Jesse Owens e Adolf Hitler in un fotomontaggio
La storia si sa, la scrivono i vincitori. Anche quella
delle Olimpiadi. E così fino ad oggi tutti quanti (o quasi) abbiamo dato
credito alla storiella di Hitler, cattivissimo cancelliere nazista razzista,
che si rifiuta di stringere la mano al povero “negro” Jesse Owens, reo di
aver rappresentato il “mondo libero” e di aver fatto incetta di medaglie
alle Olimpiadi di Berlino del ’36, quelle di Olympia della
Riefensthal e della celebrazione della grandezza del Terzo Reich.
Oggi questa storiella strappalacrime probabilmente
affollerebbe i social network, per poi essere derubricata a “bufala”.
Purtroppo invece ce la siamo dovuta sorbire per ottanta
anni, nonostante lo stesso Jesse Owens abbia smentito il fatto nella sua
autobiografia del 1970: “Dopo essere sceso dal podio, passai davanti
alla tribuna d’onore per tornare negli spogliatoi. Il Cancelliere mi fissò. Si
alzò e mi salutò con un cenno della mano. Io feci altrettanto, rispondendo al
saluto. Giornalisti e scrittori dimostrarono cattivo gusto
tramandando un’ostilità che, di fatto, non c’era mai stata“.
Dichiarazioni del diretto interessato che non vennero
però prese sul serio nemmeno negli Usa, dove le leggi razziali erano state
abolite solo da pochissimi anni e alle parole di quel “negro” forse non si
dava peso.
Fatto sta che c’è voluto Race, un film in uscita il 19 febbraio negli Usa e prodotto con la
collaborazione della figlia dell’atleta afroamericano, Marlene Owens Rankin, per fare luce su quella che è la verità
storica.
“Mio padre non si è
mai sentito snobbato da Hitler”, spiega Marlene Owens, “ma fu profondamente ferito dal fatto
che Franklin Delano Roosevelt, il presidente americano dell’epoca, non
l’avesse ricevuto alla Casa Bianca”. Una realtà con la quale gli americani hanno
difficoltà a fare i conti.
Ad Owens venne infatti programmato e sempre rinviato
l’incontro con il democratico Roosvelt, il quale, impegnato nella campagna
elettorale del ’36, non aveva nessuna intenzione di incontrare un “negro” e rischiare così di perdere
voti. Tanto che Owens arrivò ad iscriversi al partito repubblicano e a fare
campagna per l’avversario del presidente, Alf Landon.
Forse Race, con la potenza visiva propria del cinema,
sarà in grado di mettere definitivamente la parola fine a questo falso storico,
per il quale non sono bastate le parole del diretto interessato né le
ricostruzioni di alcuni giornalisti come il tedesco Siegfried Mischner, che pochi anni fa raccontò come lui stesso vide
Hitler stringere la mano ad Owens: “Jesse aveva portato un fotografo e, dopo
l’Olimpiade, chiese alla stampa di correggere un errore che si sarebbe
trascinato fino ai giorni nostri.
Nessuno gli diede retta”. Nell’America razzista degli
anni successivi alla guerra le parole di quell’afroamericano valevano comunque
meno di quelle di un bianco. E così gli Usa umiliarono il proprio
campione, non credendogli e relegandolo a fenomeno da baraccone, in quelle
corse in cui Owens correva contro animali e cavalli da corsa.
Cose di cui si parla
poco, come delle Olimpiadi di Sant Louis del 1904, dove gli
americani si divertirono ad organizzare i “Giochi delle razze
inferiori” meglio conosciuti come “giornate antropologiche”, in cui ci si
divertiva a veder gareggiare pigmei, eschimesi, indiani d’America.
Un’altra bellissima
pagina scritta dai nostri “vincitori”. Ma le bugie hanno le gambe corte,
anche se la verità per venir fuori deve aspettare ottant’anni.
Fonte: srs di Davide Di Stefano da Il primato Naionale del 2 gennaio 2016
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