martedì 2 novembre 2010

Il veneto Massimo Marchiori è l’uomo che fece decollare Google: «Ora Google è fuori controllo»

Massimo Marchiori vive a Mestre e insegna a Padova

PADOVA - I geni guardano avanti e, qualche volta, vivono in un bilocale a Mestre. Massimo Marchiori, 40enne professore di “Reti e tecnologie web” all'Università di Padova, fa parte di questa specie.
Nel 1995 ha inventato l'«Hypersearch», l'algoritmo da cui è nato Google; poi ha studiato per primo il problema della pubblicità dei motori di ricerca; quindi ha ideato lo standard mondiale per la privacy nel web (il «P3P»). Nonostante ciò resta nel suo appartamento alle porte di Venezia e rifiuta offerte milionarie dall'estero. «Non voglio scendere a compromessi con la mia coscienza - dice - sono uno scienziato che vuole fare qualcosa di bello per il mondo. E poi trovo molto più interessante lavorare a problemi nuovi piuttosto che pubblicizzare quelli già risolti».
Tra i suoi «problemi risolti» c'è Google. 


Lei suggerì l'intuizione di partenza ai fondatori Larry Page e Sergey Brin. Il colosso che ne è nato le piace ancora?
«All'inizio ero l'unico a credere che il motore di ricerca sarebbe stato la vera porta su internet. La gente mi rideva in faccia. Poi si è visto come è andata. La mia idea, però, era il frutto della prima era di internet, quella dell'entusiasmo. Ora è cambiato tutto: Google ha tanti lati oscuri, è una scatola nera senza più controllo. I dati raccolti nessuno sa bene quali siano. E poi c'è chi lo utilizza solo per guadagnare. Uno dei modi per fare soldi è prendere senza consenso i dati personali degli utenti e poi rivenderli ai pubblicitari. Ma c'è di peggio: Google è in grado di influenzare le ricerche, di privilegiare un'azienda che paga rispetto alle concorrenti, di falsare la realtà. È diventato un grande fratello virtuale che comanda ogni cosa. Non era certo ciò che avevo pensato. Dopo la prima fase dell'entusiasmo, insomma, non è arrivata quella delle regole». 


Cosa bisognerebbe fare?
«C'è qualcuno che sta provando a fare un motore di ricerca trasparente, ma è una strada impraticabile. La soluzione vera sarebbe aumentare i controlli, non per svelare i segreti ma per dire agli utenti quali dati vengono raccolti». 


Dopo Google cosa c'è?
«Il web è ancora alla preistoria: da un'enciclopedia sta diventando una piazza sociale. Ed è su questo concetto che bisogna concentrarsi. Tra qualche anno la rete saprà tutto quello che c'è attorno a noi. E noi saremo totalmente connessi: sarà un mondo virtuale. Diventerà primaria l'interazione vocale: ora dialoghiamo attraverso il touchscreen, domani lo faremo con la voce. Parleremo con il computer come se fosse un piccolo essere umano». 


Su cosa sta lavorando?
«Proprio sul web sociale. Tra poco presenteremo un'applicazione nuova: il mosaico sociale. Un’opera d'arte costruita pezzetto dopo pezzetto dagli utenti internet di tutto il mondo. Ciascuno mette il proprio contributo. Ma l'obiettivo è oltre...». 


Quale?
«Trovare la formula per capire la nazionalità e il sesso del navigatore solo dal suo movimento sulla rete. Ormai il web è diventato una grande lente d'ingrandimento. E ci sono modelli comportamentali ben definiti: su internet un cinese non "si muove" come un italiano».


Anni fa diceva ai giovani: restate in Italia e buttatevi nell'informatica. Lo farebbe ancora?
«Sì, a un giovane direi di restare. L'esperienza all'estero è fondamentale, ma con il mondo delle reti non serve più scappare. La presenza fisica non è più un principio. E contrariamente a quello che si pensa n e l nostro territorio ci sono ancora tantissime persone disposte a investire. Il vero problema è che il mondo dell'imprenditoria non sa con chi parlare, perché l'università si è fossilizzata dentro una torre d'avorio». 


Lei però resta all'Università di Padova, dove tra l'altro è ancora professore di seconda fascia...
«Il merito non scala rapidamente e il mio caso dimostra che il mondo dell'università è rimasto fermo a 20 anni fa. Qui in Italia si premia chi fa una o due pubblicazioncine; negli Stati Uniti va avanti chi porta idee e finanziamenti per la ricerca. Io ricevo offerte milionarie dall'estero, ma resto in Italia perché questa è la mia comunità. Ed è alla mia comunità che voglio portare beneficio». 


E rimane anche nel suo bilocale?
«Si, è una mia scelta. Vivo a Mestre e sono contento. Nessuno mi obbliga, finché faccio qualcosa che mi piace e posso guardare avanti».

Fonte: srs di Giovanni Viafora
da il Corriere del Veneto del 22 ottobre 2010



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