Di MATTEO CORSINI
“Potrei ricorrere alla difesa dell’immigrazione dicendo che
abbiamo bisogno degli immigrati per pagare le pensioni dei nostri figli. Ma, di
fronte alle immagini di coloro che fuggono la guerra e la morte, preferisco
appellarmi alla buona e vecchia solidarietà del Buon Samaritano. Lei dice: deve
essere un fatto spontaneo e del tutto privatistico. Non sono d’accordo. Come
penso, del pari, che quando Papa Francesco si augura che ogni parrocchia
accolga un rifugiato, dice cosa nobile e giusta, ma che rimane al livello
privatistico. Quando il numero di rifugiati tocca i milioni, c’è bisogno di
creare lavoro e dare accesso ai servizi pubblici. L’approccio non può più
essere spontaneo, ma deve coinvolgere lo Stato e i fondi pubblici; che un
giorno saranno rimpolpati – è già successo – dai contributi e dalle tasse
pagate dagli immigrati”.
Rispondendo a un lettore in merito al tema
dell’immigrazione, Fabrizio Galimberti ha usato le argomentazioni che ho
riportato per difendere l’apertura delle frontiere.
Non condivido praticamente nulla di quello che
sostiene.
In primo luogo, difendere l’immigrazione sostenendo che
saranno gli immigrati a pagare le pensioni dei nostri figli è semplicemente una
ipotesi di dubbio fondamento.
Non è affatto detto che costoro saranno disposti a mantenere
un welfare state come quello in essere, se si troveranno a essere contributori
netti. Oggi è lecito dubitare che lo siano, per lo meno in quelle famiglie con
un solo lavoratore che ha moglie e diversi figli piccoli a carico. In questi casi
gli immigrati sono beneficiari netti del welfare state, anche se un componente
della famiglia paga tasse e contributi.
Galimberti afferma che “è già successo” che i contributi
e le tasse pagate dagli immigrati abbiano “rimpolpato” le casse pubbliche. Senza
specificare quando e in che misura. Dubito che potrebbe specificarlo.
Quanto alla questione del Buon Samaritano, la penso come il
lettore a cui è destinata la risposta di Galimberti: la solidarietà deve
essere spontanea e privata. Chiunque può invitare gli altri a essere
solidali, ma invocare l’intervento dello Stato per forzare la solidarietà
mediante il fisco è la negazione della vera solidarietà, oltre a una violazione
del diritto di proprietà di chi è costretto a pagare il conto.
In un contesto nel quale vigesse la proprietà privata
o le comunità fossero costituite in modo volontario, ogni persona potrebbe
avere accesso a una proprietà solo con il consenso o l’invito del proprietario.
E, una volta entrato nella proprietà di una o più persone, l’ospite non avrebbe
alcun diritto se non quello a non essere aggredito.
In un contesto dominato dallo Stato, al contrario, i flussi
migratori finiscono per essere ingestibili o mal gestiti, non da ultimo per via
dello stato sociale.
Non dubito che molti immigrati fuggano da situazioni di
guerra e persecuzione, ma è innegabile che queste persone scelgano come
destinazione non già i Paesi più vicini dove verrebbe rispettata la loro
libertà, bensì quelli dove il welfare state è più generoso.
Rispondere con il buonsamaritanismo statale può forse fare
presa sui buonisti in servizio permanente, ma, oltre a comprimere la proprietà
di chi è costretto a pagare il conto, rischia di scassare ulteriormente dei
bilanci pubblici già parecchio malridotti.
Non si tratta di essere cinici o cattivi, ma di essere
realisti. E di non sacrificare ulteriormente sull’altare dei buoni sentimenti
il diritto di proprietà di chi questo disastrato welfare state già lo mantiene
da tempo.
Fonte: srs di Matteo Corsini, da Miglioverde gennaio 2016-03-11

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