L'accesso a Via Leoni....beoni
Il 4 gennaio del Settantadue, a Verona e in Corso
Sant'Anastasia, aprii il mio negozio d’ottica. E dopo qualche
giorno andai ad abitare in Corticella San Paolo.
Per recarmi al lavoro, dovevo attraversare il Ponte
Navi, procedere lungo Via Leoni e Via Cappello, e alla fine di Piazza
delle Erbe, davanti al Palazzo Maffei, svoltare a destra dove, al numero
civico 4, aprivo i cancelli del negozio. Per ben quattro volte al giorno facevo
circa questi seicento metri a piedi passando davanti ai bar di Via Leoni. Una
vera e propria tentazione. Ed essendo dotato di una volontà di ferro, a
febbraio ero già dentro in uno di quei locali a festeggiare.
In quel periodo, i posti più famosi e più frequentati
dai bevitori del centro erano la Bottega del Vino, Pommarini, e i baretti di
Via Leoni, dove, sulla lastra che reca inciso il nome della via, una
felice mano aveva mutato la elle con la bi maiuscola. In modo
da leggersi Via Beoni.
Ogni giorno, prima dei pasti, si potevano vedere un
via vai di persone allegre e chiassose che andavano e venivano dai quattro
bar. C’è chi li passava tutti e quattro, chi solo due, ma i più ripassavano
anche da quelli già fatti. Il verso di percorrenza, secondo un’abitudine
consolidata, era quello che da Porta Leona andava al ponte.
Sul lato sinistro, per primo veniva il bar Zanatta,
gestito da Franco. Dopo venti passi il bar dell’Annamaria Sinico, il più
piccolo, il più coccolo, e dove la qualità dei bocconcini e dei vini era
superiore agli altri tre. Usciti da Sinico, e passato il vicolo e la pizzeria
al taglio, si entrava da Armido. Fatti altri quaranta metri verso il ponte,
scendendo per tre scalini, ci si trovava nell’osteria dei Brunelli, dove il
vino, spacciato per genuino, sarà stato il meno caro, ma era anche di
scarsa qualità.
Oltre ai turisti e a clienti occasionali, i quattro locali
erano frequentati dai commercianti vicini e da un centinaio di avventori
affezionati che arrivavano dalla periferia, perfino dai paesi vicini. Rari
gli avventori solitari. Se ce ne fosse stato qualcuno, dopo tre o quattro
presenze, sarebbe stato catturato da qualche compagnia. Ricordo che, per via
dei costo, era meglio offrire una bottiglia piuttosto che singoli
bicchieri. Lo sapeva bene il nostro Checco che ogni volta ne offriva
una. Ma chi, stropicciandosi le mani, offriva
sempre il bicchiere della staffa era il dottor Novello a cui
facevano pagare lo stesso conto più volte. E a chi glielo faceva notare, lui
rispondeva con una spallucciata.
Di lunedì, Tortellini teneva banco e lasciava il
segno. Aveva un laboratorio di pasta fresca, e il lunedì era il suo giorno di
riposo che festeggiava andando a puttane (2) o ubriacandosi con champagne.
A volte, facendo entrambe le cose. Se poi si accompagnava a un suo amico
macellaio di provincia, allora i due diventavano veramente pericolosi: prima o
poi toccava a noi offrire la bottiglia, e quei due bevevano esclusivamente
champagne, e non erano mai pieni.
Dovete sapere che a volte i momenti migliori
erano quelli di gran baldoria. Oltre a vuotar bicchieri, ci si riempiva di
grasse risate, dovute ai frizzi e alle facezie che arrivavano con
l’abbondanza d’un fiume in piena. Non è detto che un tramonto, un ballo, una
cena, una musica e tante altre situazioni romantiche siano i soli momenti
magici; a volte, in questi ambienti nascevano attimi d'effusione che
inebriavano. Sembrava che il mondo godesse di pace eterna e di sacra
amicizia, come se tutti avessero le stesse idee, uguali desideri e identici
gusti da condividere. Come in un bel sogno, si lasciavano pensieri e affanni
alle spalle e, pervasi da un senso d’oblio e di benessere, ci si
bagnava l’ugola con del buon vino. Un vero peccato che euforia ed ebrezza durassero
solo mezz’ora.
Uno dei gruppi più originali e chiassosi di quel periodo
faceva capo un certo Nino. Quest'uomo, sulla la sessantina, di corporatura
robusta, sfacciato nella sua eleganza (a volte si presentava con stivali,
in pantaloni alla zuava e con camicie e giacche da caccia), era quello che si
dice un bell’uomo. In molti gli trovavano una certa somiglianza con
l'attore Curd Jurgens.
Arrivava dalla zona stadio con il suo cane da caccia.
Guidava il gruppo, seguito dal cane veniva poi Amleto, il suo grande amico
d’avventure. Un tipo segalino e con la cicca sempre in bocca. Subito dopo Elsa,
l’amica di Nino, sempre in jeans attillati che le evidenziavano il suo bel
culetto. Per ultimo veniva il Gatto, un bell’uomo, se non fosse stato per
l’odore. Puzzava perché odiava sia l'acqua che il sapone, e giustamente,
lo tenevano sempre sottovento. Un sacramento che sapeva far di tutto: poteva
comodamente riparare un orologio o un ascensore senza alcuna difficoltà, con il
gran pregio che non aveva mai voglia di lavorare e che non si faceva riguardo a
scroccar bicchieri. Questo bel gruppetto partiva in processione dal bar Zanatta
e saliva verso il ponte facendosi tutti e quattro i locali; a volte, tornava
pure indietro. Cane compreso, i quattro avevano delle gran storie alle
spalle; mi limiterò a raccontarne un paio in modo che possiate farvene un’idea.
Il Gatto, che aveva dato un giorno un passaggio a Elsa
in auto, se la fece, e andò poi a confessarlo a Nino. Elsa si giustificò
dicendo che aveva dei pruriti invece che delle voglie. Nino, fingendo d'essere
sconsolato, in risposta al Gatto:
- Cosa ci posso fare se ho una morosa che è come il
bus e me la montano (2) tutti?
Nino e Amleto in Marocco erano andati a caccia. Di notte, in
un night, dopo aver fatto fuori le scorte di rosso del locale, Nino
rivolgendosi al cameriere:
- Très bien, - lasciando qualche spicciolo
di mancia al cameriere .
Amleto preoccupatissimo: - Dopo tutto il
rosso, ancora tre bianchi?
Era questo il livello culturale, questi i
problemi esistenziali del gruppo. Ma veniamo all’episodio che mi riempì di
lacrime e mi fece andar di traverso il vino.
Non eravamo ancora usciti dall’inverno e il cielo
minacciava pioggia, mancavano una decina di minuti alle tredici quando entrai
nel bar di Armido. In fondo al bar, seduti a un tavolino, trovai Nino e Amleto
in compagnia d'una donna che non avevo mai visto prima. M’invitarono a unirmi a
loro e di portarmi dietro un bicchiere vuoto. Accettai l’invito; e mentre uno
dei due mi presentava questa signora, l’altro già mi versava da bere
temendo che rifiutassi.
La cinquantenne aveva un aspetto molto gradevole:
occhi vispi, bocca carnosa, mascella quadrata e capelli rossi e ricci le davano
un aspetto giovanile nonostante l’età. Il tavolino ne nascondeva il corpo, ma,
da quel poco che si poteva intuire, doveva essere ben fatta.
Questa single era una vecchia amica di Nino; dai
loro discorsi si poteva arguire che avesse reso felice più d’un uomo. Un buon
motivo per risultarmi simpatica all'istante. In un momento di pausa, Amleto
rivolgendosi a me, e ad alta voce:
- Te la scoperesti?
Dopo qualche attimo imbarazzante, risposi: - Ma
sono domande da farsi?
- Ma ci andresti insieme?
- Sta’ attento a come parli! Forse è lei che non si metterebbe
con uno più giovane.
E stavano ripartendo i vecchi ricordi, quando Amleto li
interruppe di nuovo e rivolgendosi a lei con una frase ancor più inopinabile,
addirittura sconvolgente:
- Gheto tanto pel?(3)
Rimasi a bocca aperta, Nino abbozzò un
sorriso e la donna, che non si era ancora rimessa dalla sorpresa, dopo
qualche attimo di silenzio:
- Abbastanza!
- Ma gheto tanto pel?- incalzando.
- Credo come quello che hanno tutte le donne?
- Perché me piase le done che le gha tanto pel.
Avevo appena smesso di dire a Nino di non dargli più
da bere, quando ancora:
- Ma gheto tanto pel?
- La donna con voce implorante: - E dagliela!(4)
- Ma gheto tanto pel?
- Te l’ho già detto, come hanno tutte le donne… né più
né meno.
- Ma mi vorria saver se ti te ghe tanto pel.(5)
La femmina si fece di porpora e alzando il tono: -
Senti belo! Vuto gusarme o farte un maion?(6)
(1) Prostitute.
(2) Fornicano.
(3) Hai tanto pelo?
(4) Piantala!
(2) Fornicano.
(3) Hai tanto pelo?
(4) Piantala!
(5) Ma vorrei sapere se hai tanto pelo.
(6) Vuoi fottermi o farti un maglione?
(6) Vuoi fottermi o farti un maglione?
Fonte: srs di Enzo Monti del
14 luglio 2013
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