Non si potrebbe
neppure tentare di comprendere chi sia stato, in realtà, Don Luigi Villa,
senza prendere in considerazione le parole pronunciate da Papa Pio XII al suo
Pro-segretario di Stato, card. Domenico Tardini:
«Dica a mons.
Giambattista Bosio che ho accettato l’incarico affidato a Don Luigi Villa da
Padre Pio. Gli dò un mandato papale, deve laurearsi in Teologia Dogmatica e deve
essere affidato ai cardinali Alfredo Ottaviani, Pietro Palazzini e Pietro
Parente.
Dica inoltre a Mons.
Bosio che è la prima volta, nella storia della Chiesa, che viene affidato ad un giovane Sacerdote un simile incarico.
E gli dica anche che
è l’ultima!»
19 novembre 2012
Il Signore ha chiamato a Sé l'anima del Rev. Don Luigi
Villa
Requiem aeternam dona ei Domine et lux perpetua luceat
ei, requiescat in pace.
Amen
(I funerali si terranno domani 20 novembre 2012, ore 15:30,
presso Chiesa Crocifissa di Rosa, Via Crocifissa di Rosa, Brescia)
IN RICORDO DI
DON LUIGI VILLA, PUBBLICHIAMO UNA SUA BREVE BIOGRAFIA SCRITTA DALL'ING. FRANCO
ADESSA, SUO COLLABORATORE DA TANTI ANNI, E PUBBLICATA SUL SITO PONTIFEX
di Franco Adessa
Su richiesta di molte
persone dall’Italia e dall’estero, e dopo più di vent’anni di collaborazione
con questo coraggioso Sacerdote, ho deciso di scrivere questa breve biografia
di don Luigi Villa, perché ritengo non sia più possibile tacere sulla indescrivibile
e interminabile persecuzione subìta da questo anziano, fedele e incorruttibile
Ministro di Dio!
Nato a Lecco, il 3 febbraio 1918, Luigi Villa, dopo
aver compiuto i suoi studi ginnasiali, liceali e teologici, fu ordinato
Sacerdote, il 28 giugno 1942. Celebrò la sua prima Messa nella cattedrale di
Lecco, suo paese d’origine ed esercitò il suo ministero sacerdotale
nell’Istituto Comboniano, per circa una decina d’anni.
Don Villa era un vero cacciatore di vocazioni ed uno stimato
predicatore e conferenziere ed i suoi interventi erano apprezzati e richiesti
in molte città e luoghi d’Italia. Inoltre, egli si dedicava in modo particolare
alla formazione dei giovani.
Fu proprio questo suo legame con i giovani e la sua
influenza che egli esercitava su di essi che gli procurò una condanna a morte.
Infatti, il Gerarca fascista Ministro della Giustizia, Roberto Farinacci, emise
una condanna a morte nei suoi confronti. La motivazione era la seguente: «Padre Luigi Villa non si sa chi sia; pare
mandato in giro a sobillare i giovani contro la Repubblica». L’esecuzione
della fucilazione non ebbe luogo grazie ad una “soffiata” fatta da un ufficiale
del Ministero di Giustizia che, segretamente e tempestivamente, preavvisò un
confratello di don Villa, Padre Ceccarini - che viveva presso l’Istituto
Comboniano di Crema con don Luigi - perché fuggisse.
Così, don Villa scavalcò una finestra e fuggì, proprio
mentre stava arrivando una jeep con sei soldati armati del plotone di
esecuzione.
Questa condanna pesò su don Villa per tutta la durata della
Repubblica di Salò; intorno a lui, vi fu sempre un’atmosfera di provvisorietà
ed una minaccia permanente che, solo con la fine della guerra, il 25 luglio
1945, segnò la sua liberazione da quell’incubo!
Durante la guerra, don Villa si prodigò anche per salvare
intere famiglie di ebrei. Infatti, in obbedienza alle disposizioni di Pio XII,
don Luigi mise in salvo 57 ebrei, in tre viaggi sui monti al confine tra Italia
e Svizzera, rischiando la sua vita ad ogni viaggio.
Agli inizi del 1953, per problemi familiari, egli uscì
dall’Istituto comboniano e, su invito dell’arcivescovo di Ferrara, mons.
Ruggero Bovelli, si incardinò in quella diocesi, per fondare un Movimento
Missionario Internazionale.
Incontri con Padre Pio
In quegli anni, don Villa continuò la sua attività di
predicatore e conferenziere.
Nel 1956, tenne una serie di conferenze ai laureati di Bari,
dove, dopo un pranzo a base di pesce, ebbe un’intossicazione a causa delle
vongole nella pasta-asciutta.
Informato il suo amico don Berni, che era cappellano
militare all’aeroporto di Bari, don Villa fu prelevato da alcuni avieri, che lo
portarono nel reparto infermeria dell’aeroporto, dove fu curato dal Colonnello
medico, rimanendovi fino a guarigione.
Prima di lasciare Bari, don Berni volle che don Luigi lo
accompagnasse a San Giovanni Rotondo. Arrivati sul posto, don Berni gli chiese
di aspettarlo, mentre andava all’albergo “Santa Maria”, per prenotare il
pranzo. Don Villa, allora, andò a pregare nella chiesetta del Convento.
La chiesa era vuota e lui si inginocchiò in uno dei banchi.
Ad un tratto, percepì una presenza e si girò; al suo fianco, vi era un uomo giovanile,
straordinariamente bello, che gli chiese:
«Lei vuole incontrare Padre Pio?».
«No!», rispose don Villa, ma l’altro insistette: «Vada, vada
pure, Padre Pio la sta aspettando!».
Don Villa si rivolse verso la persona che gli aveva appena
parlato, ma, al suo fianco, non vi era più nessuno. La persona che aveva
pronunciato quelle parole era scomparsa!
Allora, entrò nel convento e salì fino al luogo della cella
di Padre Pio; sentì un profumo intenso di fiori e lo comunicò ad un frate che
stava passando, il quale disse: «Buon segno, buon segno!», dicendogli, poi, che
Padre Pio sarebbe presto tornato in cella.
Durante l’attesa, don Villa scrisse su un suo taccuino 12
domande che intendeva porre al frate. Dopo poco, egli vide aprirsi la porta che
era in fondo alla scala della sacrestia.
Appena entrato, Padre Pio lo guardò (era in fondo allo
stretto corridoio, ad una ventina di metri) e disse: «Che fa, qui, padre
Villa?», poi, si incamminò fino alla sua stanzetta, N° 5, dove entrò con i due
medici che l’avevano seguito. Ma dopo pochi minuti, usciti i medici, Padre Pio
chiamò don Luigi e lo fece entrare nella sua cella.
Qui, rispose alle sue 12 domande e gli parlò per oltre una
mezz’ora, dandogli un incarico: dedicare
tutta la sua vita per difendere Chiesa di Cristo dall’opera della Massoneria,
soprattutto quella ecclesiastica.
Don Villa rimase perplesso, e disse: «Ma io non sono
preparato per un tale impegno; inoltre dovrei essere protetto da un Vescovo.
Padre Pio lo interruppe e gli disse: «Va dal Vescovo di Chieti e Lui ti dirà il
da farsi».
Due giorni dopo, don Villa partì da Bari e si recò da mons.
Giambattista Bosio. Il Vescovo gli chiese: «Perché sei qui?». Don Luigi
rispose: «Perché Padre Pio mi ha detto di venire da Lei» e gli chiarì i motivi.
Alla fine, mons. Bosio gli disse: «Questo è impossibile,
perché un Vescovo ha autorità solo nella sua diocesi, e il tuo programma è ben
più ampio! Comunque, poiché questo te lo ha detto Padre Pio, che io non ho mai
né visto né conosciuto, io andrò a Roma per una chiarificazione».
Infatti, Mons. Bosio si recò dal Segretario di Stato, il
cardinale Domenico Tardini per parlargli dell’incarico che don Villa aveva
ricevuto da Padre Pio. Il Cardinale si dimostrò subito contrario, dicendo che
un tale compito era riservato solo ai vertici della Chiesa, e non a un semplice
sacerdote. Tuttavia, per aver udito che tale progetto partiva da Padre Pio,
disse che ne avrebbe parlato al Santo Padre. E così fece.
Quando mons. Bosio tornò dal cardinale Tardini, questi gli
riferì che Pio XII aveva approvato l’incarico affidato da Padre Pio a don
Villa, ponendo, però, due condizioni: don Luigi doveva laurearsi in teologia
dogmatica; inoltre, doveva essere affidato alla direzione del card. Alfredo
Ottaviani, Prefetto del Sant’Ufficio, del card. Pietro Parente e del card.
Pietro Palazzini.
Questi Cardinali dovevano guidarlo e metterlo al corrente di
tanti segreti della Chiesa, pertinenti a questo suo mandato papale.
Mons. Bosio trasmise a don Villa le “condizioni” di Pio XII,
ma, da parte sua, ne aggiunse un’altra: «Io accetto l’incarico di essere il tuo
Vescovo, ma ti dico: non avere mai nulla a che fare con Montini!»!
Colpito dalla durezza di queste parole, don Villa chiese:
«Ma chi è Montini?».
Mons. Bosio rispose: «Ti faccio un esempio: io sono da
questa parte del tavolo e tu dall’altra. Da questa parte, c’è mons.
Giambattista Montini; dall’altra parte, il resto dell’umanità!».
Da notare che le famiglie Montini e Bosio erano entrambe
residenti a Concesio (vicino a Brescia). Quindi, la famiglia Bosio conosceva
bene Montini!
Dopo questo, mons. Bosio, con decreto del 6 maggio 1957,
segretamente incardinò don Villa, nella diocesi di Chieti.
Don Luigi, allora, si iscrisse all’Università di Friburgo
(CH) dove si “licenziò” in Sacra Teologia, nel luglio del 1963, laureandosi,
poi, all’Università Lateranense, a Roma, il 28 aprile 1971.
Nella seconda metà del 1963, don Villa ebbe il secondo
incontro con Padre Pio.
Non appena lo vide, Padre Pio gli disse: «È un bel po’ di
tempo che ti stavo aspettando!», e si lamentò della lentezza con la quale don
Luigi procedeva nell’incarico affidatogli.
Alla fine dell’incontro, Padre Pio abbracciò don Villa e gli
disse: «Coraggio, coraggio, coraggio!
perché la Chiesa è già invasa dalla Massoneria» aggiungendo: «La Massoneria è già arrivata alle pantofole
del Papa». (Paolo VI!)
Agente segreto
In tutti quegli anni, don Villa, lavorò come agente segreto
del card. Ottaviani, con la specialità di documentare l’appartenenza alla
Massoneria di alti Prelati della Chiesa cattolica e di occuparsi di certe
questioni delicate della Chiesa.
Questo ruolo fece di don Villa una persona di casa e molto
conosciuta in Uffici di Polizia, di Questura e di altre Agenzie di
Investigazioni Generali e Operazioni Speciali.
Quando, nel settembre 1978, durante il breve pontificato di
Papa Luciani, la “Lista Pecorelli” apparve su “OP” (Osservatore Politico), la
Rivista dell’avvocato Mino Pecorelli, non fu certo una grande meraviglia per
don Villa leggervi molti nomi di quegli alti Prelati che lui stesso aveva già
fatto allontanare dalle loro sedi, tanto tempo prima, per aver fornito al
Sant’Uffizio i documenti della loro appartenenza alla Massoneria.
Uno dei casi più illustri fu quello del card. Joseph
Suenens, cacciato dalla sua sede di Bruxelles perché massone, convivente e con
un figlio di nome Paolo!
Un altro caso “doloroso”, fu quello del card. Achille
Lienart. A Parigi, mentre attendeva, nei pressi di una Loggia massonica, l’uomo
che gli doveva confermare l’esistenza di documenti che attestavano
l’appartenenza alla Massoneria del card. Lienart, don Villa, d’improvviso, vide
corrergli incontro un giovane che, aggreditolo, gli sferrò un pugno “ferrato”
in pieno volto, gridando: «Esiste un Diavolo su questa terra!».
Don Villa rinvenne in una farmacia, con la bocca piena di
sangue, la mandibola spezzata, e senza più un dente in bocca.
Anche ad Haiti, un giorno, egli rischiò la vita. Recatosi in
quel paese per una missione, fu preso dai militari, e portato in un luogo, per
la fucilazione. Ma don Villa ebbe un’ispirazione: chiese all’ufficiale che lo
custodiva di poter parlare con un suo carissimo amico, il Superiore del
Seminario locale. L’ufficiale, turbato da quella richiesta, si recò dai suoi
superiori e tornò subito, dicendogli: «Ci siamo sbagliati», e lo liberò.
Tra le questioni delicate affidategli dal cardinale
Ottaviani, vi fu quella dell’incontro con Lucia di Fatima. Un giorno il
cardinale Ottaviani disse a don Villa: «Ho pensato di mandarti a Fatima per
parlare direttamente con Suor Lucia».
Egli accettò con gioia. Lo accompagnò un industriale
padovano, il Sig. Pagnossin, un convertito da Padre Pio, che gli offrì il
viaggio e la permanenza in Portogallo. Il Cardinale Ottaviani lo aveva munito
di una sua lettera personale e firmata da lui, come Prefetto del Sant’Uffizio,
da consegnare al Vescovo di Coimbra, perché gli concedesse l’incontro con Suor
Lucia. Ma il Vescovo di Coimbra, prima di concedere l’incontro con la Veggente,
prese il telefono e chiamò in Vaticano. Gli rispose Mons. Giovanni Benelli, il
quale, prima di dare una risposta, volle sentire Paolo VI, perché Roma aveva
dato ordini precisi: il “colloquio” con Lucia era consentito solo ai Reali e ai
Cardinali.
Mons. Benelli trasmise al Vescovo di Coimbra il divieto di
Paolo VI alla richiesta di colloquio con Suor Lucia. Inutile, quindi, fu
l’insistenza di don Villa, nell’evidenziare il suo ruolo di inviato del
Prefetto del Sant’Uffizio. Comunque, egli rimase in Portogallo, cercando di
vincere la resistenza del Vescovo. Dopo una decina di giorni, però, si dovette
rassegnare alla sconfitta. Ottenne dal Vescovo solo di poter celebrare nella
Cappella del Convento di clausura.
Al rientro in Italia, don Luigi andò subito a riferire
l’accaduto al cardinale Ottaviani. Il Cardinale si sentì offeso dal
comportamento di Paolo VI, al quale scrisse subito una lettera di protesta.
Tornato in seguito a Roma, il card. Ottaviani gli disse che Paolo VI gli aveva
fatto le scuse, dicendo, però, che la decisione era stata presa da mons.
Benelli. Ma il Cardinale sottolineò che quello era il solito metodo del doppio
gioco di Paolo VI.
Fintanto che visse Pio XII, il Vaticano, per don Villa era
un ambiente più che accogliente: oltre agli incontri inerenti alla sua attività
di agente segreto, don Villa pranzò e cenò almeno una cinquantina di volte con
Cardinali e Vescovi. Ma quando giunse al potere Paolo VI, egli si vide preclusa
ogni ospitalità ed ogni possibilità di avviare iniziative per la difesa della
Fede Cattolica.
I fallimenti premeditati
Molte furono le iniziative e le opere che don Villa cercò di
far nascere, ma che, anche sotto il pontificato di Pio XII, gli furono fatte
fallire.
Già nel 1953, appena incardinato nella diocesi di Ferrara,
don Luigi pianificò la fondazione di un grande Movimento missionario formato
prevalentemente da tecnici, col titolo I.M.I. (Istituto Missionario Internazionale); ma lo fermarono subito.
Il 21 aprile 1957, don Villa fondò il Movimento “Euro-Afro-Asiatico”, legato ad una sua
Rivista che portava lo stesso titolo, e di cui aveva già avuto regolare
autorizzazione dal suo Vescovo, Sua Ecc.za mons. Giambattista Bosio. Ma il
Movimento ebbe anch’esso vita breve, perché glielo chiusero.
Gli fecero chiudere, subito dopo la prima edizione, anche
un’altra sua Rivista: “Colloquio
Oriente-Occidente”, che sarebbe stata alimentata da un altro suo Istituto
per le “religioni non cristiane”.
Ancora: gli impedirono di fondare un “Centro di teologi” per combattere il rinascente Modernismo e il
progressismo nella Chiesa. L’ordine venne direttamente da Sua Ecc.za mons.
Giovanni Benelli, Pro-segretario di Stato di Paolo VI.
In quello stesso periodo, sempre il solito massone
Pro-segretario di Stato, mons. Giovanni Benelli, gli impedì di continuare una
serie di “Congressi di studio”
permanenti.
Don Villa riuscì a dar corpo solo ai primi tre:
1. Il Primo Congresso di Roma, dal titolo: “Ortodossia e
ortoprassi” (1-4 ott. 1974);
2. Il Congresso di Firenze, dal titolo: “La donna
alla luce della teologia cattolica” (16-18 sett. 1975);
3.
Il Secondo Congresso di Roma, dal titolo: “Cristianesimo e
comunismo ateo” (20-22 sett. 1977).
Mentre nei due Congressi di Roma, la presenza di Cardinali
impedì a mons. Benelli un suo intervento diretto, per il Congresso di
Firenze, l’Arcivescovo di Firenze, card. Florit, ebbe l’ordine da Roma di
proibire la partecipazione al Congresso a tutto il clero fiorentino. Il
Cardinale, spiacente di quel comando, lo comunicò subito a don Villa e gli
promise di mandargli un Vescovo a presiedere per tutta la durata del Convegno.
E così avvenne!
Altre iniziative che gli furono fatte fallire, furono: la
fondazione di un “terzo ramo” di Religiose-laiche, da affiancare ai vari
Istituti missionari, e l’iniziativa di “reclutamento” di “vocazioni” per il Sacerdozio;
iniziativa che fu poi imitata da tutti i Seminari e dagli Istituti missionari,
ma il suo progetto iniziale di formazione spirituale fu sviato e finì col
secolarizzarsi.
Personalmente, don Villa fece entrare nei Seminari
missionari circa una cinquantina di ragazzi che, oggi, sono preti.
Ormai, era evidente che non gli era più permesso muovere
alcun passo, realizzare alcuna idea, né iniziare alcun progetto che fosse per
la difesa della Fede cattolica.
Per questo, don Villa dovette rifiutarsi di accettare anche
le offerte di amici e... nemici.
Egli rifiutò, infatti, parecchie “donazioni” di ville e di
enormi somme di denaro. Persino un Cardinale gli volle regalare tutta la sua
proprietà: due ampie scuole elementari e medie, già in funzione, e due ville
con 60 ettari di oliveto e una chiesa.
Anche il cardinale Giuseppe Siri gli offrì il Convento dei
Benedettini a Genova. Ma don Villa rinunciò a tutto, sempre, perché aveva già
previsto la bufera che si stava abbattendo sulla Chiesa, e perciò preferiva
restare povero, per non trovarsi legato e coinvolto in questioni
economico-finanziarie, ma soprattutto, per rimanere libero di occuparsi del
mandato che aveva ricevuto da Padre Pio e da Pio XII di aiutare la Chiesa a
guarire dalla nebulosa situazione in cui si sarebbe trovata sotto gli attacchi
della massoneria ecclesiastica!
Per questa ragione, disse “no” anche a due ricchissimi
americani che gli offrirono miliardi se avesse ceduto loro la sua Rivista
“Chiesa viva”.
Egli ebbe anche la strana “offerta” miliardaria di un
avvocato americano che gli disse di essere disposto a pagargli ogni Movimento
che egli avrebbe potuto fondare per annientare la Chiesa Tradizionale e per
fondarne una “nuova” da far trionfare.
Don Villa fu sempre attivo anche nella sua opera sacerdotale
di salvare le anime. Un caso singolare avvenne nel 1957, quando ebbe un
incontro con il grande scrittore italiano Curzio Malaparte. Prima associato al
fascismo e poi, verso la fine della sua vita, al comunismo, Malaparte giaceva
in una clinica di Roma con il cancro.
La sua stanza era sorvegliata dal famoso picchiatore
comunista Secchia, per impedire il passaggio a chiunque non fosse di sinistra.
Egli cercò d’impedire anche l’ingresso di don Villa, ma non vi riuscì.
Malaparte gli sorrise e gli disse: «Lei è un carattere. Dovrà lottare!».
Un’altra volta che andò a trovarlo, don Villa gli parlò del
suo progetto di fondare una nuova Opera, e tanto fu l’entusiasmo di Malaparte
che gli promise che, se fosse guarito, egli avrebbe messo la sua penna al suo
servizio.
L’ultima volta che lo vide, Malaparte disse a don Villa che,
dopo aver riflettuto molto, aveva deciso di regalargli la sua villa di Capri,
come prima sede dell’Opera che voleva fondare. Ma non se ne fece nulla perché,
pochi giorni dopo, la stanza di Malaparte fu blindata dal comunista Secchia e
da vari comunisti della direzione del periodico “Vie Nuove”, che riuscirono,
poi, a farsi donare la villa. (Il come avvenne, don Villa non lo seppe mai!).
Don Villa a Brescia
Fu la situazione grave in cui si trovavano i Genitori, che
spinse don Villa ad accettare dall’arcivescovo di Chieti, mons. Giambattista
Bosio, l’incardinazione nella sua diocesi, come era stato suggerito dal
Segretario di Stato, cardinale Tardini. Ma fu una incardinazione segretissima,
fatta nello studio del Vescovo, e, come testimone, solo il suo Segretario,
mons. Antonio Stoppani. Ma mons. Bosio, per consentire a don Villa di aiutare i
Genitori, avuto il beneplacito da Roma, trasferì don Villa nella diocesi di
Brescia, con l’approvazione del Vescovo locale.
Il 15 settembre 1962, don Villa aprì una “Casa di formazione”, a Codolazza di
Concesio – Brescia, intitolata “Villa
Immacolata”, per erigere l’Istituto “Operaie
di Maria Immacolata” nato con la paternità di Mons. Bosio.
Nel 1964, l’anziano Vescovo di Brescia, mons. Giacinto
Tredici, morì e fu sostituito dal montiniano mons. Luigi Morstabilini.
Il 12 dicembre 1964, mons. Morstabilini promise a mons.
Bosio di concedere, in breve tempo, il Decreto di approvazione dell’Istituto;
la stessa promessa la fece a don Villa, tre giorni dopo; in gennaio 1965 vi fu
il trasferimento dei documenti; il 2 febbraio furono accettate da don Villa
alcune condizioni restrittive sulle vocazioni estere; il 4 febbraio, mons.
Morstabilini assicurò mons. Bosio che il documento di approvazione era
“sicuro”; il 7 febbraio mons. Morstabilini, in visita alla parrocchia in cui
risiedeva l’Istituto di don Villa gli evitò l’onore di una sua visita; il 18
maggio, mons. Bosio, dopo un colloquio con mons. Morstabilini assicurò don
Villa che il Decreto di approvazione era ormai prossimo al rilascio.
Ma il 1° luglio 1965, don Villa ricevette dalla Curia di
Brescia una lettera del delegato vescovile che lo informava del parere
sfavorevole della Commissione a riguardo dell’approvazione dell’Istituto.
Di fronte a tanta ostilità e doppiezza, don Villa comunicò a
mons. Bosio la sua intenzione di incardinarsi in un’altra diocesi. Il suo
Vescovo dispiaciuto, gli rispose: «No, non farlo, per me!».
Ma questa doppiezza nel modo di agire, obbligò il così
paziente e buono mons. Bosio ad AGIRE!
«Adesso basta – disse a don Villa – in fin dei conti il tuo
Vescovo sono Io. Se non comprendono la mia delicatezza e carità, andrò a Roma,
e ti scriverò».
Il 4 dicembre 1965, mons. Bosio scriveva a don Villa:
«Carissimo Padre Villa, puoi dire alle tue figlie che l’Immacolata ha esaudito
le nostre e le loro preghiere. Visto che a Brescia non si viene a capo di
nulla, ho fatto visita al card. Pietro Palazzini…». La lettera terminava così: «..
non avendo qui, a Roma, i timbri della Curia, potrete ugualmente celebrare la
“fondazione” il giorno dell’Immacolata. Il “Documento” ve lo manderò quanto
prima».
L’8 dicembre 1965, Mons. Bosio inviò a don Villa il
“Decreto” con cui si erigeva canonicamente il suo Istituto “Operaie di Maria
Immacolata”.
<>Il 20 maggio 1967, la sede dell’Istituto fu
trasferita in città, in via Galileo Galilei, 121, Brescia, dove risiede
tuttora.
Mons. Giambattista Bosio, però, morì pochi giorni dopo, il
25 maggio 1967.
Don Villa non era a conoscenza di alcuna malattia o altro
problema di salute che potesse far pensare ad una morte imminente del suo
Vescovo. Solo poche settimane prima della morte, lo stesso mons. Bosio, gli
aveva detto: «Quando andrò in pensione, vorrei venire a vivere con te, nel tuo
Istituto». Le stesse Suore dell’Istituto erano elettrizzate al pensiero di
avere con loro un personaggio così famoso e importante.
Quando Mons. Bosio morì, don Villa si trovava all’estero e,
al suo ritorno, si recò immediatamente a Chieti per pregare sulla sua tomba.
Il nuovo Vescovo di Chieti, e quindi il diretto superiore di
don Villa, fu mons. Loris Capovilla, ex uomo di fiducia del Vescovo di Padova,
mons. Girolamo Bortignon, uno dei peggiori nemici di Padre Pio, ex segretario
personale di Giovanni XXIII ed ex segretario personale di Paolo VI, dal 1963 al
1967.
Don Luigi si recò subito da Lui ed ebbe un colloquio in cui,
il Vescovo, più che trattare la questione della sua incardinazione, per più di
un’ora, cercò di convincerlo a non scrivere più articoli contro il comunismo,
poiché – diceva – il comunismo sovietico vincerà e si dovrà venire a patti con
Mosca!
Con la morte di mons. Bosio, don Villa si trovò stretto in
una morsa: da una parte, l’ex segretario personale di Paolo VI, mons.
Capovilla; dall’altra, il montiniano Vescovo di Brescia, mons. Morstabilini.
Mons. Capovilla chiedeva a don Villa di incardinarsi a
Brescia, mentre mons. Morstabilini insisteva che don Villa rimanesse
incardinato a Chieti e continuasse la sua opera a Brescia, riconfermandogli la
sua fiducia, stima e benevolenza e consigliandogli di “far maturare i tempi”.
Il 4 febbraio 1968, don Villa, in una lettera al Vicario
Generale di Brescia, mons. Pietro Gazzoli, lamentandosi della “poca intelligenza
e onestà” e del modo doppio di agire di mons. Morstabilini, riportava due
documenti che attestavano la sua mala fede:
1. una lettera di mons. Morstabilini a mons. Bosio (scritta
dopo il Decreto di approvazione di Roma dell’8 dicembre 1965) in cui si scusava
per non averlo dato lui tale “Decreto”, perché questa era la sua intenzione, e
dove incolpava la Commissione di Curia di averglielo impedito.
2. un’altra lettera di mons. Morstabilini, ad un parroco
bergamasco, in cui, invece, il Vescovo affermava esattamente il contrario; pur
riconoscendo che don Villa aveva ricevuto un Decreto di approvazione del suo
Istituto, disse, però, che, se fosse dipeso da lui, tale Decreto non gli
sarebbe mai stato concesso.
Il 3 settembre 1968, don Villa ricevette un “ultimatum” dal
Vicario Generale di Chieti, mons. F. Marinis, il quale gli intimava di farsi
incardinare a Brescia, entro fine anno.
Il 15 dicembre 1968, don Villa scrisse una lettera al card.
Pietro Palazzini per metterlo al corrente di tutte queste manovre che miravano
a “scardinare” l’Istituto che aveva da poco fondato.
Questi sono solo i primi esempi del modo di agire dei
“nemici” di don Villa: nemici che non l’hanno mai affrontato lealmente e in
campo aperto, ma che hanno sempre agito alle spalle, con doppiezza, colpendolo
con ogni mezzo, incluso, come vedremo, il tentativo di assassinio.
Inizio della “Via
Crucis”
I tempi di buona accoglienza degli ambienti vaticani,
dell’ultimo periodo di Pio XII, erano svaniti; ora, iniziavano quelli dell’isolamento
e della persecuzione.
<>Il legame quasi di predilezione con Pio XII,
bruscamente, si trasformò in quello iniziale della letale politica: «ignoratelo
e fatelo ignorare»!
Ecco due fatti che illustrano questi due diversi
atteggiamenti.
Un giorno, don Villa chiese e ottenne subito un’udienza col
Santo Padre, l’Angelico Pio XII. Questa avvenne in una grandiosa sala, gremita
di persone. Fatto chiamare don Villa, e trovatosi di fronte a lui, dopo un
breve scambio di parole, Pio XII gli prese le mani nelle sue e lo abbracciò,
davanti a tutti, come a significare la sua predilezione per questo Sacerdote al
quale, in segreto, Egli aveva affidato un compito grave che mai fu affidato ad
altro Sacerdote.
Come fu diverso, invece, anni dopo, l’incontro tra don Villa
e Paolo VI.
Il 14 luglio 1971, una Religiosa del suo Istituto “Operaie
di Maria Immacolata”, Suor Natalina Ghirardelli, fu ricevuta in “udienza
privata” da Paolo VI, il quale voleva congratularsi con Lei, per il ritratto
che la Suora-pittrice gli aveva fatto e che fu offerto al Papa, in occasione
del 50° anniversario del Suo Sacerdozio (1970).
Don Villa accompagnò a Roma Suor Natalina come suo Padre
Superiore.
All’entrata del salone dei ricevimenti, dove, in mezzo,
sedeva il Papa, don Villa notò che Paolo VI guardò subito la sua Suora-pittrice
con occhi quasi da innamorato, e continuò poi a rimirarla, stringendole e
tenendole le mani per tutto il tempo dell’udienza. Don Villa, a fianco della
Suora, non fu mai degnato di uno sguardo da parte di Paolo VI, neppure per un
istante. Al gesto di don Villa di voler offrire al Papa alcuni suoi libri,
Paolo VI, sempre senza guardarlo, fece un gesto con la mano sinistra al suo
segretario mons. Pasquale Macchi, che si avvicinò e prese i libri, senza che il
sacerdote potesse dire una sola parola.
Alla fine del colloquio, Paolo VI benedì la Suora e le
consegnò una Corona del Rosario, mentre a don Villa diede il borsellino del
Rosario, sempre senza guardarlo. E continuò ancora a non guardarlo neppure
quando, insieme alla sua Suora, si avviò verso l’uscita.
In quell’occasione, don Luigi comprese che quel gesto
inconcepibile di Paolo VI verso di lui, era come un segnale dell’inizio della
sua “Via Crucis”. Come infatti avvenne!
La Rivista “Chiesa viva”
Per combattere la battaglia che Padre Pio gli aveva
affidato, a don Villa serviva una Rivista, che però fosse libera da pressioni o
soppressioni ecclesiastiche.
Mons. Bosio gli suggerì di iscriversi all’Ordine dei
giornalisti e fondare una rivista sua personale, in modo che le Autorità
ecclesiastiche non potessero, in qualche modo, farla fallire. Don Villa,
allora, si iscrisse all’Ordine Nazionale dei Giornalisti, prendendo la tessera
numero 0055992. A quel tempo, al suo attivo, aveva già una trentina di pubblicazioni
(teologiche, ascetiche, letterarie, politiche) e oltre un migliaio di
“articoli” già pubblicati su riviste e quotidiani.
Nel 1971, don Villa fondò la sua Rivista “Chiesa viva”, con
corrispondenti e collaboratori in tutti i continenti. Il primo Numero uscì con
la data “Settembre 1971”.
Pochi mesi dopo, il 14 dicembre 1971, a Vienna, don Luigi
ebbe un incontro personale col card. Joseph Mindszenty, il quale dopo essere
stato umiliato e degradato da Paolo VI, per non avere voluto tendere la mano al
comunismo, aveva lasciato Roma.
Il Cardinale lesse interamente il primo numero di “Chiesa
viva” e ne fu tanto entusiasta che pose la sua firma sulla copia che aveva
letto e, al termine dell’incontro, dopo due ore e mezzo di un suo appassionato
e illuminante colloquio, disse a don Villa: «Mi creda: Paolo VI ha consegnato
interi Paesi cristiani in mano al comunismo!»…
Il 24 settembre 1971, “il Messaggero Abruzzo” riporta
un articolo dal titolo: “L’Arcivescovo (Capovilla) va in pensione”. Dalle casse
della diocesi erano spariti circa cento milioni di lire, e mons. Capovilla
aveva pubblicamente insinuato che la colpa era da attribuire al Vescovo
precedente, mons. Giambattista Bosio. Allora, il Prefetto e il Capo dei
Carabinieri comunicarono a Paolo VI che, se entro tre giorni, mons. Capovilla
non fosse stato rimosso dalla diocesi di Chieti, loro lo avrebbero incriminato
e messo in galera. Così, mons. Capovilla fu trasferito a Loreto.
Ma la guerra a don
Villa continuava.
Fu il Pro-segretario di Stato di Paolo VI, il massone mons.
Giovanni Benelli, che coniò ufficialmente la nuova strategia di guerra contro
don Villa.
Nelle riunioni coi suoi collaboratori, parlando di don
Luigi, Benelli era solito dire: «Bisogna
far tacere quel don Villa»!
Ma quando qualcuno obiettava: «Eminenza! bisogna però dimostrare che sbaglia!», il Cardinale,
irritato, rispondeva: «E allora,
ignoratelo e fatelo ignorare!».
Ma questo non bastava, la voce di don Villa era la sua
Rivista “Chiesa viva”, e questa “voce” doveva essere messa a tacere.
Se la Rivista non fu attaccata subito frontalmente, lo si
dovette al fatto che il Vice Direttore di “Chiesa viva” era il famoso filosofo
tedesco ed ebreo convertito, prof. Dietrich
von Hildebrand, che Paolo VI conosceva bene, ma altrettanto temeva.
Allora, si cominciò con i collaboratori-teologi, che don
Villa aveva già in attivo per “Chiesa viva”. Mons. Benelli scrisse una lettera
a ciascuno di essi, perché cessassero la collaborazione con don Luigi, il quale
seppe di questo intervento della Santa Sede, solo perché uno dei suoi
collaboratori lo informò subito di quest’ordine ricevuto dall’alto.
Così, si fece la
terra bruciata intorno a “Chiesa viva”!
I nemici di don Villa, con la complicità di quel clero che
preferisce il quieto vivere ai fastidi di non adeguarsi subito alla “linea di
pensiero” che viene “suggerita” o “imposta” dall’alto, iniziarono un’altra
strategia: la calunnia.
Così, don Villa divenne “lazzarone”, “matto”, “fascista”,
“anti-semita”, “fuori della Chiesa”, “eretico”, “sacerdote di esasperate
tendenze conservatrici e preconciliari”, “un laceratore della Carità che apre
la strada alla diffamazione”, “un rigurgito di orgogliosa supponenza nel
sentirsi detentore della verità”… e più recentemente, “autore di scritti
infamanti”, e “degno di provvedimenti punitivi”; provvedimenti che però “non
vengono presi solo per non umiliare un prete più che novantaduenne”.
“Chiesa viva”, però, continuava a vivere! Allora, per
demoralizzarlo, furono inventate le “telefonate a notte inoltrata” fatte di insulti,
calunnie, bestemmie, minacce! E questo per molto tempo!
Alcuni tentativi di assassinio
Per mettere a tacere un Sacerdote come don Villa, però,
esisteva un solo metodo sicuro: l’eliminazione fisica. Infatti, la sua vita fu costellata da sette tentativi
di assassinio.
Ne cito tre, brevemente.
1° Don Villa stava tornando da Roma a Brescia in macchina.
Poco prima di Arezzo, la strada, sulla destra, rasentava uno strapiombo di
almeno 100 metri. In quel tratto, egli si accorse di essere seguito da una
macchina che poi lo affiancò, obbligandolo, a poco a poco, a portarsi sul
ciglio della strada. Che fare? Don Villa vedeva ormai la morte davanti a sé. In
quel momento, però, sopraggiunse una macchina della polizia. Don Villa suonò il
clacson per richiamarla, ma la macchina che lo fiancheggiava accelerò e sparì.
Il Signore lo aveva salvato da morte certa!..
Quell’incidente don Villa lo raccontò, poi, al card. Palazzini, alla presenza
del Professor Luigi Gedda, il quale esclamò: «Ma allora, siamo in guerra!».
2° Don Villa si stava recando, in macchina, da un suo
sacerdote amico, don Berni, parroco a Corlanzone, presso Lonigo (Vicenza). Uscì
dal casello dell’autostrada e si avviò sulla statale che lo avrebbe portato a
destinazione. Improvvisamente, gli si bloccarono gli arti, mani e gambe, e si
sentì paralizzato. Chi gli aveva dato narcotici?..
Ad una curva della strada, don Villa, sebbene ad occhi
aperti, vide la macchina andare dritta in un prato che costeggiava un canale
largo 6-7 metri e profondo due, con acqua e molta melma. Egli vedeva tutto come
in un sogno, senza essere in grado di agire. I suoi arti restavano paralizzati.
Ormai, continuando la corsa, la macchina, si trovava a pochi metri dal
canale... ma a pochi centimetri dall’orlo, improvvisamente, il motore dell’auto
si bloccò di colpo. Fu un grande miracolo! Pochi secondi ancora ed egli sarebbe
caduto nel canale e sparito sul fondo, con la macchina che gli avrebbe fatto da
bara.
Con l’improvviso blocco dell’automobile, don Villa ebbe come
un risveglio e uscì dalla macchina. Egli si vide circondato da parecchia folla
e un Vigile urbano gli propose di portarlo all’ospedale. Don Villa rifiutò,
risalì in macchina e ripartì.
3° Dopo diversi mesi, don Villa fece visita ad un suo
“amico” sacerdote e, dopo il pranzo, terminato con un caffè, tornò a casa.
Durante il viaggio, però, cominciò a sentirsi male; arrivato a casa, era in
tali condizioni di salute che fu chiamato subito il suo medico. La diagnosi fu:
“avvelenamento”. Il medico gli disse: «Le hanno dato un caffè avvelenato?».
Comunque, nell’arco di alcuni giorni, il medico riuscì a far uscire don Villa
dal pericolo di morte.
Dopo alcuni anni, accompagnando don Villa da un suo
conoscente altolocato e molto ferrato sul problema dell’infiltrazione massonica
nella Chiesa, assistetti ad un loro colloquio sulla questione della “Lista Pecorelli”, che era stata
pubblicata da “Chiesa viva” proprio alcuni mesi prima del tentato
avvelenamento.
Sentii uno dei due ricordare le parole pronunciate dal card.
Silvio Oddi a proposito di questa “Lista”.
Il Cardinale aveva detto: «È una lista tutta da una parte».
L’altro, invece, disse:
«La Lista Pecorelli è la Lista di tutti gli uomini del card.
Agostino Casaroli» e aggiunse:
«Casaroli è il Capo di quattro Logge massoniche in
Vaticano».
Poi, seguì una frase che mi fece comprendere il vero
significato della pubblicazione di quella “Lista” da parte dell’avvocato Mino
Pecorelli, egli stesso membro della Loggia P2 e Direttore della Rivista “OP”
(Osservatore Politico) che, il 12 settembre 1978, l’aveva pubblicata.
Uno dei due interlocutori disse:
«La “Lista Pecorelli” è stata fatta pubblicare dalla
Massoneria stessa per fermare l’ascesa al Papato del card. Agostino Casaroli».
Infatti, il discorso proseguì con la considerazione che il
card. Casaroli era talmente potente in Vaticano che solo la Massoneria avrebbe
potuto fermarlo, se non fosse stato da lei prescelto come Papa.
Benelli, Casaroli, Ruini
Mons. Giovanni Benelli fu, prima, Pro-segretario di Stato,
poi, dal 1977 Vescovo di Firenze e, subito dopo, fatto Cardinale. Dopo la morte
di Paolo VI, aveva tentato di essere eletto Papa, ma fu invece eletto il card.
Siri, il quale, per le terribili minacce fatte dallo stesso card. Benelli, dovette
desistere. E così, come compromesso, fu eletto il card. Luciani, col nome di
Giovanni Paolo I.
Ma dopo 33 giorni di regno, Giovanni Paolo I fu ucciso.
Fu lo stesso don Villa a chiedere al card. Palazzini di far
fare un’autopsia al Papa, e per essere più convincente, radunata la stampa di
Roma, ventilò il dubbio di un assassinio. Il card. Palazzini, allora, fece
eseguire tre autopsie, che furono chiamate “visite mediche”. Il risultato di
tutte e tre fu: “Assassinato”!
La pubblicazione della “Lista Pecorelli” troncò la
candidatura del card. Casaroli; e dopo un altro scontro tra Benelli e Siri,
dopo la morte di Luciani, fu eletto il card. Karol Woytjla, il vero
predestinato e prediletto della Massoneria.
Con la morte del card. Giovanni Benelli, avvenuta nel 1982,
l’uomo più potente in Vaticano era il card. Agostino Casaroli.
Ma “Chiesa viva” aveva ancora dei validi e coraggiosi
collaboratori; infatti, a fianco di quelli che abbandonavano la battaglia, vi
erano anche personaggi che, malgrado la loro elevata posizione in Vaticano, si
dichiaravano apertamente collaboratori della Rivista e difensori di don Villa.
Uno di questi fu mons. Nicolino
Sarale, che lavorò in Segreteria di Stato dal 1978 al 1995, anno della sua
morte.
Mons. Sarale, per “Chiesa viva”, scrisse libri e quattro
cicli completi di Omelie per Sacerdoti e, negli ultimi anni della sua vita,
tenne la rubrica: “Osservatorio Romano”, in cui denunciava la crescente crisi
interna della Chiesa.
Mons. Sarale non era solo un collaboratore, ma anche la “sentinella”
di don Villa in Segreteria di Stato, e gli scrisse lunghe lettere sulle
questioni più delicate e scottanti della Chiesa. Egli era un uomo limpido e
coraggioso: ogni mese riceveva 50 copie di “Chiesa viva” che diffondeva anche
in Segreteria di Stato. Egli aveva il coraggio di difendere don Villa di fronte
ad alti Prelati, e persino di fronte al Papa.
Alcuni anni dopo la morte di questo carissimo amico di don
Luigi, mettendo insieme varie frasi udite dal Padre ed altri articoli letti sui
giornali, riuscii a farmi un’idea sulla strana morte di Mons. Sarale, avvenuta
il 27 settembre 1995.
Un giorno, don Villa mi raccontò di una sua visita a mons.
Sarale, il quale, parlando della sua salute, gli accennò ad una sua malattia
alle ginocchia e di certe iniezioni che il medico gli faceva in quelle parti
del corpo. Don Luigi aggiunse di aver ottenuto da lui l’involucro della
confezione di queste iniezioni e di averle mostrate al suo medico, il quale,
dopo aver associato la malattia del Monsignore alle iniezioni che gli venivano
praticate, esclamò: «Ma queste iniezioni provocano il cancro!».
Difatti Mons. Sarale morì a seguito di una operazione che si
era resa necessaria per poterlo salvare da un cancro, che si era sviluppato
allo stomaco, con una rapidità impressionante.
Dopo la morte di mons. Sarale, sui giornali, scoppiò lo
scandalo del medico di Giovanni Paolo II, il quale - si diceva - era riuscito
ad arrivare fino a quella posizione senza alcun concorso, e che, dopo lo
scandalo, si defilò. Era quello lo stesso medico che aveva praticato le
iniezioni alle ginocchia di mons. Nicolino Sarale?
Gli anni 1990, sulla scena del Vaticano, videro il ritiro
del card. Agostino Casaroli da Segretario di Stato, il declino del card. Ugo
Poletti, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) e Vicario di Sua
Santità, e la contemporanea ascesa di mons. Camillo Ruini.
I cardinali Casaroli e Poletti, entrambi massoni, figurano
nella “Lista Pecorelli” con tanto di data di iniziazione, di Numero di
matricola e di Sigla.
Il card. Casaroli era l’alfiere della politica
filo-comunista di Paolo VI, chiamata “Ostpolitik”, e dalla sua carica di
Segretario di Stato, a fianco di Giovanni Paolo II, era l’uomo più potente del
Vaticano, che aveva, come secondo, solo il card. Ugo Poletti, il quale aveva
fatto una carriera fulminea, con Paolo VI, per una ragione molto particolare.
Divenuto Arcivescovo di Milano, mons. Montini prese la
decisione di chiudere e spostare altrove “Il Popolo d’Italia”, un giornale ben
consolidato, e pubblicato dalla Diocesi di Novara. L’arcivescovo di Novara,
mons. Gilla Vincenzo Gremigni, protestò perché questo atto non era di
giurisdizione dell’Arcivescovo Montini. Ai primi di gennaio 1963, solo sei mesi
prima della sua elezione al papato, Montini inviò all’Arcivescovo di Novara una
lettera di tale contenuto che, al leggerla, Gremigni ebbe un attacco di cuore e
morì. La lettera fu trovata dall’Ausiliare, mons. Ugo Poletti, il quale la
custodì per sè.
Quando Montini divenne Papa, il fantasma dell’Arcivescovo
Gremigni lo seguì nella persona di mons. Poletti. Nel 1967, la stampa italiana
ricevette l’informazione che la morte dell’Arcivescovo Gremigni aveva a che
fare col nuovo Papa.
Subito dopo, Poletti ebbe una serie di miracolose promozioni
da parte di Paolo VI: Vescovo di Spoleto (1967), Vicereggente di Roma, e cioè
il più stretto collaboratore del card. Angelo Dell’Acqua (Segretario di Stato e
Vicario del Papa) (1969), Cardinale (1973), Vicario del Papa (1973), Presidente
della CEI (1985).
Già nel 1986, mons. Camillo Ruini era diventato il pupillo
del card. Poletti come suo Segretario della CEI, ma pochi anni dopo, nel 1991,
mons. Ruini fu proiettato al vertice del potere vaticano; in rapida
successione, egli fu nominato: Cardinale, Vicario del Papa e Presidente della
CEI, mantenendo questi ultimi due titoli per molti e, forse, troppi anni.
Nel 1991, il card. Camillo Ruini era diventato l’uomo più
potente del Vaticano.
Lo stesso anno 1991, don Villa iniziò a pubblicare, su
“Chiesa viva”, una lunga serie di articoli sul movimento Neo-catecumenale, fino
a quando, il 13 maggio 2000, questi furono raccolti e pubblicati in un libro,
dal titolo: “Eresie nella dottrina neo-catecumenale” che denunciava le 18
eresie di questo Movimento, diretto da Francesco Argüello, detto “Kiko” e della
sua compagna, una ex suora, di nome Carmen Hernandez.
Di sicuro, questi attacchi non piacquero al card. Ruini,
poiché era proprio lui il Protettore ufficiale di questo Movimento ereticale.
Ancora minacce di morte… e un “processo”
<>
Nel numero 248 di “Chiesa viva” del febbraio 1994, don Villa
pubblicò un articolo dal titolo: “P.D.S. scopriamo le carte!” del quale io fui
co-autore. Era un attacco al comunismo e una denuncia delle sue origini
massoniche, o meglio, dimostrava che il Comunismo non è altro che una versione
politica del programma segreto del satanico Ordine degli Illuminati di Baviera
di annientare la Chiesa cattolica e la Civiltà cristiana.
Di questo articolo, don Villa volle farne un dossier col
quale volantinare intere città d’Italia.
E così facemmo.
Il 26 febbraio 1994, volantinammo la cittadina piemontese di
Ivrea. Il problema fu che, nel testo, erano riportati i dati della “Lista Pecorelli”
di appartenenza alla Massoneria di alcuni Prelati, tra i quali figurava il
Vescovo di Ivrea, mons. Luigi Bettazzi. Infuriatosi per il volantinaggio nella
sua diocesi, mons. Bettazzi dichiarò subito alla stampa che avrebbe querelato i
due autori del dossier. Poi, cambiò idea e querelò soltanto don Luigi Villa.
A Brescia fu fermento. Molti preti pensarono che,
finalmente, era arrivata l’ora di mettere a tacere quel don Villa che, oltre a
“insultare” Vescovi come Bettazzi, proprio nei recenti numeri di “Chiesa viva”
n. 246 e 247, aveva pubblicato anche un articolo fortemente critico
sull’intervista dell’Arcivescovo di Milano, card. Carlo Maria Martini, apparsa
su “The Sunday Times” del 26 aprile 1993.
Molti erano ansiosi e in attesa del momento in cui,
finalmente, sarebbe stata fatta “giustizia”!
La data del processo fu fissata per il 31 gennaio 1995,
presso il Tribunale di Brescia.
Come se ciò non bastasse, sui “Chiesa viva” 254 e 255,
di settembre e ottobre 1994, don Villa pubblicò un altro articolo critico su
una nuova intervista che il card. Carlo Maria Martini aveva fatto a “Le Monde”
e pubblicata il 4 gennaio 1994.
A Brescia, l’atmosfera era rovente e in fermento. Lo stesso
mons. Bettazzi soffiava sul fuoco e, in data 30 novembre 1994, scriveva a don
Villa una lettera dai toni duri, nella quale, tra l’altro, chiedeva una
“doverosa e congrua riparazione per rifusione dei danni”, e in cui affermava di
essere rammaricato di “continuare una vertenza spiacevole”…
Il fatidico giorno del 31 gennaio arrivò, ma nulla accadde!
I preti di Brescia rimasero interdetti e non riuscirono a spiegarsi come un
processo tanto sospirato e tanto dato per scontato dalla stampa avesse potuto
avere un esito così imprevedibile e deludente.
Io, però, mi ricordo che, verso la fine dell’anno 1994, don
Villa mi chiese di battergli una lettera indirizzata al Segretario di Stato,
card. Angelo Sodano, in cui diceva che non aveva nessuna intenzione di farsi
“suicidare”, e che avrebbe fatto i nomi di tutti i Cardinali…
<>Subito dopo, l’avvocato di don Luigi fu
contattato dall’avvocato di mons. Bettazzi perché il Vescovo di Ivrea
desiderava ardentemente di essere ricevuto da don Villa.
L’incontro avvenne i primi di gennaio e, appena entrato
nell’ufficio di don Luigi, Mons. Bettazzi gli chiese di consentirgli di
ritirare la denuncia. Il colloquio durò più di un’ora…
In seguito, con una lettera, datata 9 gennaio 1995, mons.
Bettazzi ringraziava don Villa di averlo ricevuto e diceva di “essersi reso conto
della sua buona fede” aggiungendo la frase: «... ritengo conveniente fare
quello che avrei voluto fare subito, cioè ritirare la denuncia…» e terminava la
lettera con le parole: «E… arrivederci in Paradiso, dove potrà finalmente
accertare che, tra le mie colpe, non c’è assolutamente quella di aver aderito
alla massoneria».
Ma don Villa non era ancora in Paradiso, e quindi, in data
28 marzo 1995, scrisse una lettera al Segretario di Stato, card. Angelo Sodano,
con la quale chiedeva la rimozione di mons. Bettazzi dalla diocesi d’Ivrea,
elencando 11 gravi motivazioni, aggiungendo le prove dell’appartenenza alla
Massoneria del Vescovo di Ivrea e dimostrando che l’opera di mons. Bettazzi,
quale Presidente di “Pax Christi International”, era tesa alla realizzazione di
quel piano satanico, che oggi si chiama “New Age”, che prevede la distruzione
della Chiesa cattolica e della Civiltà cristiana.
Mi sono sempre chiesto se questo “processo-farsa” di mons.
Bettazzi avesse qualcosa a che fare con gli articoli pubblicati da don Villa
sulle interviste del card. Martini, ma l’unico elemento, in merito, che mi
ricordo, è che, un giorno, don Villa mi mostrò un libro in cui vi era scritto
che, se il card Martini fosse diventato Papa, il suo Segretario di Stato, con
tutta probabilità, sarebbe stato mons. Luigi Bettazzi.
In seguito, per mesi, volantinammo intere città col dossier
“P.D.S. scopriamo le carte!”, ma l’effetto fu anche quello di ricevere minacce
di morte.
A me arrivò una cartolina sulla quale appariva una “Stella a
5 punte” ed una minaccia di morte; la cartolina fu seguita da altre minacce che
mi giunsero per telefono e per fax.
In quel periodo, agli articoli pubblicati da “Chiesa viva”
sulle interviste del card. Martini al “The Sunday Times” e a “Le Monde” seguirono
relativi dossier e un’ampia distribuzione.
Nel gennaio 1996, uscì un altro articolo critico, con
relativo dossier, sul libro del card. Martini: “Israele radice santa”, in cui
il Cardinale incoraggiava i cattolici a leggere il Talmud.
Il 19 dicembre 1998, l’anziano vescovo mons. Bruno Foresti,
fu sostituito da mons. Giulio Sanguineti, già Vescovo di La Spezia-Sarzana, e
prima ancora di Savona.
Mons. Sanguineti, ancora molto giovane, era stato nominato
Vicario Generale dal suo Vescovo di Chiavari, mons. Luigi Maverna il cui nome
appare nella “Lista Pecorelli”, con data di iniziazione: 3/6/1968, Numero di
matricola: 441/c, e Sigla: LUMA.
Il 6 febbraio 2000, don Villa pubblicò il libro: “Si spieghi Eminenza!” che metteva alle
strette l’Arcivescovo di Milano, card. Martini, il quale, per parare il colpo,
coinvolse il Vescovo di Brescia, mons. Sanguineti, in un maldestro tentativo di
difesa. Il Vescovo scrisse una lettera personale datata 7 marzo 2000 al
Cardinale, contro don Villa.
Senza provare l’esistenza di un benché minimo errore
contenuto nel libro, la lettera denigrava don Villa per i suoi scritti su Paolo
VI e usava frasi generiche ed offensive, quali: “campagne denigratorie”,
“interpretazioni a senso unico e radicalizzate”, “procedura per nulla civile”,
“lacerazione della carità”, “esasperate tendenze conservatrici e
preconciliari”… Alla fine, mons. Sanguineti prometteva al Cardinale: «.. ci
impegniamo ad arginare il più possibile e a combattere con i mezzi consentiti
questo rigurgito di orgogliosa supponenza e nel sentirsi detentori della
verità».
Non abbiamo mai saputo se la lettera doveva rimanere
riservata. Il Cardinale la pubblicò sul Bollettino ecclesiale, rendendola così
di pubblico dominio al clero milanese.
Allora, mons. Sanguineti chiese un incontro personale con
don Villa. Durante questo colloquio, poiché l’argomento dell’infiltrazione
massonica nella Chiesa ebbe un riferimento anche al Vescovo, mons. Sanguineti
scattò: «Ma Lei crede che io sia massone?». «Sì, certamente», rispose don Villa,
presentandogli, come elemento, il fatto che Lui era stato fatto Vicario
Generale dal Vescovo massone mons. Maverna (che fu poi cacciato dalla sua
diocesi proprio per un intervento di don Villa), e poi il fatto di averlo
saputo direttamente da una fonte autorevole in campo massonico. Il Vescovo non
reagì, ma andò in un’altra stanza per far sbollire la sua ira, tornando, poi,
ricomposto.
Comunque, don Villa ricevette una copia della lettera,
scritta dal Vescovo, da un laureato di Milano che lo informò anche sulla vasta
diffusione, in diocesi.
Questa lettera si meritò una doverosa “Risposta”, che giunse
con quattro articoli di don Villa, di un noto gesuita, di un famoso avvocato di
diritto internazionale e di un Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione.
La Risposta, pubblicata su “Chiesa viva” fu anche stampata come dossier.
Ormai, il colpo di grazia non poteva più essere
procrastinato. Nell’ottobre 2000, don Villa inviò ai vertici della Chiesa e
dell’Ordine gesuita una busta, contenente documenti, riguardanti il card. Carlo
Maria Martini, di tale gravità, per il loro contenuto, da porre fine alla
carriera del Cardinale a Milano.
I documenti erano accompagnati da una lettera, firmata da
don Villa e dal sottoscritto, con la quale si avvisavano i destinatari che, se
fosse successo qualcosa alla famiglia di chi ci aveva fornito testimonianze e
documenti, oppure alla mia famiglia, il contenuto della busta che era già in
mano a decine di persone fidate, sarebbe stato consegnato alla Magistratura ed
ai Carabinieri, e il primo ad essere indagato sarebbe stato il card. Carlo
Maria Martini.
***
In quel periodo, mons. Sanguineti non si mostrò solo
accondiscendente nei confronti del card. Martini, ma anche nei confronti del
suo “Responsabile capo”, card. Camillo Ruini.
Molti furono gli articoli scritti su “Chiesa viva” contro il
Movimento ereticale dei Neo-catecumenali,
il cui Protettore ufficiale era proprio lui, il card. Camillo Ruini, l’uomo più
potente del Vaticano.
Trascorso da poco il suo primo anno di Vescovo di Brescia,
mons. Sanguineti ebbe un incontro ufficiale, il 19 dicembre 1999, al Palazzo
dello Sport di San Filippo, in città di Brescia, con le comunità
Neo-catecumenali della diocesi della Lombardia, di Verona, Piacenza e Fidenza,
in cui egli ebbe parole di incoraggiamento per questo Movimento ereticale.
Pochi mesi dopo, il 13 maggio 2000, don Villa pubblicò un
libro dal titolo: “ERESIE nella dottrina
neo-catecumenale”, contenente le 18 principali eresie del Catechismo
segreto di Kiko, costituito da ben 373 pagine.
Mons. Sanguineti, poi, dovette
assolvere ad altri compiti “itineranti”, che lo portarono in terra straniera
del Sud America.
Mons. Sanguineti, nella diocesi di Brescia, sarà ricordato
anche per un’altra sua opera. Tre settimane prima di essere sostituito come
Vescovo di Brescia, il 23 settembre 2007, egli consacrò la prima chiesa del
terzo Millennio della diocesi. La chiesa, che poi risultò essere un Tempio
massonico-satanico, sorge in un posto incantevole, ai piedi della collina di
Padergnone, una frazione di Rodengo Saiano, ed è nota per la strana forma a
spirale del muro esterno di pietra che la circoscrive.
Paolo VI beato?
La Massoneria voleva il suo uomo Paolo VI sugli altari, e
questo rientrava nel piano di mettere sugli altari i due Papi: Giovani XXIII e
Paolo VI, affinché risultasse evidente la “soprannaturalità” del Vaticano II.
Fu durante il corso dei lavori della XXXV Assemblea dei
Vescovi italiani che il cardinale Ruini, davanti al Papa e ai Vescovi, annunciò
la decisione di introdurre la “causa di beatificazione” di Paolo VI.
Il 13 maggio 1992, il card. Ruini, Presidente della CEI e
Vicario del Papa per la città di Roma, emise un Editto in cui, tra l’altro, si
legge: «Invitiamo tutti i singoli fedeli a comunicarci direttamente o a far
pervenire al tribunale diocesano del Vicariato di Roma tutte quelle “notizie”
dalle quali si possa, in qualche modo, arguire contro la fama di santità del
detto “Servo di Dio”».
Ma don Villa volle vederci chiaro. Il 25 maggio 1992,
telefonò in Segreteria di Stato a mons. Nicolino Sarale, l’amico e fedele
collaboratore di “Chiesa viva”, chiedendo informazioni su questa decisione del
card. Ruini di aprire la “causa di beatificazione” di Paolo VI.
Ebbene, mons. Sarale disse a don Villa che questa decisione
era stata un “colpo di forza” da parte del card. Ruini, perché la maggior parte
dell’Episcopato italiano non l’avrebbe mai voluta!
La “causa di beatificazione” continuò a procedere fino
all’anno 1997.
Don Villa era a conoscenza del fatto che il card. Pietro
Palazzini aveva inviato al Postulatore della “causa di beatificazione” una
lettera in cui faceva tre nomi degli ultimi amanti omosessuali di Paolo VI.
E il card. Palazzini era una Autorità in questo campo,
perché il Cardinale era detentore di due raccoglitori di documenti che
dimostravano, in modo inequivocabile, il vizio impuro e contro natura di Paolo
VI.
Allora, don Villa scrisse una lettera al Postulatore della
causa, facendo riferimento a quanto gli aveva trasmesso il card. Palazzini.
Il libro “Paolo VI
beato?” uscì nel febbraio 1998, ed io mi presi l’incarico di organizzare la
spedizione delle prime 5.000 copie.
Papa, cardinali, vescovi e migliaia di sacerdoti italiani
ricevettero, contemporaneamente, una copia di questo libro.
Da Roma, qualcuno ci riferì che il Vicario del Papa, card
Ruini, si era infuriato, e si chiedeva chi avesse finanziato don Villa per
stampare tutti quei libri e per poterli inviare, gratuitamente, a migliaia di
membri del clero italiano.
Quando mi riferì il contenuto di questa telefonata, don
Villa, sorridendo, mi disse: «Bisognerebbe rispondere al Vicario di Sua Santità
che i finanziatori sono tre Persone e i loro nomi sono: Padre, Figlio e Spirito
Santo».
Le reazioni al libro furono violente, e poiché io risultavo
come mittente, ebbi la mia parte di questa reazione irrazionale e furibonda.
Ricevemmo persino diverse copie del libro con le pagine
tutte strappate e contenenti frasi ed epiteti, scritti con pennarello nero, da
far impallidire anche gli empi più incalliti. Ho conservato alcune di queste
copie, mentre le più volgari, don Villa decise di eliminarle.
La diocesi di Brescia era in subbuglio. Il Vescovo, mons.
Bruno Foresti, promise al clero bresciano che sarebbe stato scritto un libro
per confutare quello di don Villa.
Dopo più di dodici anni da quelle promesse e impegni, non si
vede ancora nulla all’orizzonte! La battaglia leale e in campo aperto sembra
proprio non essere un modo proficuo di battere un Sacerdote come don Villa!
Il risultato del libro fu evidente a tutti: aveva bloccato
la “causa di beatificazione” di Paolo VI. Nessuno era riuscito a confutare la
mole e la valanga di “fatti”, “citazioni”, “documenti” e “fotografie” riportati
nel libro, che facevano giustizia di un Papa che aveva spergiurato, mettendo in
atto, durante il suo Pontificato, proprio il contrario di quanto Lui stesso si
era impegnato di compiere, con solenne giuramento, il giorno della sua
incoronazione.
Giovanni Paolo II a Brescia
Ma vi era chi non accettava la resa!
L’unica soluzione, senza dover entrare nel merito degli
argomenti sollevati da don Villa, era quella mettere in campo tutto il peso
dell’Autorità Papale!
Solo una visita a Brescia del Papa poteva risollevare la
sorte della “causa di beatificazione” di Paolo VI. E così, fu annunciata la
visita a Brescia di Giovanni Paolo II, per i giorni 19-20 settembre 1998.
L’occasione era data dalla beatificazione del bresciano Giuseppe Tovini, alla
quale, però, veniva associata la “causa di beatificazione” di Paolo VI.
Ma don Villa non si perse d’animo e, in data 15 agosto 1998,
scrisse una lunga lettera al Segretario di Stato, card. Angelo Sodano, in cui
chiedeva esplicitamente di annullare la visita a Brescia del Papa. La ragione
era la diffusione ormai raggiunta dal libro “Paolo VI beato?” e le lettere
entusiaste che gli erano pervenute da personaggi influenti del mondo della
magistratura e della cultura. Ma la ragione più grave era il danno che la
Chiesa avrebbe subìto da un atteggiamento papale incurante dei fatti
inquietanti e delle crude realtà riportate e dimostrate nel libro di don Villa.
Nella lettera, don Villa riconosceva i toni forti del suo
libro, e le difficoltà di un clero non abituato a questo linguaggio, ma
chiariva che questa era solo la “violenza dell’amore” per la Chiesa e che
questa “violenza” era un dovere quando erano in gioco i valori altissimi della
Fede: «Chi ama veramente la Chiesa non
può non alzare la voce quando la vede allo sbando. Diversamente, sarebbe
vigliaccheria il preferire il silenzio alla protesta! Come è vigliaccheria la
mancanza di coraggio e di sensibilità nel non voler appoggiare chi combatte, in
prima linea, la “Buona Battaglia” per la Fede!
Il mio libro, perciò, è sconsigliabile solo a chi ha poco
amore alla Verità, a chi è ammalato di superficialità, a chi si illude di
accontentarsi dietro il paravento di un equivoco “Vogliamoci bene!”.
Il mio, dunque, fu solo il “coraggio” di chi si sente libero
(“La verità vi farà liberi” Jo. 8, 32) per essere veramente responsabile. Certo,
è un mestiere duro, oggi, quello del coraggio! Eppure è essenziale, anche se è
sempre un rischio che si deve correre!
Se Cristo non avesse avuto il “coraggio” di parlare chiaro e
anche di sferzare gli avversari (Farisei, Scribi, Dottori della legge, Sommi
Sacerdoti!) sarebbe morto, anche LUI, in un letto!».
Poi proseguiva: «Eminenza! Gesù li ha rimproverati, dunque,
per la loro grave infedeltà, a livello pastorale. E li ha rimproverati proprio
per quella loro “tolleranza” dannosa che avevano verso alcuni perturbatori
della fede, lasciandoli operare indisturbati, per cui si rendevano
corresponsabili di quei loro errori che portavano fuori strada i fedeli.
Ora, non è la storia di Paolo VI questa? Forse che Paolo VI
non ha lasciato libero corso a tutti i progressisti, più o meno eretici,
lasciandoli sradicare la fede fin dalle fondamenta?
E così, la Chiesa d’oggi sembra aver bruciato, dietro di sè,
persino le tracce della sua civiltà cristiana! Il sottoscritto, perciò, con
questo suo libro, ha tentato di levare la maschera per guardar dentro nello
specchio della verità! E questo perché nessuno ha il diritto di chiudere gli
occhi su ciò che è avvenuto nella Chiesa per colpa di un Papa che ora si
vorrebbe addirittura mettere sugli Altari!».
E ancora: «Per questo, Eminenza, Le ripeto: come potrà il
Papa (Giovanni Paolo II), fare ancora dell’apologia, sia pure
retorico-accademica, di un Paolo VI, dopo quello che ho scritto e “documentato”
su di Lui, e dopo la “lettera” che ho inviato a tutto l’Episcopato Italiano -
un mese fa! - in cui riportavo la “foto di Paolo VI” con la Sua mano sinistra
che mostra ben marchiata, la “Stella a cinque punte”, o “Pentalfa massonico”,
così come era stata scolpita sulla “prima formella” originale, quale figurava
su la “Porta di bronzo” della Basilica di San Pietro, in Roma, e come apparve
anche riportata sull’Inserto speciale dell’Osservatore Romano del 25 sett.
1977?».
La lettera terminava con queste parole: «Nella speranza,
ferma e soprannaturale, che questa mia doverosa “richiesta” sia da Vostra
Eminenza accolta benignamente, proprio per l’amore che porto alla Santa Chiesa,
mia Madre, La prego di gradire anche il mio sacerdotale rispetto in C. J. Et
M.».
Ma la richiesta non venne accolta e Giovanni Paolo II si
recò a Brescia per risollevare le sorti della “causa di beatificazione” di
Paolo VI.
Allora, don Villa, dopo circa un anno, nel dicembre 1999,
pubblicò un secondo libro su Paolo VI dal titolo: “Paolo VI, processo a un Papa?”, che era semplicemente la
continuazione del primo libro. Anche questo nuovo libro fu inviato al Papa, ai
Cardinali, ai Vescovi e a gran parte del clero italiano.
La reazione, questa volta, fu molto più moderata.
Un monumento massonico a Paolo VI
Non era la prima volta che la Massoneria usava tutto il peso
dell’Autorità di un Papa per calpestare delle verità “dimostrate” e per imporre
un corso forzato, o per vincere l’ostilità di un’intera popolazione.
Questo accadde anche nel 1984, quando il segretario
personale di Paolo VI, il massone mons. Pasquale Macchi decise di erigere un
monumento a Paolo VI, nella piazzetta del Santuario della Beata Vergine
Incoronata, sul Sacro Monte di Varese.
La popolazione non ne voleva sapere di questo monumento, ma
la visita di Giovanni Paolo II del 1984 fu determinante nel mettere a tacere
questa opposizione.
Il monumento, noto per la stranezza di avere una pecora con
5 zampe, fu inaugurato il 24 maggio 1986, alla presenza del massone onorevole
Giulio Andreotti, del massone Segretario di Stato, card. Agostino Casaroli e
del massone mons. Pasquale Macchi, segretario personale di Paolo VI, il cui
nome compare nella “Lista Pecorelli” insieme a quello del card. Casaroli.
Nel novembre 2000, pubblicai il libro: “A Paolo VI un monumento massonico”, col quale dimostrai che la Massoneria,
in questa scultura, aveva esaltato l’uomo Paolo VI come “Capo Supremo della
Massoneria” e come “Pontefice Ebreo”, e lo aveva glorificato per i suoi “tre
atti di Giustizia” massonica, e cioè di aver tradito Cristo, la Chiesa e la
Storia dei popoli cristiani.
Il libro di don Villa, “Paolo VI beato?”, uscito dodici anni
dopo l’inaugurazione di questo monumento, termina con questa frase: «Un Paolo
VI, cioè, che ha tradito Cristo, la Chiesa, la Storia». La Massoneria aveva
“scolpito” questi “tradimenti” nel bronzo di questo lugubre monumento; don
Villa, invece, li aveva “scolpiti” in un trattato storico-teologico di 284
pagine.
Ma il discorso su Paolo VI non era ancora concluso, e così,
il 31 gennaio 2003, uscì il terzo libro di don Villa: “La ‘nuova chiesa’ di Paolo VI”, di ben 380 pagine, e sempre inviato
ai vertici della Chiesa e ad una parte del clero italiano. Il contenuto del
libro era devastante e la reazione fu… un silenzio di tomba!
Il tipico silenzio che sigilla la politica del “mettere tutto
a tacere”!
Ma non tutti tacquero.
Un giorno, don Villa mi disse: «Ieri sera ho ricevuto una
telefonata anonima. Una voce mi ha detto: “Quando
lei sarà morto, noi metteremo sugli altari Paolo VI”». Ci ridemmo sopra,
chiedendoci se questa era una manifestazione di potenza, oppure proprio
l’opposto.
Il Tempio satanico dedicato a Padre Pio
Nell’ottobre 1998, don Villa mi consegnò una pagina della
Rivista “Luoghi dell’infinito” del
settembre 1998, che riportava il disegno della croce che lo scultore Arnaldo Pomodoro intendeva costruire
per la “nuova chiesa” di Renzo Piano,
dedicata a Padre Pio, in San Giovanni Rotondo.
Gliel’aveva inviata un suo conoscente, che, tra l’altro, gli
aveva evidenziato certi strani simboli che comparivano sui bracci della croce e
che sembravano martelli e cazzuole. Subito, iniziai ad analizzare quella strana
croce.
Dopo circa un mese, dissi a don Villa:
«Sui bracci inferiore e laterali di questa croce, sono
rappresentati i tre stemmi dei gradi: 11°, 22° e 33° della Massoneria di Rito
Scozzese Antico ed Accettato; inoltre, nella parte centrale è rappresentato il
grembiule massonico e sul braccio superiore è rappresentato Lucifero, in
diversi modi».
Poi aggiunsi: «Il significato di tutti questi simboli è: il
Culto del Fallo, il Culto dell’Uomo e il Culto di Lucifero. Questo simboleggia
la Massoneria di Rito Scozzese Antico ed Accettato, generalmente rappresentata
anche con due “Stelle a cinque punte”, l’una con la punta in altro; l’altra con
la punta in basso».
La direzione del progetto di questa “nuova chiesa” era nelle
mani del famoso architetto Renzo Piano, ma la responsabilità del progetto era
della Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa, il cui presidente
era mons. Francesco Marchisano, mentre il responsabile liturgico e teologico e
della “nuova chiesa”, che dava le istruzioni a Piano, perché “il progetto si
caricasse via via di espressività”, era mons. Crispino Valenziano.
Mons. Marchisano era una vecchia conoscenza di don Villa.
Infatti, lo aveva già denunciato come massone sul n° 109 di “Chiesa viva” del
giugno 1981, con tanto di dati di immatricolazione massonici. La sua carriera,
però, era proseguita indisturbata fino alle sue nomine a Vicario Generale per
lo Stato della Città del Vaticano e a Presidente della Fabbrica di San Pietro,
conferitegli da Giovanni Paolo II.
Nel settembre 2002, a queste due nuove promozioni, don Villa
rispose col dossier: “Una nomina
scandalo”, in cui riportava anche tre lettere di mons. Marchisano al
Venerabile Gran Maestro della Massoneria italiana, dove, in una di queste,
scriveva:
«Illustre e Venerabile Gran Maestro, con molta gioia ho
ricevuto, tramite il F. MAPA (= Mons. Pasquale Macchi, segretario personale di
Paolo VI - n.d.r.) il Vostro delicato incarico: organizzare, silenziosamente in
tutto il Piemonte e nella Lombardia, come disgregare gli studi e la disciplina
dei Seminari…».
Il dossier fu distribuito in migliaia e migliaia di copie e
certi personaggi del Vaticano vennero fino a Brescia da don Villa per comprarne
alcuni pacchi, mentre altri, da Roma, gli confidarono il loro disagio e la loro
disperazione.
Ma sembrava che nessuno potesse arrestare l’ascesa
irresistibile di questo Prelato massone.
Gli mancava solo la nomina a Cardinale; ma nella lista dei
papabili Cardinali del Concistoro, previsto per il 21 ottobre 2003, il suo nome
non appariva nell’elenco. Pensavamo che la ragione fosse la pubblicazione e la
vasta distribuzione del dossier “Una nomina scandalo”, in cui si dimostrava, in
modo definitivo, l’appartenenza alla Massoneria di mons. Marchisano.
Ma tre giorni prima della data della lettura, da parte del
Papa, dei nomi papabili del Concistoro (28 settembre 2003), mi trovavo
nell’ufficio di don Villa, quando squillò il telefono. Il Padre prese la
cornetta del telefono, rimase in ascolto, poi la depose e mi disse: «Lo sa cosa
mi hanno appena comunicato? Mons. Marchisano sarà nella lista dei Cardinali!».
Tre giorni dopo, in TV, tutti videro Giovanni Paolo II
mentre leggeva l’elenco dei nomi dei futuri Cardinali, quando, ad un tratto,
spuntò la mano del suo segretario personale che teneva un foglietto che depose
sul leggio. A nulla servì lo scatto d’irritazione del Papa… dopo poco, Egli
lesse anche il nome: Mons. Francesco Marchisano.
Il 1° luglio 2004, la “nuova chiesa” di San Giovanni
Rotondo, dedicata a San Padre Pio fu inaugurata.
Il 20 febbraio 2006, uscì il Numero Speciale di “Chiesa
viva” 381, dal titolo: “Una ‘nuova
chiesa’ a San Padre Pio – Tempio massonico?” che dimostrava la natura
massonica dei simboli che erano stati impressi, ovunque in questo tempio, e che
il loro significato “unitario” era la glorificazione della Massoneria e del suo
“dio” Lucifero con orribili insulti a Nostro Signore Gesù Cristo e alla SS.
Trinità.
La simbologia massonica del Tabernacolo esprime la
sostituzione di “Gesù Redentore” con “Lucifero redentore” dell’uomo, mentre
quella sulla croce di pietra esprime la sostituzione di “Gesù Cristo Re
dell’Universo” con “Lucifero re dell’universo”. Ma l’insulto più grave è quello
rivolto alla SS. Trinità per essere stata cacciata e sostituita con la blasfema
e satanica “Triplice Trinità” massonica.
Per la prima volta nella storia, veniva pubblicata una
rappresentazione geometrica della “Triplice Trinità” massonica, il segreto più
gelosamente custodito dalla Massoneria!
Quando don Villa lesse questo studio, mi disse che,
sicuramente, il Papa non avrebbe potuto ignorarlo, perché i significati occulti
di questo tempio satanico erano talmente gravi ed inquietanti che, mantenere il
silenzio su una simile denuncia sarebbe stato addirittura impensabile.
Ma non fu così!
Dopo due mesi, però, qualcosa si mosse: circa 150 Prelati
insieme all’ex Segretario di Stato, card. Angelo Sodano, si recarono a San
Giovanni Rotondo, in occasione del 50° anniversario della fondazione della Casa
Sollievo della Sofferenza, e vi rimasero per un’intera settimana (dal 1° al 7
maggio 2006).
Come ci fu riferito, in seguito, da uno dei presenti: «Quei
Prelati, per l’intera settimana, e io lo so perché anch’io ho partecipato alle
riunioni, di sera e di notte, hanno studiato il suo Numero Speciale sul Tempio
satanico di Padre Pio».
Al che, io meravigliato, risposi:
«E con quale
risultato?».
«Non sono riusciti a confutarlo!».
«E allora?», incalzai.
E lui:
«Hanno deciso di mettere tutto a tacere!».
<>La notizia, però, era talmente esplosiva che alcuni
giornali e riviste italiani pubblicarono lo scandalo, ma all’appello mancò
tutta la stampa e le radiotelevisioni nazionali.
Il fatto non ci preoccupò più di tanto, sia perché eravamo
abituati a questa politica del “mettere tutto a tacere”, sia perché, essendo
stati insultati Nostro Signore Gesù Cristo e la SS. Trinità, nessuno poteva
pretendere di mettere il bavaglio a queste tre Persone Onnipotenti e
direttamente interessate alla questione.
L’edizione dello studio sul Tempio satanico in lingua
italiana fu seguita dalle edizioni tedesca, inglese, francese, spagnola ed ora,
anche polacca. Anche se lentamente, l’orrore per questo Tempio satanico si
diffondeva in Italia e all’estero, e il flusso dei pellegrini, che, in passato,
non avevano mai mostrato di apprezzare questa strana nuova costruzione, si
assottigliava continuamente, col conseguente calo pauroso del flusso delle
offerte.
L’impossibilità di aver potuto confutare lo studio dai
contenuti tanto inquietanti e la crescente attenzione da parte del pubblico
nazionale e internazionale, che cresceva di giorno in giorno, imponeva una
“risposta” che non prevedesse, però, il dover entrare nel merito degli
argomenti sollevati e delle tesi dimostrate.
Fino a quel momento, la politica obbligata del potere si
limitava alla frase: “metteremo tutto a tacere”… ma il significato di queste
parole, oltre al black-out dei mass-media, poteva assumere, però, anche altri
significati.
Un altro tentativo... di assassinio
Diversi mesi dopo la pubblicazione dello studio sul Tempio
satanico a Padre Pio, avrei dovuto accompagnare don Villa da un suo “amico”
prete, ma, per un contrattempo, non potei farlo, e venni sostituito da un
nostro anziano collaboratore.
L’incontro col sacerdote fu breve, ma caratterizzato da una
situazione imbarazzante per i presenti per i quali, l’incomprensibile
agitazione, la tensione e lo strano comportamento del prete visitato, fu tanto
opprimente che, dopo che egli ebbe servito dei biscotti, cioccolatini e un tè,
giudicato “sgradevole” dall’unica persona che l’aveva bevuto, i due visitatori
salutarono e se ne andarono. Don Villa non aveva bevuto né assaggiato nulla,
mentre a fare gli onori di casa fu solo il suo anziano autista.
Saliti in macchina, don Luigi chiese all’autista di recarsi
da un suo amico avvocato che abitava proprio nelle vicinanze e, dopo pochi
minuti, si trovarono seduti nella sua sala.
Mentre don Villa e l’avvocato colloquiavano, l’autista
iniziò a sentirsi in modo strano: vedeva come attraverso un vetro infranto che
si muoveva e, pian piano, sentiva di non riuscire più a muovere le gambe, i
piedi, le braccia e le mani. Respirò profondamente, per cercare di superare
queste sensazioni, ma, ad un certo punto, lo fecero coricare sul divano della
sala e lo osservarono preoccupati. L’autista non perse mai conoscenza, ma
continuava a vedere in modo frammentato e con gli arti superiori e inferiori paralizzati.
Dopo un quarto d’ora, si sentì meglio, si alzò e disse di essere già in grado
di guidare.
Cosa sarebbe successo, se i due non si fossero recati subito
dall’avvocato?
Avrebbero dovuto percorrere diversi chilometri su una strada
stretta, affiancata da robusti alberi da entrambi i lati, oltre i quali vi
erano, da una parte, un fiume; dall’altra, un fossato d’acqua. Inoltre, la
strada è sempre trafficata con transito anche di mezzi pesanti.
E cosa sarebbe potuto accadere se l’autista si fosse trovato
alla guida del veicolo, invece che comodamente seduto su una sedia, in una
sala?
Quando due persone, che hanno un totale più di cento
sessant’anni, i giornali non avrebbero potuto far altro che prendere atto che
certi incidenti capitano anche a persone molto più giovani. Poi, quale altro
sospetto sarebbe potuto nascere se si fosse saputo che i due “infortunati”
erano appena usciti da una casa in cui abita una famiglia che conosce l’anziano
sacerdote da svariati decenni?
Benedetto XVI al Tempio satanico di San Giovanni Rotondo
La cappa pesante del Tempio satanico di San Giovanni Rotondo
diventava, di giorno in giorno, sempre più imbarazzante. Purtroppo, come già
accaduto in passato, per tentare di “mettere tutto a tacere”, si ricorse alla
solita abusata soluzione di mettere in campo tutto il peso dell’Autorità.
Il 18 marzo 2007, il Segretario di Stato, card. Tarcisio
Bertone, con un folto seguito di Vescovi, si recò a San Giovanni Rotondo per
una concelebrazione nel Tempio satanico.
Nei numeri di “Chiesa viva” 395 e 396 di giugno e
luglio-agosto 2007, si riportò il fatto con un articolo dal titolo: “Concelebrazione sacrilega nel Tempio
massonico di San Giovanni Rotondo, dedicato a San Padre Pio”, col quale si
chiese di proibire l’uso religioso di questo “Tempio satanico”, mostrando le
copertine di questo studio, già disponibile in 5 lingue.
Ma le celebrazioni sacrileghe continuarono e “Chiesa viva”
nuovamente, nei mesi di novembre e dicembre 2007, denunciò ancora queste
celebrazioni sacrileghe, con parole di fuoco che terminavano con la frase:
«Chiesa viva, perciò, chiede alla Gerarchia cattolica: fino a quando
permetterete alla Massoneria di insultare Nostro Signore Gesù Cristo e la SS.
Trinità?».
Ma le Autorità ecclesiastiche, imperterrite, mantennero il
silenzio e continuarono con queste celebrazioni sacrileghe.
Allora, su “Chiesa viva”, dopo la pubblicazione di alcune
lettere ricevute, sullo scandaloso agire delle Autorità ecclesiastiche, a
riguardo di questo tempio satanico, nel Numero di Luglio-agosto 2008, con il
titolo: “Un Tempio satanico per Padre Pio?”, iniziò la pubblicazione, a
puntate, di una cronaca degli articoli pubblicati da giornali, settimanali,
riviste, italiane ed estere, di lettere, di comunicazioni e dei fatti che
esponevano lo scandalo di questo “Tempio satanico” che gridava vendetta al
cospetto di Dio.
Ma la solita abusata soluzione fece un salto di grado. Si
iniziò, infatti, a parlare di una visita di Benedetto XVI a San Giovanni
Rotondo, finché si giunse alla dichiarazione ufficiale di mons. D’Ambrosio,
Arcivescovo di Manfredonia-Vieste-San Giovanni Rotondo, e anche Delegato della
Santa Sede per il Santuario e le Opere di Padre Pio, il quale, l’8 dicembre
2008, lesse la comunicazione, del giorno precedente, del Prefetto della Casa Pontificia,
mons. James M. Harvey che dava la notizia della decisione presa sulla visita di
Benedetto XVI a San Giovanni Rotondo, per il 21 giugno 2009, e alla quale era
allegato il programma della visita.
Sempre ignorando i fatti dimostrati e malgrado il fallimento
di 150 Prelati nel confutare le tesi dello studio sul Tempio satanico, ora, si
voleva mettere in campo tutto il peso dell’Autorità del Papa!
Ma le puntate di “Chiesa viva”, sulla cronaca dei documenti
sul Tempio satanico di San Giovanni Rotondo, procedettero per mesi e mesi, fino
all’aprile dell’anno seguente.
Venne il 21 giugno, giorno della visita di Benedetto
XVI. Il Papa doveva recarsi a San Giovanni Rotondo in elicottero, ma un
uragano, a Roma, lo impedì, e così il Papa fu trasportato, con un aereo
militare, fino all’aeroporto militare di Foggia, per poi proseguire in macchina
fino a destinazione.
La Messa celebrata sul sagrato del Tempio satanico sembrò
non avere l’approvazione divina; infatti, al termine della celebrazione, si
scatenò il finimondo: un’acqua torrenziale fu seguita da una grandine con
chicchi grossi come noci che, in breve tempo, fece fuggire tutti i fedeli. Fu
un caso fortuito il fatto che, “per guasti tecnici”, la televisione interruppe
le riprese di questo avvenimento?
C’è chi disse che questa era una “punizione di Dio”, ma,
anche se questo non si potrà mai dimostrare con certezza, ciò che si può
affermare con certezza è che Dio avrebbe potuto impedire queste umiliazioni al
Vicario di Cristo, ma non l’ha fatto!
Poi, ci fu l’episodio increscioso della furtiva
“benedizione” della lapide a mosaico, nella cripta del Tempio satanico, non
prevista dal cerimoniale e neppure dal programma.
Sulla lapide sta scritto:
«In occasione della visita pastorale di Sua Santità
Benedetto XVI, in questa chiesa impreziosita dalla devozione dei fedeli con la
bellezza dell’arte per custodire il corpo di San Pio da Pietrelcina, ha sostato
in preghiera e l’ha benedetta».
A parte le menzogne con le quali per lungo tempo si era
assicurato che il corpo di San Pio da Pietrelcina non sarebbe mai stato
traslato nel Tempio satanico, ciò che è inquietante è il carattere di
improvvisazione che si è voluto dare a questa “benedizione”.
Mentre il Santo Padre si avviava verso l’uscita della
cripta, gli fu indicata la targa, che il Papa lesse con un certo stupore. Poi,
mentre iniziava a procedere, mons. D’Ambrosio mise il braccio dietro al Papa e,
poi, con l’altro braccio, gli bloccò il passo, indicando l’aspersorio che un
frate cappuccino faceva atto di porgere al Papa.
Così, venne benedetta rapidamente e senza neppure una
preghiera la targa in questione. Questo atto non era previsto e, soprattutto,
la targa, invece di riferirsi alla benedizione della stessa o dei mosaici, si
riferisce invece a quella dell’intera chiesa.
Fu, forse, un “tranello” teso al Santo Padre?
Il numero di luglio-agosto 2006 di “Chiesa viva” riportò in
copertina la figura del Papa con lo sfondo del Tempio satanico e un editoriale
di don Villa dal titolo: “Benedetto XVI nel ‘Tempio satanico’ in San Giovanni
Rotondo – Perché?”.
Nel testo, tra l’altro si legge: «Ora, il Vicario di Gesù
Cristo, che dovrebbe essere il Buon Pastore e non essere causa di turbamento
per i milioni di fedeli del Santo di San Giovanni Rotondo (…) doveva anche
sapere che il detto Tempio è, in realtà, un edificio di stampo massonico (…) E
doveva sapere anche che (…) essendo stato Padre Pio un acerrimo oppositore
della Massoneria, questo Tempio, quindi è una vendetta postuma!».
E anche: «In tutti questi anni, dopo la costruzione di
questo Tempio massonico-satanico mai è emersa una chiara posizione ufficiale da
parte del Vaticano, anche col silenzio totale da parte dei Cardinali
responsabili del progetto e della costruzione di questa “Nuova Chiesa”, per cui
dovrebbe valere il detto. “Chi tace acconsente”». E ancora: «Noi di “Chiesa
viva”, quindi, ci chiediamo. “Come è stato possibile che il Vaticano abbia
potuto costruire un “Tempio satanico” con la beffa a milioni e milioni di
fedeli cattolici di tutto il mondo che hanno donato fiumi di soldi in buona
fede?”».
Don Villa… premiato?
In questi anni turbolenti, anche se sembra quasi impossibile
crederci, don Villa ricevette due importanti riconoscimenti, per la sua
attività di giornalista e di scrittore, ma soprattutto per il suo impegno nella
difesa della Religione cattolica e della civiltà cristiana.
Il primo, nel dicembre 2008, fu il “Premio giornalistico
internazionale Inars Ciociaria”, patrocinato da Presidenza Consiglio dei
Ministri, Ministero Beni Culturali, Consiglio Nazionale dell’Ordine dei
Giornalisti, Consiglio Regione Lazio, Provincia di Frosinone, U.R.S.E. (Unione
Regioni Storiche Europee), con la motivazione: «… per la lunghissima attività
di giornalista, autore di libri e pamphlet di teologia, ascetica, saggistica
(…) e per il suo impegno nella difesa delle radici cristiane d’Europa e nella
tutela della verità contro forze estranee alla nostra civiltà».
Il secondo, nell’ottobre 2009, fu il “Premio
dell’Associazione Culturale Val Vibrata di Teramo”, «quale giornalista,
scrittore insigne, editore integerrimo, magistrale Direttore della Rivista
“Chiesa viva”, ma soprattutto come sommo teologo per aver dedicato l’intera
esistenza nel difendere la Religione Cattolica e nel diffondere la Verità
Storica e vivendo secondo il Vangelo»!
Che contrasto con i “riconoscimenti”, elargiti negli ultimi
cinquant’anni a don Luigi Villa da certa Gerarchia ecclesiastica!
Benedetto XVI a Brescia
Il nuovo Vescovo di Brescia, mons. Luciano Monari, era
entrato ufficialmente in diocesi il 14 ottobre 2007. La breve biografia della
presentazione ufficiale del nuovo Vescovo riportava la notizia che la madre di
Mons. Monari porta il nome di Giuliana Ruini. Ci fu chi confermò e chi smentì
il fatto della parentela col card. Camillo Ruini, ma da Roma, qualcuno assicurò
a don Villa che mons. Monari era un uomo del card. Ruini e un grande entusiasta
di Paolo VI.
Ciò che apparve strano ad alcuni fu il fatto che, solo dopo
alcune settimane dal suo insediamento a Brescia, mons. Monari, l’11 novembre
2007, si recò a celebrare la Messa nella nuova chiesa di Padergnone, la prima
chiesa del Terzo Millennio della diocesi, da poco consacrata dal Vescovo
precedente, mons. Sanguineti.
Considerati i problemi immensi di una diocesi come quella di
Brescia e il fatto che la popolazione della frazione, in cui si trova la nuova
chiesa, è intorno al migliaio di persone, c’è proprio da domandarsi: perché
quella visita?
Dopo l’annuncio della visita del Papa al Tempio satanico di
San Giovanni Rotondo, il 9 aprile 2009, vi fu un altro annuncio: Benedetto XVI
sarebbe venuto a Brescia, l’8 novembre 2009, “nel segno del suo predecessore”,
“per il trentesimo anniversario della morte di Paolo VI” e “sulle orme di Paolo
VI”. L’annuncio fu dato da mons. Luciano Monari il quale disse che «Il motivo è
naturalmente il trentesimo anniversario della morte di Paolo VI», e
sottolineando che «Papa Ratzinger, come sapete, fu creato Cardinale da Paolo VI
e ha sempre avuto verso il nostro Papa bresciano una riconoscenza e un amore
grande». Il discorso che seguiva era imperniato sulla necessità per tutti di
essere in “comunione” col Vescovo di Roma, il Papa Benedetto XVI.
E chi non fosse stato in “comunione” col Vescovo di Roma non
su questioni riguardanti la Dottrina Cattolica di sempre, ma, ad esempio,
sull’opportunità o meno di beatificare il “Servo di Dio” Paolo VI?
L’invito, contenuto nell’Editto del 13 maggio 1992 del card.
Ruini: «Invitiamo tutti i singoli fedeli a comunicarci direttamente o a far
pervenire al tribunale diocesano del Vicariato di Roma tutte quelle “notizie”
dalle quali si possa, in qualche modo, arguire contro la fama di santità del
detto “Servo di Dio” (Montini)», sarebbe stato ancora valido?
E a chi avesse seriamente obbedito a questo “invito”, senza
essere un semplice “singolo fedele”, ma un teologo serio e affermato, e per
giunta incaricato da Padre Pio di dedicare tutta la sua vita per difendere la
Chiesa di Cristo dall’opera della Massoneria ecclesiastica, inoltre informato
sin dal 1963 dallo stesso Santo frate che Paolo VI era massone, e con un
mandato papale di Pio XII per svolgere questo delicato incarico, quale sorte
gli sarebbe stata riservata?
Dopo il discorso dell’annuncio della visita del Papa a
Brescia, fatto da mons. Monari, don Villa mi disse, e mi ripeté più volte,
sempre più preoccupato: «Siamo ad una svolta... mi vogliono mettere a tacere
per sempre!».
Il Tempio massonico-satanico di Padergnone (Brescia)
Solo più tardi, riuscii a comprendere il vero significato di
quelle parole; infatti, alla richiesta di don Villa di fare un sopraluogo a
quella “nuova chiesa” di Padergnone, la prima chiesa del terzo Millennio della
nostra diocesi, risposi evasivamente, senza convinzione e senza impegni.
Fu solo dopo la visita di Benedetto XVI a San Giovani
Rotondo che iniziai a comprendere la gravità delle parole di don Villa.
Il Papa era andato a San Giovanni Rotondo, aveva celebrato sul
sagrato di quel “Tempo satanico” e, anche se presentato come un “tranello”
tesogli da alcuni Prelati che lo accompagnavano, aveva “benedetto” quel “Tempio
satanico”!
Perché quella visita? Perché quella “benedizione”? Perché
mettere in campo tutto il peso della massima Autorità della Chiesa, quando non
si era riusciti a confutare l’orribile realtà dimostrata su quel “Tempio
satanico”?
Sì, eravamo proprio ad una svolta!
Alla fine di giugno, iniziai le prime visite alla “nuova
chiesa” di Padergnone, alle quali seguirono altri sopraluoghi per studi
dettagliati, per fare fotografie e prendere misure.
La “nuova chiesa” era stata dedicata al “Cristo risorto”.
Ma la Religione Cattolica si fonda sulla Croce, cioè sulla
volontà di Gesù Cristo di obbedire al Padre e di patire e morire in Croce per
offrirci la Redenzione. La sua Resurrezione, invece, non è stata la conseguenza
di un atto della sua volontà, ma un atto dovuto alla sua Natura Divina!
Perché, allora, quelli che non credono alla divinità di
Cristo si entusiasmano così tanto per la figura del “Cristo risorto”?
Per avere una risposta, basterebbe citare le parole di una
delle più acerrime nemiche di Dio e della Chiesa cattolica, Alice Bailey, la
sacerdotessa del “New Age” e la fondatrice, nel 1921, del satanico “Lucifer
Trust” (= La Corte di Lucifero), la quale aveva delineato il “piano” della
creazione di una Nuova Religione Universale con queste parole: «Il “Cristo
risorto” e non il “Cristo crocifisso” sarà la nota distintiva della Nuova
Religione!».
Ecco il segreto della dedica delle “nuove chiese” al “Cristo
risorto”!
Ma cosa intendono realmente costoro con l’espressione
“Cristo risorto”?
Gesù Cristo è il “Maestro”, ma per loro il “Maestro” massone
diviene tale al 15° grado della Massoneria di Rito Scozzese Antico ed
Accettato, “risorgendo” dalla condizione di “uomo nel quale si manifesta la
realtà definitiva dell’essere uomo, che, in ciò stesso, è simultaneamente Dio”.
Cioè il massone dal suo stato precedente, “risorge”
diventando “Maestro”, o “Uomo-Dio”, affrancandosi da ogni Autorità divina,
perché lui stesso è diventato Dio!
Quindi, non il Dio che si è fatto uomo, che
è morto in Croce e che “risorge” perché Dio, ma l’uomo che si manifesta Dio, in
“Gesù Cristo”, che per costoro è solo il simbolo del “Maestro” massone!
Quindi, con
l’espressione “Cristo risorto” costoro non celebrano la divinità di Cristo, ma
la massonica auto-divinizzazione dell’uomo, e cioè il “Culto dell’Uomo”,
come passo indispensabile per procedere al “Culto di Lucifero”!
Ma questa è anche la “cristologia” della “nuova teologia” di
molti dei nostri Prelati, come l’aveva riassunta, già nel 1946, il grande
domenicano Padre Garrigou-Lagrange: «Così, il mondo materiale si sarebbe
evoluto verso lo spirito, e il mondo dello spirito si evolverà, naturalmente,
per così dire, verso l’ordine soprannaturale e verso la plenitudine del Cristo.
Così, l’Incarnazione del Verbo, il Corpo Mistico, il Cristo universale,
sarebbero dei momenti dell’Evoluzione… Ecco quello che resta dei dogmi
cristiani in questa teoria che l’allontana dal nostro Credo nella misura in cui
essa si avvicina all’evoluzionismo hegeliano».
E il grande domenicano allora grida: «Dove va la “nuova
teologia”? Essa ritorna al modernismo attraverso la via della fantasia,
dell’errore, dell’eresia!».
La responsabilità del progetto della “nuova chiesa” fu di
mons. Ivo Panteghini della Curia di Brescia, da qualche anno “Consultore”
presso la Pontificia Commissione dei Beni Culturali della Chiesa, alla cui
Presidenza vi era il massone mons. Francesco Marchisano, principale
responsabile della costruzione del Tempio satanico dedicato a San Padre Pio.
La Curia di Brescia approvò il progetto, come pure fece
l’Ufficio del culto divino della CEI che, in parte, anche lo finanziò. Mons.
Giulio Sanguineti, personalmente accusato di essere massone da don Villa, senza
riuscire a controbattere, consacrò la “nuova chiesa” alcune settimane prima di
essere sostituito.
Il nuovo Vescovo, mons. Monari, appena insediato, non attese
molto prima di recarsi in quella “nuova chiesa” a celebrare la Messa. Sulla
lapide di consacrazione della “nuova chiesa” spicca la medaglia episcopale di
mons. Sanguineti e le due medaglie pontificali di Giovanni Paolo II e di
Benedetto XVI.
Lo studio della “nuova chiesa” procedette fino a individuare
l’“idea unitaria” del progetto: la dedica della chiesa non era al “Cristo
risorto”, ma al “Cavaliere Rosa-Croce” del 18° grado della Massoneria di
R.S.A.A., il quale ha il compito di cancellare il Sacrificio di Gesù Cristo
sulla Croce dalla faccia della terra, cioè, in altre parole, cancellare il Sacrificio di Cristo nella
Messa Cattolica dalla faccia della terra.
Il grado di Rosa-Croce, infatti, è in essenza, la
rinnovazione figurata e cruenta del Deicidio commesso per la prima volta sul
Calvario, come la Santa Messa è la rinnovazione reale e incruenta del
Sacrificio di Cristo.
Ogni parte della “nuova chiesa” è satura di simbologia
massonica e di riferimenti satanici: la fontana esterna, la struttura con le
sue tre spirali, il portone di bronzo, il soffitto dell’aula liturgica, la
cappella del battistero, i banchi, la statua del “Cristo risorto”, la vetrata,
l’altare, il tabernacolo, la croce astile, la vergine della speranza, la
cripta, la croce fiammeggiante, l’area verde circostante… Tutto inneggia al Dio
Pan, al Dio cabalistico Lucifero, all’Uomo-Dio della Massoneria, ma il centro
di tutta l’opera è l’altare e la figura del Cavaliere Rosa-Croce che lo
sovrasta. Questo è il segreto più profondo di questa “nuova chiesa”, questa è
l’idea centrale.
È il Cavaliere Rosa-Croce che compie giustizia contro il Dio
che si è fatto Uomo ed ha redento l’umanità, contro il Dio che ha detronizzato
Lucifero dal suo potere quasi assoluto che aveva sull’uomo, contro il Dio
odiato dalla Massoneria: è il Cavaliere Rosa-Croce che, sull’altare, non
rinnova il Sacrifico di Cristo sulla Croce, ma rinnova il DEICIDIO!
Tempo fa, l’Autore di un libro sull’Anticristo, mi telefonò
chiedendomi di inviargli una ventina di copie dello studio sul “Tempio
satanico” di San Giovanni Rotondo, perché doveva tenere una Conferenza. Nel
corso della telefonata, mi mise al corrente di un fatto che gli era accaduto
poco tempo prima. Insieme ad un gruppo di persone, era andato a far visita ad
un esorcista, il quale, informato del suo libro sull’Anticristo, gli raccontò
uno strano esorcismo capitatogli. Stava esorcizzando una persona posseduta da
Lucifero, quando, ad un tratto, lo udì urlare: «Io ho fatto il mio Trono, nel
Gargano!».
L’esorcista, rimase stupito, non riuscendo a comprendere il
significato di quelle parole. Poi raccontò: «La mattina seguente, per posta,
ricevetti una copia di “Chiesa viva” sul Tempio satanico di San Giovanni
Rotondo, e, letto lo studio, finalmente compresi le parole di Lucifero
pronunciate il giorno precedente!».
Ora, se Lucifero, per il Tempio satanico dedicato a San
Padre Pio ha urlato: «Io ho fatto il mio Trono, nel Gargano!», ci dovremo forse
noi stupire se, un giorno, un altro esorcista ci racconterà di aver udito
Lucifero urlare: «Io ho fatto il mio Altare, a Brescia»?
Verso la metà di ottobre 2009, uscì il Numero Speciale di
“Chiesa viva” n° 420, col titolo: “Brescia:
la nuova chiesa parrocchiale di Padergnone è un Tempio massonico-satanico!”.
La distribuzione a Brescia, in provincia e in tutta l’Italia fu di enorme
vastità.
Dopo una settimana, il 21 ottobre, ricevetti una lettera,
superficialmente ironica, di Mons. Ivo Panteghini alla quale risposi, il 28
ottobre, in modo serio e dettagliato alle domande postemi, ma anche a quella
relativa al tema centrale del Cavaliere Rosa-Croce che non mi fu posta.
Al termine della trattazione di quest’ultimo tema, dopo aver
ricordato che Paolo VI stilò una definizione di Messa che non contemplava più
il Sacrificio di Cristo sulla Croce e la Presenza Reale, gli scrissi: «Quindi,
Paolo VI può meritatamente vantare il titolo di essere il più Grande Cavaliere
Rosa-Croce che sia mai esistito!», e poi la conclusione: «Pertanto, nessun
Cavaliere Rosa-Croce al mondo, può aspirare, come invece può fare Paolo VI, di
meritarsi la gloria della dedica del Tempio satanico di Padergnone!».
Il 6 novembre 2009, alla domanda se la presenza di Benedetto
XVI avrebbe potuto essere di qualche beneficio alla “causa di beatificazione”
di Paolo VI, mons. Molinari rispose: «Lo spero, non tanto per la beatificazione
in quanto tale, ma perché sono convinto che ci sia un tesoro di spiritualità
originale nella vita di Paolo VI e che la diffusione di questo tesoro possa
aiutare e arricchire la Chiesa di oggi».
L’8 novembre 2009, in occasione del trentesimo anniversario
della morte di Paolo VI, e sotto una leggera pioggia, Benedetto XVI atterrò
all’aeroporto di Ghedi (nei pressi di Brescia), si recò a Botticino Sera per un
omaggio al Santo Tadini, poi, la Messa in Duomo a Brescia, e l’Angelus.
Nel pomeriggio, il Papa salutò gli organizzatori della
visita al centro pastorale Paolo VI, e poi si recò alla casa natale di Papa
Montini e inaugurò la nuova sede dell’Istituto Paolo VI a Concesio, dove
assegnò il sesto premio internazionale dedicato al Pontefice bresciano. Una
breve visita nella Parrocchia di Sant’Antonino, in cui fu battezzato Giovanni
Battista Montini, poi la partenza dall’aeroporto di Ghedi con direzione
Ciampino.
In tutta questa visita, a Brescia, di Benedetto XVI, non fu fatto
neppure un accenno alla “causa di beatificazione” di Paolo VI.
Dal giorno della pubblicazione del Numero Speciale di
“Chiesa viva” n° 420 dell’ottobre 2009, sulla “nuova chiesa” di Padergnone, a
Brescia, negli ambienti responsabili dell’erezione di questo Tempio satanico, è
calato un silenzio lugubre e sepolcrale, se non per l’eccezione di un
tentativo, mal riuscito, di mons. Luciano Monari di calunniare gratuitamente
don Luigi Villa, con una “Nota del Vescovo”, pubblicata sul settimanale della
Diocesi di Brescia, “La Voce del popolo” n. 35.
Era questo un tentativo per trovare una via d’uscita alla
situazione imbarazzante creatasi nella nostra Diocesi, senza dover entrare nel
merito delle tesi dimostrate dal nostro studio sul Tempio satanico di
Padergnone?
E cosa partorirà, prossimamente, questa cappa di piombo che ogni
giorno diventa sempre più pesante?
La “Causa di beatificazione” di Giovanni Paolo II
Nel novembre 2009, pochi giorni dopo il suo ritorno a Roma
dalla visita fatta a Brescia, Benedetto XVI annunciò il proseguimento della
“causa di beatificazione” di Giovanni Paolo II.
Agli inizi di febbraio 2010, don Villa decise di raccogliere
la ventina di articoli su Giovanni Paolo II, già pubblicati su “Chiesa viva”
negli ultimi anni, in un unico file PDF e inviarlo a migliaia di indirizzi
e-mail che includevano: Santa Sede, Cardinali, Nunzi, Conferenze Episcopali,
Istituti Religiosi, Corpo Diplomatico presso la Santa Sede, Università e
Istituti di formazione cattolici, Vescovi, Diocesi italiane, Ambasciate e
Consolati italiani, Senatori e Deputati, Consigli regionali, mass-media,
università, biblioteche, librai, laici, ecc..
In seguito, la stampa italiana iniziò a riportare la notizia
relativa ad alcune difficoltà che erano emerse per la “causa di beatificazione”
di Giovanni Paolo II, e, per diversi mesi, scese il silenzio su questo
argomento.
Ma don Villa si era già attivato per produrre un Numero
Speciale di “Chiesa viva” su Giovanni Paolo II che fosse un’opera completa e
accessibile al vasto pubblico, che evidenziasse tutti i lati oscuri e
inquietanti di questo Papa “itinerante”, che spese gran parte del suo
Pontificato a rincorrere il miraggio di riunire tutte le religioni in un’unica
Religione Mondiale.
Ma per raggiungere questo obiettivo, che è il fine supremo a
cui mirano i vertici della Massoneria mondiale per poter realizzare il loro
sogno di dominio planetario, si deve eliminare Gesù Cristo come unico Redentore
e Salvatore dell’umanità, si deve ignorare e calpestare la Verità, si deve
reinterpretare il Primato di Pietro, si deve corrompere la Virtù Cattolica, si
deve alterare la Morale Cattolica, si deve formare una nuova Autorità Cattolica
per metterla al servizio e sottometterla al potere dell’Anticristo.
Ma Lucifero ha perso il potere assoluto che aveva
sull’umanità con il Sacrificio di Cristo sulla Croce, che lui stesso causò col
DEICIDIO. La sua rabbia infernale, quindi, è tutta diretta e focalizzata su
questo Atto di Redenzione di Gesù e sulla sua “rinnovazione incruenta” nel
Sacrificio della Santa Messa Cattolica!
Vi è, però, una soluzione radicale per risolvere questo
problema: negare la divinità di Gesù Cristo. Questa orribile bestemmia elimina
il Sacrificio di Cristo sulla Croce alla sua radice e apre la porta a tutte le
“novità” e a tutti gli “aggiornamenti” che sono indispensabili per “eclissare”
la Chiesa di Cristo e creare una “Nuova Chiesa” che diventi la “Prostituta di
Babilonia”!
Allora, il Sacrificio di Cristo sulla Croce offerto da Gesù
al Padre, tramite il Ministero sacerdotale, che ci offre la Redenzione e la
salvezza dell’anima, potrà diventare la rinnovazione del DEICIDIO, tramite il
ministero sacerdotale massonico, offerto ad un altro “dio padre”: Lucifero il
quale, presentandosi come il Padre del Tempio della Pace universale tra gli
uomini, ci offre la sua redenzione gnostica e, con un diabolico inganno, la
Pace universale tra gli uomini.
Ma questo “dio padre” non è altro che il “dio” della
Massoneria e il suo nome è: BAPHOMET, che scritto all’ebraica diventa: TEMpli,
Omnium, Hominum, Pacis, ABbas, (il Padre del Tempio della Pace Universale tra
gli Uomini).
Questo, però, è esattamente il tema centrale del Tempio
satanico di Padergnone della Diocesi di Brescia dove, dopo aver inneggiato al
Dio Pan e alla dottrina gnostica, negazione della divinità di Gesù Cristo, il
Cavaliere Rosa-Croce, sull’altare, non rinnova il Sacrifico di Cristo sulla Croce,
ma rinnova il DEICIDIO!
Avevamo anche scritto che «nessun Cavaliere Rosa-Croce al
mondo, può aspirare, come invece può fare Paolo VI, di meritarsi la gloria
della dedica del Tempio satanico di Padergnone!».
Inoltre, sulla “lapide di consacrazione” di questo Tempio
satanico, oltre alla medaglia episcopale di mons. Giulio Sanguineti, vi sono
anche le medaglie pontificali di Giovanni Paolo II e di Benedetto XVI. Perché
queste due ultime medaglie?
Nel settembre 2010, uscì il Numero Speciale di “Chiesa viva”
n. 430, dal titolo: “Karol Wojtyla
beato?.. mai!”. È un’edizione speciale di 96 pagine con 217 fotografie che
include: una breve biografia di Karol Wojtya, i suoi viaggi internazionali, le
sue idee, la sua filosofia, la sua teologia, i suoi rapporti con la Massoneria
e col Comunismo, i suoi “fatti” e “detti”, la sua “dottrina mariana”, le sue
posizioni sul Primato di Pietro e la sua “Teologia del corpo” con una serie di
fotografie, a dir poco, imbarazzanti. Il retro copertina riporta una
fotografia, a piena pagina, dell’immagine del Papa nelle fiamme, scattata nel
suo paese natale, esattamente un anno dopo la sua morte.
La diffusione del file PDF di questo Numero Speciale ha
raggiunto tutti quelli che avevano già ricevuto il precedente file PDF, contenente
i 20 articoli su Giovanni Paolo II.
Per i quattro mesi successivi, calò il silenzio sulla “causa
di beatificazione” di Giovanni Paolo II.
Il 6 gennaio 2011, l’annuncio: “Giovanni Paolo II santo
subito”. I giornali hanno riportato la notizia della beatificazione di Papa
Wojtyla, entro il 2011.
Sul “Giornale”, Tornielli scriveva: «Giovanni Paolo II sarà
beato nel 2011, forse già prima dell’estate. Nelle scorse settimane la consulta
medica della Congregazione delle cause dei santi si è infatti espressa favorevolmente
sul miracolo attribuito all’intercessione di Papa Wojtyla – la guarigione dal
Parkinson di una suora francese – e la documentazione nei giorni scorsi ha già
passato anche il vaglio dei teologi. Prima che il fascicolo arrivi sul tavolo
di Benedetto XVI manca ora soltanto il via libera dei cardinali e vescovi
membri della Congregazione, che hanno appena ricevuto il dossier sul miracolo.
Si riuniranno per esaminarlo collegialmente e per esprimere il loro voto verso
la metà di gennaio».
Sul “Times” si leggeva: «Benedetto XVI, lo ha chiamato
“Giovanni Paolo il Grande”: è “solo il quarto papa della storia ad avere avuto
questo onore”. La beatificazione dovrebbe avvenire in tempo record, poiché Papa
Benedetto XVI aveva autorizzato la deroga per far partire immediatamente il
processo di canonizzazione, senza attendere i cinque anni previsti dalla
morte».
Il 14 gennaio 2011, l’annuncio ufficiale del Vaticano:
“Giovanni Paolo II sarà beatificato il 1° maggio”.
Per anni serpeggiò il sospetto che la “mente” di Giovanni
Paolo II, durante il suo Pontificato, fosse il Prefetto della Sacra
Congregazione per la Dottrina della Fede, e, quando nell’aprile 2005, Giovanni
Paolo II morì e fu eletto Benedetto XVI, furono in molti a domandarsi se il
cardinale Joseph Ratzinger non fosse semplicemente succeduto a se stesso!
Ing. Franco Adessa
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