George Orwell
Un linguaggio corrotto è sintomo di un modo di pensare
corrotto. E scrivere male ha conseguenze politiche. Così pensava lo scrittore
inglese, invitando tutti a riparare al danno
di LinkPop
“La nostra civiltà è
in una fase decadente. E il nostro linguaggio non può che condividere questo
crollo”.
Così diceva, nel 1948, George Orwell, a proposito della
civiltà e della lingua. Era una delle tante lamentationes sulla continua e
inevitabile corruzione della lingua. Ce ne erano state tante prima di lui, ce
ne sono state altre dopo.
Orwell collega questa decadenza alla politica: “I discorsi dei politici sono, in larga
parte, la difesa dell’indifendibile”. Il colonialismo, le deportazioni e i
bombardamenti erano camuffati con parole nuove, espressioni edulcoranti,
passaggi descrittivi creativi perché la pace interiore del lettore non venisse
turbata. “Immagini usurate”, diceva
Orwell, e “mancanza di precisione”
erano il segno più evidente dello scadimento culturale.
In mezzo a questo disastro, però, la possibilità di
salvarsi, o quantomeno galleggiare, c’era. E lo scrittore inglese la racchiude
in un piccolo elenco di regole da seguire con molta cura. “Imparare a scrivere male è facile”, diceva. “In certi lavori
(accademia, giornalismo, linguaggio aziendale) è quasi inevitabile”.
La buona notizia è che “il processo è reversibile”. Basta
seguire queste norme di linguaggio, raccontate in questo saggio.
1) Mai usare una
metafora, una similitudine o altre figure retoriche che sei già abituato a
vedere stampate in giro
2) Mai usare una
parola lunga, quando una breve può sostituirla senza modificarne il senso
3) Se si può
tagliare qualcosa, la si tagli
4) Mai usare la
forma passiva quando si può usare l’attivo
5) Mai usare una
parola straniera, o del linguaggio tecnico-scientifico, o dialettale se si può
pensare una parola corrispondente nell’inglese di ogni giorno (ma vale anche
per l’italiano)
6) Infrangi pure
tutte queste regole se la scelta è di dire qualcosa di barbaro
Per “barbaro” non è chiaro cosa intendesse, ma ognuno ha i
suoi metri di giudizio. Due cose sono notevoli: Orwell si concentra sulla
parola, al massimo sul sintagma, e mai sulla forma della frase (a parte la
differenza attivo/passivo). Ma soprattuto, Orwell spiega bene che tutte queste
regole devono valere per la scrittura “professionale”. La lingua letteraria,
invece, è un’altra cosa. E con quella non ci sono regole che tengano.
Fonte: da LINKIESTA.it
del 23 maggio 2016
Link: http://www.linkiesta.it/it/article/2016/05/23/le-sei-regole-di-orwell-per-la-buona-scrittura/30463/
Nessun commento:
Posta un commento