domenica 13 marzo 2016

Le 5 MOSSE CONTRO NUOVI SBARCHI





di GILBERTO ONETO


 Sono cinque i principali gruppi dimotivazioni che vengono solitamente fuori per giustificare l’immigrazione:

1) che pone rimedio alla nostra denatalità,
2) che i nuovi cittadini pagheranno le nostre pensioni,
3) che gli immigrati fanno i lavori che gli Italiani non vogliono più fare,
4) che abbiamo il dovere della solidarietà, e
5) che la società multirazziale è l’ineluttabile futuro di tutti.


Vediamo di esaminare ogni singolo punto.


1 – Da noi c’è troppa gente, in Padania ci sono 230 abitanti per chilometro quadrato ma le aree abitabili di pianura e di collina sono meno
di due terzi del totale, e qui la densità è largamente superiore a quella di tutti gli altri Paesi europei: in provincia di Venezia ci sono 341 abitanti per chilometro, a Como 375, a Genova 570 e in quella di Milano 1.455, come a Hong Kong o Singapore.

A questi si devono sommare gli immigrati non censiti. Se la nostra gente ha deciso di diminuire di numero è una sua scelta libera e responsabile: abbiamo il tasso di natalità più basso del mondo e sono fatti nostri. Se abbiamo deciso di restare più larghi è per nostro vantaggio e non per fare posto ad altri. Non siamo affatto in via di estinzione ed è comunque un problema che dovremo – se mai si
porrà – risolvere per conto nostro.
La denatalità è strettamente collegata con il rifiuto dell’affollamento eccessivo, ma anche con l’insicurezza, con difficoltà economiche, e con la mancanza di prospettive di libertà.
Negli anni Sessanta il Sud Tirolo sembrava avviato verso quella che veniva chiamata “la marcia della morte” della comunità autoctona: con l’acquisizione di larghe autonomie la provincia di Bolzano è balzata ai vertici dei tassi di rinnovata natalità. Se la comunità padana fosse libera si riprodurrebbe inevitabilmente lo stesso andamento.
Oggi l’immigrazione crea ulteriore insicurezza e quindi minore natalità fra i Padani a vantaggio dei foresti di qualsiasi provenienza.

Non ha neppure nessun senso spingere verso tassi più alti per evitare la formazione di vuoti e l’arrivo di ultronei: non avremmo alcuna possibilità di vincere tale devastante guerra dello spermatozoo. La nostra gente deve essere libera e soprattutto essere libera di scegliere i propri tassi demografici e non si deve neppure intromettere lo Stato con incentivi economici, si finisce per dare ulteriore vantaggio ad
altri con i nostri soldi.
Un popolo libero deve potersi regolare senza paura di intromissioni esterne, deve potersi alzare da tavola senza la paura che qualcuno gli freghi il posto.

2 – La più parte degli immigrati non paga i contributi sociali perché lavora in nero, o evade, o non lavora affatto, o fa “lavori” (criminalità, droga e prostituzione) che non hanno vocazione né possibilità di essere assoggettati a contributi. In più, a causa di una legge sciagurata, gli immigrati che decidono di tornarsene a casa loro possono riprendersi quanto hanno versato e la più parte di loro ha tutto l’interesse a trasferire somme di denaro dove queste hanno maggiore potere di acquisto.
Nel complesso quello che gli immigrati danno alla comunità è molto meno di quello che ricevono e di quello che costano: si ripete così una realtà già verificata anche con le migrazioni interne, moltiplicata nei suoi effetti nefasti dalla non appartenenza allo stesso contesto statuale e dalla sottrazione di enormi risorse dal mercato nazionale.
Solo un sistema previdenziale a capitalizzazione regolato su base regionale e macroregionale potrebbe risolvere il problema e smascherare definitivamente la menzogna dell’utilità dell’immigrazione al sistema previdenziale complessivo.
Non saranno
in ogni caso gli immigrati a pagare le nostre pensioni ma rischiano di contribuire con forza al collasso del sistema.

3 – La maggioranza degli immigrati non lavora in maniera convenzionale o non lavora affatto: le liste di collocamento sono piene di immigrati. Che senso ha farne venire altri? E poi quali sono i lavori che gli italiani non vogliono fare: il crimine, lo spaccio, la prostituzione?
La più parte di loro ha forte vocazione al commercio che non è esattamente un lavoro che molti italiani – soprattutto veraci – non vogliano fare. È vero che alcuni di loro fanno lavori pesanti, socialmente squalificati o anche pericolosi ma è sicuramente vero che tali lavori non vengano assunti dagli italiani solo perché non vengono pagati abbastanza. È un problema che potrebbe essere risolto sia lasciando operare la legge del mercato (se non si trova nessuno che lo voglia fare a quel prezzo si aumenterà il prezzo) che incentivando economicamente i lavori più disagiati.
Il primo caso non può però funzionare se il mercato viene lasciato aperto a tutti i disperati del mondo: ci sarà sempre qualcuno disposto anche solo temporanea-mente ad accettare anche le condizioni più sfavorevoli e il prezzo sarà perciò tenuto basso. Lo fanno solo per un po’ e poi si trovano qualcosa di meglio innescando così un doppio processo perverso: l’esigenza di lavoratori a basso costo diventa continua e l’operazione di abbassamento del costo del lavoro si trasferisce anche verso l’alto e finisce per intaccare tutti i livelli sociali: anche a quello di dirigenza – ad esempio – ci sarà così qualcuno disposto a prendersi qualsiasi mansione a meno.
Il danno è generale con il degrado della qualità del lavoro, l’abbassamento dei salari e l’allontanamento dei lavoratori autoctoni più anziani o specializzati che non possono sostenere la concorrenza sleale dei nuovi arrivati. Questi accettano posizioni disagiate (o a condizioni meno favorevoli) per un po’ ma poi si sindacalizzano e diventano come gli altri, e così il gioco si ripete all’infinito con danno di tutti. Con alcuni miliardi di diseredati al mondo ci sarà sempre qualcuno disposto a concedersi per meno fino alla catastrofe economica e sociale.

Si parla di lavoratori da fare venire in un Paese in cui c’è un tasso di disoccupazione fra i più alti del mondo occidentale, in cui si pagano sussidi di disoccupazione e stipendi a “lavoratori socialmente utili” (138.969 nel 1999) giusto per mantenerli, in cui ci sono milioni di pubblici dipendenti (una bella fetta dei quali “poco utili”), ci sono milioni di pensionati baby e di finti invalidi a cui si passa una pensione a mo’ di regalia, e dove ci sono legioni di cassintegrati.

Una grossa fetta della ricchezza prodotta serve per mantenere gente che non ha lavoro, che non vuole lavorare o che fa pochissimo per il vantaggio della comunità. Si tratta di una cospicua forza lavoro che potrebbe essere impiegata a uguale costo in attività più utili per tutti. 
In ogni caso è folle sostenere la necessità di fare venire da fuori qualcuno che faccia il lavoro che potrebbero benissimo fare
tutti questi. Se proprio ci sono attività molto sgradite (e ci sono), si deve risolvere il problema con i mezzi che abbiamo (e ne abbiamo). 
Se non bastano le leggi di mercato si trovi il modo di integrare gli stipendi per i lavori sgraditi ma necessari. Costerà sempre
meno che mantenere tutto l’ambaradan dell’immigrazione. Si possono dare stipendi da nababbi a conciatori e raccoglitori di rifiuti e risparmieremo in ogni caso, come comunità, una montagna di soldi che ora va in assistenza, accoglienza, prevenzione, controllo, rimpatrio, eccetera, degli immigrati. 
Ma ci sono altre strade per risolvere il problema.

Ci sono in Italia decine di migliaia di detenuti stranieri. Questi galeotti potrebbero lavorare, farebbero lavori che nessuno vuole fare, abbatterebbero i costi del loro mantenimento, farebbero del bene a se stessi guadagnando qualcosa, non marcendo nell’ozio e rigenerandosi col lavoro (assecondando così un diffuso cliché sociale) e contribuirebbero al bene comune, oltre che ripagare i loro debiti con la società anche in termini monetari. Ci sono lavori che non possono essere affidati a dei galeotti, come quello di badante. Qui si può ricorrere alle sovvenzioni (che costerebbero comunque infinitamente meno dell’assistenza generalizzata a tutti quelli che si presentano) oppure al lavoro sociale.
È stata abolita la leva militare obbligatoria che è, oltre a tutto, sempre stata fonte di discriminazioni e ingiustizie. Si potrebbe richiedere a tutti i cittadini (indipendentemente dal sesso, dalla condizione sociale o dallo stato fisico) di  prestare per un anno, al raggiungimento della maggiore età, un lavoro veramente utile alla società in assistenza agli anziani, ai disabili, negli ospedali, eccetera. Questo avrebbe un valore comunitario ed educativo straordinario e servirebbe a risolvere molti dei problemi posti dall’invecchiamento della popolazione. 
Alla finzione dell’immigrato che fa lavori che i nostri rifiutano ricorrono con uguale baldanza sia i sindacati che gli industriali.
I primi devono giustificare la propria esistenza al mondo e i propri lucrosi stipendi, gli altri cercano solo i vantaggi economici di una mano d’opera sotto costo scaricando i costi sulla comunità. Una strana alleanza fra capitalisti
della mutua (letteralmente) e sindacalisti che viene pagata da Pantalone e dalle fasce più deboli della società.

4 – La solidarietà e l’amore per il prossimo rientrano sicuramente fra i doveri cristiani che sono parte essenziale della nostra cultura, ma che meritano alcune considerazioni: innanzitutto il prossimo (lo dice la parola) è chi ci è prossimo, vicino, parente, famigliare. Il nostro prossimo vero è chi appartiene alla nostra comunità antica, è chi ha sottoscritto con noi un contratto sociale anche istituzionale.  
Poi, se ne avanza, ci si dedica agli altri ma questa estensione non può essere intesa come un dovere comunitario: può e deve essere solo una scelta singola che non deve coinvolgere gli altri.
Il principio di porgere l’altra guancia è strettamente personale: non si può porgere l’altra
guancia di nostra madre o del nostro vicino di casa. La generosità e l’umiliazione valgono solo per la nostra guancia. 
Nella comunità padana, considerata (spesso a torto) opulenta, ci sono molte migliaia di indigenti, di disabili, di anziani, di malati, di sfortunati che hanno
bisogno della vera solidarietà e assistenza della nostra gente. Ci sono sacche geografiche di povertà straordinaria in aree marginali,
di montagna ma anche di città, che necessitano di interventi sostanziosi.
A questi dobbiamo dedicare le nostre risorse e attenzioni.
Già la Padania è una delle aree con la più alta concentrazione di volontariato e di assistenza (un tempo si sarebbe detto “di carità”) ma non basta: dobbiamo aumentare i nostri sforzi per i nostri fratelli meno fortunati.
Ogni energia dedicata ad altri è tolta ai nostri: ogni nuovo arrivato da fuori toglie spazio e attenzione ai nostri. Ogni nuovo immigrato peggiora le condizioni dei più deboli dei nostri. Noi non possiamo farci carico di tutti i diseredati del mondo che sono centinaia di milioni. Ogni anno la popolazione del mondo aumenta di circa 80 milioni di persone, se aprissimo indiscriminatamente le porte potremmo ovviare alla altrui esuberanza testosteronica per non più di 3 o 4 mesi e poi saremmo annientati. 
Lo stesso vale per i rifugiati, per le vittime di guerre e carestie, e di persecuzioni politiche: sono troppi! Non siamo in grado di essere di nessuna utilità accogliendoli qui senza autodistruggerci e non possiamo certo permettercelo.

5 – La società multirazziale è una ineluttabile evoluzione di nulla.
È l’invenzione e lo strumento che viene oggi tirato fuori da chi vuole distruggere: dopo avere usato la lotta di classe oggi impiega lo scontro etnico.
È uno strumento della globalizzazione che vuole annientare bellezze, specificità e libertà. 
Ci sono ambientalisti che teorizzano la biodiversità, che fanno giustamente guerra contro l’introduzione di specie animali e vegetali esogene in habitat diversi ma che favoriscono l’immigrazione selvaggia, il mescolamento e la distruzione delle culture diverse. Non vale l’attenzione per le specificità culturali nella biodiversità? 
L’integrazione non ha mai funzionato: nei posti dove si sono trovate a convivere comunità diverse questo ha generato ghettizzazione e conflitti.
La multietnicità porta generalmente a un aumento della criminalità e dei problemi sociali.
È così anche da noi, dove non siamo mai veramente riusciti ad assorbire del tutto gli gli italiani con cui pure ci sono minori diversità. 
È impossibile integrare comunità,
come – ad esempio – quella cinese (che ovunque nel mondo si è rinchiusa in ghetti autogestiti), o quella islamica che è aggressiva, invasiva e intollerante. 
Lo sradicamento ha come conseguenza la distruzione delle culture di chi migra e di chi li ospita. È la distruzione di ogni
identità. 
È proprio in quest’ottica che l’immigrazione è uno straordinario strumento del processo di globalizzazione, ma anche -nel nostro caso – di aggressione alla Padania.

L’immigrazione extracomunitaria è un mezzo impiegato dal centralismo colonialista italiano per distruggere le identità padane proprio in un momento in cui queste mostrano di risvegliarsi con decisione, è un modo per imporre una sorta di solidarietà italiana (riproponendo una identità inesistente) sulla base delle maggiori differenze rispetto agli altri. L’italianismo di destra e quello di sinistra sono, come sempre, alleati contro la Padania: gli uni per riproporre una italianità inventata, gli altri per arrivare a un mondialismo annientante. 
Ci si può difendere solo diventando veramente padroni a casa nostra.
 Indipendenza!




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