Basilica patriarcale di Santa Maria Assunta. Antica chiesa cattedrale del soppresso
patriarcato di Aquileia. Risalenti al IV secolo i resti più antichi, l'attuale
basilica venne edificata nell'XI secolo e rimaneggiata nel secolo XIII. Sorge a
lato della via Sacra, affacciando su piazza del Capitolo, assieme al battistero
e all'imponente campanile. Aquileia
(UDINE)
CAPO XV
SOMMARIO -
Dominazione longobardica - Conversione di Agilulfo - Scisma dei Tre Capitoli -
Sinodo di Aquileia - Sinodo di Grado - Due vescovi veronesi scismatici - Sinodo
di Marano - Il Libellus supplex all'Imperatore Maurizio - Ritorno della Venezia
inferiore all'unità della chiesa - La successione dei nostri vescovi.
Nei tre ultimi decennii del secolo VI due sciagure turbarono la chiesa veronese: la
dominazione dei Longobardi, e lo scisma istriano.
Entrarono i Longobardi
in Verona nel luglio dell'anno 569, e vi
dominarono sino all'anno 774.
Il loro primo re Alboino tenne in Verona la sua
ordinaria residenza: in Verona, secondo narra l'istoriografo dei Longobardi Paolo Diacono, avvenne la scena di Rosmunda; così pure in Verona o poco
Iungi da Verona l'uccisione di Alboino
per mano di Elmichi nel giorno 28
giugno del 571 (1).
A Verona risiedette pure abitualmente il suo successore Clefi: ucciso pur questi nel giugno del
573, varii duchi decisero di reggere
da sè una qualche parte del regno: Verona
fu retta da Autari figlio di Clefi. Questo stato di cose, detto comunemente interregno dei duchi durò
dieci anni; e segna l'epoca più tirannica della dominazione dei Longobardi,
massime per quanto spetta l’oppressione
dei cattolici, la distruzione delle chiese e l'espulsione di varii vescovi
dalle loro sedi: di Verona non abbiamo notizie particolari; da ciò si può
sperare che la condizione religiosa non vi fosse turbata di molto. Non lungi da
Verona Autari sposò Teodolinda cattolica, figlia di un duca
di Baviera, il dì 15 maggio
dell'anno 589; ma non per questo mutò religione. Egli morì nel 590; ed allora Teodolinda scelse a suo sposo Agilulfo di Torino e lo indusse a farsi
cattolico. Quindi in poi poco o nulla ebbero i veronesi a soffrire per la
dominazione longobardica. Una ribellione
del duca Zangrulfo fu ben presto
repressa da Agilulfo, e terminata
con l'uccisione del ribelle.
Secondo lo Stato
personale i vescovi veronesi dopo S. Lupo sarebbero: 29. Solazio
(570-586). - 30. Giuniore
(586-598). - 31. Pietro.
Sennonché sulla ortodossia di questi vescovi si hanno gravi
dubbi; e perciò essi ci darebbero la prima
pagina oscura nella storia della nostra
Chiesa.
Difatto una sciagura ancor più deplorevole dell'invasione
longobardica fu per la nostra chiesa lo scisma
istriano, nel quale si trovò essa pure coinvolta, massime per la sua
soggezione metropolitica alla chiesa di
Aquileja.
Lo scisma istriano fu un triste retaggio di altro scisma ben
più esteso e fatale, quale fu lo scisma detto dei Tre Capitoli (2). Questo era sorto in
Oriente poco dopo la metà del secolo V, quale conseguenza dell' eresia monofisistica. Questa fu
condannata nel concilio ecumenico di
Calcedonia (451); ma ebbe ancora
proseliti sin verso il principio del secolo VII.
Alcuni di questi insisterono ed estorsero dal pontefice Virgilio (11 apr. 548) la
condanna dei così detti Tre Capitoli
(3): apparentemente esigevano la
condanna di essi, perché tendenti al nestorianismo;
ma realmente intendevano deprimere l'autorità del concilio di Calcedonia, che non li avea condannati. Questa condanna
parve a parecchi Vescovi occidentali una condanna indiretta del Concilio di Calcedonia: e vi si
opposero energicamente: i vescovi
dell'Africa si ricredettero verso l'anno 550: quelli della Gallia e dell'Italia media nell'anno 555, indotti a ciò da una lettera del papa Pelagio a Childeberto. Più ostinati di tutti furono i vescovi della Venezia e
dell'Istria: ecco lo scisma istriano; al quale forse non fu del tutto estranea
l'estensione, benché breve, del dominio dei Greci in Italia.
Paolo vescovo di Aquileja, il primo che si attribuì il
titolo di Patriarca (4), nell'anno
557 convocò tutti i vescovi suoi suffraganei in un sino do tenuto ad Aquileja; e quivi di comune accordo
dichiararono di non aderire alla condanna dei Tre Capitoli per non essere costretti a condannare insieme il concilio di Calcedonia; nè a rimuoverli
dalla loro decisione valsero le autorevoli lettere del papa Pelagio (5). Buon per noi, che agli Acta di questo concilio non apparisce come
soscrittore alcun vescovo di Verona; abbiamo quindi buon fondamento a sperare
che S. Lupo, allora vescovo di
Verona, non vi sia intervenuto, nè abbia in alcun modo aderito all'opposizione
(a).
Quando nel 568 fu quasi distrutta Aquileja, Paolo (non «
Paolino ») si rifugiò nell'isola di Grado,
e vi risiedè sino alla sua morte (569). A
lui dopo Probino, che fu vescovo e
patriarca per circa un anno, successe Elia
(570-586). Questi decise di stabilire
definitivamente quella città come sede patriarcale, e di consolidare lo scisma,
nonostante che il papa Pelagio II,
con più lettere ad illustri personaggi, avesse dimostrato quanto irragionevole
e funesta fosse quell'opposizione agli insegnamenti della sede apostolica. A conseguire l'uno e l'altro scopo, Elia adunò in Grado un sinodo di quasi tutti i vescovi soggetti alla
giurisdizione del patriarca d'Aquileja.
Il sinodo fu
tenuto nell'anno 579; e, quantunque
sia dubbia l'autenticità degli Acta,
quali ci son dati da Andrea Dandolo,
dal Chronicon gradense, dal
Chronicon venetum e da
altri documenti (6), non pare
potersi dubitar punto della verità del sinodo e della ostinazione dei vescovi
nell'opporsi alla condanna dei Tre
Capitoli (7). In tutte le redazioni degli Acta, tra gli altri
vescovi si legge il nome del vescovo di Verona: « Solacius epus s. ecclesiae veronensis his gestis subscripsi », Nè
fa difficoltà che Solazio non si
legga negli Acta del
sinodo di Grado riportati nel concilio
di Mantova dell'anno 827: in questo concilio non si ha che un breve sunto
degli Acta di quello di Grado, nel quale mancano molti altri
vescovi che certamente vi erano intervenuti.
Il nome del vescovo Solazio
non si legge nel Velo di Classe;
anzi non vi è luogo dove potesse trovarsi: perciò si ritiene omesso nella
prima formazione del Velo.
Del resto qualcuno dei nostri
scrittori sospetta che Solazio fosse
anche ariano (8). Se fosse
autentica una Bolla di Pelagio II,
relativa al monastero di S. Maria in
Organo (9) consterebbe che Solazio era ancor vescovo di Verona nell'anno 585.
Successore di Solazio
fu un vescovo detto « Junior », il
quale è pur rappresentato nel Velo di
Classe. E' difficile
definire se questo fosse il suo nome personale, oppure un appellativo aggiunto
al nome suo, forse per essere stato promosso al vescovato in età ancor
giovanile: in quest'epoca sono parecchi i vescovi, oltre alcuni pontefici, che
al nome personale hanno aggiunto questo appellativo «Junior » (10) Secondo
alcuni dei nostri scrittori, il nome vero del vescovo Junior sarebbe Joannes.
La questione sul nome è di importanza secondaria: ma assai
più grave è quella sull'atteggiamento del nostro vescovo Giuniore di fronte allo scisma istriano. Nella sede di Grado « Nova Aquileja »
ad Elia nel 586 era succeduto Severo, fautore sistematico dello
scisma. Questi, dopo aver forzatamente
abdicato lo scisma nel concilio di
Ravenna, tornato alla sua sede radunò un sinodo a Marano (590), al quale intervennero quasi tutti i vescovi
suffraganei della provincia Aquilejese.
Gli Acta
originali andarono smarriti; ma se ne ha un sunto dato da Paolo Diacono (11): da esso apparisce che
il sinodo fu apertamente scismatico;
il patriarca Severo, dopo aver
deplorato in un «libellus erroris sui»
quanto forzatamente avea fatto a Ravenna, dichiarava non potersi comunicare con
coloro, che condannavano i Tre Capitoli; così veniva di nuovo sanzionato lo
scisma. Tra i vescovi intervenuti a
questo conciliabolo era pur quello di
Verona (12).
Allo scopo di giustificare la loro ostinazione, i vescovi
del sinodo di Marano, «humiles Venetiarum ac secundae Rhetiae ...
episcopi », sulla fine dello stesso anno 590 indirizzarono un « libellus supplex » all'imperatore Maurizio (13): in esso cercavano di sostenere con nuovi sofismi la causa dei Tre Capitoli, ed insieme pregavano ad
interporsi presso il pontefice Gregorio, perché fossero differiti i
provvedimenti già decretati contro di loro. In questo documento si legge pur
sottoscritto «Junior Episcopus sanctae
Ecclesiae catholicae Veronensis », - Durò egli pertinace nello scisma sino
alla morte?
Più tardi per opera del pontefice
S. Gregorio e della piissima regina Teodolinda
gran parte dei vescovi della Venezia tornarono all'unità della chiesa. Furono
specialmente i vescovi soggetti al patriarca d'Aquileja, residente a Cividale,
detta da Paolo Diacono « Capitale della Venezia », la quale apparteneva alla
dominazione longobardica: questi tornarono all'ubbidienza
della chiesa romana verso gli anni
600-602 (14): tra essi speriamo
sia stato anche il nostro Giuniore,
e che appunto per questo suo ritorno all'unità della chiesa il suo nome sia
stato rimesso nei Dittici della chiesa veronese e da questi insieme con la sua
effigie sia stato inserito nel Velo
di Classe.
Rimasero più ostinati nello scisma i patriarchi di Grado con i loro suffraganei della Venezia detta superiore, la quale era soggetta all'esarca greco.
La successione dei vescovi veronesi dopo Giuniore, detto forse anche Giovanni, è assai
incerta. Primo dopo di lui parrebbe Pietro,
indi Concesso, ambedue leggibili nel
Velo di Classe ai
tempi del De Rossi: da altri
documenti apparisce in quest'epoca un vescovo Giovanni. Non è dunque improbabile che, quando lo scisma volgea al
suo termine, in opposizione al vescovo scismatico fosse pure eletto un
cattolico: di qui forse l'appellativo Concessus.
Ad ogni modo sul principio del secolo VII i nostri vescovi
erano uniti alla sede apostolica; tra essi rimase celebre per la sua santità il
vescovo Mauro verso gli anni
612-622.
Nel nostro Stato personale dopo Giuniore sono segnati i vescovi seguenti: 31. Pietro (598-612) - 32. S. Mauro (612-622) - 33. S. Giovanni (622-625).
NOTE
1 - PAULUS
Diaconus Hist. Longob. Lib. II 28 (Ed. Bethmann et Waitz: Monum. Germ. Hannov.
1878). - La narrazione dai recenti è
tenuta leggendaria: secondo alcuni, Alboino fu ucciso in maggio nell'Italia
inferiore. GRISAR Roma alla fine del mondo antico II. 691
(Ed. I).
2 - Essi erano: persona e scritti di Teodoro
vescovo di Mopsuestia, gli scritti di Teodoreto vescovo di Ciro contro S.
Cirillo Alessandrino, una lettera di Iba vescovo di Edessa a Marin Persiano.
3 - Della
condanna dei Tre Capitoli fatta dal pontefice Vigilio trattiamo nelle nostre Instit.
Hist. eccles. Vol. 1. Saec VI Disp. III (Ed. 2).
4 - CAPPELLETTI Chiese d'Italia Vol. VIII. Pag. 49.
5 - Presso DE
RUBEIS De schismate Ecclesiae Aquil.
Cap. VI. VII; CAPPELLETTI Op. cit. pag. 41-46.
6 - Presso MURATORI
Rer. ital. script. XII. 98; DE
RUBEIS Monum. Eccl. Aquil. Cap. XXVII;
CAPPELLETTI Op. cit. pag. 58-66.
- Vedi CIPOLLA Fonti eccl... adoperate da Paolo Diacono ... (Cividale
1900).
7 - TROYA Codice
diplomo longob. Num. VII. Val. I. pag. 10-18. Lo stesso autore in apposita
nota sostiene la verità di questo concilio.
8 - BIANCOLINI Chiese
di Verona I pag. 170.
9 - PANVINIUS Antiqu.
Veron. pag. 128 (Ed. 1648); TROYA Op. cito Num. XV. Pag. 54; JAFFÉ Regesta
RR. Pontificum Num. CCXXXI (tra le
spurie).
10 - LANZONI in Rivista di scienze storiche Anno VI.
pag. 455 (Pavia 1909).
11 - PAULUS
Diaconus Hist. longob. Lib. III. Cap. 26.
12 - CIPOLLA Della giurisdizione metrop. della Sede
Milanese. pag. 72-74.
13 - Presso
BARONIUS Ann. eccl. A. 590 Num. 38-42 (Ed. 1600); DE RUBEIS Monum.
Eccl. Aquil. Cap. XXXI; EWALD-HARTMANN
Registr. Creg. I. II. 16, 17 nei Monum. Cerm. Hist.; TROYA Op
cit. Num. LVIII pag. 154.
14 - Vedi CIPOLLA
Fonti edite della storia della Regione Veneta p. 103-107.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. XV (a cura di A. Orlandì)
(a) pag. 110 - La
storicità del vescovo Lupo è dubbia. Secondo don S. Tonolli si tratterebbe di
uno sdoppiamento di S. Lupicino (cfr. Bibliotheca Sanctorurn, vol. VIII,
Roma 1966, alle voci Lupicino e Lupo).
Anche il prof. G.B. Pighi lo pone tra i dubbi e propende ad
espungerlo. (cfr. Annuario della Diocesi di Verona 1977, Verona, 1977,
p. 18).
Per lo scisma aquileiese si può vedere P. PASCHINI, Storia del Friuli, Udine 1975, pp. 91-103.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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