Si riteneva che le
figure muliebri scolpite sull'architrave della porta della cattedrale
rappresentassero le tre regine che coi loro doni aveano contribuito
all'erezione della chiesa, la regina Ansa moglie di Desiderio e suocera di
Carlo magno, la madre di Carlo Magno Bertrada di Laon e la moglie di Carlo Magno, che poi si vollero
convertire nelle immagini delle tre virtù teologali.
(pertanto sull’ architrave del duomo sono riprodotte le donne più influenti su Carlo
Magno: la suocera, la madre e la moglie…)
EPOCA II - CAPO III
SOMMARIO. - Residenza
del vescovo - Domus-cattedrale - Fondazione della mensa capitolare - Privilegi
dei canonici - La « scola sacerdotum » - Le « Laudes » della chiesa veronese -
Cattedrale di Loterio e di Ratoldo - Notizie minori - Turbolenze politiche -
Ritiro di Ratoldo da Verona - Sua morte.
Di origine certamente Alemanno,
Ratoldo (1) venne a Verona sulla fine del secolo
VIII, e dopo la partenza di Eginone,
fu eletto vescovo in età ancor giovanile, se è vero che egli sia morto
nell'anno 874. Egli fu che pose la
residenza definitivamente presso la chiesa di S. Maria Matricolare verso l'anno 807 (a). Prima di quest'anno vogliono alcuni dei nostri che egli
risiedesse presso la chiesa di S. Zeno;
la quale secondo alcuni sarebbe stata nel luogo dov'è l'attuale basilica,
secondo altri sarebbe stata quella di S.
Zeno in Oratorio. Già altrove abbiamo accennato i nostri dubbi ed avanzata
un'ipotesi. Del resto unico fondamento delle opinioni accennate è un documento
dell'813, nel quale il difensore dei diritti del vescovo Ratoldo afferma che «praeceptum
(un decreto di Desiderio favorevole
al vescovo) combustum est », quando
« ipsa domus sancti Zenonis arsa
est »: il che sarebbe avvenuto l'anno 806(2). Ora è certo che in questo documento la « domus sancti Zenonis » non è la casa situata presso la chiesa di S.
Zeno, ma la casa in cui abitava il vescovo
successore di S. Zeno, dovunque essa
fosse (3). Perciò non v'è motivo di
ritenere che il vescovo Ratoldo
risiedesse un tempo lungi dalla chiesa di S.
Maria Matricolare, se ivi fu trasferita la residenza vescovile sulla fine
del secolo VIII.
Questo appellativo « domus
sancti Zenonis» dato all'episcopio od alla residenza del vescovo di Verona, ci dà occasione di far rilevare
quanto in quest'epoca fosse riconosciuta ed altamente stimata la persona di S. Zeno nella chiesa veronese e quanto
intima fosse la connessione tra S. Zeno
ed il vescovo di Verona (4).
Nel documento accennato trattava si di una discussione su
pretese dell'autorità regia sopra alcune terre e selve possedute dal vescovo sino
dai tempi del re Desiderio: ora i
diritti del vescovo in quel documento ben sette volte sono chiamati « pars sancti Zenonis », Questa
connessione ci è pur manifesta da altri documenti di quest'epoca, nei quali
l'episcopato del vescovo di Verona è
detto « episcopatus sancti Zenonis
».
Torniamo a Ratoldo.
Il suo nome, oltrechè per la parte avuta insieme col re Pipino nella traslazione e reposizione del corpo di S. Zeno, rimase celebre tra di noi per
altre opere compite a bene della chiesa veronese.
Prima sua cura fu di comporre le controversie esistenti tra
il vescovo ed i chierici della chiesa, presso cui egli risiedeva. Pare che uno
degli incentivi di tali controversie fosse la contribuzione, che il vescovo
dovea dare per il sostentamento dei suoi
chierici. E' molto verosimile che in
passato i vescovi, tenendo presso di sè il possesso di tutti i beni della loro
chiesa, ne distribuissero le rendite in quattro
porzioni; delle quali una
rimanesse al vescovo, la seconda
spettasse ai chierici, la terza ai poveri,
la quarta fosse adoperata nei
bisogni materiali della chiesa: forse questa distribuzione annuale era la causa
principale delle discordie. Perciò Ratoldo
pensò di dare ai chierici una parte conveniente di beni immobili e di
diritti; ciò, che egli fece con la celebre costituzione del 24 giugno dell'anno 813(5). Questa costituzione ha
due parti. Nella prima il vescovo cede ai chierici il possesso di alcune case
ed orti presso la chiesa, perchè servano loro di abitazione: cede pure altre
case ed orti in città e fuori, parte dei redditi delle oblazioni dei fedeli,
dei frutti delle campagne e degli animali, del mercato, del teloneo, ecc. Nella
seconda concede loro due chiese: quelle di S.
Giovanni «ad portam Organi» e di S.
Michele « in Flexio », ed ambedue «cum
omni integritate et pertinentia sua ».
Di questo celebre atto daremo soltanto il principio della
parte dispositiva e la chiusa:
«Primo damus atque
cedimus elericis sanctae matris Ecelesiae, domus nostrae, tam presbyteris,
quamque et diaconibus ... praesentibus scilicet et futuris, casam illam qui
fuit quondam Ansperti clerici, una cum ortis et curte in integro ... ». In
questo tratto merita di esser osservata la sinonimia tra «sancta mater Ecelesia» e «domus
nostra », La chiesa di S. Maria Matricolare,
ossia la chiesa cattedrale è detta dal vescovo «domus nostra », Questo è uno dei documenti più antichi, in cui
alla chiesa cattedrale sia dato il nome «domus
- duomo », senza altra aggiunta (6).
La chiusa dà all'atto forza di cessione perpetua: «Haec omnia superius comprehensa a
praesenti die damus, cedimus et confirmamus suprascriptis filiis et
sacerdotibus nostris, tam vobis quamque et posteris vestris, absque ulla
diminutione. Et ut neque a me, neque a successoribus nostris hoc, quod bene ordinavimus,
aliquando removeri possit, manu propria
roboravi. Ego Rotaldus Eps. mm. ss.».
A questo atto solenne sottoscrissero Massenzio patriarca di
Aquileia, Lupone vescovo di Treviso, un arcidiacono, un prete e
quattro diaconi che erano al seguito di Massenzio;
indi parecchi testimoni, ed in fine per parte dei chierici della chiesa di Verona l'arcidiacono Pacifico,
l'arciprete Undualdo e tre preti, Teudelabio, Aregao, Pietro. L'atto porta la data 24 giugno dell'anno 813;
ed è la vera fondazione della mensa
capitolare (7).
Del medesimo giorno abbiamo un altro atto di Ratoldo; nel quale il vescovo concede le decime della villa
presso la porta di S. Zeno in favore
di quel canonico che sorveglia i diaconi e gli accoliti; assegna quasi tutte le
decime della villa di S. Zeno a
sette suddiaconi e sette accoliti, e cede ai canonici le decime di alcune braide episcopali in Linario, Roverchiara, Tomba ed Aspo (8). Ma questo documento da Pietro
Ballerini è giudicato interpolato ed apocrifo (9).
Assai più importante sarebbe un secondo atto dello stesso Ratoldo, dato il giorno 16 settembre
del medesimo anno a favore dei canonici della chiesa veronese. Dopo aver detto come egli stesso avesse
concesso all'arcidiacono Pacifico di
costruire « supra suum allodium basilicam
sancti Georgii Martyris », Ratoldo,
«ordinante Maxentio », concede che «
canonici sanctae veronensis ecclesiae sint liberi
in sopradicta ecclesia sub jure et
dominio domini patriarchae, praecavens ne in futurum successores, qui episcopalem cathedram adepti fuerint, aliquam molestiam, tam in officiis, quam in beneficiis, illis inferre
possint ... Nullus ex successoribus
meis amplius habeat facultatem
dominandi vel aliquid auferendi de omnibus rebus, quae nunc a fidelibus collatae sunt vel in futurum collatae fuerint supradictae canonicae; sed semper sint sub
tutela et refugio domini patriarchae in ecclesia beati Georgii ». Sottoscrivono il vescovo Ratoldo, Massenzio, Guido, altri quattro vescovi, Pacifico, Undualdo, Aregao, Pietro ed altri.
Con questo atto solenne Ratoldo
avrebbe concesso ai canonici la più assoluta esenzione dall'autorità del
vescovo di Verona nella chiesa di S.
Giorgio e la immediata soggezione alla giurisdizione del patriarca di Aquileia (10). Intorno a questa costituzione disputarono acremente alcuni
eruditi veronesi del secolo XVIII; e non solo quanto alla sua estensione, ma
altresì quanto alla sua autenticità, propugnata da Frascesco Florio e dai canonici (11), impugnata da P. Ballerini
e da altri sostenitori dell'autorità del vescovo sui canonici (12). Non crediamo opportuno entrare in
una questione ormai antiquata (b).
Il vescovo Ratoldo rivolse
pure il pensiero alla formazione del giovane
clero, sia dal lato morale, sia da quello intellettuale. Nella prima costituzione del giorno 24 giugno
813, dopo aver assegnato come proprietà ai canonici « alias casellas, atque ortellum qui est post casas Ausperti et Ursatii »,
indica lo scopo di tale assegno: « in
hac casas et in hoc loco sit scola sacerdotum ».
Egli adunque rifece quella scuola sacerdotale, già da tempo
eretta, poi nell'epoca delle controversie distrutta: a questa scuola più tardi
confermò varii possessi e diritti l'imperatore Ludovico il Pio con diploma dato da Aquisgrana il 13 giugno dell'anno 820 »(13).
All'epoca dell'episcopato di Ratoldo appartiene un insigne monumento liturgico, che ci è dato da
un codice della biblioteca Capitolare.
E' un Ordo Romanus, che
espone le cerimonie della sacra liturgia usata nella chiesa romana; massime
quando il celebrante fosse il pontefice.
Di questo monumento si sono occupati largamente i cultori della storia della
sacra liturgia (14).
A noi interessano alcune invocazioni, od acclamazioni, che
si trovano in fine di esso, dette dagli storici Laudes od anche Litaniae,
le quali certamente facean parte della liturgia della chiesa veronese, come
apparisce dai nomi dei nostri santi veronesi, Fermo, Procolo, Zeno, Teodoro. Esse erano redatte sul modulo delle Laudes usate nella chiesa
romana, delle quali abbiamo due tipi spettanti al secolo IX. Il primo è quello
pubblicato recentemente dal Duchesne,
e spetta al tempo di Leone III e di Carlo Magno; anzi sembrano cantate
nella solenne coronazione di Carlo Magno
nel giorno di Natale nell'anno 800 (15).
Il secondo è quello pubblicato ancor più recentemente dal Grisar, e spetta al tempo del pontefice Nicolò I e dell'imperatore Ludovico
II (16).
Le Laudes veronesi spettano
agli anni 816-818, come è indicato dai nomi degli imperatori Ludovico e Lotario e della imperatrice Ermengarda.
Le ha pubblicate il nostro Francesco
Bianchini; siccome poi il codice mancava di qualche tratto di foglio e
nelle stesse parti conservate non sempre ne era possibile la lettura, così
necessariamente vi sono delle lacune. Noi daremo soltanto pochi tratti delle Laudes pubblicate dal Bianchini (17): avvertiamo che manca il principio per esser tagliato il foglio
quasi a metà, come ci avvertiva il
compianto custode della Capitolare don Antonio
Spagnolo: daremo la chiusa (c).
--------------------------
Sancte Firme. Respondetur, Tu illum adiuva.
Sancte Procule. Resp. Tu illum adiuva.
Sancte Zeno. Resp. Tu illum adiuva.
Exaudi Christe -
domino nostro augusto serenissimo imperatori nostro a Deo coronato magno et
pacifico vita et victoria.
Sancte Paule. Resp. Tu illum
adiuva.
Exaudi Christe -
domina e nostrae ... imperatrici salus et vita.
Sancta Maria. Resp. Tu illam
adiuva.
Exaudi Christe -
exercitui christianorum vita et victoria.
Christus vincit rex
noster – Christus vincit gloria nostra.
Hludovico et
Hlothario augustis a Deo coronatis magnis et pacìficis imperatoribus vita et
victoria.
Sancta Maria. Resp. Tu illos
adiuva.
Exaudi Christe - et
Ermingardae imperatrici vita.
Sancte Martine. Resp. Tu illos adiuva.
Sancte Petre. Resp. Tu illos adiuva.
Exaudi Christe -
exercitui Francorum vita et victoria.
Sancte Theodore. Resp. Tu illos adiuva.
Ipsi soli virtus et
fortitudo et victoria per omnia saecula saeculorum amen. Ipsi soli honor laus
et jubilatio per infinita saecula saeculorum amen.
-----------------------------------
Queste Laudes
probabilmente segnano il principio delle supplicazioni o processioni
litaniche dalla chiesa cattedrale alla chiesa stazionale, che troviamo poi
nell'uso comune del secolo XI.
I nostri scrittori attribuivano a Ratoldo la prima costruzione dell'attuale cattedrale; quale ci è
segnata nella facciata dalle cornici d'archetti rampanti dell'antico tetto, e
meglio ancora dalle cornici orizzontali sull'esterno della parete meridionale (18). Argomento principale per questa
opinione erano alcune opere esistenti sotto il protiro della chiesa attuale,
che si attribuivano alla fine del secolo VIII, o più facilmente al principio
del secolo IX.
Anzitutto si riteneva che le figure muliebri scolpite sull'architrave della porta
rappresentassero le tre regine che
coi loro doni aveano contribuito all'erezione della chiesa, la moglie di Desiderio, la madre e la moglie di Carlo Magno. Ma
ora è opinione comune che le tre figure rappresentino le tre virtù teologali; e
ciò, non per una mutazione posteriore, ma fino dalla loro prima origine (19): perciò nulla esige che si devano
riferire al principio del secolo IX.
All'epoca stessa si riferivano le statue dei due paladini
carolingi Orlando ed Olivieri (?) poste sugli stipiti del
protiro: ma anche queste sono giudicate opere della prima metà del secolo XII (20).
Si recava pure come prova un ciborio, che il can. Dionisi
teneva nella sua casa e dicea spettare all'epoca di Ratoldo: ma il suo stile romanico lo dice opera del secolo XII (21).
Perciò ora è opinione comune che la cattedrale di Lotario e di Ratoldo sia radicalmente altra dall'attuale; e che l'attuale spetti
anche nella sua parte inferiore e più antica al secolo XII, cominciata
probabilmente dal vescovo Teobaldo,
terminata dal vescovo Ogniben e
consacrata dal pontefice Urbano III:
forse essa occupa almeno in parte il suolo della cattedrale antica.
Poche altre notizie abbiamo su quanto abbia operato il
vescovo Ratoldo a bene della sua
chiesa. Pare che l'aver avvicinato i due eremiti Benigno e Caro nella
traslazione del corpo di S. Zeno
abbia in lui prodotto un'intima e illimitata persuasione della loro santità.
Perciò, come udì della loro morte, ordinò che fossero onorificamente sepolti
nella chiesa di S. Stefano a Malcesine,
e li riconobbe e pubblicamente li proclamò degni di culto liturgico (23).
Così pure coltivò la devozione a S. Zeno, e la promosse tra i fedeli veronesi. Favorì, quanto potè,
i monaci benedettini, che abitavano
presso la chiesa di S. Zeno; ad essi
cedette « curtem unam, quae appellatur Manticus
cum casis, aedificiis, etc.»
che egli potè ottenere dal re Pipino
(23).
Forse da questa devozione di Ratoldo a S. Zeno ed ai monaci
venne che quei monaci ebbero sempre una speciale venerazione per Ratoldo; ed in
un catalogo zenoniano di santi spettante al principio del secolo XV Ratoldo è segnato tra i santi: « S. Rotaldus Episcopus Veronae: 12 februarii »(24).
Del resto gli ultimi anni dell'episcopato di Ratoldo sono molto oscuri, perchè
troppo turbati da lotte politiche. Anzi, benchè comunemente si ritenga che gli
abbia retto la nostra chiesa sino all'anno 840, nel quale a lui venne
attribuito un atto che si trovava nell'archivio di S. Pietro in Castello, pure alcuni scrittori nostri tra gli anni
820-840 pongono altri vescovi, Ratolfo
(25), Utifreddo, Novergio, Rolando; ed alcuni pensano che il Rotaldo dell'atto 840 sia altro vescovo
avente il medesimo nome. Ora uno sguardo
alle fortunose vicende di Rotaldo
nel campo della politica.
L'episcopato di
Ratoldo, inaugurato con lieti auspici durante il regno di Pipino e progredito abbastanza
tranquillo nei primi anni del regno di Bernardo
(26), subì l'influsso delle
turbolenze politiche, che agitarono l'impero ed il regno d'Italia dopo la morte
di Carlo Magno (814). L'imperatore Ludovico il Pio in una dieta tenuta ad Aquisgrana l'anno 817 nominò suo
collega nell'impero il figlio Lotario,
a lui assoggettando anche il regno d'Italia. Di qui i malumori di Bernardo, il quale forse come figlio di Pipino aspirava all'impero ed
ora temeva di perdere anche il regno; molto più che non godeva le simpatie di Ermengarda moglie di Ludovico. Parve che egli meditasse ed
andasse preparando una rivolta contro l'imperatore; e chi lo accusò di questo
preparativo presso l'imperatore (27) fu appunto il nostro
vescovo Ratoldo insieme con Suppone duca di Brescia (28). Bernardo fu fatto prigioniero, indi
accecato; per la quale punizione morì poco dopo.
Pareva dover quindi esser tranquillo Rotaldo: ma non fu così, L'imperatore
diede il regno d'Italia a suo figlio
Lotario, uomo superbo, d'ingegno sprezzante e
insofferente di qualunque soggezione. Questi ben presto sotto varii pretesti si
ribellò contro il padre imperatore e contro Giuditta da lui sposata dopo la morte di Ermengarda l'anno 819; e, come potè aver fra le mani Giuditta, la confinò a Tortona. Il nostro vescovo, sempre devoto
a Ludovico, assieme con alcuni duchi
riuscì a liberare Giuditta e con
altri la condusse egli stesso ad Aquisgrana
l'anno 833( 29): della quale cosa
irritato Lotario lo costrinse a
rimanere in Francia.
Dopo quest'anno poco sappiamo di lui. Da un documento citato
dai nostri parrebbe fosse ancora a Verona
nell'anno 840: ma forse si tratta di un altro Rotaldo o Ratolfo, che
alcuni pongono fra i vescovi di Verona verso questo tempo. Pare che il nostro Ratoldo dall'anno 840, se non dall'834,
da Verona siasi ritirato nel
monastero di Augia sul Reno.
Alcuni eruditi antichi riferiscono che Ratoldo nel partire dall'Italia
abbia portato con sè il corpo, od almeno alcune preziose reliquie di S. Marco da Venezia e dei martiri Genesio e Teopompo da Treviso (30).
Egli avrebbe abbandonato Verona verso l'anno 830: presso il
monastero di Augia avrebbe edificato
una cappella sontuosa; ed ivi avrebbe condotto vita eremitica e penitente sino
all'anno 874, nel quale sarebbe morto in concetto di santità il giorno 13
settembre (31).
Sarebbe una longevità straordinaria, se fu eletto vescovo di
Verona nei primi anni del secolo VIII. Riteniamo sia più conforme a verità
quanto scrivono i nostri dietro un manoscritto della nostra Capitolare; che, cioè, Ratoldo sia morto il giorno 6 agosto
dell'anno 840(32). Il nome di lui è
rimasto in grande venerazione presso i monaci del monastero di Augia, e forse anche presso i
benedettini del nostro monastero di S.
Zeno; ma nella chiesa veronese non ebbe mai culto liturgico.
NOTE
1- MAFFEI, Istoria
teolog., App. pag. 95 osserva che nei documenti si legge talvolta Ratoldo,
tal'altra Rotaldo: la prima forma indica la scrittura degli
Alemanni, la seconda la pronuncia.
2 - Presso
MAFFEI, Op. cit., pag. 95; BIANCOLINI, Chiese di Verona, I, pag. 42.
3 - BIANCOLINI, Op.
cit., pag. 41; Dissert. sui Vescovi, pag. 16. - DIONISI, Apol.
rifless., pag. 31 in calce dice che in tutte le carte capitolari domus
sci. Zenonis significa le ragioni
del vescovado. Il palatium sancti
Zenonis, di cui parlano i commenti capitolari, era un palazzo, forse
posteriore, situato presso la porta di S. Zeno, ora detta porta de' Borsari.
SIMEONI, La basilica di S. Zeno, pag. 9.
4 - Circa un
secolo prima il notaio Coronato aveva scritto la sua Vita sane ti Zenonis; dalla
quale sappiamo quanto fossero entusiasti i veronesi per il loro santo patrono.
5 - Presso
MAFFEI, Istoria teolog., App. pag. 93; BIANCOLINI, Chiese di Verona, I.
135.
6 - Presso Dv CANGE,
Glossarium, alla voce domus si trova domus Dei, domus sacra, come
significante una chiesa: ma la semplice voce domus come significante la domus
cathedralis od ecclesia Episcopi, non si trova.
7 - DIONISI, Apologetiche
riflessioni ecc., - Vedi anche DA PRATO, Testamento di Pacifico Dissert.
II. Cap. 7; CAPPELLETTI, Chiese, X. 753.
8 - Presso
UGHELLI, Italia sacra, V. 707; DIONISI, Op. cit., con tavola di
caratteri del secolo XI; FLORIO, De' privilegi ... , pag. 192.
9 - De
privilegiis et exemptione Capito Cathedr. Veron., pag. 61 col. 2. L'autore di quest'opera secondo l'opinione del
vescovo Liruti dovrebbe essere iI sacerdote Pietro Ballerini. - Vedi anche
GIULlARI in Archivio veneto XVIII. 15. lO Presso UGHELLI, Italia
sacra, Tomo V. col. 709, 808.
11 - FLORIO, De
privilegi ecc., pag. 30. - Vedi anche Notizie spettanti al Capitolo di
Verona.
12 - De
privilegiis ecc., pag. 70, segg. Ivi riporta il documento e lo dimostra
suppositizio, massime nel confronto con un Judicatum del vescovo Raterio dell'anno
967.
13 - BALLERINI, Conferma
ecc., pag. 126; SPAGNOLO, Scuole
acolitali, pag. 3.
14 - Vedi
DUCHESNE, Les Origines du culle chretien. Chap. V. § I. 6°. Lo ha pubblicato MABILLON, Museum italicum,
II. pag. 3, segg.; pubblicato ed illustrato Fr. BIANCHINI, « Anastasius
Bibliothecarius », Tom. III. Pag. XXVIII, segg. Si trova pure presso MIGNE, Patr. lat., Tom.
LXXVIII.
15 - DUCHESNE, Le
« Liber Pontiiicalis ", Tom. II. pago 27. 16 GRISAR, Analecta
Romana, I. pag. 229.
17 - BIANCHINI, Op.
cit., pag. LXII. Dal codice della
Capitolare XCII.
18 - DIONISI, Osservo
sopra un'antica scultura cristiana (Verona 1767). Vedi anche VENTURI, Comp.
Storia di Verona, Tavola XVIII.
19 - SIMEONi, Guida
di Verona, pag. 66. - DA PERSICO, Verona e sua provincia, pag. 71
opinava che in origine rappresentassero tre regine, che poi si vollero
convertire nelle immagini delle tre virtù teologali.
20 - CIPOLLA, Compendio
della storia politica di Verona, pag. 57.
21 - SIMEONI, Guida
di Verona, Tavola di fronte alla pag. 214 (Edizione di lusso).
22 - PERETTI, Hist.
delle sante Vergini, f. 59; CHIEREGATO, Per la XI ricorrenza ecc.,
pag. 15 (Verona 1909).
23 - Documento
citato in un Atto del 1178 presso UGHELLI, Italia sacra, V. 712;
BACILIERI, Bussolengo, pag. 18 (Verona 1903).
24 - BIANCOLINI, Dissert.
sui Vescovi - Docum. XXVI, pag.157.
25 - Di un
Ratolfus, che forse potrebbe essere Ratoldo, dà notizie favolose BERNOLDUS, Chronicon,
presso PERTZ, Monum. Germ., V. 420, seg.
26 - Carlo Magno
neIl'812 donò a Ratoldo il forum ed il mercatum soliti a farsi
nella festività di S. Zeno in Verona: forse la prima concessione ebbe origine
nell'anno 807. SIMEONI in Atti Acad. Veron., Vol. 82, pag. 88.
27 - Ratoldo fu sempre
beneviso da Ludovico, dal quale nell'anno 820 fu delegato a giudicare in una
lite tra i monaci di Nonantola e Hucpoldo conte di Verona. Egli decise a favore
dei monaci con Atto 31 maggio, presso MURATORI, Ant. Ital., I. 461.
28 - Vita Hludovici presso
PERTZ, Monum. Germ., II. 623.
29 - Vita Hludovici, ib.
Pag. 938; Annales Bertiniani a. 834 presso PERTZ I. 428.
30 - Presso
BIANCOLINI, Dissert. sui vescovi, pag. 181, sego - Vedi anche l'anon. Ex
miraculis sancti Marci, presso PERTZ IV. 450-452; Catalogus abbatum Augensium, presso
PERTZ, Op. cit., XIII. Questa traslazione dagli scrittori di cose nostre
è tenuta per favolosa.
31 - Così
EGONIUS, De viris illustribus, il Cronicon Augiense ed altri, presso BIANCOLINI, Dissert.
sui vescovi, loc. cit. - Così anche gli Annales alamanici nella Contin.
Sangall., presso PERTZ, Mon.
Germ., I. pag. 51, ed altri documenti ivi citati.
32 - Così DIONISI, Apol. rifless., pag. 93, De
AIdone et Notingo, pag. 14; BIANCOLINI, Chiese di Verona, VIII. 347.
Nel monastero di Augia il 13 settembre dell'anno 874 sarebbe morto Ratolfo, forse
esso pure un tempo vescovo di Verona. Vedi BIANCOLINI, Serie cronol. dei
vescovi di Verona, pag. 4, seg.
ANNOTAZIONI AGGIUNTE AL CAP. III (a cura di A. Orlandi)
(a) pag. 172. -
Il P. Meersseman ha pubblicato due calendari di origine veronese dal codice
Berlinese 128, in uno dei quali è segnata al giorno 26 settembre «consecratio
domo episcopi ratoldi ». Se come era uso la consacrazione si faceva di
domenica, Ratoldo deve essere stato consacrato l'anno 801, in cui il 26
settembre era appunto di domenica. Se invece fosse stata compiuta il sabato,
che era sabato delle Quattro tempora, sarebbe avvenuta nell'anno 800, ma meno
probabilmente, si potrebbe attribuire all'anno 806, anno in cui il 26 settembre
venne a scadere di sabato, cfr. G:G. MEERSSEMAN - E. ADDA, Manuale di
computo con ritmo mnemotecnico dell'arcidiacono Pacifico di Verona (+844),
Padova, 1966, p. 178.
(b) pag. 175. -
Nel sec. XVIII alcuni sostennero l'autenticità del documento in questione
(Fiorio, Lombardi, Dionisi), i Ballerini la negarono. Ormai la questione era al
tramonto; ma essa era la conclusione di lunghe controversie tra i vescovi di Verona
e il Capitolo, e questo documento, se autentico, vi aveva dato base giuridica,
se non autentico, era stato inventato per giustificare le secolari
controversie. cfr. O. VIVIANI, La
fine delle controversie per l'esenzione giurisdizionale del Capitolo veronese, in
Atti e Memorie dell'Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona, vol.
CXXX (Serie VI, V, 1953-54), pp. 239-309.
(c) pag. 177. -
Questo Cod. XCII della Biblioteca Capitolare è stato recentemente studiato da
vari autori. Il Meersseman dà anche il
testo completo delle « acclamationes» o Litanie. B. OPFERMANN, Litania
Italica, in «Ephemerides Liturgicae ». A. 72° (1958) pp. 293-319. M.
ANDRIEU, Les «Ordines Romani» du haut Moyen Age. vol. I: Les Manuscrits, Lovanio,
1965, pp. 367-373. G.G. MEERSSEMAN - E.
ADDA - J. DESHUSSES, L'Orazionale dell'Arcidiacono Pacifico e il Carpsum del
cantore Stefano. Studi e testi sulla liturgia di Verona dal IX al XI secolo. Friburgo,
1974, pp. 62-65 e 188-190.
Fonte: srs di
Giovanni Battista Pighi, da CENNI STORICI SULLA CHIESA VERONESE, volume I
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