“Poi si rivolse e parve di coloro
che corrono a Verona il drappo verde
per la campagna. E parve di costoro
quelli che vince non colui che perde”
L'idea che la "Divina Commedia" potesse essere letta ed interpretata scherzosamente come la descrizione di una delle prime corse podistiche medievali a tappe è sorta spontanea leggendo e rileggendo i versi riportati in foniferiti do al capitolo quindicesimo dell'Inferno (Inferno, canto XV, vv. 121-124): riferiti all'incontro di Dante con il maestro Brunetto Latini. In questi quattro versi Dante documenta infatti proprio l'esistenza di una corsa podistica che si disputava a Verona la prima domenica di quaresima, detta "corsa del palio" o "del drappo verde".
La città di Verona ha sempre avuto una grande importanza nella vita del poeta, essendo stato il primo rifugio sicuro nel quale Dante, esiliato da Firenze, ha trovato accoglienza. Nel trascorrere parte del suo esilio nella città veneta, e precisamente nel sobborgo di Santa Lucia, Dante ha avuto modo di venire a conoscenza degli usi e dei costumi locali che ha poi voluto citare nella sua opera.
Per quanto riguarda questa chiamiamola "corsa podistica" veronese, a scanso di equivoci va detto subito che non si trattava di una manifestazione sportiva nel senso in cui siamo soliti intenderla ai nostri giorni, ma - come d'altronde le altre competizioni, tutte disputate nell'ambito di una qualche ricorrenza cittadina o religiosa - interessava comunque tutta la popolazione. Un po' come succede oggi per il palio di Siena.
Ebbene, anche in questo caso si parla di palio, e due erano le gare di velocità con questo nome a cui i veronesi del tempo di Dante potevano assistere, e per la precisione il palio dei cavalli e quello dei corridori. Il drappo verde, che dà il nome alla corsa nei versi danteschi, era appunto il premio riservato al vincitore di questi ultimi, che dovevano correre nudi, mentre un simile palio ma di colore diverso, rosso scarlatto, era l'ambito trofeo per il miglior cavaliere.
Andando a ricercare maggiori dettagli su questa corsa a piedi - secondo alcuni studiosi istituita nel 1207 per festeggiare una vittoria riportata dalla repubblica contro i conti di San Bonifazio ed i Montecchi - ne troviamo indicato con una certa precisione anche il percorso, che comunque poteva variare a seconda dell'umore del podestà cittadino, che aveva, fra gli altri, il diritto di scegliere il luogo della competizione.
Il tracciato prendeva il via dal sobborgo di Tomba (ma più tardi da quello di Santa Lucia) e si snodava lungo le mura a sud di Verona, quelle di Porta al Palio (conosciuta già come Porta Stuppa o Stupa, opera dell'architetto Sammicheli) ed attraverso la pianura "a mezzogiorno della città". Qualcuno degli studiosi è propenso a spiegare "campagna" identificandola con un'omonima località veronese, ma a parte il fatto che non è sicuro che la zona avesse già il nome proprio di Campagna all'epoca di Dante, non si può essere neanche certi che Dante abbia voluto menzionare proprio questa località, il cui nome oggi è ancora possibile comunque ritrovare in Madonna di Campagna, in Sommacampagna, in Mezzacampagna ed in Campagnola.
Il tracciato rientrava poi in città sotto l'Arco dei Gavi, percorrendo il Corso Vecchio fino ad arrivare al palazzo della Torre a San Fermo, mentre più tardi avrebbe attraversato il Corso attuale fino a giungere alla piazza di Sant'Anastasia, dove c'era la scritta "Corso la meta" ed un gran pilastro detto appunto "La meta" che rappresentava il punto di arrivo della competizione. Il percorso del palio a cavallo si snodava sullo stesso tracciato ed era della medesima lunghezza di quello a piedi.
Se il percorso è suscettibile di variazioni, non si può dire altrettanto però del regolamento di gara, che nonostante le modifiche agli statuti cittadini ai quali era vincolato ha sempre previsto non solo un premio per il vincitore ma - precorrendo i nostri tempi - anche un premio di consolazione (chiamiamolo così, ma sarebbe meglio dire "di umiliazione"), per l'ultimo arrivato. E questo spiega perché Dante ci tenga a sottolineare che Brunetto "parve di [...] / quelli che vince non colui che perde".
Lo svolgersi delle competizioni quaresimali infatti, codificato a partire dallo Statuto Albertino (così chiamato perché venne compilato sotto Alberto della Scala anche se reca disposizioni di molti anni anteriori al 1271) prevedeva due corse da disputarsi nella prima domenica di quaresima, una equestre e l'altra podistica: al cavaliere vincitore si dava un palio, di colore inizialmente non specificato, mentre al perdente andava una coscia di maiale.
Lo stesso succedeva nella corsa podistica: al primo corridore un palio sempre di colore non specificato, all'ultimo un gallo. Lo Statuto Albertino venne poi compilato nuovamente da Cangrande I nel 1328 e sempre nella prima domenica di quaresima, erano previste le solite due competizioni. Per il palio a cavallo i premi erano un drappo scarlatto ed una coscia di maiale, per quello a piedi un drappo verde (il "drappo verde" dantesco) ed un gallo.
È interessante notare però che già con lo Statuto di Giangaleazzo Visconti, approvato nel 1393, le corse divennero tre: il solito palio a cavallo (un drappo di velluto al vincitore, una coscia di maiale all'ultimo) e due invece le corse a piedi, la prima riservata agli uomini (palio rosso al primo, gallo all'ultimo) e l'altra invece aperta alle sole donne, alla vincitrice delle quali era destinato il "drappo verde", senza dimenticarsi anche qui del gallo per la meno veloce.
Il palio verde insomma che al tempo di Dante era destinato agli uomini, fu da Giangaleazzo Visconti assegnato alle donne, ma - attenzione! - con la postilla che per la conquista del drappo, recita lo statuto, "correranno donne oneste, anche se ce ne fosse una sola, se invece non ci sarà alcuna donna onesta che corra, allora in sostituzione verranno accettate anche le prostitute". Lo spettacolo, insomma, deve continuare!
Non molto tempo dopo il 1450, dopo cioè che Verona passò sotto la dominazione veneziana, lo statuto cittadino fu infine nuovamente riformato e modificato in una forma che si mantenne inalterata fino alla caduta della repubblica. In questa versione del regolamento di gara, il giorno delle competizioni venne spostato dalla prima domenica di quaresima al giovedì grasso, ed alle tre corse ne venne aggiunta un'altra, il palio degli asini, con un drappo bianco per il vincitore.
La cerimonia delle premiazioni infine rivestiva un'importanza particolare anche per gli stessi spettatori, non solo per tributare i dovuti onori a chi aveva primeggiato nelle due/tre/quattro gare, ma anche e soprattutto per divertirsi a spese degli ultimi, costretti da regolamento a girare per la città facendo bella mostra del "premio di consolazione".
Nel caso del cavaliere perdente, questi doveva attraversare Verona con la coscia di maiale appesa al collo del cavallo, coscia che, sempre da regolamento, "è lecito che chiunque la possa tagliare e portar via". E i podisti di oggi che si lamentano per niente!
Fonte: srs di Indro Neri/Dante era un podista/run.com
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