Gibran, diceva che “le parole sono senza tempo”. Tutti
sappiamo che “le parole sono pietre” e che Orwell, sul significato delle
stesse, ci metteva in guardia, soprattutto quando a manipolarle è chi tiene
salde in mano le briglie del potere.
Il vocabolario della “lingua franca italiana”, il mitico
Treccani, dà questa definizione di parassita:
“In origine, denominazione
in uso nell’antica Atene per designare funzionari cultuali di alcune divinità,
con attribuzioni non ben chiare, che avevano come caratteristica di partecipare
alla divisione della vittima sacrificata alle divinità stesse; più tardi
(almeno dal sec. 4° a. C.) il termine assunse il significato di scroccone
sfrontato, amante della buona cucina, spesso incaricato di allietare con
buffonerie gli invitati a un banchetto”.
Nell’uso più
odierno, e aggiornato, il parassita è
colui che “mangia e vive alle spalle altrui”.
In campo biologico, la sostanza non cambia molto:
“Ogni animale o vegetale il cui metabolismo dipende, per
tutto o parte del ciclo vitale, da un altro organismo vivente,
detto ospite, con il quale è associato più o meno intimamente, e sul quale
ha effetti dannosi”.
A tale proposito, Gianfranco
Miglio – uomo e professore scomodissimo – divenne un pericolo per Umberto
Bossi quando, nel 1994 a Bologna, pronunciò un discorso che conteneva le
seguenti affermazioni:
“Vedete: in ogni
comunità politica di tutti i tempi e di tutti i luoghi c’è sempre una certa
percentuale di cittadini che vivono alle spalle degli altri. Carlo Marx ha
guadagnato l’immortalità perché è riuscito a dimostrare il modo con cui i
proto-imprenditori capitalisti sfruttavano il proletariato industriale.
Poi sulla base di quella dottrina è stato costruito un sistema in cui una
gigantesca burocrazia sfruttava i pochi cittadini dell’Unione Sovietica
che lavoravano e producevano. Il grado di civiltà politica di un Paese
dipende dal modo con cui si riesce a limitare la quantità e la
presenza dei parassiti. I parassiti sono nella società così come sono
sugli animali. Chi di voi ha un cane o un gatto sa che a un certo punto,
se i parassiti crescono al di là di un certo limite l’animale muore. E muore
una società. Ci sono esempi storici di società che sono scomparse per
eccesso di parassitismo. Chi è il parassita? Il parassita è colui che non
produce ricchezza, ma vive consumando quella prodotta dagli altri. Questa è
la definizione più lineare del parassita. Parassiti sono i conquistatori di un
tempo. I Turchi, per esempio, sono stati nel tempo i più formidabili
organizzatori dell’azione politico- militare e dello sfruttamento dei
vinti. Un tempo il vinto doveva lavorare per il vincitore. Poi la civiltà
politica a poco a poco ha ridotto queste presenze, ma ci sono ancora delle
tracce di questa dominazione”.
Pochi mesi dopo venne allontanato dal capo leghista, oggi
finalmente conclamato come un emerito parassita sociale.
Veniamo all’attualità ora.
I miei amici veneti – liberali e indipendentisti – si
ritrovano in casa, tra i tanti, un personaggio che incarna quanto avete letto sopra meglio di ogni definizione.
Si tratta del generale della Guardia di Finanza Pasquale
Debidda, pomposamente insignito dei gradi di “comandante interregionale
dell’Italia Nord Orientale”.
L’altr’ieri, in occasione della fondazione del suo corpo
d’armata, ha tuonato così:
“L’evasione fiscale è
un crimine sociale che egoisticamente toglie alla gente onesta e umile quello
di cui ha bisogno”. Caricando la dose con queste altre parole: “La lotta all’evasione è stata intensa e
le verifiche sono state svolte anche a livello internazionale dove è stato
accertato che l’evasore ha saputo sfruttare il divario esistente tra la
dimensione economica ora globalizzata e la sovranità impositiva degli Stati,
esercitabile, naturalmente, solo entro i propri confini nazionali”.
A queste asserzioni velatamente “apodittiche” del
funzionario a libro paga di Mario Monti, credo valga la pena rispondere con
qualche controdeduzione, cominciando da quel che Oscar Wilde pensava
dell’egoismo:
“Egoismo non è fare
ciò che si vuole, ma pretendere che gli altri facciano ciò che vogliamo noi”.
Dopodiché aggiungerei qualche altra riflessione:
1- Intanto, non esiste alcun evasore totale in
Italia, al massimo c’è chi riesce a nascondere parte del suo guadagno ad una
casta di ladri che usa quei soldi per interessi personali;
2– Oppenheimer sosteneva che ci si può guadagnare da
vivere in due modi, facendo uso di “mezzi economici” (lavoro), oppure facendo
uso di “mezzi politici” (aggressione). Per dirla con John Calhoun, i primi sono
“produttori di ricchezza”, i secondi “consumatori di ricchezza” che altri
generano. Il generale appartiene alla seconda categoria, è uno di quei milioni
di dipendenti che non pagano tasse, ma contribuiscono solo ad incrementare la
spesa pubblica (e corrente) di questo infame paese. Se proprio dovesse esistere
la categoria dell’evasore totale, Debibba ne farebbe parte a pieno titolo.
3- Se esiste qualcuno che danneggia qualcun altro,
non è certo chi non dichiara il proprio reddito, ma la banda di malversatori,
di corrotti (nelle Fiamme Gialle peraltro proliferano), di zecche che
pretendono – peggio di come facevano i negrieri – di vivere sulle spalle degli
altri;
4- Einaudi Luigi, non l’editore, ha scolpito nero su
bianco queste parole:
“La frode fiscale non potrà essere davvero considerata alla
stregua degli altri reati finché le leggi tributarie rimarranno vessatorie e
pesantissime e finché le sottili arti della frode rimarranno l’unica arma di
difesa del contribuente contro le esorbitanze del fisco”;
5- La lotta all’evasione è la più bieca delle
campagne mediatiche messe in atto dagli ultimi tre governi italiani. Ai
proclami sulla scoperta di “evasori totali” per milioni di euro, i dati – post
ricorsi presso le commissioni tributarie – ci confortano ricordandoci che di
quanto contestato agli evasori solo il 30% finisce per essere incassato dallo
Stato, vuoi perché non esiste reato, vuoi perché altre volte l’imprenditore
preferisce transigere piuttosto che perdere soldi e tempo per finire in
tribunale.
6- Avete mai assistito ad un controllo-verifica dei
finanzieri, che stazionano per un mesetto nelle aziende? Ho diverse
testimonianze in proposito e più di un imprenditore, raccontandomi i fatti, ha
concluso dicendomi che si “tratta di forme di pizzo legalizzato”, rispetto alle
quali il titolare d’azienda preferisce “pagare” anziché infilarsi nel dedalo
della giustizia amministrativa.
Ancora: davanti ai “suoi plotoni di cadetti
grigio-vestiti”, il Debidda, immagino con quel suo accento un po’ pelasgico,
ha gonfiato il petto per rimarcare la bontà del suo lavoro nei confronti della
serenissima canaglia che si permette di lavorare senza dare i tre quarti del
frutto del suo lavoro allo Stato:
“In Veneto la Guardia
di Finanza sta attuando “un’azione operativa che tiene conto delle persone che
con grande sacrificio e senso di responsabilità applicano la legge e stanno
tirando avanti in un momento molto difficile”.
Domanda: difficile per chi? Per quelli che si suicidano
perché questo “Stato ladro” li costringe al gesto estremo o difficile per i
Debidda, che senza i soldi estorti ai contribuenti sarebbero costretti a
cercarsi un lavoro onesto? Se Treviso è una delle province più ricche dello
stivale – nonostante sia tra i maggiori contribuenti – è perché ha scelto anche
di sottrarre qualche liretta agli sgherri nazional-popolari.
James E. Miller sostiene che “le sanguisughe che vivono
di Stato sono disposte a tutto per preservare il loro benessere”.
Ha ragione!
Domanda: Non è forse da ricercare nelle parole di Miller il
motivo per cui certi gabibbi si inalberano di fronte alla resistenza fiscale
dei produttori di ricchezza?
Cari amici veneti, e
concludo, con certi graduati in circolazione urge che ridiate smalto e vigore
alla mitica L.I.F.E.!
Fonte: srs di Leonardo Facco, da Miglioverde del giugno 2012
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