Dopo che “tutta la città ne parla”, e poi la società
passa ad altro senza una diagnosi, aspettiamo il prossimo “femminicidio”: già
il termine mette fuori strada, serve come falsa diagnosi ideologica (un “delitto di genere”, ho sentito persino
dire) che assolve la “cultura” corrente, quella della liberazione
sessuale, e della società che si gloria di non essere “repressiva”.
A costo di ripetersi, bisogna richiamare l’idea della
“invasione verticale dei barbari”.
Ogni nuova generazione di neonati è una invasione di
barbari che invadono non dall’esterno, ma dall’interno e dal basso
la società; la società ha il compito di educarli, disciplinarli, renderli
civili prima che diventino adulti. Il che significa anche – soprattutto –
fargli subire dei sacrifici e delle sconfitte esistenziali, in modo da far
maturare i loro caratteri.
Come sicuramente avete avuto modo di constatare, un bambino fra i 3 e i 5 anni
è un mostro morale: strillante, imperioso, spaccatutto, pieno di
rabbia, del tutto soggetto ai suoi impulsi immediati, è pronto ad
uccidere, bruciare e distruggere se non li soddisfa. Il
treenne mette a segno infatti numerosi tentativi di omicidio – di fratelli, di
papà e mamme, di cani e gatti, di oggetti che lo ostacolano in
qualunque modo e non pochi atti di autolesionismo criminale (ingoiare automobiline…).
Se poche delle sue stragi vanno a buon fine, è
perché non ha tanti mezzi per far danni; non ha
l’autonomia economica, né la patente di guida e ancor meno la
disponibilità di una pistola (quando riesce a metter le mani su un’arma
incustodita, il caro piccino non esista a far fuoco sulla sorellina: e
allora ne parlano i giornali). E’ per questo che i genitori tengono fuori
dalla sua portata coltelli, accendini, materie esplodenti, alcol,
medicinali; e controllano il piccolo mostro continuamente.
A poco a poco imparerà a sue spese che né gli
altri esseri viventi né il mondo sono al suo servizio
per soddisfare le sue voglie, prenderà zuccate e ceffoni, prima dal papà
poi dal capufficio, dal caporale, dalla società in generale, e apprenderà
quel che Freud chiamava “il principio di realtà”. Stroncherà la sua
infantile violenza, insomma lo civilizzerà – perché “civiltà è il grande sforzo collettivo di ridurre la violenza ad ultima
ratio”.
Ora, pensate a uno di questi piccoli mostri che entra in una
società che si gloria di essere adulta e matura, di avere abolito ogni
forma di “repressione”, che ogni giorno celebra la propria liberazione da
tutti i pregiudizi, quindi da ogni gerarchia e di tutti i tabù moralistici,
tipo l’antipatica distinzione fra “bene” e “male” (cosiddetti); dove i
genitori prendono ogni cura per risparmiargli ogni
“frustrazione”, ogni pressione dell’ambiente, tensione, sforzo e ogni
dovere; scansano ogni ostacolo che si trovi davanti, vogliono
essere suoi amici invece che suoi superiori.
Lo mandano in una scuola che si vanta di essere “non
repressiva”, di non bocciarlo mai e poi mai, che si sforza di “farlo
divertire”, anzi prova a confondere il confine tra “studio” e
“divertimento”; una scuola che sostanzialmente lo incita a
“esprimere le proprie inclinazioni, ed opinioni”, ossia (a quello
stadio) le proprie narcisistiche emozioni.
Ben presto egli apprende di essere cittadino di una
repubblica, quindi che lui ha per nascita solo dei “diritti”, specie
quello ad essere felice, mentre l’insieme degli organi di comunicazione e
propaganda gli instillano nella piccola testa omicida l’idea che
non ha dovere alcuno, verso nessuno, se non verso se stesso: “Soddisfa la tua
sete!”, “Sei nella società dei consumi, nell’abbondanza senza sforzo!” “Tutto
ti è permesso, a nulla sei obbligato!”
…Nel frattempo il mostro non è più tanto piccolo,
diventa grande e grosso, mette su il pelo, gli si ingrossano gli organi
sessuali, aumenta il testosterone: è Conan, sempre treene ma ora
temibile. A quel punto, per legge, la società lo considera adulto (guai se non
lo facesse) anziché bisognoso di controllo, e lo ammette alle gioie dello
stato adulto, – che oggi consistono soprattutto nella liberazione
sessuale.
E’ un punto cruciale: quando aveva tre anni, almeno,
il piccino era sì una belva pronta a tutti i delitti pur di soddisfare le
sue voglie, ma era “innocente”; non conosceva ancora le voglie
della libidine, incoercibili se non ti insegnano a regolarle, sublimarle e (eh
sì) reprimerle. Reprimerle? Non sia mai! Anzi è glorioso dar loro sfogo, siamo
una società liberata! Nessuno lo avvisa che il sesso, lungi dall’essere
“facile”, è un abisso oscuro e tempestoso, di lampi e sconfitte e
ripugnanze radicali, che confina col demoniaco e sconfina spesso nel
satanico – il luogo in cui a un bambino dovrebbe esser vietato entrare.
Siccome ha il pelo pubico e la voce di un adulto
maschio, anche le ragazze credono che sia un adulto; ci si fidanzano – il che
significa che ci vanno a letto. Poi lo lasciano, perché lui è
noioso e non ha nulla dentro, “si fidanzano” con un altro, perché
anche le ragazze hanno diritto alla felicità sessuale.
Rimasto a tre anni di età morale e mentale, non
sa – non può ammettere – che la sua fidanzatina ha una volontà propria,
diversa dalla sua. Non riesce proprio a capire come quella “cosa” bionda
prima stava con lui egli faceva quelle cose, ed ora le fa’ a un altro: è
“sua”! Prova un dolore acuto – il maschio abbandonato – che non sa cosa
sia. Sa solo una cosa: è la cosa bionda che glielo provoca, e se lui la
elimina, il dolore sparirà.
Il fatto è che adesso, lui – siccome in qualche modo
“funziona” nella società (che si contenta davvero di poco) –
ha un lavoro uno stipendio, persino il porto d’armi, e guida l’auto. E
nessun genitore tiene fuori della sua portata l’accendino e la bottiglia
dell’alcol.
L’età infantile del mostro, del barbaro lasciato crescere
senza civilizzarlo, è mostrata da un fatto evidente: non pensa
nemmeno un attimo alle conseguenze del suo omicidio, la prigioni, la
carcerazione per decenni. Ha premeditato l’assassinio quel tanto che
basta, s’è portato la bottiglia di alcol; ma non ha alcuna capacità di
prevedere “oltre”, non riesce a immaginare il dopo, imprevidente come
appunto un barbaro selvaggio negroide. Non si è preordinato alcun alibi, ha
negato l’evidenza: “No…non sono stato io!”. La scusa del piccino di 2
anni che ha rotto la finestra a sassate.
Così succede, una quarantina di volte quest’anno. E’ la
società “liberata” che non sa più civilizzare i suoi barbari verticali, è la
società progressista che non sa (né vuole) trasmettere il Progresso; ad
ogni generazione cade in un gradino più basso della barbarie, perché gli
“educatori” sono essi stessi di una generazione precedente che non è stata
civilizzata. E lo chiamano “femminicidio”.
E’ inutile che vi dica come dovrebbe essere una società
capace di civilizzare i barbari verticali, che sappia
renderli virilmente adulti, continenti, cavallereschi, dotati di senso
della dignità e dell’onore – ossia della vergogna di
compiere atti bassi contro i più deboli. Inutile che vi canti
le lodi del “controllo sociale”, del giudizio sociale che premeva su
molti dei peggiori e li faceva essere meno pessimi; strillereste
che voglio la società bigotta, insopportabilmente repressiva, ormai superata
dal progresso e dalla libertà; una società dove un giovane e una giovane
“si parlavano” sul divano di casa, alla presenza (orribilmente noiosa) della
nonna o della sorellina…. Sicché tocca a voi, ragazze.
Abbiate almeno la coscienza di intuire che la
“Libertà sessuale” vi ha reso delle schiave sessuali; che vi spinge
a proporvi solo come oggetti di seduzione, e senza la nonna sul divano che
vi evita l’irreparabile. Sappiate almeno riconoscere i sintomi del
piccolo criminale infantile nel torsolone palestrato e col pelo pubico, il
Conan non civilizzato nel tizio con cui andate a letto.
Vorrei dirvi: negategliela, a questi qui; siate come
le dame del tempo che fu, che si negavano a chi non fosse “prode e cortese”, e
civilizzarono i maschi germani facendone dei cavalieri obbligandoli a
procrastinare, a sospirare il piacere – che poi non arrivava mai, magari.
Ma so che chiedo troppo.
Al prossimo femminicidio, non vi accontentate della
diagnosi falsa e ideologica, ipocrita, con cui la società si
auto-assolve. Almeno questo, ragazze.
Fonte: srs di
Maurizio Blondet, del 1 giugno 2016
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