lunedì 6 gennaio 2014

LO SCISMA ISTRIANO

Basilica patriarcale di Santa Maria Assunta.  Antica chiesa cattedrale del soppresso patriarcato di Aquileia. Risalenti al IV secolo i resti più antichi, l'attuale basilica venne edificata nell'XI secolo e rimaneggiata nel secolo XIII. Sorge a lato della via Sacra, affacciando su piazza del Capitolo, assieme al battistero e all'imponente campanile.  Aquileia (UDINE)



CAPO XV

SOMMARIO - Dominazione longobardica - Conversione di Agilulfo - Scisma dei Tre Capitoli - Sinodo di Aquileia - Sinodo di Grado - Due vescovi veronesi scismatici - Sinodo di Marano - Il Libellus supplex all'Imperatore Maurizio - Ritorno della Venezia inferiore all'unità della chiesa - La successione dei nostri vescovi.


Nei tre ultimi decennii del secolo VI  due sciagure turbarono la chiesa veronese: la dominazione dei Longobardi, e lo scisma istriano.

Entrarono i Longobardi in Verona nel luglio dell'anno 569,   e vi dominarono sino all'anno 774.
Il  loro primo re Alboino tenne in Verona la sua ordinaria residenza: in Verona, secondo narra l'istoriografo dei Longobardi Paolo Diacono, avvenne la scena di Rosmunda; così pure in Verona o poco Iungi da Verona l'uccisione di Alboino per mano di Elmichi nel giorno 28 giugno del 571 (1).  
A Verona risiedette pure abitualmente il suo successore Clefi: ucciso pur questi nel giugno del 573, varii duchi decisero di reggere da sè una qualche parte del regno: Verona fu retta da Autari figlio di Clefi.  Questo stato di cose, detto comunemente interregno dei duchi durò dieci anni; e segna l'epoca più tirannica della dominazione dei Longobardi, massime per quanto spetta  l’oppressione dei cattolici, la distruzione delle chiese e l'espulsione di varii vescovi dalle loro sedi: di Verona non abbiamo notizie particolari; da ciò si può sperare che la condizione religiosa non vi fosse turbata di molto. Non lungi da Verona Autari sposò Teodolinda cattolica, figlia di un duca di Baviera, il dì 15 maggio dell'anno 589;  ma non per questo mutò religione.  Egli morì nel 590; ed allora Teodolinda scelse a suo sposo Agilulfo di Torino e lo indusse a farsi cattolico. Quindi in poi poco o nulla ebbero i veronesi a soffrire per la dominazione longobardica.  Una ribellione del duca Zangrulfo fu ben presto repressa da Agilulfo, e terminata con l'uccisione del ribelle.

Secondo lo Stato personale i vescovi veronesi dopo S. Lupo sarebbero: 29. Solazio (570-586). - 30. Giuniore (586-598). - 31. Pietro.  
Sennonché sulla ortodossia di questi vescovi si hanno gravi dubbi; e perciò essi ci darebbero la prima pagina oscura nella storia della nostra Chiesa.

Difatto una sciagura ancor più deplorevole dell'invasione longobardica fu per la nostra chiesa lo scisma istriano, nel quale si trovò essa pure coinvolta, massime per la sua soggezione metropolitica alla chiesa di Aquileja.

Lo scisma istriano fu un triste retaggio di altro scisma ben più esteso e fatale, quale fu lo scisma detto dei Tre Capitoli (2). Questo era sorto in Oriente poco dopo la metà del secolo V, quale conseguenza dell' eresia monofisistica. Questa fu condannata nel concilio ecumenico di Calcedonia (451); ma ebbe ancora proseliti sin verso il principio del secolo VII.
Alcuni di questi insisterono ed estorsero dal pontefice Virgilio (11 apr. 548) la condanna dei così detti Tre Capitoli (3): apparentemente esigevano la condanna di essi, perché tendenti al nestorianismo; ma realmente intendevano deprimere l'autorità del concilio di Calcedonia, che non li avea condannati. Questa condanna parve a parecchi Vescovi occidentali una condanna indiretta del Concilio di Calcedonia: e vi si opposero energicamente: i vescovi dell'Africa si ricredettero verso l'anno 550: quelli della Gallia e dell'Italia media nell'anno 555, indotti a ciò da una lettera del papa Pelagio a Childeberto. Più ostinati di tutti furono i vescovi della Venezia e dell'Istria: ecco  lo scisma istriano; al quale forse non fu del tutto estranea l'estensione, benché breve, del dominio dei Greci in Italia.

Paolo vescovo di Aquileja, il primo che si attribuì il titolo di Patriarca (4), nell'anno 557 convocò tutti i vescovi suoi suffraganei in un sino do tenuto ad Aquileja; e quivi di comune accordo dichiararono di non aderire alla condanna dei Tre Capitoli per non essere costretti a condannare insieme il concilio di Calcedonia; nè a rimuoverli dalla loro decisione valsero le autorevoli lettere del papa Pelagio (5).  Buon per noi, che agli Acta di questo concilio non apparisce come soscrittore alcun vescovo di Verona; abbiamo quindi buon fondamento a sperare che S. Lupo, allora vescovo di Verona, non vi sia intervenuto, nè abbia in alcun modo aderito all'opposizione (a).

Quando nel 568 fu quasi distrutta Aquileja, Paolo (non « Paolino ») si rifugiò nell'isola di Grado, e vi risiedè sino alla sua morte (569).  A lui dopo Probino, che fu vescovo e patriarca per circa un anno, successe Elia (570-586).  Questi decise di stabilire definitivamente quella città come sede patriarcale, e di consolidare lo scisma, nonostante che il papa Pelagio II, con più lettere ad illustri personaggi, avesse dimostrato quanto irragionevole e funesta fosse quell'opposizione agli insegnamenti della sede apostolica.  A conseguire l'uno e l'altro scopo, Elia adunò in Grado un sinodo di quasi tutti i vescovi soggetti alla giurisdizione del patriarca d'Aquileja.  
Il sinodo fu tenuto nell'anno 579; e, quantunque sia dubbia l'autenticità degli Acta, quali ci son dati da Andrea Dandolo, dal Chronicon gradense, dal Chronicon venetum e da altri documenti (6), non pare potersi dubitar punto della verità del sinodo e della ostinazione dei vescovi nell'opporsi alla condanna dei Tre Capitoli (7).  In tutte le redazioni degli Acta, tra gli altri vescovi si legge il nome del vescovo di Verona: « Solacius epus s. ecclesiae veronensis his gestis subscripsi », Nè fa difficoltà che Solazio non si legga negli Acta del sinodo di Grado riportati nel concilio di Mantova dell'anno 827: in questo concilio non si ha che un breve sunto degli Acta di quello di Grado, nel quale mancano molti altri vescovi che certamente vi erano intervenuti.

Il nome del vescovo Solazio non si legge nel Velo di Classe; anzi non vi è luogo dove potesse trovarsi: perciò si ritiene omesso nella prima formazione del Velo.  Del resto qualcuno dei nostri scrittori sospetta che Solazio fosse anche ariano (8). Se fosse autentica una Bolla di Pelagio II, relativa al monastero di S. Maria in Organo (9) consterebbe che Solazio era ancor vescovo di Verona nell'anno 585.

Successore di Solazio fu un vescovo detto « Junior », il quale è pur rappresentato nel Velo di Classe.  E' difficile definire se questo fosse il suo nome personale, oppure un appellativo aggiunto al nome suo, forse per essere stato promosso al vescovato in età ancor giovanile: in quest'epoca sono parecchi i vescovi, oltre alcuni pontefici, che al nome personale hanno aggiunto questo appellativo «Junior » (10) Secondo alcuni dei nostri scrittori, il nome vero del vescovo Junior sarebbe Joannes.

La questione sul nome è di importanza secondaria: ma assai più grave è quella sull'atteggiamento del nostro vescovo Giuniore di fronte allo scisma istriano.  Nella sede di Grado « Nova Aquileja » ad Elia nel 586 era succeduto Severo, fautore sistematico dello scisma.  Questi, dopo aver forzatamente abdicato lo scisma nel concilio di Ravenna, tornato alla sua sede radunò un sinodo a Marano (590), al quale intervennero quasi tutti i vescovi suffraganei della provincia Aquilejese.  Gli Acta originali andarono smarriti; ma se ne ha un sunto dato da Paolo Diacono (11):  da esso apparisce che il sinodo fu apertamente scismatico; il patriarca Severo, dopo aver deplorato in un «libellus erroris sui» quanto forzatamente avea fatto a Ravenna, dichiarava non potersi comunicare con coloro, che condannavano i Tre Capitoli; così veniva di nuovo sanzionato lo scisma. Tra i vescovi intervenuti a questo conciliabolo era pur quello di Verona (12).

Allo scopo di giustificare la loro ostinazione, i vescovi del sinodo di Marano, «humiles Venetiarum ac secundae Rhetiae ... episcopi »,  sulla fine dello stesso anno 590 indirizzarono un « libellus supplex » all'imperatore Maurizio (13): in esso cercavano di sostenere con  nuovi sofismi la causa dei Tre Capitoli, ed insieme pregavano ad interporsi presso il pontefice Gregorio, perché fossero differiti i provvedimenti già decretati contro di loro. In questo documento si legge pur sottoscritto «Junior Episcopus sanctae Ecclesiae catholicae Veronensis », - Durò egli pertinace nello scisma sino alla morte?

Più tardi per opera del pontefice S. Gregorio e della piissima regina Teodolinda gran parte dei vescovi della Venezia tornarono all'unità della chiesa. Furono specialmente i vescovi soggetti al patriarca d'Aquileja, residente a Cividale, detta da Paolo Diacono « Capitale  della Venezia », la quale apparteneva alla dominazione longobardica: questi tornarono all'ubbidienza della chiesa romana verso gli anni 600-602 (14): tra essi speriamo sia stato anche il nostro Giuniore, e che appunto per questo suo ritorno all'unità della chiesa il suo nome sia stato rimesso nei Dittici della chiesa veronese e da questi insieme con la sua effigie sia stato inserito nel Velo di Classe.

Rimasero più ostinati nello scisma i patriarchi di Grado con i loro suffraganei della Venezia detta superiore, la quale era soggetta all'esarca greco.

La successione dei vescovi veronesi dopo Giuniore, detto forse anche Giovanni, è assai incerta. Primo dopo di lui parrebbe Pietro, indi Concesso, ambedue leggibili nel Velo di Classe ai tempi del De Rossi: da altri documenti apparisce in quest'epoca un vescovo Giovanni. Non è dunque improbabile che, quando lo scisma volgea al suo termine, in opposizione al vescovo scismatico fosse pure eletto un cattolico: di qui forse l'appellativo Concessus.  
Ad ogni modo sul principio del secolo VII i nostri vescovi erano uniti alla sede apostolica; tra essi rimase celebre per la sua santità il vescovo Mauro verso gli anni 612-622.

Nel nostro Stato personale dopo Giuniore sono segnati i vescovi seguenti: 31. Pietro (598-612) - 32. S. Mauro (612-622) - 33. S. Giovanni (622-625).




NOTE


1 - PAULUS Diaconus Hist. Longob. Lib. II 28 (Ed. Bethmann et Waitz:  Monum.  Germ.  Hannov. 1878).  - La narrazione dai recenti è tenuta leggendaria: secondo alcuni, Alboino fu ucciso in maggio nell'Italia inferiore.  GRISAR  Roma alla fine del mondo antico II. 691 (Ed. I).

2 -  Essi erano: persona e scritti di Teodoro vescovo di Mopsuestia, gli scritti di Teodoreto vescovo di Ciro contro S. Cirillo Alessandrino, una lettera di Iba vescovo di Edessa a Marin Persiano.

3 - Della condanna dei Tre Capitoli fatta dal pontefice Vigilio trattiamo nelle nostre Instit. Hist. eccles. Vol. 1. Saec VI Disp. III (Ed. 2).

4 - CAPPELLETTI  Chiese d'Italia Vol.  VIII. Pag. 49.

5 - Presso DE RUBEIS  De schismate Ecclesiae Aquil. Cap. VI. VII; CAPPELLETTI Op. cit. pag. 41-46.

6 - Presso MURATORI  Rer. ital. script. XII. 98; DE RUBEIS  Monum. Eccl. Aquil. Cap. XXVII; CAPPELLETTI  Op. cit. pag. 58-66. - Vedi CIPOLLA Fonti eccl... adoperate da Paolo Diacono ... (Cividale 1900).

7 - TROYA Codice diplomo longob. Num. VII. Val. I. pag. 10-18. Lo stesso autore in apposita nota sostiene la verità di questo concilio.

8 - BIANCOLINI Chiese di Verona I  pag. 170.

9 - PANVINIUS Antiqu. Veron. pag. 128 (Ed. 1648); TROYA Op. cito Num. XV. Pag. 54; JAFFÉ Regesta RR. Pontificum Num.  CCXXXI (tra le spurie).

10 - LANZONI  in Rivista di scienze storiche Anno VI. pag. 455 (Pavia 1909).

11 - PAULUS Diaconus Hist. longob. Lib. III. Cap. 26.

12 - CIPOLLA  Della giurisdizione metrop. della Sede Milanese. pag. 72-74.

13 - Presso BARONIUS Ann. eccl. A. 590 Num. 38-42 (Ed. 1600); DE RUBEIS Monum. Eccl. Aquil. Cap. XXXI;  EWALD-HARTMANN Registr. Creg. I. II. 16, 17 nei Monum. Cerm. Hist.; TROYA Op cit. Num. LVIII pag. 154.

14 - Vedi CIPOLLA Fonti edite della storia della Regione Veneta p. 103-107.


ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XV (a cura di A. Orlandì)


(a) pag. 110 - La storicità del vescovo Lupo è dubbia. Secondo don S. Tonolli si tratterebbe di uno sdoppiamento di S. Lupicino (cfr. Bibliotheca Sanctorurn, vol. VIII, Roma 1966, alle voci Lupicino e Lupo).
Anche il prof. G.B. Pighi lo pone tra i dubbi e propende ad espungerlo. (cfr. Annuario della Diocesi di Verona 1977, Verona, 1977, p. 18).
Per lo scisma aquileiese si può vedere P. PASCHINI,  Storia del Friuli, Udine 1975, pp. 91-103.


Fonte:  srs di Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I


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