 226. - Anche qui, come altrove, il Pighi usa il vocabolo «comitato» nel significato originario di «territorio affidato in feudo ad un conte », quasi come «contea» (cfr. inglese «country»). Nel latino «conte» è « comes, comitis »; nel Medioevo indicava chi «va con» l'imperatore, cioè il personaggio del seguito.

(b) pag. 228. - L'iscrizione si trova in cattedrale di Verona, sopra la porta sotto la cantoria di sinistra. V. P.P. BRUGNOU,  La Cattedrale, Verona 1955, « Le Guide 25 ».

(c) pag. 231. - Per le varie iscrizioni e per le gesta di Berengario si veda: CARRARA, Gli scrittori latini, in «Verona e il suo territorio », vol. II, Verona 1964, pp. 371-394. Specificamente per l'epigrafia: L. BILUO, Le iscrizioni veronesi dell'Alto Medio Evo, in «Archivio Veneto»  s.V, XVI



Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I

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