Gabriel Bella (sec. XVIII): I funerali del doge nella chiesa
dei santi Giovanni e Paolo
(in ricordo del caro Amico Alvise Zorzi.)
Per regola il doge a Venezia era protagonista veramente di
pochissime festività o manifestazioni, non lo era nemmeno dei suoi stessi
funerali. Si diceva:
“Sacco de pagia e
maschera de cera
El cadavere del
Serenissimo,
che averessi zurà
certo certissimo
ch’el fusse là in te
l’aria e in tel ciera…”
I solennissimi funerali di Stato che si celebravano alla
morte del doge, non si facevano a lui, ma a un simulacro imbottito di paglia,
con il volto di cera. La salma del doge, mentre si svolgevano le grandi feste
funebri, era già stata sepolta, la notte precedente nella tomba di famiglia.
Di questa usanza si hanno le prime testimonianze con il
funerale di Giovanni Mocenigo in quanto morto di peste. Successivamente venne
interrotta, con funerali all’effettiva salma imbalsamata, fino al seicento
quando riprese ininterrottamente fino alla fine.
La salma era esposta per tre giorni nella sala del Piovego,
con lo stocco rovesciato al fianco e gli speroni ai piedi, questa vera o finta
che fosse era vegliata dai membri della Scuola dei Marinai e da dei
gentiluomini vestiti di scarlatto. La sera terzo giorno veniva portata, con
solennissima processione, in giro per il Palazzo Ducale e per la Piazza di San
Marco, poi attraverso le Mercerie, verso i Santi Giovanni e Paolo. Era un corteo immenso, composto da migliaia di
persone e ciascuna portava un cero acceso.
Vi partecipavano tutti i membri delle confraternite o
“Scuole” piccole, delle “Scuole” grandi(incappati di nero e di bianco), vi
erano i preti secolari, i frati, i chierici, i canonici di Castello e di San
Marco con le scholae cantorum(di soli frati), questi superavano spesso i
cinquemila e cinquecento.
Il catafalco era portato dai capitani di mare, questo era
fiancheggiato e seguito da uno stuolo di personaggi vari. Questi erano i
confratelli della scuola alla quale il doge apparteneva quando era in vita, nel
caso non fosse stato membro o socio di nessuna scuola, era compito dei
confratelli della Scuola Grande di San Marco, intorno vi erano i cortigiani e i
marinai con le torce accese e gentiluomini in toga rossa.
Lo precedevano otto stendardi e il lo scudo intagliato del
Serenissimo, seguiti dai parenti del defunto a lutto, con il cappuccio in
testa.
Li seguivano la Signoria, gli ambasciatori, i procuratori di
San Marco, il Cancellier Grande, i Capi dei Dieci(che in realtà erano
diciassette) e altre autorità, i superstiti dei “quarantuno” che lo avevano
eletto.
All’altezza della Scala dei Giganti, la Signoria cedeva il
posto agli Avogadori e si ritirava. Le campane di tutta Venezia suonavano nove
volte a doppio fin quando il catafalco arrivava alla porta maggiore della
Basilica di San Marco.
Là i marinai sollevavano la lettiga per nove volte gridando
“Misericordia!”, in mezzo ad un profondo silenzio(era il “salto del morto”).
Poi le campane riprendevano a suonare e continuavano ancora
per nove volte fino a quando il corteo non arrivava ai Santi Giovanni e Paolo,
dove si celebravano i riti religiosi e un oratore “famoso”, tesseva le lodi
dello scomparso(anche per quattro ore di fila).
Morto e seppellito il doge non veniva lasciato ancora
tranquillo, si indagava più volte su di lui e sulle sue azioni da parte di
appositi Inquisitori(rivedevano totalmente il suo operato in sede
amministrativa e finanziaria), eletti dal Maggior Consiglio.
Le inchieste duravano anche due anni, gli Inquisitori con
prove alla mano esponevano i loro risultati al Consiglio dei Dieci, gli eredi
se vi erano le prove di malversazioni erano costretti a restituire le somme che
risultavano dalle comparazioni, spesso erano somme ragguardevoli.
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