Ah, le donne! Non finiscono mai di stupirci. Fantastiche e fantasiose sono poi nelle loro domande e risposte quando fanno le finte ingenue. Quante volte le abbiamo sentite dire: - O Dio, ma cosa ho fatto?- fingendo di pentirsi. Oppure: - E adesso, cosa facciamo?- pur sapendo benissimo cosa fare. Ecco l'argomento per un buon racconto.
Negli anni Sessanta, per noi giovani era difficile
trovare posticini adatti per amoreggiare. Se erano sposate, in alberghi o in
qualche locanda fuori mano non venivano per timore di lasciar tracce; se erano
nubili, era la vergogna che le tratteneva. E noi non eravamo neanche così
ricchi da permetterci un paio di locali da usare come scannatoio. Per combinar
qualcosa, c'erano solo due posti: l’aperta campagna o la macchina. Raramente
poi si riusciva a portarle in casa nostra o entrare nella loro.
I giovani del giorno d’oggi la cantano bella: fino
agli anni Sessanta i genitori non permettevano che i loro ragazzi
amoreggiassero in casa, mentre già negli anni Ottanta, alcuni miei amici al
sabato sera ritardavano il loro rientro per lasciare più tempo ai figli.
Addirittura al giorno d’oggi li lasciano che passino le notti insieme.
Avanti coi tempi avevo mio fratello
che s’inventò di portare in casa una mia ex allieva di domenica
pomeriggio; mentre mia madre era andata in chiesa. Forse mamma non si era
sentita bene e aveva abbandonato la messa, oppure mio fratello aveva fatto male
i suoi conti. Insomma, inconveniente o errore di calcolo, mia madre
se li trovò in casa. Lo sentì come un affronto; e ci volle un bel po' di
tempo perché le passasse.
Qualche anno dopo avevo come ragazza una biondina
che era tutta tette, e credetemi: non sto esagerando se affermo che
superavano la quinta misura. Un reggiseno che le andasse bene non c'era in
commercio, rimediava con quello foggiato da quella brava donna di sua madre.
Piccola di statura ma ben proporzionata, con un viso paffutello e i capelli
ricci portava quell’esuberanza con sofferenza. La nostra gente poi è molto delicata
nel metterci a proprio agio, punta sempre gli occhi sui nostri
difetti.
Ma torniamo alla mia "tutta tette". Per
nasconderle, camminava perfino gobba. Le spingeva talmente in basso che si
poteva pensare che fossero mosce. Al contrario, come le metteva in libertà,
esplodevano. Sotto la doccia o sotto l’effetto delle mie carezze e dei miei
baci rifiorivano: diventavano così turgide da sembrare di gomma.
Un giorno che eravamo andati in camporella dopo un
temporale, non potendo scendere dalla macchina essendoci ancora bagnato in
terra, ebbi la fortuna di parcheggiare la mia Cinquecento di fronte a un
campo di granoturco, ignorando che fosse pronto per il raccolto. Le piantine
andavano fin troppo bene per proteggere il parabrezza da sguardi indiscreti.
Nudi nudelli si facevano le nostre cose quando fummo allertati dal rombo
d’una macchina agricola che s’avvicinava. Alzando il capo, sia dietro che
ai lati, non notai nulla; ma il fracasso aumentava, sembrava che provenisse
proprio sul davanti, stava diventando un frastuono terribile. In preda al
terrore girai la chiave del motore e mi attaccai al clacson. Appena in tempo!
Davanti ad alcune piantine rimaste in piedi s’arrestò un mostro meccanico,
simile a quelli che si vedono sulle autostrade quando spalmano l’asfalto. Alla
guida, c’era un vecchio contadino con un grande cappellaccio di paglia.
Dopo la momentanea sorpresa, tra il sorriso gli uscì chiaramente la frase: ” Se
ne avessi di così piene in stalla sarei il più ricco del paese”.
Purtroppo i miei rapporti con quella ragazza erano
sempre troppo veloci e non soddisfacevano appieno i miei appetiti. Volevo far
le cose per bene e in piena libertà, senza soffrire del terrore d'essere
osservato da sguardi indiscreti. La volevo poi voltare e rivoltare fino allo
sfinimento. Non ne potevo più di teli sui prati o di contorcimenti in macchina,
sognavo un materasso, un letto.
A forza di pregarla e assicurarla che non avrebbe
corso alcun pericolo, riuscii a convincerla a far un salto in casa mia. Su mio
fratello non potevo contarci: avrebbe potuto giocarmi qualche
tiro. Per evitare inconvenienti, mi avvalsi dell’aiuto d’un amico.
Doveva far la guardia al negozio d'ottica sull’angolo di Via Bertesi: se dalla
bottega fossero usciti mia madre o mio fratello, in bici sarebbe corso in Via
Volturno ad avvisarmi.
Il giorno stabilito, diedi a mia madre un
passaggio in macchina fino al negozio e, passando, salutai con un cenno la mia
sentinella che era già sul posto di lavoro. Ripassai dopo un quarto d’ora
con la ragazza, e andai a parcheggiare nei giardinetti di Piazza
Castello.
Avevo architettato il piano con la cura che hanno nei
film i furfanti a preparare il colpo grosso. M'ero raccomandato perfino che non
mettesse alcun profumo.
Venne al citofono dopo cinque minuti dal mio rientro.
Non volevo che qualcuno ci vedesse entrare assieme. Arrivò con il fiatone
e con il petto che sussultava, l’abbracciai e la tenni stretta per qualche
minuto. Smorzai in tal modo appetiti e tensioni di entrambi. Dopo aver
sorseggiato insieme dei Campari Soda, lei entrò in bagno e io unii i
due lettini nella stanza da letto. Venne il mio turno, e entrai in camera
volando come se mi aspettasse il paradiso.
Nuda, accanto alla finestra socchiusa e con le
persiane abbassate, con l’avambraccio destro cercava di contenere le tette
mentre con la mano sinistra copriva la parte bassa. Io ero ancor più buffo e mi
avvicinavo a lei con l’asta in resta. Una temperatura dolce e una luce soffusa
invitavano all’amore, ma lei aveva gli occhi sbarrati e quando le arrivai a tre
passi, mi bloccò con un:
- E adesso?
- E adesso, cosa vuol dire?
- E adesso, cosa facciamo?- rispose lei.
Ammutolii, mi guardai attorno e poi cominciai a dar i
numeri. Mi produssi in una delle mie esibizioni più bizzarre e più folli.
- Se non sbaglio, - roteando gli occhi come un matto –
questa è una stanza da letto in stile Chippendale. Armadio a cinque ante, due
comodini, due letti, due poltroncine in perfetto stile; due
scendiletto, lampadario e gli abat-jour in cristallo, in color verde
acqua e a foggia di foglie. Ma guarda lì! Una Madonnina fuori posto che si
vergogna un po’. Osservandola bene questa stanza mi sembra la mia. E poi
ci siamo io e te nudi… Ma noo! - E dopo averne dette
ancora tante, alla fine: - Eureka, ho trovato! Siamo in un girone
dantesco: siamo tra i lussuriosi.
Presi fiato, poi riattaccai gridando:
-Ma a che gioco giochiamo?
Si spaventò. Abbassai allora il tono, e
assumendo un’aria più conciliante:
- Senti: vado in cucina a prendere le carte. Sarà un
nuovo modo per giocare a briscola.
La sua fronte si spianò e accennò a un sorriso.
L’interpretai come un invito, e non potevo farmelo sfuggire. M'avvicinai,
l’abbracciai e, mentre la gettavo sul letto, all’orecchio le
sussurrai:
- Sei proprio una donna!
E poi?...e poi giocammo a scopa.
Fonte: srs di Enzo Monti del
1 luglio 2013
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