Cremona. Chiesa di Sant' Agata
Alla fine degli anni Cinquanta, a Cremona la
passeggiata serale dei giovani si svolgeva lungo Corso Campi. Si partiva
dall’ingresso presso i giardinetti della Galleria XXV Aprile, un’imponente
costruzione dell’epoca fascista, e, dopo averla attraversata, si sbucava in
Corso Campi.
Si camminava lungo una via di circa
centocinquanta metri che alla fine si restringe e si biforca. Andando
diritto s'imbocca Via Palestro, mentre curvando leggermente a
sinistra si prosegue per Corso Garibaldi.
Mentre la maggior parte di noi ragazzi tornava
indietro, altri allungavano il cammino proseguendo per Corso Garibaldi fino
alla chiesa di Sant’Agata. Questa era la nostra vasca: chiamata in questo modo
per il semplice fatto che il percorrerla più volte ricordava l’andare e venire
in piscina.
La via si snoda sulla linea Est-Ovest, probabilmente
su una parallela del Cardo Massimo, ed è quindi in buona luce.
Purtroppo non ha monumenti, ma solo qualche palazzo di fine Ottocento. Il
marciapiede più battuto per chi si dirige verso la galleria, oltre a
essere il più stretto e sconnesso, era quello di sinistra. Non c'era una
spiegazione perché questo avvenisse.
Sono ormai trascorsi tanti anni e, anche se ritorno
solo qualche volta a Cremona, non ho più l'occasione di passare alle
diciannove per il centro. Mi dispiace di non poter tenervi al corrente di come
sia il passeggio al giorno d'oggi, se esiste ancora e se è ancora così
frequentato.
Ricordo che ai miei tempi la giornata non era completa
se non si facevano almeno tre o quattro vasche. Era il nostro rito
prima di cena.
I marciapiedi in pessime condizioni; la strada in
ciottolato, solcata nel centro da un binario in lastre di marmo bianco dove
passava il filobus, era ancora aperta al traffico in entrambi i sensi di
marcia. Nonostante tutto questo, era la via più commerciale della città.
Ma la mia nostalgia non è dovuta al fatto che avessi
in bocca l’alito dei vent’anni, che il giornale costasse trenta, il caffè
cinquanta, le sigarette sulle cento lire. A quei tempi, la gente
sorrideva; gli uomini quando incrociavano le signore chinavano leggermente il
capo e alzavano il cappello in segno d'ossequio. Dalle diciotto e trenta alle
venti i giovani scendevano in ghingheri per il corso alla ricerca d’uno
sguardo, d’un incontro, d’un invito. Mentre le ragazze puntavano al matrimonio,
i ragazzi alle loro curve. Al sabato e alla domenica era una gran festa:
arrivavano perfino dalle campagne. E questo fiume straripante di gioventù,
verso l'ora di cena, si prosciugava. Desideri e sogni erano rimandati al
giorno dopo.
Protagonista di questo episodio, e che a quei tempi
sollevò scandalo e scalpore, fu uno dei galletti che si dedicavano al
culturismo e alla palestra. Un bulletto insomma, di nome Joe. Sotto il
metro e ottanta, ben piantato e senza essere troppo gonfiato, menava sventole
da far paura e, tra un cazzotto e l’altro, frequentava il quarto anno di
Medicina a Parma. Già era famoso per averne combinate
parecchie quando accadde questo episodio che lo portò sulla bocca di
tutti.
Al giorno d'oggi, un fatto del genere, con quel che
accade o si vede in televisione, non susciterebbe alcun stupore, ma
allora fu considerato uno vero scandalo.
Se ne veniva con un amico lungo la via quando venne
fermato da madre e figlia a metà corso. Scambiati i convenevoli; queste
conoscenti erano appena tornate dal mare e si vantavano d’aver frequentato
gente famosa. La madre, tirata a malta fina e con vistosa collana su ampia
scollatura, raccontava con orgoglio ai giovani le favolose vacanze estive della
bella e giovane figlia, ormai giunta all’ottavo mese di gravidanza. Si
dilungava nel narrare le feste, le scorpacciate di pesce, le uscite in
barca. Parlava e parlava, mentre la figlia impacciata, senza però dar segni
d'impazienza, se ne rimaneva muta. Da vera chiacchierona passava dalle
vacanze alle faccende di casa, aggiungendo che in famiglia fervevano i
preparativi per il nascituro. Avrebbero desiderato un maschio, ma se fosse
arrivata una femmina sarebbe stata la stessa cosa.
Questa era la musica. Le chiacchiere avevano già preso
le pieghe della noia e dell'esaurimento quando la madre dando un paio di
colpetti sul pancione della figlia:
- E lei dottore, che ne dice di questo?
E Joe: - Di cosa?
La madre ripetendosi: - Di questo?
Joe tambureggiando sul pancione come aveva fatto
la madre, sorprendendo un po' tutti con disprezzo:
- Questo?... Questo è il solito scherzo del
cazzo!
Fonte: srs di Enzo Monti del
7 luglio 2013
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