giovedì 26 marzo 2009

Discorso di Critognato

Giulio Cesare: Discorso di Critognato -
l discorso di Critognato durante l'assedio di Alesia è l'unico riportato in forma diretta nel De bello Gallico: davvero una singolare eccezione da parte di Cesare nei confronti dello spregiudicato capo arverno, che alla fine del suo discorso giungerà a proporre il cannibalismo come estremo mezzo di resistenza.

(77)     At ii qui Alesiae obsidebantur praeterita die qua  auxilia suorum exspectaverant, consumpto omni frumento, inscii quid in Haeduis gereretur, concilio coacto  de exitu suarum fortunarum consultabant ac variis dictis  sententiis quarum pars deditionem, pars dum vires suppeterent eruptionem censebat, non praetereunda videtur oratio Critognati propter eius singularem ac nefariam  crudelitatem. Hic summo in Arvernis ortus loco et magnae  habitus auctoritatis 'nihil' inquit 'de eorum sententia  dicturus sum, qui turpissimam servitutem deditionis nomine appellant, neque hos habendos civium loco neque  ad concilium adhibendos censeo. Cum his mihi res sit, qui  eruptionem probant. Quorum in consilio omnium vestrum  consensu pristinae residere virtutis memoria videtur,  animi est ista mollitia, non virtus, paulisper inopiam ferre  non posse. Qui se ultro morti offerant facilius reperiuntur  quam qui dolorem patienter ferant. Atque ego hanc sententiam probarem - tantum apud me dignitas potest -,  si nullam praeterquam vitae nostrae iacturam fieri viderem; sed in consilio capiendo omnem Galliam respiciamus,  quam ad nostrum auxilium concitavimus: quid hominum  milibus LXXX uno loco interfectis propinquis consanguineisque nostris animi fore existimatis, si paene in ipsis cadaveribus proelio decertare cogentur? nolite hos vestro  auxilio exspoliare qui vestrae salutis causa suum periculum neglexerunt, nec stultitia ac temeritate vestra aut  animi imbecillitate omnem Galliam prosternere et perpetuae servituti addicere. An quod ad diem non venerunt,  de eorum fide constantiaque dubitatis? quid ergo? Romanos in illis ulterioribus munitionibus animine causa cotidie exerceri putatis? si illorum nuntiis confirmari non  potestis omni aditu praesaepto, his utimini testibus adpropinquare eorum adventum, cuius rei timore exterriti  diem noctemque in opere versantur. Quid ergo mei consilii est? facere quod nostri maiores nequaquam pari bello Cimbrorum Teutonumque fecerunt: qui in oppida compulsi ac simili inopia subacti eorum corporibus, qui aetate  ad bellum inutiles videbantur, vitam toleraverunt neque  se hostibus tradiderunt. Cuius rei si exemplum non haberemus, tamen libertatis causa institui et posteris prodi  pulcherrimum iudicarem. Nam quid illi simile bello fuit?  depopulata Gallia Cimbri magnaque inlata calamitate  finibus quidem nostris aliquando excesserunt atque alias  terras petierunt; iura, leges, agros, libertatem nobis reliquerunt. Romani vero quid petunt aliud aut quid volunt  nisi invidia adducti quos fama nobiles potentesque bello  cognoverunt, horum in agris civitatibusque considere  atque his aeternam iniungere servitutem? neque enim  umquam alia condicione bella gesserunt. Quodsi ea quae in longinquis nationibus geruntur ignoratis, respicite finitimam Galliam, quae in provinciam redacta, iure et legibus commutatis, securibus subiecta perpetua premitur  servitute.'
(78)     Sententiis dictis constituunt ut ii, qui valetudine  aut aetate inutiles sint bello, oppido excedant atque omnia prius experiantur quam ad Critognati sententiam descendant; illo tamen potius utendum consilio, si res  cogat atque auxilia morentur quam aut deditionis aut  pacis subeundam condicionem. Mandubii qui eos oppido  receperant, cum liberis atque uxoribus exire coguntur. Hi cum ad munitiones Romanorum accessissent, flentes  omnibus precibus orabant ut se in servitutem receptos  cibo iuvarent. At Caesar dispositis in vallo custodiis recipi  prohibebat.


(77) Ora quelli che erano assediati dentro Alesia, passato il giorno nel quale aspettavano i rinforzi, consumato tutto il frumento, ignari di ciò che accadeva in quel degli Edui, adunarono il consiglio per deliberare sulla situazione. Vari furono i pareri; chi proponeva la resa, chi consigliava, fin che le forze bastavano, una sortita. Ma tra gli altri discorsi, non  mi sembra di dover tacere quello di Critognàto in grazia della sua singolare e spaventosa atrocità. Costui, che era un arverno di grande famiglia e di alto prestigio:
“Nulla dirò” disse “circa la proposta di coloro che dànno il nome di resa alla più turpe schiavitù; non li considero neppure cittadini e non voglio neppure ascoltarne il parere. Io parlo soltanto a coloro che vogliono una sortita, perché nella loro proposta mi sembra, e certo vi consentite voi tutti, che sia ancor vivo il ricordo dell’antico valore. Mollezza d’animo è, non valore, il non saper sopportare un poco di carestia. E’ più facile trovare chi si voti alla morte, che non chi sia pronto a sopportare il dolore. Ed io potrei anche accettare la sortita, tanto è il mio senso dell’onore, se non vedessi in pericolo nient’altro che la nostra vita. Ma prima di deliberare, noi dobbiamo volger lo sguardo a tutta la Gallia, che abbiamo sollevato per recarci aiuto. Pensate: che animo sarà quello dei nostri congiunti, dei nostri consanguinei, se, dopo il massacro di ottantamila uomini dentro a questa piazza, essi saranno costretti a combattere, si può dire, sopra i nostri cadaveri? Ah, non vogliate privar del vostro aiuto chi ha obliato il proprio rischio per la vostra salvezza; non vogliate, per la vostra stoltezza, per la vostra temerità, per la vostra debolezza d’animo gettare a terra tutta la Gallia e consegnarla a un eterno servaggio. Perché non son giunti proprio nel giorno fissato, dubitate dunque della loro fede e della loro costanza? E che? Credete forse che i Romani lavorino senza posa, quotidianamente, alle fortificazioni esterne, così, per passatempo? Se non potete averne la sicurezza dai loro messaggi, perché è chiuso ogni passo, vi provi il comportamento dei Romani che il loro arrivo è vicino; dei Romani, che vinti dal terrore di questo arrivo, lavorano febbrilmente e giorno e notte. Qual è dunque il mio parere? Fare quello che i nostri antichi fecero nella guerra, ben meno grave di questa, dei Cimbri e dei Teùtoni. Essi, ricacciati nelle loro fortezze, e torturati da una carestia come questa, si sostentarono con le carni di coloro che l’età rendeva inabili alla guerra, e non si consegnarono ai nemici.  E se già non ne avessimo l’esempio, io proporrei di darlo qui la prima volta per amore della libertà, e di tramandarlo come stupendo ai posteri. Perché, che cos’ebbe quella guerra di comune con questa? I Cimbri, devastata la Gallia e copertala di sciagure, pur una buona volta uscirono dal nostro paese e cercarono altre terre; diritti, leggi, terreni, libertà, tutto essi ci lasciarono. Ma i Romani, gelosi di tutti coloro di cui conoscono la nobile fama e la potenza guerriera, che altro chiedono o vogliono, se non stabilirsi nelle loro campagne e nelle loro città ed infliggere loro un eterno servaggio? Nessuna guerra con altro scopo essi fecero mai. Che se voi ignorate ciò ch’essi fanno in lontani paesi, guardate la Gallia a noi vicina, che, ridotta a provincia, privata dei suoi diritti e delle sue leggi, soggetta alle scuri, si trova oppressa da una servitù senza fine”.

(78) Finita la discussione, fu deciso che coloro che per salute o per età erano inabili alla guerra uscissero dalla fortezza, e che tutto si tentasse prima di giungere fino a seguire la proposta di Critognàto; nondimeno, si sarebbe ricorso anche a questo, se la necessità lo imponesse e tardassero gli aiuti, piuttosto che trattare la resa o la pace. I Mandùbii, che li avevano accolti nella loro città, vengono costretti ad uscire coi figli e le mogli. Giunti alle difese romane, piangendo, con mille preghiere, supplicavano che li prendessero come schiavi, pur d’aver da mangiare. Ma Cesare, posti corpi di guardia sul vallo, vietò di riceverli.

Fonte: De bello Gallico

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