giovedì 4 novembre 2010

Alluvione di Vicenza novembre 2010: Allacciate le cinture perché questa è grossa «L'alluvione? Colpa della base americana all'ex aeroporto Dal Molin».


FANGO E POLEMICHE. Inseguendo le voci che rimbalzano dai quattro angoli della città. Allagamenti senza pari. Parte il valzer dei perché. I lavori per la nuova base militare sono da mettere in relazione con l'alluvione? C'è chi ne è certo, chi nega sdegnato, chi ricorda il '29.

L'affermazione, che nel tardo pomeriggio di lunedì era ancora ferma a livello di ipotesi (diciamo: una delle possibili ipotesi), ha cominciato a circolare con tale rapidità e sicurezza che, come spesso avviene anche a livello delle cosiddette leggende metropolitane, nella tarda mattinata di ieri era data ormai per certa.
Non tanto fra gli abitanti di una zona di Vicenza che mai prima di ieri l'altro era finita sott'acqua (Quartiere Italia, viale Trento...), più che altro imbufaliti per manchevolezze vere o presunte del Comune, quanto da ambienti assai vicini al movimento dei  No Dal Molin e da quella fetta di opinione pubblica che vede nell'insediamento militare che ha cancellato l'aeroporto dalla faccia di Vicenza l'origine di ogni male.

Territoriale e non.  «Passata l'emergenza, fuori la verità - intima nel pomeriggio un comunicato del Presidio permanente, che annuncia anche iniziative di solidarietà attiva verso i cittadini colpiti dalla catastrofe -. L'alluvione che in queste ore sta colpendo Vicenza è prima di tutto il frutto amaro di una gestione del territorio scellerata e devastante: il dissesto idrogeologico è il risultato della cementificazione selvaggia e della mancata pulizia degli argini e dei fossati che ci hanno fatto trovare con l'acqua alla gola. È evidente che, passata l'emergenza, si dovrà fare piena luce sui fattori che hanno provocato questa situazione. Ed è altrettanto chiaro che i cittadini devono sapere se la palificazione all'interno del Dal Molin e il cantiere statunitense hanno rappresentato uno dei fattori che ha contribuito a determinare o peggiorare questa situazione».

Di fronte a certe ipotesi reagisce con rabbia e una punta di disgusto Claudio Cicero, consigliere di Impegno per Vicenza a 360°.
Nella passata amministrazione militava sotto le insegne del centrodestra, sponda aennista, ed è sempre stato uno dei più determinati sostenitori della base statunitense; oggi si trova nel centrosinistra di Variati con una delegata alla mobilità. Ma la sua opinione sulla base a stelle e strisce non cambia: «Sì, sì, l'ho sentita anch'io questa storia... Non saprei trovare una definizione appropriata e sufficientemente educata per commentare queste boiate. Perché questo sono, ecco: boiate. L'acqua scende da nord, mica arriva da sotto e poi scende a sud!».

Cinzia Bottene, consigliere comunale di Vicenza libera, espressione politica riconducibile al presidio permanente nodalmoliniano, affronta l'argomento con i toni della ragionevolezza: «Non possiamo certo imputare tout-court ai lavori della base quanto è avvenuto in queste ore. Resta il fatto, ed è un fatto, che alcune zone della città sono finite sott'acqua come mai era accaduto in precedenza. La nostra falda acquifera è in sofferenza, di questo siamo certi. Ancora un anno e mezzo fa denunciammo i lavori condotti sull'argine del Bacchiglione all'altezza di ponte del Marchese, dalla parte volta a protezione dell'aeroporto. Fu ignorata l'altra sponda. L'altro ieri in zona Lobbia l'acqua ha raggiunto in alcuni punti un livello di due metri, e questo vorrà pur dire qualcosa, mentre dall'altra parte non c'è stata esondazione. Bisogna porsi delle domande e, soprattutto, avere risposte. A mesi e mesi di distanza dalla costituzione di un tavolo tecnico, eravamo a febbraio, i dati tecnici sulla falda non sono mai stati resi noti, il suddetto tavolo non si è mai più riunito nonostante l'impegno di farlo una volta al mese e permane una nebulosità che non ci sta bene. Serve un atto di chiarezza che i vicentini meritano. Tutti i vicentini».

Ma le ore dell'emergenza e delle polemiche che cominciano ad arroventare l'aria sotto la pioggia battente, lasciano anche spazio alla storia. Giuseppe Versolato, 69 anni, storico dell'aviazione vicentina e che dell'(ex)aeroporto sa tutto, è più preoccupato per le condizioni in cui versa il materiale del prezioso Museo dell'aeronautica stivato provvisoriamente in un hangar dell'(ex)aeroclub in attesa di tempi - e sensibilità - migliori. «Nel 1929 fu studiato messo a punto e realizzato un sistema di drenaggio impeccabile, documentato e documentabile. Questa è storia, il resto è politica: non è il mio campo».


L’alluvione colpa del Dal Molin:  ma quando mai?





28 marzo 1938, l'inaugurazione dell'aeroporto ormai completo

Non è uno che parla a caso, Giuseppe Versolato. E quando dice una cosa, è perché  ha ricercato, approfondito, studiato. Se poi la cosa finisce nero su bianco in uno dei suoi libri sull'aviazione, allora vuol dire che c'è anche il supporto di documenti.

Il drenaggio dell' aeroporto intitolato al valoroso pilota Tomaso Dal Molin, di allora.  
Da “Ali su Vicenza”,  Egida editore, pagina 77.

Area della Piazza d'Armi poi interessata dall'aeroporto Dal Molin

Siamo nel luglio del 1929, i lavori per la sistemazione delle superfici aeroportuali si dimostrano ardui. Il presidente della Provincia conte Luigi Da Porto, scriverà sulla rivista “Settembre vicentino”:
«La necessità di non superare certi limiti nella pendenza da assegnarsi alla superficie di sedime, rese indispensabili rilevanti opere di  escavo  materiali nelle parti sopraelevate e successivo riporto dei medesimi in corrispondenza delle depressioni.
Per dare un'idea dell'importanza di tali lavori, basti accennare che per il medesimo fu necessario scavare e trasportare ben metri cubi 68.273 di materiale.
Ma la natura eminentemente argillosa del terreno e i limiti ristrettissimi nei quali furono - per necessità - contenute le pendenze della zona di sedime, resero indispensabile l'esecuzione di altre importanti opere e precisamente quelle per la costruzione di una fitta rete di dreni, atta ad assicurare il pronto smaltimento delle acque piovane, che - non trovando sfogo attraverso il terreno argilloso - avrebbero potuto così essere raccolte nei dreni e dai medesimi eliminate nei fossi colatori.
La rete dei dreni comprende rami principali e secondari, quest'ultimi defluenti nei primi, gli uni e gli altri opportunamente disposti in modo che fra dreno e dreno fosse esclusa la possibilità di formarsi e mantenersi dannosi ristagni d'acqua anche in caso di pioggia insistente.

Dettaglio dell'impianto di drenaggio dell'aeroporto

I dreni - scriveva ancora il presidente della Provincia - comprendono: un canale di raccolta alla base ed alla profondità variabile da m. 0,80 a m. 1,50 dal livello del campo; uno strato permeabilissimo di ghiaiotto al di sopra del canale di raccolta e per uno spessore variabile da m. 0,40 a m. 1,00. La rete misura complessivamente 7.000 metri; per la sua costruzione vi furono impiegati circa 3.500 metri cubi di ghiaiotto e 2.000 metri cubi di calcestruzzo, ivi compreso quello necessario per il collettore principale coperto, che, da oriente a occidente, taglia il campo quasi per metà ed ha una lunghezza di ben 900 metri lineari».

II 28 ottobre dello stesso anno - data dell'anniversario della Marcia su Roma - vi fu l'inaugurazione delle opere. Negli ultimi 80 giorni precedenti quella data l'impresa cui erano affidati i lavori occupò 450 operai al giorno lavorando dalle 5 sino alle 19. L'aerea così realizzata - compresi gli espropri - costò circa 2 milioni di lire.

«La zona del campo non si è allagata nemmeno in queste ore - osserva Versolato -. Se ne deduce che i lavori effettuati dagli americani non hanno intaccato quell'opera ultraottantenne». (Stefano Girlanda)


Alluvione a Vicenza: Il prof. Luigi D'Alpaos. «Si parla di rischi, ma se ne parla solo»





Il  prof. ing. Luigi D´Alpaos, ordinario di Idrodinamica alla Facoltà di Ingegneria

LA PAROLA ALL'ESPERTO. Il prof. Luigi D'Alpaos, ordinario di Idrodinamica alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Padova «Si parla di rischi, ma se ne parla solo»
Le insufficienze dei piccoli corsi non c'entrano, il problema irrisolto è quello dei grandi fiumi. La rottura del Bacchiglione? Era una delle possibilità

Professor D'Alpaos, le domande che in queste ore rimbalzano da un angolo all'altro di Vicenza sono per sommi capi queste: in che modo possono aver influito sull'alluvione i lavori per la nuova base militare all'ex aeroporto? Il rinforzo di un argine di difesa anziché un altro può aver determinato uno sfogo in altra zona con conseguenze catastrofiche?
å«Beh, intanto si dovrebbe partire con il dire che l'acqua non dovrebbe “sfogare” da nessuna parte...».

L'ing. Luigi D'Alpaos ha 67 anni e della forza dell'acqua sa tutto. Ma non smette di studiarla. Ordinario di idrodinamica alla Facoltà di Ingegneria dell'Università di Padova, dopo decenni di studio appassionato, ricerca scrupolosa, commenta con voce sconsolata gli eventi di questi giorni.
«Ecco, non credo che quanto accaduto sia da ritenersi un evento straordinario. È, certo, un evento che ha messo in evidenza le lacune del grande sistema idrografico del Veneto. Ripeto, del grande sistema».

Insomma, nemmeno avanzare l'ipotesi delle foglie nei tombini come udito da più parti ...
«Le insufficienze dei piccoli corsi d'acqua non c'entrano - argomenta il docente universitario -. Qui il vero problema irrisolto è quello della sistemazione dei grandi fiumi. Considerata la situazione che da anni si trascina, questo era un evento prevedibile, non straordinario. E che abbia rotto gli argini il Bacchiglione era una delle possibilità poiché le condizioni non ottimali di certi corsi d'acqua erano note».

Cose che possono accadere. Anche ogni 50, 100 anni, ma possono accadere.
«Allora, è dal novembre del 1966 che si parla di rischi idrogeologici e della possibilità che riaccada quanto avvenuto 44 anni fa - prosegue il prof. D'Alpaos -. Ma il fatto è che se ne parla soltanto. Mi rendo anche conto che probabilmente la politica non ha interesse alla realizzazione di opere per la difesa idraulica perché se lo facesse oggi, non lo farebbe pensando all'attualità, ma ai figli se non addirittura ai nipoti, non so se rendo l'idea della prospettiva dell'utilità».

Una bella strada pre-elettorale è di certo più spendibile in termini politici, lascia intuire D'Alpaos, che però non sembra persona che addossa solo alla componente  governativo -amministrativa di una zona la colpa di certe manchevolezze progettuali.
«Esatto. Perché sia chiaro, qui ci sono - e lo dico con dispiacere - chiare responsabilità anche della classe tecnica. Anzi, le colpe principali della realtà del nostro Paese vanno ricercate proprio qui. C'è da essere sconsolati ma al tempo stesso bisogna essere realistici. Ci vorrebbe un po' più di passione per questo problema che investe il nostro vivere quotidiano, sarebbe necessaria più attenzione agli atti ufficiali prodotti dal governo!»

Il riferimento del prof. D'Alpaos è agli atti della Commissione De Marchi, nata dopo l'alluvione del 1966 e prodotti ancora nei primi anni Settanta.
«Lavorai anch'io a quella documentazione. Il quadro generale - argomenta - era noto e delineato già allora».

E poi cos'è accaduto?
«Semplice: studi ulteriori, studi contro altri studi e via discorrendo. Ma interventi, lavori veri e propri pochi se non nulli. E dopo i lavori della Commissione De Marchi ci si è dati un gran daffare per demolire quelle ipotesi. Ecco, questo è il nostro Paese. Riassumibile in una frase: l'incapacità di scegliere. Manca il coraggio che è con ogni evidenza insito in ogni scelta».

Ma casse di espansione, bacini di laminazione, ricalibrazione degli argini...
«Non sono scelte».

Rimedi, allora. Rimedi temporanei in attesa di interventi, ove servisse, radicali e al tempo stesso rispettosi dell'ambiente e dell'uomo, del suo futuro. Di quello di figli, dei nipoti per tornare al dunque.
«Ecco - conclude D'Alpaos - spero solo che in queste ore non venga invocato il cambiamento climatico...».

Fonte: srs di Stefano Girlanda da Il Giornale di Vicenza di Mercoledì 03 Novembre 2010 SPECIALI, pagina 16-17




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