domenica 3 luglio 2016

I FUNERALI DEL DOGE...

Gabriel Bella (sec. XVIII): I funerali del doge nella chiesa dei santi Giovanni e Paolo


(in ricordo del caro Amico Alvise Zorzi.)

Per regola il doge a Venezia era protagonista veramente di pochissime festività o manifestazioni, non lo era nemmeno dei suoi stessi funerali. Si diceva:

Sacco de pagia e maschera de cera
El cadavere del Serenissimo,
che averessi zurà certo certissimo
ch’el fusse là in te l’aria e in tel ciera…”

I solennissimi funerali di Stato che si celebravano alla morte del doge, non si facevano a lui, ma a un simulacro imbottito di paglia, con il volto di cera. La salma del doge, mentre si svolgevano le grandi feste funebri, era già stata sepolta, la notte precedente nella tomba di famiglia.
Di questa usanza si hanno le prime testimonianze con il funerale di Giovanni Mocenigo in quanto morto di peste. Successivamente venne interrotta, con funerali all’effettiva salma imbalsamata, fino al seicento quando riprese ininterrottamente fino alla fine.

La salma era esposta per tre giorni nella sala del Piovego, con lo stocco rovesciato al fianco e gli speroni ai piedi, questa vera o finta che fosse era vegliata dai membri della Scuola dei Marinai e da dei gentiluomini vestiti di scarlatto. La sera terzo giorno veniva portata, con solennissima processione, in giro per il Palazzo Ducale e per la Piazza di San Marco, poi attraverso le Mercerie, verso i Santi Giovanni e Paolo.  Era un corteo immenso, composto da migliaia di persone e ciascuna portava un cero acceso.
Vi partecipavano tutti i membri delle confraternite o “Scuole” piccole, delle “Scuole” grandi(incappati di nero e di bianco), vi erano i preti secolari, i frati, i chierici, i canonici di Castello e di San Marco con le scholae cantorum(di soli frati), questi superavano spesso i cinquemila e cinquecento.
Il catafalco era portato dai capitani di mare, questo era fiancheggiato e seguito da uno stuolo di personaggi vari. Questi erano i confratelli della scuola alla quale il doge apparteneva quando era in vita, nel caso non fosse stato membro o socio di nessuna scuola, era compito dei confratelli della Scuola Grande di San Marco, intorno vi erano i cortigiani e i marinai con le torce accese e gentiluomini in toga rossa.
Lo precedevano otto stendardi e il lo scudo intagliato del Serenissimo, seguiti dai parenti del defunto a lutto, con il cappuccio in testa.
Li seguivano la Signoria, gli ambasciatori, i procuratori di San Marco, il Cancellier Grande, i Capi dei Dieci(che in realtà erano diciassette) e altre autorità, i superstiti dei “quarantuno” che lo avevano eletto.
All’altezza della Scala dei Giganti, la Signoria cedeva il posto agli Avogadori e si ritirava. Le campane di tutta Venezia suonavano nove volte a doppio fin quando il catafalco arrivava alla porta maggiore della Basilica di San Marco.
Là i marinai sollevavano la lettiga per nove volte gridando “Misericordia!”, in mezzo ad un profondo silenzio(era il “salto del morto”).
Poi le campane riprendevano a suonare e continuavano ancora per nove volte fino a quando il corteo non arrivava ai Santi Giovanni e Paolo, dove si celebravano i riti religiosi e un oratore “famoso”, tesseva le lodi dello scomparso(anche per quattro ore di fila).
Morto e seppellito il doge non veniva lasciato ancora tranquillo, si indagava più volte su di lui e sulle sue azioni da parte di appositi Inquisitori(rivedevano totalmente il suo operato in sede amministrativa e finanziaria), eletti dal Maggior Consiglio.
Le inchieste duravano anche due anni, gli Inquisitori con prove alla mano esponevano i loro risultati al Consiglio dei Dieci, gli eredi se vi erano le prove di malversazioni erano costretti a restituire le somme che risultavano dalle comparazioni, spesso erano somme ragguardevoli.






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